Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino - Карло Коллоди 2 стр.


E Pinocchio si fece tristo anche lui: perché la miseria, la intendono tutti: anche i ragazzi.

– Pazienza! – gridò Geppetto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca di frustagno, uscì correndo di casa.

Dopo poco tornò: e quando tornò, aveva in mano l’Abbecedario per il figliolo, ma la casacca non l’aveva più. Il pover’uomo era in maniche di camicia[31], e fuori nevicava.

– E la casacca, babbo?

– L’ho venduta.

– Perché l’avete venduta?

– Perché mi faceva caldo.

Pinocchio capì questa risposta a volo[32], e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso.

9. Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini

Smesso che fu di nevicare, Pinocchio, col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava mille ragionamenti e mille castelli in aria uno più bello dell’altro.

E discorrendo da sé solo, diceva:

– Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani imparerò a scrivere, e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. E quel pover’uomo se la merita davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia… a questi freddi!

Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di gran cassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum.

Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paese fabbricato sulla spiaggia del mare.

– Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no… – E rimase lì perplesso. A ogni modo[33], bisognava prendere una risoluzione: o a scuola, o a sentire i pifferi.

– Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola: per andare a scuola c’è sempre tempo – disse finalmente quel monello, facendo una spallucciata.

Detto fatto, infilò giù per la strada traversa e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì-pì, pì-pì-pì, pì-pì-pì, zum, zum, zum, zum.

Quando si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

– Che cos’è quel baraccone? – domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto.

– Leggi il cartello, che c’è scritto, e lo saprai.

– Lo leggerei volentieri, ma per l’appunto oggi non so leggere.

– Bravo bue! Allora te lo leggerò io. In quel cartello a lettere rosse come il fuoco, c’è scritto: GRAN TEATRO DEI BURATTINI…

– È molto che[34] è incominciata la commedia?

– Comincia ora.

– E quanto si spende per entrare?

– Quattro soldi.

Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno e disse, senza vergognarsi, al ragazzetto:

– Mi daresti quattro soldi fino a domani?

– Te li darei volentieri – gli rispose l’altro canzonandolo – ma oggi per l’appunto non te li posso dare.

– Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta – gli disse allora il burattino.

– Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c’è più verso di cavarsela da dosso.

– Vuoi comprare le mie scarpe?

– Sono buone per accendere il fuoco.

– Quanto mi dai del berretto?

– Bell’acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane!

Pinocchio era sulle spine[35]. Stava lì lì[36] per fare un’ultima offerta: ma non aveva coraggio. Alla fine disse:

– Vuoi darmi quattro soldi di quest’Abbecedario nuovo?

– Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi – gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva più giudizio di lui.

– Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io – gridò un rivenditore di panni usati, che s’era trovato presente alla conversazione.

E il libro fu venduto su due piedi[37]. E pensare che quel pover’uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo, per comprare l’Abbecedario al figliolo!

10. I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio, e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine

Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò una rivoluzione.

Bisogna sapere che il sipario era tirato su e la commedia era già incominciata.

Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e minacciavano da un momento all’altro[38] di scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate.

La platea, tutta attenta, si mandava a male[39] dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini.

Quando all’improvviso, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla platea, comincia a urlare in tono drammatico:

– Numi del firmamento![40] sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio!..

– È Pinocchio davvero! – grida Pulcinella.

– È proprio lui! – strilla la signora Rosaura, facendo capolino[41] di fondo alla scena.

– È Pinocchio! è Pinocchio! – urlano in coro tutti i burattini, uscendo a salti fuori dalle quinte. – È Pinocchio! È il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio!..

– Pinocchio, vieni quassù da me! – grida Arlecchino – vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno!

A questo affettuoso invito, Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla platea va nei posti distinti; e di lì schizza sul palcoscenico.

È impossibile figurarsi gli abbracciamenti, i pizzicotti dell’amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricevè in mezzo a[42] tanto arruffio dagli attori e dalle attrici.

Questo spettacolo era commovente, ma il pubblico della platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s’impazientì e prese a gridare:

– Vogliamo la commedia, vogliamo la commedia!

Ma i burattini, invece di continuare la recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, postosi Pinocchio sulle spalle, se lo portarono in trionfo davanti ai lumi della ribalta.

Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d’inchiostro, e tanto lunga che gli scendeva dal mento fino a terra. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro; e con le mani schioccava una grossa frusta, fatta di serpenti e di code di volpe attorcigliate insieme.

All’apparizione inaspettata del burattinaio, ammutolirono tutti: nessuno fiatò più. Si sarebbe sentito volare una mosca. Quei poveri burattini, maschi e femmine, tremavano come tante foglie.

– Perché sei venuto a mettere lo scompiglio nel mio teatro? – domandò il burattinaio a Pinocchio.

– La creda, illustrissimo, che la colpa non è stata mia!..

– Basta così! Stasera faremo i nostri conti.

Difatti, finita la recita della commedia, il burattinaio andò in cucina, dov’egli s’era preparato per cena un bel montone, che girava lentamente infilato nello spiede. E perché gli mancavano le legna per finirlo di cuocere e di rosolare, chiamò Arlecchino e Pulcinella e disse loro:

– Portatemi di qua quel burattino, che troverete attaccato al chiodo. Mi pare un burattino fatto di un legname molto asciutto, e sono sicuro che, a buttarlo sul fuoco, mi darà una bellissima fiammata all’arrosto.

Arlecchino e Pulcinella da principio esitarono; ma impauriti da un’occhiataccia del loro padrone, obbedirono: e dopo poco tornarono in cucina, portando sulle braccia il povero Pinocchio, il quale strillava:

– Babbo mio, salvatemi! Non voglio morire, no, non voglio morire!..

Упражнения

1. Выберите правильный вариант:

Mastr’Antonio fa il mugnaio.

Mastr’Antonio fa il falegname.

Mastr’Antonio fa il fornaio.

Mastr’Antonio fa il pescatore.

2. Вставьте пропущенное слово:

Mastr’Antonio, tutto contento, andò subito a ______ sul banco quel pezzo di legno.

Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata _______ dalla gran paura.

Finito il combattimento, mastr’Antonio si trovò fra le mani _______ gialla di Geppetto, e Geppetto si accòrse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.

Appena finite ________, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo.

3. Выберите нужный глагол:

Dopo la bocca, gli ____ il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.

disse.

tagliò.

fece.

lasciò

4. Выберите нужный предлог:

in – di – a – da – con

1. Mentre tutto commosso diceva così, gli parve ___ sentire ___ lontananza una musica ___ pifferi e ___ colpi ___ gran cassa.

2. Tornò ___ casa bagnato come un pulcino e rifinito ___ stanchezza e __ fame.

3. Il povero burattino rimase lì, come incantato, ___ occhi fissi, ___ bocca aperta e __ gusci ___uovo ___ mano.

4. Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura soltanto __ guardarlo.

5. Ответьте на вопросы:

1. Perché Pinocchio è disubbidiente?

2. Chi ha fatto il burattino?

3. Perché Pinocchio non ha potuto mangiare l’uovo?

4. Che cosa ha fatto il burattino con l’Abbecedario?

5. Raccontare il testo.

Ответы:

1. Mastr’Antonio fa il falegname.

2. 1. prendere. 2. turchina. 3. la parrucca. 4. le mani.

3. fece.

4. 1. di, in, di, di, di. 2. a, dalla, dalla. 3. cogli, colla, coi, dell’, in. 4. a.

11. Mangiafoco starnutisce e perdona a Pinocchio, il quale poi difende dalla morte il suo amico Arlecchino

Il burattinaio Mangiafoco (ché questo era il suo nome) pareva un uomo spaventoso, specie con quella sua barba nera; ma nel fondo poi non era un cattiv’uomo. Quando vide portarsi davanti quel povero Pinocchio, urlando “Non voglio morire, non voglio morire!”, principiò subito a commuoversi e a impietosirsi, e lasciò andare un sonorissimo starnuto.

A quello starnuto, Arlecchino, che fin allora era stato afflitto e ripiegato come un salcio piangente, si fece tutto allegro in viso e chinatosi verso Pinocchio, gli bisbigliò sottovoce:

– Buone nuove, fratello! Il burattinaio ha starnutito, e questo è segno che s’è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo.

Perché bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini, quando si sentono impietositi per qualcuno, o piangono, o per lo meno fanno finta[43] di rasciugarsi gli occhi, Mangiafoco, invece, ogni volta che s’inteneriva davvero aveva il vizio di starnutire. Era un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore.

Dopo avere starnutito, il burattinaio, seguitando a fare il burbero, gridò a Pinocchio:

– Finiscila di piangere! Etcì! Etcì! – e fece altri due starnuti.

– Felicità![44] – disse Pinocchio.

– Grazie. E il tuo babbo e la tua mamma sono sempre vivi? – gli domandò Mangiafoco.

– Il babbo, sì: la mamma non l’ho mai conosciuta.

– Chi lo sa che dispiacere sarebbe per il tuo vecchio padre, se ora ti facessi gettare fra questi carboni ardenti! Povero vecchio! lo compatisco!.. Etcì, etcì, etcì – e fece altri tre starnuti.

– Felicità! – disse Pinocchio.

– Grazie! Del resto[45] bisogna compatire anche me, perché, come vedi, non ho più legna per finire di cuocere quel montone arrosto, e tu, dico la verità, in questo caso mi avresti fatto un gran comodo! Ma ormai mi sono impietosito. Invece di te, metterò a bruciare sotto lo spiede qualche burattino della mia Compagnia. Olà, giandarmi!

A questo comando comparvero subito due giandarmi di legno, lunghi lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna in testa e colla sciabola sfoderata in mano.

Allora il burattinaio disse loro con voce rantolosa:

– Pigliatemi quell’Arlecchino, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene!

Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe gli si ripiegarono e cadde bocconi[46] per terra.

Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo, cominciò a dire con voce supplichevole:

– Pietà, signor Mangiafoco!..

– Qui non ci son signori! – replicò duramente il burattinaio.

– Pietà, signor Cavaliere!..

– Qui non ci sono cavalieri!

– Pietà, signor Commendatore!..

– Qui non ci sono commendatori!

– Pietà, Eccellenza!..

A sentirsi chiamare Eccellenza, il burattinaio diventato tutt’a un tratto più umano, disse a Pinocchio:

– Ebbene, che cosa vuoi da me?

– Vi domando grazia per il povero Arlecchino!..

– Qui non c’è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perché io voglio che il mio montone sia arrostito bene.

– In questo caso – gridò Pinocchio – in questo caso conosco qual è il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi fra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino debba morire per me!

Queste parole fecero piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi piangevano come due agnellini di latte.

Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominciò anche lui a commuoversi e a starnutire. E fatti quattro o cinque starnuti, aprì affettuosamente le braccia e disse a Pinocchio:

– Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni qua da me e dammi un bacio.

Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio, andò a posargli un bellissimo bacio sulla punta del naso.

Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio, andò a posargli un bellissimo bacio sulla punta del naso.

– Dunque la grazia è fatta? – domandò il povero Arlecchino, con un fil di voce[47] che si sentiva appena.

– La grazia è fatta! – rispose Mangiafoco: poi soggiunse sospirando – Pazienza! Per questa sera mi rassegnerò a mangiare il montone mezzo crudo: ma un’altra volta, guai a chi toccherà!..

Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e cominciarono a saltare e a ballare.

12. Il burattinaio Mangiafoco regala cinque monete d’oro a Pinocchio perché le porti al suo babbo Geppetto: e Pinocchio, invece, si lascia abbindolare dalla Volpe e dal Gatto e se ne va con loro

Il giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte[48] Pinocchio e gli domandò:

– Come si chiama tuo padre?

– Geppetto.

– E che mestiere fa?

– Il povero.

– Guadagna molto?

– Guadagna tanto quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l’Abbecedario della scuola dovè vendere l’unica casacca che aveva.

– Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete d’oro. Va’ subito a portargliele e salutalo tanto da parte mia.

Pinocchio ringraziò mille volte il burattinaio: abbracciò, a uno a uno[49], tutti i burattini della compagnia, anche i giandarmi; e fuori di sé[50] dalla contentezza, si mise in viaggio per ritornarsene a casa sua.

Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt’e due gli occhi che se ne andavano là là[51], aiutandosi fra di loro. La Volpe, che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe.

– Buon giorno, Pinocchio – gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente.

– Com’è che sai il mio nome? – domandò il burattino.

– Conosco bene il tuo babbo.

– Dove l’hai veduto?

– L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

– E che cosa faceva?

– Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

– Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!..

– Perché?

– Perché io sono diventato un gran signore.

– Un gran signore tu? – disse la Volpe, e cominciò a ridere di un riso sguaiato: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere[52], si pettinava i baffi colle zampe davanti.

– C’è poco da ridere – gridò Pinocchio impermalito. – Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca[53], ma queste qui sono cinque bellissime monete d’oro.

E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco.

Al simpatico suono di quelle monete, la Volpe per un moto involontario allungò la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalancò tutt’e due gli occhi che parvero due lanterne verdi: ma poi li richiuse subito, che Pinocchio non si accorse di nulla.

– E ora – gli domandò la Volpe – che cosa vuoi farne di codeste monete?

– Prima di tutto – rispose il burattino – voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti: e poi voglio comprare un Abbecedario per me.

– Per te?

– Davvero: perché voglio andare a scuola e mettermi a studiare a buono.

– Guarda me! – disse la Volpe. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto una gamba.

– Guarda me! – disse il Gatto. – Per la passione sciocca di studiare ho perduto la vista di tutti e due gli occhi.

In quel mentre[54] un Merlo bianco, che se ne stava appollaiato sulla siepe della strada, fece il suo solito verso e disse:

– Pinocchio, non dar retta[55] ai consigli dei cattivi compagni: se no, te ne pentirai!

Povero Merlo, non l’avesse mai detto! Il Gatto, spiccando un gran salto, gli si avventò addosso, e senza dargli nemmeno il tempo di dire ohi, se lo mangiò in un boccone.

Mangiato che l’ebbe e ripulitosi la bocca, chiuse gli occhi, e ricominciò a fare il cieco come prima.

– Povero Merlo! – disse Pinocchio al Gatto – perché l’hai trattato così male?

– Ho fatto per dargli una lezione. Così un’altra volta imparerà a non metter bocca nei discorsi degli altri.

Erano giunti più che a mezza strada quando la Volpe, fermandosi, disse al burattino:

– Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?

– Cioè?

– Vuoi tu, di cinque zecchini, farne cento, mille, duemila?

– Magari! e la maniera?

– La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venir con noi.

– E dove mi volete condurre?

– Nel paese dei Barbagianni.

Pinocchio ci pensò un poco, e poi disse risolutamente:

– No, non ci voglio venire. Oramai sono vicino a casa, e voglio andarmene a casa, dove c’è il mio babbo che m’aspetta. Chi lo sa, quanto ha sospirato ieri, a non vedermi tornare. Pur troppo io sono stato un figliolo cattivo. E io l’ho provato a mie spese, perché mi sono capitate dimolte disgrazie, e anche ieri sera in casa di Mangiafoco, ho corso pericolo… Brrr! mi viene i bordoni[56] soltanto a pensarci!

– Dunque – disse la Volpe – vuoi proprio andare a casa tua? Allora va’ pure, e tanto peggio per te.

– Tanto peggio per te! – ripetè il Gatto.

– Pensaci bene, Pinocchio, perché tu dai un calcio alla fortuna[57].

– Alla fortuna! – ripetè il Gatto.

– I tuoi cinque zecchini, dall’oggi al domani sarebbero diventati duemila.

– Duemila! – ripetè il Gatto.

– Ma com’è mai possibile che diventino tanti? – domandò Pinocchio, restando a bocca aperta dallo stupore.

– Te lo spiego subito – disse la Volpe. – Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro, per esempio, uno zecchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto.

Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia, e la mattina dopo, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno.

– Sicché dunque – disse Pinocchio – se io sotterrassi in quel campo i miei cinque zecchini, la mattina dopo quanti zecchini ci troverei?

– È un conto facilissimo – rispose la Volpe – un conto che puoi farlo sulla punta delle dita. Poni che ogni zecchino ti faccia un grappolo di cinquecento zecchini: moltiplica il cinquecento per cinque, e la mattina dopo ti trovi in tasca duemilacinquecento zecchini.

– Oh che bella cosa! – gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. – Appena che questi zecchini li avrò raccolti, ne prenderò per me duemila e gli altri cinquecento di più li darò in regalo a voialtri due.

– Un regalo a noi? – gridò la Volpe sdegnandosi e chiamandosi offesa. – Dio te ne liberi!

– Te ne liberi! – ripetè il Gatto.

– Noi – riprese la Volpe – non lavoriamo per il vile interesse: noi lavoriamo unicamente per arricchire gli altri.

– Gli altri! – ripetè il Gatto.

– Che brave persone! – pensò dentro di sé Pinocchio: e dimenticandosi del suo babbo, della casacca nuova, dell’Abbecedario, disse alla Volpe e al Gatto:

– Andiamo subito, io vengo con voi.

13. L’osteria del “Gambero Rosso”

Cammina, cammina, alla fine sul far della sera[58] arrivarono stanchi morti all’osteria del Gambero Rosso.

– Fermiamoci un po’ qui – disse la Volpe – tanto per mangiare un boccone e per riposarci qualche ora. A mezzanotte poi ripartiremo per essere domani, all’alba, nel Campo dei miracoli.

Entrati nell’osteria, si posero tutti e tre a tavola: ma nessuno di loro aveva appetito.

Il povero Gatto, sentendosi indisposto di stomaco, non potè mangiare altro che[59] trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!

La Volpe avrebbe mangiato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, così dovè contentarsi di una semplice lepre dolce e un contorno di pollastre e di galletti di primo canto[60]. Aveva tanta nausea per il cibo, diceva lei, che non poteva accostarsi nulla alla bocca.

Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccio di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliolo, col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli.

Quand’ebbero cenato, la Volpe disse all’oste:

– Datemi due buone camere. Prima di ripartire stiacceremo un sonnellino[61]. Ricordatevi però che a mezzanotte vogliamo essere svegliati per continuare il nostro viaggio.

– Sissignori – rispose l’oste, e strizzò l’occhio[62] alla Volpe e al Gatto.

Appena che Pinocchio fu entrato nel letto, si addormentò e principiò a sognare. E sognando gli pareva di essere in mezzo a un campo, e questo campo era pieno di arboscelli carichi di grappoli, e questi grappoli erano carichi di zecchini d’oro che, dondolandosi mossi dal vento, facevano zin, zin, zin. Ma quando Pinocchio allungò la mano per prendere a manciate tutte quelle belle monete e mettersele in tasca, si trovò svegliato all’improvviso da tre violentissimi colpi dati nella porta di camera.

Era l’oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era sonata.

– E i miei compagni sono pronti? – gli domandò il burattino.

– Altro che pronti! Sono partiti due ore fa.

– Perché tanta fretta?

– Perché il Gatto ha ricevuto un’imbasciata, che il suo gattino maggiore, malato di geloni ai piedi, stava in pericolo di vita.

– E la cena l’hanno pagata?

– Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate, perché facciano un affronto simile alla signoria vostra.

– Peccato! Quest’affronto mi avrebbe fatto tanto piacere! – disse Pinocchio. Poi domandò:

– E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici?

– Al Campo dei miracoli, domattina, allo spuntare del giorno[63].

Pinocchio pagò uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi compagni, e dopo partì.

Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell’osteria c’era un buio così buio che non ci si vedeva da qui a lì[64]. Nella campagna all’intorno non si sentiva alitare una foglia. Solamente alcuni uccelli notturni, traversando la strada da una siepe all’altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale gridava: – Chi va là? – e l’eco delle colline circostanti ripeteva in lontananza: – Chi va là? chi va là? chi va là?

Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo animaletto.

– Chi sei? – gli domandò Pinocchio.

– Sono l’ombra del Grillo-parlante – rispose l’animaletto con una vocina fioca fioca.

– Che vuoi da me? – disse il burattino.

– Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro zecchini al tuo povero babbo, che piange e si dispera per non averti più veduto.

– Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro zecchini diventeranno duemila.

– Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me[65], ritorna indietro.

– E io invece voglio andare avanti.

– L’ora è tarda!..

– Voglio andare avanti.

– La nottata è scura…

– Voglio andare avanti.

– La strada è pericolosa…

– Voglio andare avanti.

– Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di capriccio, prima o poi se ne pentirono.

– Le solite storie. Buona notte, Grillo.

– Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini.

Appena dette queste ultime parole, il Grillo-parlante si spense a un tratto e la strada rimase più buia di prima.

14. Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte negli assassini

– Davvero – disse fra sé il burattino – come siamo disgraziati noi altri[66]poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti. Ecco qui: perché io non ho voluto dar retta a quell’uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi dovrebbero accadere! Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che[67] agli assassini io non ci credo. Per me gli assassini sono stati inventati dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andar fuori la notte. E poi se anche li trovassi qui sulla strada, mi darebbero forse soggezione? Neanche per sogno[68]. Anderei loro sul viso, gridando: “Signori assassini, che cosa vogliono da me? Si rammentino che con me non si scherza!” A questa parlantina fatta sul serio, quei poveri assassini scapperebbero via come il vento. Caso poi fossero tanto ineducati da non volere scappare, allora scapperei io…

Ma Pinocchio non potè finire il suo ragionamento, perché in quel punto gli parve di sentire dietro di sé un leggerissimo fruscio di foglie.

Si voltò a guardare, e vide nel buio due figure nere, tutte imbacuccate in due sacchi da carbone, le quali correvano dietro a lui a salti e in punta di piedi[69].

– Eccoli davvero! – disse dentro di sé: e non sapendo dove nascondere i quattro zecchini, se li nascose in bocca sotto la lingua.

Poi si provò a scappare. Ma non aveva ancora fatto il primo passo, che sentì agguantarsi per le braccia e intese due voci orribili, che gli dissero:

– O la borsa o la vita!

Pinocchio non potendo rispondere con le parole, a motivo delle monete che aveva in bocca, fece mille pantomime, per dare ad intendere a quei due, di cui si vedevano soltanto gli occhi attraverso i buchi dei sacchi, che lui era un povero burattino e che non aveva in tasca nemmeno un centesimo falso.

– Via, via! Meno ciarle e fuori i denari! – gridarono i due briganti.

E il burattino fece col capo e colle mani un segno, come dire: “Non ne ho.”

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