— Aprite la porta! Siamo Peranla, noi! Aprite!
La porta si aprì e Peranla si precipitarono dentro. Theresa, attonita per la propria reazione, si intrufolò all’interno con loro.
Ai suoi occhi occorse un minuto per abituarsi all’oscurità. Oltre un centinaio di persone, raggruppate a tre a tre, la fissò. Le triadi si strinsero insieme, apparendo a disagio, ma nessuno sembrò terrorizzato. Perfino il gruppo di Peranla dava l’impressione di essere meno ansioso che non all’esterno. Era ovvio. Anche Theresa quando si trovava a casa con persone familiari in mezzo a cose familiari era meno ansiosa. Più sicura.
Il battito cardiaco le accelerò e sentì la gola serrarsi attorno alla carotide. — C’è… c’è Josh? Josh?
— Faresti meglio ad andartene, tu — disse un vecchio. Svariate altre persone annuirono.
— Josh? Jomp?
Lui avanzò lentamente, trascinando Patty e Mike per mano. Mike aveva la fronte leggermente aggrottata ma Patty, che Theresa ricordava come una spaventosa megera, tremava e nascondeva la testa contro la spalla di Mike. Quel fatto calmò il respiro di Theresa.
Forse essere la persona meno spaventata all’interno di un gruppo era come non essere spaventati affatto.
— Josh, io sono Theresa Aranow. Sono venuta qui l’autunno scorso. Vi ho portato vestiti e coni a energia-Y. Mi hai raccontato del vostro legame e delle siringhe rosse.
Josh annuì, senza guardarla negli occhi.
— E poi l’ologramma, Josh. Mi hai mostrato un ologramma di Miranda Sharifi. Vi spiegava l’uso delle nuove siringhe, quelle che ha lasciato qui da voi per creare il legame.
Mike latrò: — Non ha niente a che fare con te.
— Voglio rivedere l’ologramma, Josh. Ti prego. Voi lo avete visto un sacco di volte, no?
Josh annuì ancora. Patty sollevò lo sguardo dalla spalla di Mike.
— Benissimo, allora — continuò Theresa il più fermamente possibile. — Potrete vederlo ancora. Proprio come fate sempre. E lo guarderò anch’io.
— D’accordo — disse Josh. — Per tutti quanti… è il momento di Miranda. Noi siamo la vita e il sangue, noi.
— Noi siamo la vita e il sangue — rispose disordinatamente la folla e Theresa riuscì quasi a percepire il sollievo che li pervadeva, cristallino come l’acqua di una cascata. Quella era una routine conosciuta, confortante, sicura. Le triadi si mossero a piccoli scatti, sistemandosi davanti a un antico olopalco in quelli che, Theresa avrebbe potuto scommetterci, erano abitualmente i rispettivi posti. Un minuto dopo, lei si sedette accanto a Josh, il più vicino alla porta.
— Attivazione — disse Mike. — Tempo di Miranda.
L’olopalco si animò. Un grazioso turbinio di colori privo di significato, poi apparve Miranda, testa e spalle, lo sfondo una semplice cabina di registrazione scura, studiata appositamente per risultare anonima. Miranda indossava un abito bianco senza maniche; un nastro rosso le teneva indietro i capelli neri e crespi.
— Sono Miranda Sharifi e vi parlo da Selene. Vorrete sapere cos’è questa nuova siringa. È un meraviglioso, nuovo dono, studiato apposta per voi. Un dono migliore delle siringhe del Cambiamento. Quelle vi hanno liberato a livello biologico, ma vi hanno anche condotto a un forte isolamento quando non avete più avuto bisogno degli altri per il cibo e per la sopravvivenza. Per l’uomo non è bene essere solo. Questa siringa, questo magnifico dono…
C’era qualcosa che non andava in quell’ologramma.
Dal giorno della prima visita a quell’accampamento, cinque mesi prima, Theresa aveva passato settimane, mesi interi a guardare ologrammi di notiziari. Le si ripetevano di notte dietro le palpebre chiuse. Quello lì aveva qualcosa di sottilmente sbagliato. La voce era di Miranda e le parole erano sincronizzate con il movimento delle labbra di Miranda, ma non col suo corpo. No, non era quello. Il corpo di lei non si muoveva molto. Ecco cos’era. La rigidità del corpo di Miranda rispetto a certe parole, più i suoi movimenti rispetto ad altre; il ritmo era sbagliato. E anche i ritmi delle parole. Theresa aveva un ottimo orecchio. Notava anche la più leggera flessione nei posti sbagliati. L’ologramma era stato creato, non registrato.
Il che significava che non era stata Miranda a fornire quel messaggio. E nemmeno le siringhe rosse.
Theresa si guardò attorno. I volti dei Vivi erano rapiti, come se assistessero a un concerto del Sognatore Lucido. Dovevano esserci messaggi subliminali nell’ologramma. Lei abbassò gli occhi e ascoltò il resto del messaggio senza guardare la parte video.
Se le siringhe del legame non provenivano da Miranda, da chi arrivavano?
Forse dalle stesse persone che avevano creato il neurofarmaco respirato da quei Vivi. Il neurofarmaco che rendeva la gente spaventata delle cose nuove. Ma perché?
Jackson aveva detto che nessuno, eccetto i Super-Insonni, poteva creare simili neurofarmaci. Nessuno, a parte Miranda Sharifi, sapeva abbastanza sul Depuratore Cellulare da creare qualcosa che non fosse distrutto dai nanomeccanismi del Cambiamento inseriti nel corpo di tutti. Di tutti a parte che in quello di Theresa.
— …siate insieme in un nuovo modo, un modo che crea comunità, che abbia le radici di tale comunità nella biologia stessa…
Theresa venne assalita da un dubbio. Che ne sapeva lei della "biologia stessa", della comunità o dei Super-Insonni? Chi era lei per decidere che quell’ologramma non era realmente di Miranda? Theresa era una pazza, nonCambiata, impaurita, che aveva attacchi ogni volta che le situazioni si facevano poco familiari, che aveva lasciato il proprio appartamento soltanto tre volte durante l’anno precedente, che aveva paura di tornare a casa perché la sua ex cognata, che era anche sua amica, la stava cercando. Theresa non sapeva proprio niente.
Eccetto ogni dettaglio documentato sulla vita di Leisha Camden.
Con quella consapevolezza, Theresa capì che cosa avrebbe fatto.
Si alzò proprio mentre la registrazione stava terminando; attorno a lei i Vivi guardavano con occhi annebbiati le loro triadi legate, sorridendo. Senza quelle sarebbero morte. Una malvagità, una malvagità. Quello non era legame, era schiavitù.
— Dammi la cassetta dell’ologramma, Josh — disse Theresa nel modo più deciso possibile. Cercò di sembrare Leisha Camden quando impartiva ordini. Nessuno conosceva la vita di Leisha meglio di Theresa: nessuno conosceva meglio di lei Leisha stessa.
Un centinaio di volti annebbiati la fissarono.
— La prendo io. Ne ho bisogno. La riporterò. — Leisha, che diceva con decisione a Jennifer Sharifi che l’idea del Rifugio era errata. Oppure Leisha che diceva a Calvin Hawke che il suo movimento anti-Insonni era finito. Leisha: calma, decisa, fredda. Theresa si avviò, con le ginocchia tremanti, verso l’olopalco.
— Tu devi lasciare l’ologramma del tempo di Miranda dove sta, tu! — disse qualcuno.
— Mi dispiace ma non posso. Ne ho bisogno. — Theresa raggiunse il terminale. Ma non era più Theresa, era Leisha. Un bel trucco. Essere Leisha, sentirsi come lei. Se Theresa poteva guardare un notiziario e sentirsi come la madre del bambino morente non-Cambiato, poteva sentirsi "lei" la madre, allora poteva anche essere Leisha Camden. Non era diverso. Non era diverso…
Le persone cominciarono ad alzarsi, alcune agitandosi impaurite in serrati gruppi di tre, alcune dirigendosi verso di lei. Mike esitò, quindi lui e Josh le si avvicinarono, trascinandosi dietro Patty. La testa di Mike era incassata nel collo, i suoi occhi erano terrorizzati. Per un secondo, attraverso la propria vista tremante, Theresa vide la scena come doveva apparire dall’esterno: quattro disgraziati a occhi sbarrati si muovevano a scatti l’uno attorno all’altro, puzzando di paura. "No, non pensare in quel modo, non vederti dall’esterno, vediti come Leisha." Lei era Leisha Camden.
— Non mi fermate — intimò con voce tremante Theresa. Mike si bloccò per un istante, quindi riprese ad avvicinarsi.
— Dico sul serio!
— Mike — piagnucolò Patty — non… non puoi…
Mike sussurrò: — Non può prendersi il nostro ologramma, lei non può averlo. — Afferrò Theresa per un braccio.
Lei provò un senso di vertigine, sentì il buio assalirle il cervello. Theresa cercò di allontanare le vertigini, Leisha non era mai svenuta!, e anche la mano di Mike. Non poteva. Lei non era Leisha, calma, decisa e fredda, non sarebbe mai stata Leisha, avrebbe dovuto mostrare più autocontrollo di quanto ne avesse mai avuto. Anche se lo stratagemma di pensare di essere Leisha aveva funzionato per qualche minuto, Theresa non era Leisha…
"Allora vedi di essere una persona non calma e fredda."
— Lasciatemi subito quel fottuto ologramma o vi legherò con dei nodi da marinaio! — strillò Theresa, e le parole erano quelle di Cazie.
Mike le lasciò subito il braccio e la fissò sbalordito.
— Levatevi dai fottutissimi piedi!
Parte della folla indietreggiò: il resto si fece timidamente avanti. Si alzarono dei mormorii fra le triadi: — Non lasciamoglielo prendere, noi… — Fermatela, voi… — Che diritto ha lei…
In un minuto avrebbero superato la loro paura e l’avrebbero riacciuffata. No, avrebbero riacciuffato "Cazie". Lei era Cazie. E la chimica cerebrale di quelle persone le rendeva impaurite di tutto ciò che non era familiare, di tutto quello cui non erano abituate.
— Mi metterò a piangere! — strillò Theresa a tutto volume. — Farò squagliare il pavimento! C’è una nanotecnologia che voi non avete mai visto che mi permette di farlo, io posso farlo! Tutto quel che devo fare è cantare! — Cominciò a cantare, una canzone che le cantava sempre la sua balia, ma era troppo dolce e così lei cominciò a saltare su e giù e poi a girare intorno, gridando le parole e poi cambiandole nelle oscenità che usava Cazie quando era arrabbiata con Jackson perché non aveva fatto quello che lei voleva. — Povero illuso figlio di puttana, la tua visione della realtà è così limitata che non ne vedi nemmeno una frazione, figuriamoci se vedi una frazione di "me", manchi di ironia, Jackson maledetto inferno dei Vivi, non capisci nemmeno quello! Patetico bambino viziato, pensi forse… "Levatevi dai fottutissimi piedi!"
Lo fecero. La folla si ritirò, e alcuni bambini cominciarono a piangere. Le triadi si strinsero. Strillando, cantando, saltando, imprecando, turbinando, Theresa si avvicinò alla porta, con la cassetta in mano, mentre un centinaio di persone, dovevano essere novantanove oppure centodue, la guardavano con la stessa paura ansiosa che Theresa vedeva quotidianamente allo specchio.
Riuscì ad arrivare all’esterno appena prima che i nervi le cedessero.
Comunque fu in grado di arrancare all’aeromobile. — Decollo! — ansimò. — Casa. — A quel punto sentì mancare il fiato, sentì iniziare l’attacco, e quello che poté fare per tutta la sua durata fu cercare di respirare; intanto l’aeromobile volava per proprio conto lontano dall’accampamento dei Vivi ma nessuna piccola figura, venti metri sotto, uscì dall’edificio per guardarla partire.
Appena prima di raggiungere Manhattan Est, Theresa riprese il controllo di se stessa. Si appoggiò contro il sedile dell’aeromobile e cercò di pensare.
Non poteva tornare a casa. Cazie poteva essere ancora lì. Fece volare l’aeromobile fino al primo spazio ampio e deserto, che si rivelò un circuito abbandonato di scooter, e le ordinò di atterrare in un punto da dove si vedesse in ogni direzione. Restò seduta, stringendo in mano la cassetta di Miranda e respirando più profondamente e regolarmente possibile.
Che cosa era appena accaduto?
Era stata Cazie. Si era trattato solo di una finzione, ovviamente, ma era stata in grado di fingere con potenza sufficiente per allontanare da sé la paura per qualche istante, e per comportarsi come, altrimenti, non sarebbe mai riuscita. Ma come era potuto accadere? Gli attori degli ologrammi, ovviamente, fingevano costantemente di essere altre persone, per risultare convincenti nella storia, ma Theresa non era una oloattrice. E certo non assomigliava a Cazie. La sua chimica cerebrale era diversa, in qualche modo era danneggiata e lei aveva sempre paura, provava ansia ed era quello che Jackson chiamava "gravemente inibita davanti alla novità". Fingere di essere qualcun altro aveva davvero cambiato la sua chimica cerebrale per qualche minuto? Ma come era possibile?
Avrebbe chiesto a Thomas di scoprirlo.
Al momento, tuttavia, se non tornava a casa, doveva decidere dove andare. Soltanto che lei voleva tornare a casa. Non sapeva quanto a lungo sarebbe durata quella bizzarra chimica cerebrale presa in prestito e voleva trovarsi attorno le proprie cose, la camera rosa, la coperta all’uncinetto e Thomas. Ma se c’era ancora Cazie…
Se Cazie era ancora lì, Theresa sarebbe diventata qualcun altro in grado di dire a Cazie che quello non era il momento buono per parlare. Qualcuno che potesse dire: — Mi dispiace ma sono stanca e ho bisogno di riposare, adesso. — Anche se Theresa fosse riuscita a fingersi una persona così soltanto per un minuto. Forse un minuto le sarebbe bastato. Certo, sarebbe potuta diventare qualcun altro per un minuto: Leisha Camden. Leisha era stata sempre calma e decisa. Theresa sarebbe diventata Leisha Camden, che discuteva con tranquillità il caso sui diritti degli Insonni con altri avvocati, e Cazie sarebbe…
Cazie sarebbe saltata addosso a Theresa e l’avrebbe ridotta in brandelli.
Theresa non poteva fingersi Leisha Camden davanti a Cazie. Sarebbe stato come proteggersi da un uragano usando cannucce da bibita. Forse, però, poteva essere Leisha Camden con se stessa. Fingere di avere le capacità di Leisha per un solo minuto, mentre pensava a cosa fare e dove andare. Leisha, che affrontava i problemi di petto, usando la razionalità per risolverli…
Se Leisha avesse voluto scoprire cosa si nascondeva dietro il falso ologramma di Miranda, sarebbe andata nel posto in cui era più probabile che si sapesse qualcosa. Ovunque fosse. Perfino a Selene. Ma Selene non rispondeva ai messaggi, e anche se Theresa fosse riuscita a mettere insieme tanto coraggio da affrontare un viaggio spaziale… no, non ci sarebbe mai riuscita. Lo sapeva. Forse, però, non doveva arrivare tanto lontano come a Selene.
Theresa serrò la presa sulla cassetta olografica. Ci sarebbe riuscita davvero, anche se fingendo di essere Leisha? Avrebbe dovuto volare fino a un aeroporto, noleggiare un aereo per suo conto. No, era troppo difficile. Le si mozzò il fiato al solo pensiero.
Quindi pensò a tornare a casa e a cercare di evitare di dire a Cazie dove si trovava Jackson.
Theresa si portò le mani sul volto, quindi si raddrizzò. Non era più Theresa Aranow, lei era Leisha Camden. Pensarlo l’avrebbe fatta sentire differente, quindi la sua chimica cerebrale sarebbe variata un po’… Lei era Leisha Camden. Lo "era".
— Aeroporto Manhattan Est. Coordinate automatiche — ordinò all’aeromobile, e la voce le suonò diversa alle orecchie terrorizzate.
Mentre il veicolo decollava, a Theresa venne in mente un altro pensiero. "Prendi un neurofarmaco", le diceva sempre Jackson. E Theresa non lo faceva mai perché aveva sempre paura di perdere il suo dono speciale del dolore e quindi il luogo in cui esso l’avrebbe condotta. Aveva sempre avuto paura di prendere neurofarmaci temendo di diventare qualcun altro.
A dispetto di se stessa, Theresa scoppiò a ridere. La risata le uscì come un piagnucolio.
Si chiese chi avrebbe trovato effettivamente, in Nuovo Messico, comportandosi come se fosse un’altra persona.
La parte più difficile risultò quella di ingaggiare un pilota.
Theresa si incamminò nell’edificio dell’aeroporto di Manhattan Est sulla Lexington Avenue. Era una costruzione regolare e vecchio stile con la programmazione delle pareti a metalli cangianti. Le persone le sfrecciavano davanti dirigendosi verso alcuni terminali o uscite differenti: un gruppo di uomini e donne, vestiti con