Le sabbie di Marte - Clarke Arthur Charles 4 стр.


«E se non ci riesce?»

«Pazienza! Seguiterà a tirare dritto finché sfreccerà fuori del nostro sistema, dato che viaggia abbastanza in fretta per sfuggire all’attrazione solare… Del resto può succedere anche a noi la stessa cosa.»

«Che allegria! E quanto tempo ci si mette?»

«A fare cosa?»

«A lasciare il sistema solare.»

«Un paio d’anni, pressappoco. Ma sarebbe meglio chiederlo a Mackay. Io non conosco la risposta a tutto, non sono uno di quei tipi che si trovano nei tuoi libri, sai?»

«Non è detto» replicò Gibson, e si ritirò.

L’avvicinarsi del razzo aveva prodotto un inatteso e gradito fermento di emozione a bordo dell’

Le scommesse sulla sorte del razzo erano state organizzate dal dottor Scott, ma le quote erano state inesorabilmente fissate dal capitano Norden.

I calcoli di Mackay facevano prevedere che il proiettile avrebbe mancato l’

«Entra, entra pure» disse Gibson senza neppure alzare gli occhi dalla macchina da scrivere. La porta si era aperta per lasciare volteggiare nella cabina Jimmy Spencer.

«Vi ho portato il libro, signor Gibson. Ci troverete tutto quello che vi serve. Si tratta di

«Perciò posso dire tranquillamente al pubblico di non preoccuparsi?»

«Si capisce. C’è piuttosto la questione della polvere…»

«Della polvere?»

«Ecco, se per meteore s’intendono particelle abbastanza grandi, di un paio di millimetri o poco più, non è il caso di preoccuparsi. Ma la polvere è un vero disastro, soprattutto sulle stazioni spaziali. Ogni tanto bisogna che qualcuno esca a localizzare le forature, di solito troppo piccole per essere visibili a occhio nudo. Una molecola di polvere stellare che marcia alla velocità di cinquanta chilometri il secondo è capace di perforare una lastra metallica di grande spessore.»

Questa notizia parve a Gibson un tantino allarmante, ma Mackay si affrettò a tranquillizzarlo.

«La realtà è che non c’è proprio nessun motivo di preoccuparsi» ripeté alla fine. «Un minimo di dispersione nell’ossatura di un’astronave si verifica sempre, ma ci pensa il rifornimento dell’aria a compensarlo.»

Per quanto indaffarato fosse, o pretendesse di essere, Gibson trovava sempre il tempo per vagabondare irrequieto attraverso i labirinti pieni d’echi dell’astronave, o per sedersi a contemplare le stelle dal ponte d’osservazione equatoriale. Aveva preso l’abitudine di andarci durante il concerto quotidiano. Tutti i giorni alle 15.00 precise l’altoparlante della nave entrava in azione e per un’ora la musica terrestre sussurrava o rumoreggiava per i corridoi vuoti.

Gibson era seduto sul ponte d’osservazione, intento a scoprire quante Pleiadi sarebbe riuscito a individuare a occhio nudo, quando un minuscolo proiettile gli sfiorò l’orecchio sibilando e andò ad appiccicarsi con un

«Ma che cosa c’è che non va nel sistema solito di muoversi?»

«Quando sarai stato nello spazio tutto il tempo che ci sono stato io, ti accorgerai quante siano le cose che non vanno» rispose Scott in tono saputo. «Su una nave come questa ci sono dappertutto maniglie alle quali ti puoi attaccare. Ma immagina di andare verso una parete liscia all’altro capo della tua stanza, e di lanciarti in aria dal punto in cui ti trovi. Cosa succede? Be’, dovrai pure interrompere in qualche modo la caduta, con le mani, di solito, se non vuoi continuare a girare come una trottola. A proposito, sai qual è il disturbo più comune che un medico è costretto a curare a bordo di una nave interspaziale? Le slogature dei polsi. È naturale! Comunque, anche se raggiungi la mèta finisci regolarmente col rimbalzare all’indietro, a meno che tu non riesca ad aggrapparti a qualcosa. Del resto ti può persino capitare di rimanere bloccato a mezz’aria. A me è successo, una volta, nella stazione spaziale numero tre, in uno dei grandi capannoni. Il muro più vicino era distante quindici metri e non c’era verso che mi riuscisse di arrivarci.»

«Perché non ti sei fatto strada sputando nella direzione voluta?» chiese Gibson in tono serio. «Dicono che sia il sistema migliore per uscire da un impiccio come quello che mi hai descritto adesso.»

«Prova e poi mi saprai dire. In ogni caso non è un sistema igienico. Lo sai che cosa ho dovuto fare? Come al solito indossavo maglietta e calzoncini e avevo calcolato che quei due indumenti influivano per circa un centesimo sul peso della mia massa. Senza quegli indumenti avrei potuto raggiungere il muro opposto in un minuto. Perciò li ho tolti.»

«E ce l’hai fatta?»

«Sì. Ma quel giorno il direttore stava facendo visitare la stazione a sua moglie, quindi adesso capisci perché mi sono ridotto, per guadagnarmi da vivere, a scorrazzare su questa vecchia carretta trascinandomi di portello in portello. Fortuna che non mi hanno relegato in qualche sudicia ambulanza di astroporto.»

«Ho l’impressione che tu abbia sbagliato mestiere» disse Gibson. «A proposito, cosa fa Owem? È riuscito a mettersi in contatto col missile o non ancora?»

«No, e mi sembra che non ne abbia affatto l’intenzione. Mac dice che passerà a circa centoquarantacinquemila chilometri di distanza, in ogni modo fuori portata. È un vero peccato. Ci vorranno mesi prima che un’altra nave parta per Marte, e questa è appunto la ragione per la quale avevano tanta fretta di raggiungerci.»

«Owem è un tipo strano, vero?» osservò Gibson senza un motivo particolare.

«Quando lo si conosce bene si capisce che non è così male come sembra in principio. Non è affatto vero quello che dicono, cioè che abbia avvelenato la moglie. È lei che si è uccisa di sua spontanea volontà ingerendo un narcotico» rispose Scott tutto soddisfatto.

Owem Bradley, dottore in fisica, specialista in scienza elettronica, eccetera, eccetera, era profondamente annoiato dell’esistenza. Come chiunque altro a bordo dell’

«Qual è la stella più vicina al missile?» chiese Bradley.

Mackay eseguì un rapido calcolo mentale.

«In questo momento non si trova vicino a nessun punto dell’eclittica» rifletté. «Le ultime cifre che ho segnato… vediamo un po’… declinazione circa quindici nord, ascensione esatta verso le quattordici. Penso che sia… non riesco mai a ricordare queste cose!, in qualche punto in Boote. Ah, sì, non dovrebbe essere lontano da Arturo, a una distanza comunque di non oltre dieci gradi, così a occhio e croce. Ti faccio il calcolo esatto tra un minuto.»

«Per cominciare non c’è male. Io intanto giro il faro. Chi c’è nella cabina delle segnalazioni in questo momento?»

«Il Comandante e Fred. Li ho chiamati al telefono e sono in ascolto sul monitore. Mi terrò in contatto con loro per mezzo del trasmettitore dell’ossatura.»

Bradley si allacciò il casco e scomparve nel compartimento stagno. Gibson lo vide partire con una punta di invidia. Aveva sempre desiderato indossare una tuta spaziale, ma per quanto l’avesse chiesto ripetutamente a Norden, il capitano gli aveva sempre risposto che era contro il regolamento. Le tute spaziali erano meccanismi complessi e se lui avesse commesso un errore nel maneggiarne una… ci sarebbe stato da pagare un pozzo di quattrini e a loro sarebbe magari toccato di predisporre un funerale che si sarebbe svolto in circostanze alquanto insolite.

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