La rivincita dei mendicanti - Кресс Нэнси (Ненси) 4 стр.


Impossibile.

Aspettò finché la sua erezione non fosse scemata prima di alzarsi e stiracchiarsi con elaborata noncuranza. — Bene, ci sono delle persone che mi stanno aspettando. Buona notte, Cazie. Theresa, non farò tardi.

— Stai attento, Jackson — disse Theresa come faceva sempre, come se potessero esistere pericoli all’interno dell’Enclave di Manhattan Est, protetta da uno scudo a energia-Y dalle indesiderate intemperie. Theresa non lasciava l’appartamento da oltre un anno.

— Sì, stai attento, Jack — scimmiottò Cazie teneramente, e lui sentì il cuore saltare un battito quando gli sembrò di avvertire del rammarico mischiato con la tenerezza. Quando si voltò, tuttavia, lei stava facendo di nuovo le moine all’uccellino di Theresa e non lo guardò nemmeno.

C’era l’indomani.

Maledetto domani. Si trattava di un viaggio di affari, per scoprire che cosa non andasse nello stabilimento di Willoughby. Lui possedeva quella maledetta compagnia, quanto meno un terzo, e avrebbe dovuto controllare meglio i tabulati della ditta, dare ordini alle Intelligenze Artificiali che la gestivano, collegarsi con il capo tecnico della TenTech, verificare l’andamento dei problemi. Doveva essere più responsabile dei soldi suoi e di Theresa. Doveva…

Avrebbe dovuto fare un sacco di cose.

Uscì nella fredda notte di novembre, che sotto la cupola sembrava una calda notte di settembre, e cercò di pensare a un posto che non fosse casa sua in cui avrebbe potuto effettivamente cenare.

2

Lizzie Francy si fermò sull’erba irregolare del campo buio in Pennsylvania e appoggiò in segno di monito una mano sul braccio di Vicki Turner. Soffiava un vento freddo. A una trentina di metri di distanza lo stabilimento che produceva coni a energia-Y della TenTech si profilava al chiaro di luna, un parallelepipedo di cemespugna privo di finestre, bianco e senza tratti caratteristici, come una prigione.

— Non andare oltre — avvertì Lizzie. — Lo scudo di sicurezza inizia un metro e mezzo più avanti. Vedi la differenza sull’erba?

— Certo che no, non riesco a vedere "niente" — rispose Vicki. — Tu come fai?

— Sono venuta qui alla luce del giorno — disse Lizzie. — Dobbiamo spostarci, un po’ a sinistra, ho lasciato un segno. Stai tremando, Vicki. Hai freddo?

— Sto gelando. Stiamo gelando tutti. È lo scopo di questa incursione notturna illegale, no? Dio, devo essere impazzita per fare una cosa simile… Quanto più a sinistra?

— Proprio qui. Non ti avvicinare oltre, i sensori a infrarossi ci capteranno.

— Non me, sono troppo fredda. Mi scambierebbero per una roccia. No, non voglio la tua mantella, ne hai bisogno.

— Io non ho freddo — ribatté Lizzie. Aprì un sacco di iuta e cominciò a tirare fuori roba.

— È l’esplosione dei tuoi ormoni. I piccoli coni a energia-Y della gravidanza. Va bene, prenderò la mantella. Come mai la tua pelle non consuma i vestiti in fretta come la mia? O è soltanto un’impressione? Lizzie, piccola, non eccitarti troppo. Non funzionerà. Nessuno, per quanto sia un bravo pirata informatico, può entrare in una fabbrica di coni a energia-Y.

— Io sì — rispose Lizzie.

Sogghignò in direzione di Vicki, Vicki non capiva. Vicki era intelligente, era colta, era un Mulo, quelli che prima gestivano il mondo. Vicki aveva regalato a Lizzie il primo terminale e le aveva insegnato a usarlo. Lizzie doveva tutto a Vicki. Ma Vicki "non sapeva". Vicki era vecchia, forse aveva quasi quarant’anni, ed era diventata adulta prima del Cambiamento, quando ogni cosa era differente. Lizzie aveva passato gli ultimi cinque anni sulle reti informatiche e sapeva quanto era brava. Non c’era nulla in cui non potesse introdursi (eccetto ovviamente il Rifugio, ma quello non contava). Quello era il mondo di Lizzie, ormai, e lei poteva fare tutto. Aveva diciassette anni.

Le due donne tirarono fuori la strumentazione di Lizzie da un’altra tela tessuta in modo grezzo. Biblioteca di cristallo, terminale, trasmettitore laser, olotute complete. Parte dell’equipaggiamento era di materiale scadente, parte era rubato, tutto era vecchio. Lizzie, con il pancione che le tendeva la tunica già consumata, montò l’equipaggiamento e lo puntò contro l’edificio. Vicki, avvolta nella mantella di Lizzie, si mise improvvisamente a ridacchiare. — Ho conosciuto Jackson Aranow, una volta.

— Chi sarebbe Jackson Aranow?

— Il proprietario della fabbrica che stai per derubare. Quanto meno lo è la sua famiglia. Io dico sempre, conosci i tuoi ignari e involontari benefattori. Gli Aranow sono una vecchia stirpe di conservatori, altezzosi e noiosi. Ricchi quanto il Rifugio.

Lizzie sollevò lo sguardo dagli schemi di decodifica sullo schermo. — Davvero?

— No, ovviamente non proprio. Dio, non prendere sempre tutto così alla lettera. Nessuno è ricco come il Rifugio.

— D’accordo, siamo pronti — disse Lizzie. Sogghignò, un lampo di denti bianchi nell’oscurità. — Hai il tuo sacco? Ricorda che lo scudo si abbasserà soltanto per dieci secondi prima che il sistema si riprogrammi. Sei armata?

— Se è questo, essere "armati" — commentò Vicki, sollevando il tubo di metallo nella mano destra. — Dovevi proprio farlo così pesante? Se devo morire, preferisco farlo un po’ più leggera.

— Non morirai. E sei quasi completamente nuda, non ti sembra di essere abbastanza leggera? — Lizzie scoppiò a ridere, un profondo ghigno impudente, e le sue dita presero a volare sopra la tastiera. — Va bene… "ora"!

Un raggio laser trafisse l’oscurità, diritto e inflessibile come un bastone di filamenti in diamante. Sfrecciò attraverso lo scudo invisibile a energia verso un punto preciso, virtualmente indistinguibile, posto in alto, sull’edificio. Lo seguì un secondo raggio. Molti siti di dati, eccitate le loro molecole bioelettriche dalla prima scarica del laser, assorbirono l’energia aggiuntiva della seconda in una diversa zona dello spettro. L’energia assorbita attivò una reazione ramificata, un’architettura sequenziale a un fotone. Una serie di chiavi a lunghezza d’onda si inserirono, attraverso l’oscurità, in una serratura cromoforica autoriparante costituita da proteine batteriche. La notte si riempì di informazioni invisibili, alcune inviate a nuovi siti di ricezione, a ulteriori relais, a terminali posti in altri stati. Lizzie non poteva farci nulla: i sistemi di sicurezza, per loro natura, allertavano altri sistemi. Tuttavia, l’aria sfrigolò brevemente e lo scudo di sicurezza a energia-Y si dissolse.

Nel giro di dieci secondi si era già resettato con altri codici, altri schemi. Lizzie e Vicki, portando i loro sacchi, avevano già attraversato l’erba alta, sfruttando l’interruzione nel campo energetico.

Avvenne tutto in silenzio. Non si accesero riflettori e non suonarono allarmi. Le industrie erano integralmente automatizzate, gestite da sistemi che avevano base in enclavi distanti, che i proprietari potevano consultare e dirigere. Oppure no.

Il primo robot della sicurezza passò accanto alle due donne quasi immediatamente, a una velocità terrificante, una sagoma di metallo silenzioso che sfrecciava nel prato. Vicki vi puntò contro il disgregatore EMF e il robot si fermò, cadde a terra e si ribaltò. Vicki scoppiò a ridere, con una foga eccessiva. — Muori, essere impudente venuto dal nulla!

— "Sbrigati!" — la incalzò Lizzie. Disattivò un secondo robot della sicurezza e corse verso le porte dello stabilimento.

Ovviamente si erano bloccate quando lo scudo a energia-Y si era abbassato. Lizzie digitò qualcosa sui terminali a codici di sovrapposizione manuali e trattenne il respiro. Le erano occorsi mesi per intrufolarsi nei dati della sicurezza della TenTech e, anche se poteva fare tutto, non era mai riuscita a trovare i resettaggi per i codici di sovrapposizione manuale nel caso la violazione dello scudo di sicurezza li avesse reimpostati automaticamente. Sperava che non esistessero reimpostazioni, che i progettisti fossero stati così arroganti o così maldestri da aver avuto fiducia che il complesso sistema a energia-Y fosse sufficiente, che nessuno sarebbe mai riuscito a violarlo. Eccetto, forse, quelli del Rifugio, che non avevano alcun motivo per provarci.

Quelli del Rifugio e Lizzie Francy.

Le porte si aprirono, e Lizzie si prese un istante prezioso per chiudere gli occhi e rivolgere una breve preghiera di ringraziamento a un Dio nel quale non credeva. Il Dio di Billy, il Dio di sua madre. Lizzie non aveva bisogno di Lui. Lei ce l’aveva fatta.

Ce l’aveva "proprio fatta": si era introdotta in una fabbrica di coni a energia, per rubarne a sufficienza perché la sua tribù superasse l’inverno. Avevano tutto il resto di cui necessitavano, dopo il Cambiamento: una tela cerata polimerizzata per il campo di alimentazione; acqua che non aveva più bisogno di essere potabile; una fabbrica abbandonata per la lavorazione dei prodotti della soia che forniva uno spazio più che sufficiente per la tribù; un robot tessitore che poteva produrre con facilità abbastanza vestiti e coperte per tutti, anche per i giovani che consumavano in fretta gli abiti. Tuttavia non avevano coni a energia-Y e l’inverno sulle colline della Pennsylvania era freddo. Dato che i Muli non inviavano più materiale, coni e coperte, in cambio di voti, le tribù dovevano prendersi cura da sole di se stesse. Non lo avrebbe fatto nessun altro.

Lizzie riaprì gli occhi. Un altro robot della sicurezza sfrecciò fuori da una alcova e lei lo bloccò col disgregatore. Monitor nascosti stavano filmando l’incursione, ovviamente, ma sia lei sia Vicki erano avvolte dalla testa ai piedi in olotute. Ai monitor, Lizzie appariva una bambinetta bionda di dodici anni, all’ottavo mese di gravidanza. Vicki, invece, era un Mulo maschio dai capelli rossi con un abito elegante. Tutti i sensori a infrarossi avrebbero seguito due fonti di calore di forma umana, genere femminile, di una certa dimensione, massa e metabolismo; ma senza identità sicura.

Era così facile! Sfrecciare dentro, razziare sette o otto coni dalla fine della catena di produzione e infilarli nei sacchi, tornare di nuovo all’esterno e aspettare che la strumentazione sparasse una seconda scarica di laser per far abbassare lo scudo per altri dieci secondi, quindi scappare. Niente male per una marmocchia Viva! Corse lungo il breve corridoio verso il fondo dello stabilimento, col ventre che le ondeggiava da una parte all’altra in un ritmo da bonga.

E si immobilizzò, trovandosi davanti a un luogo impazzito.

Due muletti giravano per tutto il piano. Uno sollevava, ammassava, separava e spostava… nulla. Carichi di aria fina. L’altro portava una singola cassa fino alla fine della catena di montaggio robotizzata, la piazzava lì, riceveva coni a energia vuoti, riportava la stessa cassa al centro dello stabilimento e scaricava i coni; quindi vi passava in mezzo, facendoli schizzare per tutto il pavimento, mentre portava nuovamente la cassa vuota alla fine della catena. La cassa era intaccata in un centinaio di punti, ammaccata su un angolo, mancante delle due alette di chiusura. Sembrava essere passata attraverso una guerra. Sulla catena di montaggio, bracci robotici sollevavano i delicati meccanismi interni dei coni, forniti dalla unità di fusione a freddo sigillata… e sbagliavano a infilare le batterie nei coni, mancandoli di venti centimetri. Le batterie cadevano dalla catena di montaggio, rompendosi. I coni vuoti proseguivano nel loro cammino, verso il muletto demente che li aspettava al fondo, li impacchettava, li trasportava e li scaricava prima di tornare a prenderne altri.

Vicki sbottò: — Che…

— Gli algoritmi spaziali sono tutti incasinati — commentò Lizzie con estremo disgusto. — Dio, che "spreco". I tuoi amici proprietari controllano soltanto i tabulati della produzione, non i rapporti di qualità e nemmeno… Vicki, non è divertente!

— Sì che lo è! — ribatté Vicki. Era piegata in due dalle risate, a mala pena in grado di pronunciare le parole. — È… un’isteria. Il mondo ad alta tecnologia dei Muli… sembra una specie di Guerra Santa robotica all’Endorbacio… e quel pallone gonfiato di Jackson Aranow…

— Abbiamo soltanto pochi minuti ancora e abbiamo bisogno dei coni! Aiutami a trovare quelli imballati prima che impazzisse lo stabilimento, non può andare avanti così da molto tempo.

— No? Guarda, c’è polvere dappertutto! — E Vicki riprese a sghignazzare, tenendosi la pancia, ridendo come l’ologramma di un pazzo in un manicomio. A volte Lizzie aveva l’impressione di essere "lei" l’adulta e Vicki, col suo bizzarro senso dell’umorismo da Mulo, la bambina. Poi, in altre occasioni, Vicki diventava la donna che Lizzie ricordava dalla sua infanzia: terrorizzante, consapevole, posata, un essere che veniva da quell’altro mondo che gestiva il mondo. Ma perché non era facile entrare nella mente delle persone come nei programmi informatici? Lizzie pungolò Vicki sulla spalla.

— Vieni! Aiutami a cercare!

Vicki la seguì. Le due donne corsero verso le cassette confezionate ammassate presso uno dei muletti prima (quando?) che quelli impazzissero. Per fortuna anche il robot addetto alla sigillatura funzionava male: nessuna delle alette delle casse era fissata bene e questo rese più facile aprirle. La prima cassa in cima era vuota. Anche la seconda. La terza era stipata di batterie rotte, schiacciate contro e attorno agli alloggiamenti a cono come tuorli spalmati contro gusci d’uovo incorruttibili. Lizzie si chiese che cosa potesse avere ingarbugliato in quel modo la programmazione.

— Vicki… il tempo sta per esaurirsi! La scarica laser partirà soltanto un’altra volta, i resettaggi sono accoppiati ma la prossima coppia sarà generata a caso, non sono stata in grado di prepararmi per quella…

— Ecco! — disse Vicki, che aveva smesso di ridere. — Questa cassa è buona. Prendi tre o quattro coni… vai! Vai!

Infilarono i coni nei sacchi, quindi corsero verso il corridoio, schivando i coni vuoti che rotolavano giù dai muletti. Alla fine del corridoio, trovarono le porte dello stabilimento chiuse.

— Come… Lizzie! Si sono bloccate automaticamente!

Lizzie digitò furiosamente codici di sovrapposizione manuali, inserendo svariate sequenze per "aprire le porte". Non accadde nulla. Il sistema di sicurezza aveva riprogrammato la chiusura delle porte, non le aperture. Era una cosa sensata. Se lo scudo fosse stato disattivato, che entrasse pure chi era voluto entrare, ma che non uscisse.

Vicki chiese: — Puoi entrare nel sistema e rubare il codice?

— Non prima che sia abbassato lo scudo. E questo accadrà… ora.

Lizzie si appoggiò alla porta. Il suo corpo si accasciò al suolo lentamente, come una bambola di pezza, col sacco di preziosi coni a energia-Y stretto sotto il braccio. Non ce l’aveva fatta. Aveva fallito, lei, Lizzie Francy, e ormai lei e Vicki erano intrappolate all’interno della fabbrica di coni, un edificio impenetrabile in cemespugna. Anche se fossero uscite dallo stabilimento, poi, sarebbero rimaste bloccate, in un passaggio sterrato di tre metri attorno all’edificio, da uno scudo a energia-Y attraverso cui non sarebbe passata una molecola più grossa di quelle dell’aria. Erano in trappola.

— Vicki — sussurrò, e non era più la geniale ragazzina che si intrufolava nelle banche dati, era una diciassettenne impaurita che si aggrappava a un adulto. — Vicki, cosa potremo "fare", noi?

— Aspetteremo — rispose Vicki con espressione risoluta. Si accomodò vicino a Lizzie, appoggiando anche lei la schiena contro la porta. — Finché non comparirà qualcuno.

Lizzie allungò una mano verso un tratto di pavimento appena davanti alla porta. Passò le dita sulla cemespugna. Divennero nere di polvere. — E quanto tempo pensi che è passato, tu, dall’ultima volta che qualcuno è venuto qui? — Si accorse che era tornata al linguaggio tipico dei Vivi, quello che usava sempre quando era agitata. Lo odiava.

— Qualcuno verrà a controllare la causa dell’interruzione nel sistema di sicurezza. — disse Vicki.

— Qualche supervisore tecnico mandato dalla TenTech. La polvere non significa che non viene mai nessuno. L’intero sistema di riciclo dell’aria potrebbe essere saltato nello stesso momento in cui sono impazziti gli altri robot, risputando tutta la polvere accumulata all’interno.

Назад Дальше