Mendicanti di Spagna - Кресс Нэнси (Ненси) 6 стр.


— L’ha presa Jennifer — disse Carol, e cinque paia di occhi si spostarono su Jennifer Sharifi la quale, da due settimane in visita a casa di Carol, li stava confondendo tutti. Era la figlia nata in America di una stella del cinema di Hollywood e di un principe arabo che avrebbe voluto fondare una dinastia di Insonni. La stella del cinema era una nota tossicodipendente e il principe, che aveva tratto la sua fortuna dal petrolio e l’aveva investita in energia-Y quando Kenzo Yagai stava ancora chiedendo le licenze per i primi brevetti, era morto. Jennifer Sharifi era più ricca di quanto non sarebbe diventata Leisha un giorno e infinitamente più smaliziata nel procurarsi le cose. Il bicchiere conteneva interleukin-1, uno stimolante del sistema immunitario, una delle molte sostanze che, come effetto collaterale, portava rapidamente il cervello a un sonno profondo.

Leisha fissò il bicchiere. Una sensazione calda le percorse la parte inferiore del ventre, non molto diversa da quella che provava quando lei e Richard facevano l’amore, Si accorse che Jennifer la stava guardando e arrossì.

Jennifer la turbava. Non per le ovvie ragioni per cui turbava Tony, Richard e Jack: i lunghi capelli neri, il corpo esile e slanciato in pantaloncini e reggiseno. Jennifer non rideva. Leisha non aveva mai conosciuto un Insonne che non ridesse e nemmeno uno che parlasse così poco, con tanta deliberata indifferenza. Leisha si trovò a rimuginare sulle reticenze di Jennifer Sharifi. Era una sensazione strana da provare nei confronti di un altro Insonne.

Tony disse a Carol: — Dallo a me!

Carol gli consegnò il bicchiere. — Ricorda, ne basta un piccolo sorso.

Tony sollevò il bicchiere portandolo alla bocca, si fermò e fissò gli altri da sopra il bordo con uno sguardo fiammeggiante. Bevve.

Carol riprese il bicchiere. Guardarono tutti Tony

Nel giro di un minuto, giaceva a terra, nel giro di due, i suoi occhi si chiusero nel sonno.

Non era come vedere i genitori, i fratelli, gli amici addormentati. Si trattava di Tony. Distolsero lo sguardo, evitarono a vicenda gli occhi degli altri. Leisha sentì il calore fra le gambe tirare e pizzicare in modo vagamente osceno. Non guardò Jennifer.

Quando arrivò il turno di Leisha, lei bevve lentamente, quindi passò il bicchiere a Richard. Sentì la testa pesante, come se fosse stata imbottita di stracci bagnati. Gli alberi al margine della radura si offuscarono. Anche la lampada portatile si offuscò: non era più brillante e nitida ma schiacciata, rigonfia; se l’avesse toccata avrebbe macchiato. Poi l’oscurità le avvolse il cervello, portandoselo via: portandole via la mente. — Papà! — Cercò di gridare, di afferrarlo, ma poi l’oscurità l’annullò.

In seguito ebbero tutti il mal di testa. Trascinarsi attraverso gli alberi nella tenue luce mattutina fu una tortura, frammista a una strana vergogna. Non si toccarono l’un l’altro. Leisha camminò il più lontano possibile da Richard.

Jennifer fu l’unica a parlare, — E così adesso sappiamo — disse, e la sua voce faceva trasparire una strana soddisfazione.

Occorse un giorno intero prima che le forti pulsazioni lasciassero il fondo del cranio di Leisha o la nausea il suo stomaco. Rimase a sedere da sola nella sua camera aspettando che le passasse la sofferenza e, nonostante il caldo, continuò a rabbrividire.

Non aveva nemmeno sognato nulla.

— Voglio che tu venga con me questa sera — disse Leisha per la decima o la dodicesima volta. — Partiamo tutt’e due per il college fra soli due giorni: è l’ultima occasione. Vorrei davvero che tu conoscessi Richard.

Alice stava sdraiata a pancia in giù sul letto. I suoi capelli, scuri e lucidi, le ricadevano sul volto. Indossava una costosa tuta di seta gialla firmata Ann Patterson, tutta sgualcita attorno alle ginocchia.

— Perché? Che te ne importa se conosco o no Richard?

— Perché sei mia sorella — disse Leisha. Sapeva bene che non doveva dire "la mia gemella". Nulla faceva infuriare più velocemente Alice.

— Non voglio. — Un attimo dopo il volto di Alice cambiò. — Oh, mi dispiace, Leisha, non volevo sembrare così arrogante. Ma… non voglio farlo.

— Non ci saranno tutti. Solamente Richard. E soltanto per un’oretta. Poi potrai tornartene qui e preparare le valigie per il Northwestern.

— Non andrò al Northwestern.

Leisha la fissò sbalordita.

Alice disse: — Sono incinta.

Leisha si sedette sul letto. Alice rotolò sulla schiena, si scostò i capelli dagli occhi e si mise a ridere. Le orecchie di Leisha si chiusero a quel suono. — Guardati — disse Alice. — Si direbbe che sei

5

Le piacque moltissimo.

Alla prima vista della Massachusetts Hall, più antica degli Stati Uniti di un mezzo secolo, Leisha provò qualcosa che le era del tutto mancato a Chicago: età. Radici. Tradizione. Toccò i mattoni in cotto della Biblioteca Widener, le teche in vetro del Museo Peabody come se fossero il graal. Non era mai stata particolarmente sensibile al mito o al dramma: il tormento di Giulietta le appariva artificiale, quello di Willy Loman semplicemente inutile. Solamente la lotta di Re Artù per creare un miglior ordine sociale l’aveva interessata. In quel momento, tuttavia, camminando sotto gli immensi alberi autunnali, colse improvvisamente il barlume di una forza che era in grado di abbracciare intere generazioni, tesori lasciati per fornire istruzione e conquiste che i benefattori non avrebbero mai visto, uno sforzo individuale che percorreva e modellava i secoli a venire. Si fermò e guardò il cielo attraverso le foglie, gli edifici resi ancor più solidi dal loro scopo. In quei momenti pensava a Camden, che aveva piegato la volontà di un intero istituto di ricerca genetica per creare lei secondo l’immagine che lui aveva voluto.

Nel giro di un mese aveva dimenticato tutte quelle megameditazioni.

Il carico di lavoro era incredibile, perfino per lei. La Sauley School aveva incoraggiato l’approfondimento individuale a un ritmo personalizzato; Harvard sapeva che cosa voleva da lei, e ai propri ritmi. Nei vent’anni precedenti, sotto la guida accademica di un uomo che in gioventù aveva assistito con dispiacere alla dominazione economica giapponese, Harvard era divenuta controversa di un ritorno all’apprendimento severissimo di fatti, teorie, applicazioni, risoluzione dei problemi ed efficienza intellettuale. La scuola accettava solamente un candidato su duecento provenienti da tutto il mondo. La figlia del Primo Ministro inglese non aveva superato il primo anno ed era stata rispedita a casa.

Leisha aveva una camera singola in un dormitorio nuovo: la scelta dell’alloggio per studenti era stata fatta perché lei aveva passato tantissimi anni isolata a Chicago ed era bramosa di conoscere altre persone, la scelta della camera singola era dovuta al fatto che non avrebbe disturbato nessuno pur lavorando tutta la notte. Durante il secondo giorno di permanenza, un ragazzo che proveniva dal corridoio le entrò salterellando nella camera e si appollaiò sul margine della sua scrivania.

— E così tu sei Leisha Camden.

— Sì.

— Sedici anni.

— Quasi diciassette.

— Pronta a sbaragliarci tutti, a quanto ho capito, senza nemmeno provarci.

Il sorriso di Leisha svanì. Il ragazzo la fissò da sotto sopracciglia abbassate e aggrottate. Stava sorridendo e aveva uno sguardo tagliente. Da Richard, Tony e gli altri Leisha aveva imparato a riconoscere la rabbia che si presentava sotto forma di disprezzo.

— Sì — disse freddamente Leisha — lo farò.

— Ne sei certa? Con i tuoi bei capelli da ragazzina e il tuo cervello mutante da ragazzina?

— Oh, lasciala in pace, Hannaway — intervenne un’altra voce. Un ragazzo alto, biondo, così magro che le sue costole sembravano increspature sulla sabbia, stava lì in jeans e a piedi nudi, asciugandosi i capelli bagnati. — Non ti stanchi mai di andare in giro a fare l’idiota?

— E tu? — ribatté Hannaway. Si alzò dalla scrivania e si diresse verso la porta. Il biondo si spostò dalla sua traiettoria. Leisha vi si piazzò.

— Il motivo per cui otterrò risultati migliori di te — disse in modo equilibrato — è che posseggo determinati vantaggi che tu non hai. Inclusa la possibilità di non dormire. Quando poi ti avrò superato nelle prestazioni, sarò felice di aiutarti a studiare per gli esami in modo che li possa superare anche tu.

Il biondo che si stava asciugando i capelli si mise a ridere. Hannaway invece rimase immobile e, nei suoi occhi, comparve un’espressione che portò Leisha a indietreggiare. Lui la superò e uscì a precipizio.

— Ben fatto, Camden — disse il biondo. — Se lo meritava.

— Ma io parlavo sul serio — ribatté Leisha. — Lo aiuterò a studiare.

Il biondo abbassò l’asciugamano e la fissò. — È vero, eh? Parlavi proprio sul serio.

— Certo! Perché tutti continuano a metterlo in dubbio?

— Bene — disse il ragazzo, — Io non lo metto in dubbio. Potrai aiutare me se mi troverò nei pasticci. — Improvvisamente sorrise. — Ma non mi succederà.

— Perché no?

— Perché io sono bravo in tutto esattamente come te, Leisha Camden.

La ragazza lo esaminò. — Tu non sei uno di noi. Non sei un Insonne.

— Non ho bisogno di esserlo. So quello che sono in grado di fare. Fare, essere, creare, commerciare.

Lei disse entusiasta: — Sei uno yagaista!

— Ovviamente. — Lui le porse la mano. — Stewart Sutter. Che ne dici di un fishburger nello Yard?

— Fantastico — rispose Leisha. Uscirono insieme, parlando in modo eccitato, Quando le persone la fissavano lei cercava di non notarlo. Si trovava lì. Ad Harvard. Con tanto spazio davanti a sé, tempo, per imparare e per stare con gente come Stewart Sutter che l’accettava e la sfidava.

Durante tutte le ore in cui lui era sveglio.

Fu completamente assorbita dagli studi. Roger Camden l’andò a trovare una volta, passeggiò nel campus insieme con lei, ascoltandola, sorridendo. L’uomo si sentiva più a proprio agio di quanto Leisha non si fosse aspettata: conosceva il padre di Stewart Sutter e il nonno di Kate Addams. Parlarono di Harvard, affari, Harvard, l’Istituto Economico Yagai, Harvard. — Come sta Alice? — chiese una volta Leisha, ma Camden le rispose che non lo sapeva; aveva traslocato e non lo voleva vedere. Lui le aveva fissato una rendita tramite il proprio avvocato. Mentre diceva quelle cose il suo volto rimase sereno.

Leisha si recò al "Ballo del rientro a casa" con Stewart, che doveva diplomarsi anche lui per il propedeutico di legge, ma che era due anni avanti a Leisha, Passò un fine settimana a Parigi con Kate Addams e altre due amiche, prendendo il Concorde III. Ebbe una discussione con Stewart sulla metafora della superconduttività e sulla possibilità di applicarla allo yagaismo, un litigio stupido che tutti e due sapevano quanto fosse stupido ma che ebbero ugualmente e, in seguito, divennero amanti. Dopo le goffe esplorazioni sessuali con Richard, lei trovò Stewart abile, esperto e lo vide sorridere debolmente quando le insegnò come ottenere un orgasmo sia per proprio conto sia con lui. Leisha era abbagliata. — È così

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