Mendicanti di Spagna - Кресс Нэнси (Ненси) 25 стр.


Richard. Kevin. Stella. Il Rifugio.

Si chiese quanto ancora le fosse restato da perdere,

Jennifer si trovava davanti a Sandaleros, separata dal campo di sicurezza della prigione che scintillava debolmente, appena quel tanto da raddolcire la giovane linea delle mascelle modificate geneticamente di lui. Gli disse: — Le prove che mi collegano alla manomissione dello scooter sono fondamentalmente circostanziali. La giuria è sufficientemente sveglia da capirlo?

Lui non le mentì: — Giurie di Dormienti… — Ci fu un lungo silenzio.

— Jennifer, ma tu mangi? Non sembri stare bene.

Lei restò veramente sorpresa. Sandaleros riteneva ancora che cose simili fossero importanti: che aspetto lei avesse, se mangiasse. Sulle ali della sorpresa, arrivò il disgusto. Aveva pensato che Sandaleros fosse superiore a quel tipo di sentimentalismi. Jennifer aveva bisogno che lui lo fosse, che comprendesse che cose simili erano assolutamente irrilevanti al confronto di quello che lei doveva fare e che aveva necessità che lui facesse per lei. Per cos’altro si stava disciplinando se non per la subordinazione di cose come che aspetto avesse o come si sentisse? Per quelli che erano fattori realmente importanti per il Rifugio? Ora lei si trovava in un luogo in cui non importava niente altro e aveva combattuto molto duramente per arrivarci. Aveva trasformato la prigionia, l’isolamento, la separazione dai figli e la vergogna personale in strade per raggiungere quel luogo, e quindi in un trionfo di forza di volontà e conquista. Aveva pensato che Will Sandaleros potesse capirlo. Lui doveva percorrere la stessa strada, avrebbe dovuto percorrerla perché, arrivata alla fine, lei avrebbe avuto bisogno di lui.

Ma non doveva tentare di portarlo in quel luogo troppo in fretta. Era stato l’errore che aveva commesso con Richard. Aveva pensato che Richard stesse viaggiando di fianco a lei, altrettanto tranquillamente e velocemente, e invece lui aveva esitato, lei non se ne era accorta, e Richard era collassato. La responsabilità di tutto quello era solo sua, perché non si era accorta dell’esitazione. Richard era stato legato all’esterno in un modo che lei aveva sottovalutato: all’esterno, a ideali logori e forse ancora perfino a Leisha Camden. Rendersene conto non le provocò alcuna gelosia. Richard non era stato forte a sufficienza, quello era quanto. Will Sandaleros, cresciuto nel Rifugio, dovendo la propria vita al Rifugio, lo sarebbe stato. Jennifer lo avrebbe reso forte a sufficienza. Ma non troppo in fretta.

Quindi lei rispose: — Sto bene. Cos’altro hai per me?

— Leisha si è collegata alla rete ieri sera.

Lei annuì. — Bene. E gli altri della lista?

— Tutti meno Kevin Baker. Anche se se ne è andato via dal loro appartamento.

Venne pervasa dal godimento. — Può venire persuaso a giurare?

— Non so. Se così fosse, lo vuoi all’interno?

— No. All’esterno.

— Sarà difficile da mantenere sotto sorveglianza elettronica. Dio, Jennifer, è stato lui a inventare la maggior parte di quella roba.

— Non voglio che sia messo sotto sorveglianza. Per niente. Non è il modo per trattenere un uomo come Kevin. Nemmeno con la solidarietà. Lo faremo tramite interessi economici e regole contrattuali. Gli strumenti dello yagaismo a nostro vantaggio. E tutto senza controllo.

Sandaleros apparve dubbioso, ma non si mise a discutere. Quella era un’altra cosa che lei avrebbe dovuto condurlo a fare. Doveva imparare a discutere con lei. Il metallo forgiato era sempre più resistente di quello non forgiato.

Jennifer chiese: — Chi altro, all’esterno, ha pronunciato il giuramento?

Lui le fornì i nomi, insieme con i progetti relativi al trasferimento di ognuno al Rifugio. Lei rimase ad ascoltare attentamente: l’altro nome che aveva desiderato sentire non era presente. — E Stella Bevington?

— No.

— C’è tempo. — Piegò la testa e poi porse l’unica domanda che si concedeva per ogni visita. L’ultima debolezza rimasta. — E i miei bambini?

— Stanno bene. Najla…

— Porta loro i miei saluti più affettuosi. Adesso c’è una cosa che devi cominciare a fare per me, Will. È un prossimo passo importante. Forse il più importante che il Rifugio abbia mai intrapreso.

— Cosa?

Lei glielo disse.

Jordan chiuse la porta del proprio ufficio. Il rumore cessò istantaneamente: il rat-a-tat-tat di macchinari sul pavimento della fabbrica, la musica rock, le voci urlanti e, soprattutto, il lungo servizio giornalistico del processo Sharifi sui due megaschermi che Hawke aveva noleggiato e sistemato sulle due estremità del cavernoso edificio principale. Tutto si fermò. Jordan aveva fatto isolare acusticamente il proprio ufficio, pagando personalmente.

Si appoggiò contro la porta chiusa, grato del silenzio. Il telefono trillò.

— Jordan, sei tu? — disse Mayleen dalla guardiola della sicurezza. — Problemi all’Edificio Tre, non riesco a trovare il signor Hawke da nessuna parte, farai meglio ad andarci subito.

— Che genere di guai?

— Sembra una rissa. Lo schermo non è messo bene laggiù, qualcuno dovrebbe andare a dare un’occhiata. Se non lo rompono prima.

— Vado subito — disse Jordan spalancando la porta.

"E così le ho detto…" "Passami quella numero cinque…" "Ultima testimonianza sembra aprire dubbi su Adam Walcott, presunta vittima della cospirazione del Rifugio…" "Baaallaaando tutta noootte coooon teeeeeee…" "Feroce attacco alla Ditta di Insonni Carver Figlia la scorsa notte da parte di ignoti…"

Quando fossero arrivate le ferie, pensò Jordan, le avrebbe passate tutte in un qualsiasi luogo silenzioso, deserto, vuoto. Da solo.

Corse per tutta la lunghezza dello stabilimento principale, esternamente, e attraverso un ridotto appezzamento di terra, quelli del Mississippi lo chiamavano "il cortile" verso gli edifici più piccoli utilizzati per verificare e immagazzinare parti di ricambio inviate dai fornitori, per effettuare l’inventario degli scooter e per revisionare l’equipaggiamento. L’Edifico Tre era quello del controllo qualità, mezzo magazzino, mezzo postazione di smistamento per separare le parti degli scooter Noi-Dormiamo che arrivavano fra parti difettose o riutilizzabili. Ce n’erano moltissime di difettose. Casse da imballaggio in polistirolo erano sparpagliate su tutto il pavimento. Nel retro, fra alte scansie di magazzinaggio, c’era gente che gridava. Mentre Jordan correva in direzione del rumore, una sezione di scansia alta due metri e mezzo si fracassò al suolo, disseminando parti di ricambio come fossero schegge di granata. Una donna strillò.

Gli addetti alla sicurezza dello stabilimento erano già sul posto, due uomini corpulenti in uniforme che stavano trattenendo un uomo e una donna che si divincolavano e strillavano. Le guardie sembravano sconcertate: le risse erano rare fra gli impiegati della Noi-Dormiamo, spinti da un’assoluta e febbrile lealtà nei confronti di Hawke. A terra c’era un terzo uomo, gemente, che si teneva la testa; alle sue spalle un’immensa figura giaceva immobile, inzuppata di sangue.

— Che diavolo è successo qui? — domandò in modo imperioso Jordan. — Chi è quello… Joey?

— È un Insonne! — stridette la donna. Cercò di scalciare il gigante prostrato con la punta dello stivale. La guardia la strattonò indietro. L’immensa sagoma insanguinata si mosse leggermente.

— 

— È Insonne! — sputò la donna. — Non c’è posto qui per quelli come lui!

Joey un Insonne? Non aveva alcun senso. Jordan intimò freddamente all’uomo che stava ancora lottando contro la presa della guardia: — Jenkins, l’addetto alla sicurezza sta per lasciarti andare. Se fai solo un passo verso Joey, prima che io sia arrivato al fondo di questa faccenda, qui hai chiuso. Capito? — Jenkins annuì con espressione truce. Alla guardia, Jordan ordinò: — Vai a rapporto da Mayleen e di’ che è tutto sotto controllo. Chiedile di chiamare un’ambulanza per due pazienti. Adesso tu, Jenkins, spiegami cosa è successo qui.

Jenkins disse: — Quel bastardo è un Insonne. Non vogliamo nessun…

— Che cosa ti fa pensare che sia un Insonne?

— Lo abbiamo controllato — disse Jenkins. — Io, Turner e Holly. Non dorme. Mai.

— Ci sta spiando! — Strillò la donna. — Probabilmente è una spia del Rifugio e di quella puttana assassina della Sharifi!

Jordan le voltò la schiena. Inginocchiandosi, scrutò il volto insanguinato di Joey. Le palpebre erano chiuse ma si contraevano, e Jordan si accorse improvvisamente che Joey stava fingendo di essere in stato di incoscienza. Il gigante indossava i più dozzinali abiti in plastica, ormai malamente lacerati. Con la barba e i capelli incolti, il suo puzzo da non lavato e il sangue impastato per tutto l’immenso corpo, fece pensare a Jordan a un animale rognoso messo alle corde, un elefante maschio colpito o un bisonte zoppicante. Jordan non aveva mai sentito parlare di un Insonne mentalmente ritardato, ma se Joey era vecchio abbastanza, appariva più vecchio di Dio, potevano essergli stati modificati solamente i geni che regolavano il sonno, senza che il resto fosse stato nemmeno controllato. Se il suo QI naturale era molto basso… ma perché mai doveva trovarsi lì? Gli Insonni si prendevano cura dei loro.

Il corpo di Jordan impediva agli altri la vista del volto di Joey. La stupida donna stava ancora strillando di spie e sabotaggio. Jordan chiese con un fil di voce: — Joey, sei un Insonne?

Le palpebre cispose si contrassero freneticamente

— Joey, rispondimi. Allora: sei un Insonne?

Joey aprì gli occhi: obbediva sempre agli ordini diretti. Cominciarono a scorrergli lacrime attraverso il sangue e lo sporco. — Signor Watrous, non lo dire al signor Hawke! Ti prego, ti prego, non dirlo al signor Hawke!

Jordan si sentì bruciare dalla pietà. Si alzò in piedi. Con sua grande sorpresa, anche Joey barcollò in piedi, sostenendosi contro un’altra scansia che si mise a tremare in modo rischioso. Joey si fece piccolo piccolo davanti a Jordan, sopraffacendolo tuttavia con la sua puzza. Il gigante era terrorizzato: da Jenkins che fissava in modo truce il pavimento; da Turner, che gemeva sanguinando; da Holly dalla bocca sudicia che pesava forse quarantotto chili.

— Chiudi il becco — ordinò Jordan alla donna. — Campbell, tu resta qui con Turner finché non sarà arrivata l’ambulanza. Jenkins, tu e lei cominciate a ripulire questo casino, chiamate qualcuno dalla Sezione Sei per assicurare che il flusso delle parti di ricambio sulla catena di montaggio non venga interrotto. Recatevi tutti e due a rapporto nell’ufficio di Hawke alle tre di questo pomeriggio. Joey, tu vai con Campbell e Turner nell’ambulanza.

— Noooo — piagnucolò Joey. Si aggrappò al braccio di Jordan. All’esterno, le sirene dell’ambulanza strillarono.

Come reagivano i medici delle ambulanze nei confronti degli Insonni?

— D’accordo — schioccò Jordan. — D’accordo, Joey. Dirò loro di visitarti qui.

I tagli di Joey erano effettivamente superficiali: era più il sangue che il danno. Dopo che i medici l’ebbero medicato, Jordan condusse Joey, passando all’esterno dell’edificio principale, a una porta laterale e nel suo ufficio, continuando a chiedersi: Joey Insonne? L’incompetente, sporco, terrorizzato, stupido, dipendente Joey?

La porta insonorizzata escluse tutti i rumori. — Adesso dimmi, Joey. Come sei arrivato a questa fabbrica?

— A piedi.

— Voglio dire, perché? Perché sei venuto in una fabbrica Noi-Dormiamo?

— Non so.

— Ti ha detto qualcuno di venire qui?

— Il signor Hawke. Oh, signor Watrous, non dirlo al signor Hawke! Ti prego, ti prego, ti prego, non dirlo al signor Hawke!

— Non avere paura, Joey. Stammi a sentire. Dove vivevi prima che il signor Hawke ti portasse qui?

— Non lo so!

— Ma tu…

— Non lo so!

Jordan insistette, gentilmente seppure in modo tenace, ma Joey non sapeva nulla. Non sapeva dove fosse nato, quello che fosse successo ai suoi genitori, quanti anni avesse. Tutto quello che sembrava ricordare, ripetuto in continuazione, era che la signora Cheever gli aveva detto di non confidare a nessuno che era Insonne, altrimenti la gente gli avrebbe fatto del male. Di notte doveva andarsene per proprio conto e stendersi. E Joey lo faceva rigorosamente, perché la signora Cheever gli aveva detto di farlo. Non riusciva a ricordare chi fosse la signora Cheever né perché fosse stata gentile con lui, e neppure che cosa le fosse accaduto.

— Joey — disse Jordan — hai…

— Non dirlo al signor Hawke!

Il volto di Mayleen apparve al videotelefono. — Jordan, sta arrivando il signor Hawke. Holly Newman mi ha raccontato quello che è successo. — La sua immagine sbirciò Joey, incuriosita. — Lui è Insonne?

— Non cominciare, Mayleen!

— Merda, ho detto in tutto…

Hawke rotolò nella stanza in un’ondata di rumori. L’ufficio fu immediatamente il suo. Lui lo riempì con la propria prestanza fisica, era grosso quasi quanto Joey ma molto più imponente, e Jordan, che pensava di essere abituato a Hawke, si sentì rimpicciolire ancora una volta fino a diventare insignificante.

— Campbell mi ha detto quello che è successo. Joey è un Insonne?

— Uuuuuunnnhhh — piagnucolò Joey. Si portò le mani sul volto. Le sue dita sembravano banane insanguinate.

Jordan si aspettava che Hawke affrontasse immediatamente l’errore commesso e vi ponesse rimedio. Hawke era buono con le persone. L’uomo, invece, continuò a fissare silenziosamente Joey, sorridendo debolmente, non divertito ma stranamente compiaciuto, come se ci fosse qualcosa in Joey che lo faceva sentire bene e non esistesse motivo per nasconderlo.

— Signor Hawke, d-d-d-d-evo… — nella sua angoscia, il gigante prese a balbettare — …and-d-d-dare v-v-v-v-ia…

— Ma no, ovviamente no, Joey — disse Hawke. — Puoi restare qui, se vuoi.

La speranza lottò in modo grottesco sul volto di Joey. — Anche se non d-d-d-ormo m-m-m-mai?

— Anche se sei Insonne — confermò pacatamente Hawke. Continuava a sorridere. — Possiamo avere bisogno di te, qui.

Joey barcollò verso Hawke e cadde in ginocchio. Lanciò le braccia attorno alla vita dell’uomo, nascose la testa contro il suo ventre duro e si mise a singhiozzare. Hawke non indietreggiò per la puzza, lo sporco, il sangue. Continuò a fissare Joey, sorridendo debolmente.

Jordan provò un gran senso di nausea.

— Hawke, non può restare qui. Lo sai. Non può.

Hawke accarezzò i capelli sudici di Joey.

Jordan disse bruscamente: — Joey, esci dal mio ufficio. Questo è ancora il

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