Mendicanti e superuomini - Кресс Нэнси (Ненси) 23 стр.


Hubbley mi lasciò alle mie amare forme fino a metà mattina. Quando aprì la porta notai che aveva un’espressione grave. — Signor Arlen, signore, mi è stato detto che lei vuole arrivare a un terminale e mettere i suoi amici di Huevos Verdes sulle nostre tracce.

Lo fissai con odio aperto dalla sedia a rotelle.

Egli sospirò e si sedette sul bordo della brandina, appoggiando le mani sulle magre ginocchia, tenendo il corpo chino in avanti in atteggiamento confidenziale. — È importante che "comprenda", figliolo. Contattare il nemico in tempo di guerra è tradimento. Ora, so che lei non è un soldato regolare, almeno per il momento, è più una specie di prigioniero di guerra, ma ugualmente…

— Sa bene che Francis Marion non ha mai parlato in quel modo, vero? — dissi brutalmente. — Questo genere di linguaggio data al massimo centocinquanta anni, viene dai film. È fasullo. Fasullo come tutta la tua guerra.

Egli non cambiò espressione. — Caspita, è ovvio che il generale Marion non parlasse in questo modo, signor Arlen. Pensa che non lo sappia? Ma è diverso da come parlano i miei soldati, è vecchio stile e non è né parlare da Mulo né da Vivo. È sufficiente. Non importa quanta verità esprime, finché ne esprime.

Mi fissò con occhi gentili e pazienti.

Dissi: — Mi permetta di andare in giro per il campo. Non imparerò le sue verità se me ne resto serrato in questa camera. Mi dia una guardia come ce l’ha il dottore.

Hubbley si sfregò il bozzo sul collo. — Be’, si può fare, immagino. Non che lei possa sopraffare nessuno, seduto su quella sedia.

Le forme nella mia mente cambiarono repentinamente. Rosso scuro, spruzzate di argento. La gente di Hubbley non effettuava controlli particolarmente approfonditi. Egli non si era reso conto del fatto che io avevo allenato la parte superiore del corpo con i migliori maestri di arti marziali che i soldi di Leisha avevano potuto procurare. Lei aveva voluto fornire uno sfogo alla mia rabbia giovanile.

Che cos’altro non sapeva? Leisha, incapace di alterare il mìo DNA non Insonne, aveva tuttavia fatto il possibile per me. I miei occhi avevano cornee impiantate con un ingrandimento bifocale a zoom: i muscoli della braccia mi erano stati potenziati. Probabilmente quelle cose rappresentavano abomini, crimini contro la comune umanità citata nella Costituzione.

Cercai di apparire mesto. — Posso avere Abigail come guardia?

Hubbley si mise a ridere. — Non le servirà a niente, figliolo. Abby sposerà Joncey fra un paio di mesi. Darà al bambino un vero papà. Abby tiene un sacco di pizzo da qualche parte per l’abito nuziale.

Vidi Abigail con gli stivaloni di gomma fino alla coscia e la camicia strappata che sparava con un lanciamissili contro l’aereo di salvataggio. Non riuscivo a immaginarla con l’abito da sposa. Mi venne quindi in mente che non riuscivo a immaginare nemmeno Miranda in abito da sposa.

Miranda. Avevo a malapena pensato a lei da quando era morta Leisha.

— Sa che le dico, però? — disse Hubbley — visto che smania tanto per una compagnia femminile, le assegnerò una donna come guardia. Ma, signor Arlen, signore…

— Sì?

I suoi occhi apparvero più grigi, più duri. — Deve tenere a mente che questa è una guerra, signore. E per quanto le siamo grati per l’aiuto che ci ha dato con i suoi concerti, è sacrificabile. Lo deve tenere a mente e basta.

Non risposi. Nel giro di un’altra ora la porta si aprì di nuovo ed entrò una donna. Era, doveva essere, la gemella di Campbell. Alta quasi due metri, muscolosa quasi quanto lui. I capelli color marrone-cacca le stavano appiccicati attorno a una faccia astiosa dalle mascelle sporgenti come quelle di Campbell.

— Io sono la guardia, io. — Aveva una voce stridula e seccata.

— Salve. Sono Drew Arlen. Tu sei…

— Peg. Comportati bene, tu. — Mi fissò con evidente disprezzo.

— Giusto — dissi io. — E quale combinazione naturale di geni ha prodotto te?

Il suo disprezzo non si approfondì, non oscillò. La vidi nella mente come un solido monolito, granitico, simile a una pietra tombale.

— Portami dove è il vostro caffè, Peg.

Lei afferrò la sedia a rotelle e la spinse sgraziatamente. Sotto la tuta verde le sporgevano i muscoli delle cosce. Mi superava in peso di almeno quindici chili: aveva un allungo migliore ed era in forma smagliante.

Vidi il corpo di Leisha, leggero e slanciato, accasciato contro l’albero di anona con due buchi rossi sulla fronte.

Il caffè era una grande stanza in cui convergevano svariati tunnel. C’erano tavolini, sedie e un olo-terminale del tipo più semplice adatto soltanto alla ricezione. Mostrava una gara di scooter. Nessuna catena alimentare, tuttavia molte persone stavano mangiando ciotole di stufato di soia. Mi fissarono con franchezza quando Peg mi fece entrare. Almeno una mezza dozzina di facce mostrò un’espressione chiaramente ostile.

Abigail e Joncey erano seduti a un tavolino distante. Lei stava effettivamente cucendo insieme teli di pizzo, a mano. Era come osservare qualcuno fare candele o scavare una buca con una pala. Abigail mi lanciò una sola occhiata e quindi mi ignorò.

Peg accostò la mia sedia a rotelle a un tavolino, mi portò una ciotola di stufato e si accomodò per vedere la corsa di scooter.

Guardai la corsa, osservando intanto tutto il resto tramite lo zoom nelle cornee. Il pizzo di Abby era coperto da un complesso disegno di piccoli rombi, tutti diversi gli uni dagli altri, come fiocchi di neve. Tagliò un rombo e lo mostrò ridendo a Joncey. Tre uomini stavano giocando a carte: quello di cui potevo vedere la mano aveva una coppia di re. Dopo un po’ dissi a Peg. — È così che passate le giornate? Contribuendo alla rivoluzione?

— Chiudi il becco, tu.

— Voglio vedere altre parti della tenuta. Hubbley ha detto che avrei potuto farlo se mi portavi tu.

— Di’ colonnello Hubbley, tu!

— Colonnello Hubbley, allora.

Afferrò la mia sedia con una tale violenza da farmi sbattere i denti e la spinse lungo il corridoio più vicino. — Ehi! Rallenta!

Lei rallentò fino a un insolente strisciare. Non mi misi a discutere. Cercai di memorizzare ogni cosa.

Non era facile. I tunnel apparivano tutti uguali: bianchi e privi di caratterizzazioni, nano-perfetti, punteggiati di porte bianche identiche, prive di segni e fatte di una lega resistente allo sporco. Cercai di tenere a mente pezzettini di cibo lasciati cadere, impronte di scarpe. In un’occasione vidi un piccolo rombo di pizzo mezzo impigliato sotto a una porta e seppi che Abigail doveva essere passata da quella parte. Peg mi spingeva come un robot, impassibile e instancabile. Stavo perdendo il conto di quello che avevo cercato di memorizzare.

Dopo tre ore passammo davanti a un robot pulitore che ramazzava le cose che io avevo utilizzato come contrassegni.

Durante l’intero giro vidi solamente due porte aperte. Una dava su un bagno comune. L’altra restò aperta solamente un istante, quindi si chiuse, permettendomi solo la più fugace delle occhiate su casse ad alta sicurezza, una fila dopo l’altra. Disgregatori di duragem? O qualche altro distruttore di genomi non umani che Jimmy Hubbley riteneva dovesse essere riversato sui suoi nemici?

— Che cos’era quello? — chiesi a Peg.

— Chiudi il becco, tu.

Un’ora dopo tornammo alle aree comuni. C’era ancora gente che pranzava. Peg mi spinse verso un tavolino vuoto e mi sbatté davanti un’altra ciotola di stufato. Non avevo fame.

Qualche minuto più tardi Jimmy Hubbley si sedette vicino a me. — Ebbene, figliolo, sarà rimasto soddisfatto del suo giro, spero.

— Oh, è stato fantastico — dissi io. — Ho visto ogni genere di contributo alla rivoluzione.

Si mise a ridere. — Oh, sta avvenendo, sul serio. Ma non riuscirà a provocarmi e a costringermi a mostrarle delle cose prima che io sia pronto. C’è tempo, c’è tempo.

— Non ha paura che i suoi soldati si facciano irrequieti a non far nulla così? Che cosa faceva il generale Marion con i suoi uomini fra una battaglia e l’altra? — Appoggiai il cucchiaio: lo odiavo troppo per riuscire anche solo a fingere di mangiare in sua presenza. Dio, come volevo un drink!

Egli sembrò sorpreso. — Caspita, signor Arlen, signore, non è che generalmente non fanno niente. Oggi è domenica, il Sabbath. Già domani saremo tornati all’addestramento regolare. Il generale Marion conosceva il valore di un giorno di riposo e il recupero dello spirito umano.

Si guardò attorno soddisfatto per l’indolente gioco d’azzardo, per le persone che guardavano la corsa degli scooter, per le sagome mezzo accasciate probabilmente sotto l’effetto di stupefacenti. Solo tre facce in quella intera maledetta stanza mostravano un’autentica animazione. Quelle di Joncey e Abigail che si sorridevano a vicenda, mentre Abby continuava a cucire il pizzo ondeggiante e disegnato, e quella di Peg.

— Deve mangiare lo stufato, figliolo — disse con gentilezza Hubbley. — Avrà bisogno di cibo per mantenersi in forze.

Lasciai il cucchiaio dov’era. — No — dissi. — Non è vero.

Ovviamente non capì. Peg, invece, con il tipico atteggiamento di allerta di un animale, colse qualcosa nel mio tono di voce. Mi fissò duramente prima di tornare a guardare Jimmy Hubbley con il volto arcigno trasformato dal rispetto, dalla adorazione e dall’amore languido e senza speranza di una persona comune per un’altra che lei ritiene chiaramente superiore rispetto a sé, quanto una divinità.

PARTE TERZA

Ottobre 2114

La verifica del nostro progresso non consiste nell’aumentare l’abbondanza di coloro che hanno molto, ma nel fornire il necessario a coloro che hanno troppo poco.

Franklin Delano Roosevelt,

10

Diana Covington — East Oleanta

La cosa più rimarchevole del trovarsi in una topaia fuori mano come East Oleanta avvenne quando mi resi conto che l’ECGS non sapeva dove fosse Miranda Sharifi. Era un ente governativo sofisticato e determinato ma, apparentemente, non sapevano nemmeno dove mi trovassi io. Non stavo usando nessuna delle identità che mi aveva procurato Colin Kowalski e avevo cambiato il mio personaggio tre volte lungo il tragitto verso East Oleanta. "Victoria Turner" aveva credenziali con il Fisco, con lo Stato del Texas, con la banca in cui era depositato il fondo fiduciario della sua famiglia, con gli istituti di istruzione software, con il Servizio di Assistenza Medica Nazionale, con negozi di drogheria: il mio amico ladro era bravissimo nel proprio mestiere. Abbastanza bravo da convincere Huevos Verdes… chi poteva saperlo? Mi sentivo comunque sicura che l’ECCS non ne sapesse niente.

La seconda cosa rimarchevole fu che io non chiamai l’ECGS per dire dove mi trovassi e cosa sospettassi. Lo imputai all’arroganza. Volevo essere in grado di dire: "Ecco qui Miranda Sharifi, latitudine 43°45’16 secondi — longitudine 74°50’86 secondi; è un laboratorio illegale di modificazione genetica, andate a prenderla, ragazzi" invece di dire: "Be’, penso che sia qui da qualche parte nelle vicinanze, anche se non ho prove". Se fossi stato un agente regolare il mio silenzio sarebbe risultato intollerabile. Io però non ero un agente regolare. Non ero proprio niente di regolare. Volevo, una volta nella mia incapace vita, avere successo in qualche cosa per mio conto. Lo volevo maledettamente.

Ovviamente, come quelli dell’ECGS, non sapevo con esattezza dove si trovasse Miranda Sharifi, anche se sospettavo che fosse nascosta in un qualche luogo nelle boschive Montagne Adirondack presso East Oleanta. Non avevo però la benché minima idea di dove poterla effettivamente trovare.

Fino a Lizzie Francy.

Tornai a trovare Lizzie Francy la stessa sera in cui le avevo spiegato per la prima volta alcune semplici operazioni del computer, il giorno dopo averle applicato un cerotto medico. Avevo notato come avesse cambiato colore Billy Washington quando gli avevo chiesto dell’Eden. Quel vecchio era il peggior bugiardo che avessi mai visto. Sapeva qualcosa sull’Eden: era disperatamente innamorato della ben più forte e ben più convenzionale Annie; Lizzie avrebbe potuto fare di lui tutto ciò che avesse voluto. Povero Billy.

Lizzie era seduta su un orrendo sofà in sintoplastica e indossava una camicia da notte rosa; aveva i capelli suddivisi in sedici treccine raccolte in un nastro rosa. Parti elettroniche erano sparpagliate sulla coperta. La avvistai alle spalle di Billy, che mi aveva aperto la porta ma non mi voleva lasciare entrare.

— Lizzie dorme, lei.

— No, Billy. È là dietro.

— Vicki! — gridò Lizzie con la sua vocetta da bambina e qualcosa di inaspettato mi si rigirò in petto. — Sei qui!

— È ammalata, lei, troppo ammalata per ricevere gente.

— Io sto bene, io — disse Lizzie. — Lascia entrare Vicki, Billy. Ti preeeeeego.

Egli lo fece, con espressione infelice. Annie non era in giro. Io dissi: — Che cosa hai lì, Lizzie?

— Il robot per pelare le mele della cucina del caffè — rispose lei prontamente e senza alcun senso di colpa. Billy si contrasse. — Si è rotto e io l’ho fatto a pezzi, io, per vedere se riesco a ripararlo.

— E ci riesci?

— No. E tu? — Mi fissò con scuri occhi affamati. Billy uscì dall’appartamento.

— Probabilmente no — risposi. — Non sono un tecnico di robot. Fammi dare un’occhiata, però.

— Ti faccio vedere tutto, io.

Lo fece. Rimise insieme i pezzi del robot-pela-mele che aveva un semplice chip Kellor standard alimentato da energia-Y. Io ero andata a scuola con Alison Kellor la quale aveva sempre professato un disprezzo annoiato per l’impero elettronico che avrebbe un giorno ereditato. Lizzie riassemblò il robot in due minuti circa e mi mostrò come non funzionasse nonostante un chip attivo. — Vedi questo pezzettino qui, Vicki? Dove il braccio che sbuccia si inserisce nel robot? Sembra come sciolto, lui.

Dissi: — Cosa pensi che lo abbia provocato?

I grandi occhi scuri mi fissarono. — Non lo so, io.

— Io sì. — La giuntura distrutta era in duragem. Era stata in duragem, fino all’attacco del rinnegato disgregatore replicante.

— Che cosa lo ha sciolto, Vicki?

Rivoltai il robot fra le mani, alla ricerca di altre giunture in duragem. C’erano, fra le parti in plastica fisse meno durevoli, ma più economiche. Le altre non "sembravano come sciolte, loro". Ma non lo erano nemmeno alcune delle parti in duragem.

— Che cosa l’ha sciolto, Vicki? Vicki? — Sentii una mano su un braccio.

Perché le altre giunture in duragem non erano state attaccate? Perché il disgregatore aveva una specie di meccanismo a orologeria. Si era autodistrutto dopo un certo periodo di tempo e aveva anche smesso di replicarsi dopo avere prodotto un determinato numero di copie di sé. Molti dei meccanismi di nano-tecnologia avevano questo dispositivo di sicurezza.

Lizzie mi scosse il braccio. — Che cosa l’ha sciolto, Vicki? Cosa?

— Un minutissimo macchinario. Troppo piccolo perché lo si possa vedere.

— Il disgregatore di duragem? Quello che io ho visto al notiziario, io?

Subito sollevai lo sguardo. — Tu guardi i notiziari dei Muli?

Mi lanciò un’occhiata lunga e seria. Mi resi conto che per lei si trattava di un’importante decisione da prendere: fidarsi di me o no. Alla fine disse, come se fosse una risposta: — Ho quasi dodici anni, io. La mia mamma, lei, pensa ancora che ci ho sei anni.

— Oh — commentai io. — E come fa una ragazzina di dodici anni a vedere i notiziari dei Muli? Al caffè non vengono mai trasmessi.

— Non c’è niente in piena notte. Qualche notte. Io vado lì, io, e me li guardo.

— Sgattaioli fuori di casa?

Lei annuì con espressione solenne, certa che questa ammissione avrebbe fatto crollare il mondo. Aveva ragione. Non avevo mai immaginato un bambino Vivo con tanta ambizione, curiosità, intelligenza o fegato. Mi resi conto che Lizzie Francy avrebbe avuto un’esistenza difficile: sgradita sia ai Vivi, sia ai Muli.

Назад Дальше