Mendicanti e superuomini - Кресс Нэнси (Ненси) 20 стр.


Qualcuno corse verso Leisha provenendo dall’altra parte dell’aereo. Il pilota? Non lo era. L’uomo placcò Leisha e lei mi cadde sopra. Ancora una volta venni spinto con la faccia nel fango. Udii quindi un debole

Era un agente dell’ECGS. Quando rinvenni, ce n’erano altri tre che mi stavano attorno in cerchio, come l’anello di dottori attorno al mio letto decenni addietro, quando ero rimasto menomato. Giacevo sulla schiena su un tratto di terreno relativamente asciutto e spugnoso al margine del basso laghetto. Leisha era seduta a breve distanza con la schiena appoggiata a un albero di anona, con la testa china sulle ginocchia. Dall’altra parte della palude, l’aereo di Kevin Baker bruciava e il fumo si alzava in nuvole gonfie.

— Leisha? — mi sentii gracchiare. La mia voce mi appariva aliena come tutto il resto. Soltanto che non c’era proprio niente di alieno. Riconobbi la pesantezza dell’aria afosa, il ronzare degli insetti, le pozze melmose e le orchidee fantasma bianche come la cera. E sopra tutto le barbe grige e gocciolanti del muschio epifita. Ero stato allevato nell’interno della Louisiana. Questa doveva essere la Georgia, ma gran parte del terreno paludoso è esattamente identico. Ero stato io a diventare l’alieno.

— La signorina Camden si riprenderà in un momento — rispose un agente. — Probabilmente è soltanto un forte colpo. Sta arrivando aiuto. Noi siamo dell’ECGS, signor Arlen. Non si muova… ha una gamba rotta.

Ancora. Questa volta però non provavo alcun dolore. Non erano rimasti nervi per poter provare dolore. Sollevai leggermente il mento avvertendo la tensione nei muscoli dello stomaco. La gamba sinistra era piegata a una angolazione acuta, innaturale. Abbassai il mento.

Le forme che mi strisciavano nella mente erano grige e indistinte esternamente, spezzate all’interno. Avevano una voce. "Non riesci a fare niente bene, vero, ragazzo? Chi ti credi di essere, un maledetto Mulo?"

Dissi a voce alta come un bambinetto: — Una biscia mi ha morso sulla guancia.

Un secondo uomo si chinò per esaminarmi il volto. Era ricoperto di fango. Disse, ma non bruscamente: — È in arrivo un dottore. Non la muoveremo da qui finché non sarà arrivato. Resti fermo e cerchi di non pensare.

Non pensare. Non sognare. Io però ero il Sognatore Lucido. Lo ero. Dovevo esserlo.

La voce impastata di Leisha disse da dietro le mie spalle: — Siamo in arresto? Con quali accuse?

— No, ovviamente no, signorina Camden. Siamo felici di essere stati in grado di aiutarvi — disse l’uomo che mi aveva scrutato la guancia. Gli altri due agenti restavano immobili con espressioni impassibili, anche se vidi uno dei due strizzare gli occhi. Si può dimostrare disprezzo strizzando gli occhi. Leisha e io eravamo in combutta e sostenevamo Huevos Verdes. Manipolatori genetici. Distruttori del genoma umano.

Vidi Carmela Clemente-Rice in piedi accanto alla grata nella mia mente, una forma nitida e fresca che vibrava dolcemente.

— Voi "siete" dell’Ente governativo per il Controllo degli Standard Genetici — disse Leisha. — Non si trattava di una domanda. Era un avvocato: aspettava una risposta.

— Sì, signora. Agente Thackeray.

— Io e il signor Arlen vi siamo grati per il vostro aiuto. Ma con quale diritto…

Non scoprii mai quale fosse la questione legale che Leisha aveva intenzione di discutere.

Da dietro gli alberi, attraverso rampicanti aggrovigliati, dallo stesso terreno paludoso, eruppero uomini vestiti di stracci. Non c’erano e un istante dopo eccoli lì: questa fu l’impressione. Strillarono, urlarono e schiamazzarono. L’agente Thackeray e i suoi due sprezzanti sottoposti non ebbero nemmeno il tempo di estrarre le pistole. Giacendo sulla schiena, vidi gli straccioni di scorcio mentre sollevavano le pistole e sparavano in un modo che sembrava, ma non poteva essere, a bruciapelo. Thackeray e i due agenti crollarono a terra, i corpi che si contorcevano. Sentii qualcuno dire: — Diavolo, sì, lei è un abominio, questa qui è Leisha Camden — e una pistola sparò ancora, una volta, due volte. La prima volta, Leisha gridò.

Io sollevai di scatto la testa verso di lei. Era ancora seduta con la schiena appoggiata contro l’albero di anona, ma adesso la parte superiore del corpo era china in avanti, con grazia, come se si fosse addormentata. Aveva due punti rossi sulla fronte, uno sotto l’altro e quello superiore macchiava una ciocca di capelli biondo chiari che era in qualche modo sfuggita al fango. Udii un lungo e profondo lamento e pensai: "È viva!". Finché non mi resi conto che il lamento era il mio.

L’uomo che aveva detto "Diavolo, sì" si chinò su di me. Il suo alito mi soffiò in faccia: puzzava di menta e tabacco. — Non si preoccupi, signor Arlen. Noi sappiamo che lei non è un abominio contro natura. È al sicuro come a casa.

— Jimmy — disse tagliente una voce di donna: — Eccoli che arrivano!

— Be’, Abigail, sei pronta per loro, no? — disse Jimmy in tono ragionevole. Cercai di strisciare verso Leisha. Era morta.

Leisha era morta.

Un aereo ronzò sopra le nostre teste. La squadra medica. Avrebbero potuto aiutare Leisha. Ma Leisha era morta. Ma Leisha era un’Insonne. Gli Insonni non morivano. Vivevano, continuavano a vivere, Kevin Baker aveva 110 anni. Leisha non poteva essere "morta"…

La donna che si chiamava Abigail balzò giù dal terrapieno verso la palude. Indossava stivaloni alti fino alla vita, pantaloni e camicia rattoppati e portava un lanciarazzi montato sulla spalla, vecchio di progettazione, ma scintillante per olio di gomito e lucidante. Abigail puntò, sparò e fece esplodere l’aereo in un secondo falò nella palude.

— Okay — disse allegramente Jimmy. — Ben fatto. Venite, andiamocene via, saranno qui in un batter d’occhio. Signor Arlen, mi dispiace che per lei sarà un viaggio scomodo, signore.

— No! Non posso lasciare Leisha! — non sapevo quello che stavo dicendo.

— Certo che può — disse Jimmy. — Non potrà diventare più morta di così. E lei non è comunque uno della sua razza. Adesso sta con James Francis Marion Hubbley. Campbell? Dove sei? Portalo in spalla.

— No! Leisha! Leisha!

— Cerchi di avere un po’ di dignità, figliolo. Non è un moccioso che piagnucola dietro alla mamma.

Un omone alto due metri mi sollevò e mi gettò sopra una spalla. Non provavo dolore alla gamba, ma non appena il mio corpo colpì il suo, una fiammata rossa mi sfrecciò lungo la spina dorsale fino al collo e gridai. Il fuoco mi riempì la testa e l’ultima immagine che ebbi di Leisha Camden fu quella del suo corpo accasciato con grazia contro l’albero di anona, avvolto nel fuoco rosso della mia mente, che sembrava si fosse appena addormentata serenamente.

Mi risvegliai in una stanzetta priva di finestre con pareti lisce. Troppo lisce, non una singola nano-deviazione dal liscio, dal perpendicolare, dall’immacolato. Non mi resi conto, allora, di averlo notato. Avevo la mente stipata di cordoglio che affiorava in spruzzi, in geyser, in fiumi di lava incandescente dello stesso colore dei due punti sulla fronte di Leisha.

Lei era davvero morta. Lo era davvero.

Chiusi gli occhi. La lava incandescente era ancora lì. Picchiai i pugni per terra e maledissi il mio corpo inutile. Se mi fossi potuto muovere per farle da scudo, se avessi potuto frappormi fra lei e gli straccioni assassini…

Nemmeno gli addestrati agenti dell’ECGS erano stati in grado di proteggerla. O di proteggere se stessi.

Non riuscivo a trattenere le lacrime e la cosa mi imbarazzava. La lava aveva travolto la grata chiusa nella mia mente, l’aveva seppellita come stava seppellendo me. Leisha…

— Adesso la smetta, ragazzo. Un po’ di dignità. Non c’è nessuna donna generata dall’uomo che vale questo tipo di piagnisteo.

La voce era gentile. Aprii gli occhi e l’odio sostituì la lava incandescente. Ne fui contento. L’odio aveva una forma migliore: tagliente, fredda e molto compatta. Quella forma non mi avrebbe seppellito. Guardai la faccia preoccupata di James Francis Marion Hubbley che si profilava sopra di me; lasciai che le forme compatte mi scorressero dentro e seppi che sarei rimasto in vita, in allerta e col controllo di me stesso perché altrimenti non sarei stato in grado di ucciderlo. E seppi che l’avrei ucciso. Anche se avesse significato che la sua faccia sarebbe stata l’ultima cosa che avrei visto.

— Così va meglio — disse allegramente Hubbley e si sedette su un ceppo di albero, con le mani sulle ginocchia, annuendo con espressione di incoraggiamento.

Si trattava proprio di un ceppo d’albero. Le pareti si focalizzarono improvvisamente, a quel punto, e capii in che genere di posto mi trovavo. Avevo visto lo stesso tipo di pareti con Carmela Clemente-Rice e a Huevos Verdes. Si trattava di un bunker sotterraneo, scavato nella terra dai piccoli e precisi macchinari della nano-tecnologia, intonacato con una lega prodotta da altre piccole e precisissime macchine. Mangiare il terreno e stendere un sottile strato di lega non era difficile, mi aveva detto una volta Miri. Qualsiasi nano-scienziato competente era in grado di creare meccanismi nano-organici che potessero farlo. Le imprese lo facevano costantemente a dispetto delle regolamentazioni governative. Era soltanto la nano-tecnologia a base organica replicantesi che era difficile da ottenere. Chiunque era in grado di scavare una buca, ma solamente Huevos Verdes poteva costruire un’isola.

Hubbley però non sembrava affatto uno scienziato. Si chinò in avanti e mi sorrise. Aveva i denti marci. Ciuffi di capelli ingrigiti gli pendevano su entrambi i lati di una faccia lunga e ossuta con una pelle profondamente bruciata dal sole e con occhi azzurro chiari. Uno strano bozzo sotto la pelle gli deturpava il lato destro del collo. Poteva avere quaranta o sessant’anni. Indossava stracci di tela, non una tuta, di un marrone opaco e screziato ma gli stivali, alti e in buono stato, venivano quasi certamente da qualche deposito di merce di consumo. Non lo avevo mai visto prima di allora ma lo riconobbi. Apparteneva allo stagnante Sud.

Nella maggior parte del paese il "Deposito Supervisore Distrettuale Tizio o il Caffè Congressista Caio gestiti da Muli avevano abbattuto qualsiasi commercio indipendente. I Vivi potevano ottenere gratis tutto quello di cui avevano bisogno e allora perché pagare? Nell’agricolo Sud, tuttavia, e in qualche caso nell’Ovest, si trovavano ancora attività commerciali messe su alla meglio, motel malconci, case di tolleranza e pollai che da quarant’anni si facevano sempre più poveri, ma che tenevano duro perché, maledizione "il governo non ha nessun fottuto diritto di organizzarci la nostra vita". A tali persone non importava eccessivamente di essere povere. Erano abituate a essere povere. Era meglio che essere posseduti dai Muli. Mettevano in commercio oggetti artigianali, polli, fagioli o altri servizi. Disprezzavano le tute, le unità mediche e il software scolastico. Ovunque andassero avanti questi patetici commerci lì c’erano anche i criminali come Hubbley. Anche rubare era fuorilegge per il governo e quindi segno di orgoglio.

Hubbley e la sua banda rubavano sicuramente nei depositi, negli appartamenti e perfino nelle carrozze della ferrovia a gravità per prendere ciò di cui avevano assolutamente bisogno. Cacciavano nelle profonde paludi e pescavano; forse coltivavano anche un po’ di questo e un po’ di quello. Doveva esserci una distilleria da qualche parte. Oh, conoscevo benissimo Jimmy Hubbley. Lo conoscevo da una vita, prima che Leisha mi prendesse con sé. Mio padre era un Jimmy Hubbley privo dell’indipendenza per liberarsi dal sistema che aveva maledetto fino al giorno in cui il whisky gratis del governo, nemmeno distillato in casa, lo aveva ucciso.

E quello era l’uomo che aveva ucciso Leisha Camden.

Le forme dell’odio hanno una grande energia, come pugnali robotici.

Dissi: — Questo è un laboratorio illegale di modificazione genetica.

Il volto di Hubbley si aprì in un immenso sorriso. — Perfettamente giusto! È sveglio, il ragazzo. Solo che questa è solamente una piccola stazione decentrata dove Abigail si può controllare il suo equipaggiamento e possiamo recuperare rifornimenti. Questo posto non è più usato da "abominatori genetici". Sta visitando l’Avamposto di Liberazione Francis Marion, signor Arlen. E mi permetta di dirle che siamo molto onorati di averla qui. Abbiamo visto tutti i suoi concerti. Lei è decisamente un Vivo. Avere vissuto con i Muli e gli Insonni non le ha fatto nessun danno. Ma in fondo è così che succede al buon sangue, no?

C’era qualcosa di storto nel suo modo di parlare. Rimuginai e quindi compresi. Non si esprimeva come un Vivo — nessuno di quelli che Miri chiamava "pronomi personali rafforzativi" — ma non parlava neanche come un Mulo. C’era qualcosa di artificiale nelle sue frasi. Avevo già sentito prima di allora quel tipo di linguaggio, ma non riuscivo a ricordare dove.

Dissi per farlo continuare a parlare: — L’Avamposto di Liberazione Francis Marion? Chi era Francis Marion?

Hubbley mi guardò in tralice. Si sfregò il bozzo sul lato del collo. — Non ha mai sentito parlare di Francis Marion, signor Arlen? Davvero? Un uomo istruito come lei? Era un eroe, forse il più grande eroe che questo paese ha mai avuto. Non ha davvero mai sentito parlare di lui, signore?

Scossi la testa. Non mi faceva male. Mi accorsi allora che la mia gamba era stata aggiustata. Ero sotto effetto di antidolorifici. Doveva avermi curato un dottore o quanto meno un’unità medica.

— Adesso non voglio proprio avvilirla — disse con espressione seria Hubbley. Il suo volto ossuto irradiava rammarico. — Lei è nostro ospite e non è giusto fare avvilire un ospite per la sua ignoranza. Soprattutto per un’ignoranza per cui non ci può fare niente. La colpa, in questo caso, è tutta quanta del sistema scolastico, una brutta disgrazia per la democrazia.

Aveva ucciso Leisha. Aveva ucciso gli agenti dell’ECGS. Mi aveva rapito. E stava lì seduto a preoccuparsi perché potevo sentirmi a disagio per non sapere chi fosse Francis Marion.

Per la prima volta mi resi conto che potevo avere a che fare con un pazzo.

— Francis Marion era un grande eroe della Rivoluzione Americana, figliolo. Il nemico lo chiamava la "Volpe della palude.". Si nascondeva nelle paludi della Carolina del Nord e della Georgia e piombava sugli inglesi, li colpiva quando meno se lo aspettavano e poi scompariva di nuovo nella palude. Non lo hanno mai beccato. Combatteva per la libertà e la giustizia e usava la natura come aiuto, non come ostacolo.

Adesso avevo inquadrato il suo modo di parlare.

Una volta Leisha aveva passato un’intera notte a guardare antichi film su un movimento di diritti civili. Non diritti civili per gli Insonni, un movimento precedente a quello — di cento anni prima? — sui negri e le donne. O forse sugli asiatici. Non ero mai stato molto bravo in storia. Dovevo però fare un compito per una delle scuole che Leisha continuava a cercare di farmi frequentare. Non ricordo l’avvenimento, ma ricordo che Leisha aveva effettuato una ricerca fra i vecchi film adattati a una tecnologia decente perché pensava che non avrei letto i libri assegnatimi. Aveva ragione e io ne ero rimasto risentito. Avevo sedici anni, ma i film mi piacevano. Ero stato seduto sulla carrozzella, compiaciuto perché erano le tre del mattino e non avevo sonno, stavo tenendo il passo con Leisha. A sedici anni pensavo ancora di poterlo fare.

Назад Дальше