4
Le gelatine di frutta
— Cosa sei? — ripeté la regina. — Un nano più alto degli altri a cui hanno tagliato la barba?
— No, Maestà — rispose Edmund. — Non ho mai avuto la barba. Sono ancora un ragazzo.
— Un ragazzo! — esclamò la signora. — Vuoi dire che sei un figlio di Adamo?
Edmund rimase fermo e zitto. Era troppo confuso per capire il senso della domanda.
— Chiunque tu sia, sei un idiota e lo vedo — scattò la regina. — Rispondimi, una volta per tutte, o perderò la pazienza. Sei un essere umano?
— Sì, Maestà — rispose subito Edmund.
— E come hai fatto a entrare nei miei dominii, se è lecito?
— Maestà, sono entrato dal guardaroba.
— Guardaroba? Che vuol dire?
— Io… io ho aperto una porta e mi sono trovato qui.
— Ah — esclamò la regina, come parlando a se stessa. — Una porta. Una porta sul mondo degli uomini. Ho già sentito parlare di queste cose, possono rovinare tutto. Ma è uno solo, facile da trattare.
Così dicendo si era alzata in piedi, fissando bene in faccia Edmund. I suoi occhi fiammeggiavano. Alzò la bacchetta dorata che teneva sempre in mano ed Edmund fu certo che stesse per capitargli qualcosa di terribile, ma sembrava che non riuscisse più a muoversi. Si dava già per perso, quando la regina tutt’a un tratto cambiò idea.
— Mio povero ragazzo — disse con voce completamente diversa. — Mi sembri impietrito dal freddo. Vieni a sederti vicino a me sulla slitta. Ti coprirò con il mantello e faremo due chiacchiere.
La proposta non gli piaceva affatto, ma Edmund non osò disobbedire. Salì sulla slitta e sedette ai piedi della regina, che gli buttò addosso un lembo del suo mantello di pelliccia e glielo rimboccò ben bene da tutte le parti.
— Vuoi bere qualcosa di caldo? — chiese lei.
— Grazie, Maestà — rispose Edmund che batteva i denti dal freddo.
La regina tirò fuori una fiaschetta che pareva fatta di rame, allungò il braccio e lasciò cadere vicino alla slitta una goccia del suo contenuto. Edmund vide la goccia brillare a mezz’aria, fulgida come un diamante, ma quando toccò il suolo coperto di neve ci fu un sibilo e un attimo dopo, al suo posto, c’era una coppa tempestata di gemme preziose e piena di un liquido fumante. Il nano la prese immediatamente e la porse al ragazzo facendo un bell’inchino, ma con un sorriso tutt’altro che simpatico.
Appena sorseggiata la bevanda calda, Edmund si sentì meglio: non aveva mai assaggiato niente di simile. Era dolce, cremosa e con tanta schiuma in superficie. Ebbe l’effetto di riscaldarlo bene, dalla testa alla punta dei piedi.
— Figlio di Adamo, non è bello bere senza mangiare nulla — disse allora la regina. — Cosa ti piacerebbe?
— Mangerei volentieri delle gelatine di frutta, maestà — rispose lui.
La regina allungò di nuovo il braccio e lasciò cadere un’altra goccia di liquido. Subito, sulla neve apparve una grande scatola rotonda, legata con un nastro di seta verde. Era piena dei più bei dolci che Edmund avesse mai visto: saranno stati almeno due chili. Ognuno era semplicemente perfetto: chiaro e trasparente sotto il velo di zucchero, leggero, gommoso al punto giusto e squisito. Edmund non ne aveva mai mangiati di così buoni. Quel che si dice una delizia, come ne sanno preparare solo in Turchia.
Mentre Edmund mangiava le gelatine di frutta una dopo l’altra, la regina cominciò a fargli domande una dopo l’altra. All’inizio Edmund cercò di non parlare con la bocca piena, ma presto dimenticò questa regola fondamentale della buona creanza e badò a ingozzarsi più che poteva. Intanto rispondeva alle domande, senza chiedersi perché la regina fosse tanto curiosa. Raccontò di avere una sorella e un fratello maggiori e una sorellina minore che era stata a Narnia per puro caso, incontrandovi un fauno gentile.
La regina sembrò colpita soprattutto dal fatto che Edmund avesse tre fratelli e chiese ancora: — Siete proprio in quattro? Ne sei certo?
— Sì, Maestà.
— Due figli di Adamo e due figlie di Eva? Non uno di più o uno di meno?
— Gliel’ho già detto — esclamò Edmund, dimenticando di parlare con il dovuto rispetto a "Sua Maestà".
Quando le gelatine di frutta furono finite Edmund fissò la scatola vuota, sperando che lei chiedesse se ne voleva ancora. La regina conosceva benissimo il desiderio del ragazzo, perché i dolci erano stregati e chiunque ne mangiasse una volta continuava a volerne fino a scoppiare. Ma questa volta era diverso: la regina voleva delle risposte.
Quando ebbe finito di interrogarlo bene e fu sicura che solo Edmund e Lucy fossero entrati nel suo regno, mentre Peter e Susan ne conoscevano l’esistenza per sentito dire, cominciò a fargli certe proposte.
— Mi piacerebbe conoscere tuo fratello e le tue sorelline. Perché non li porti da me?
— Ci proverò — disse Edmund, sempre fissando la scatola vuota.
— Se tornerai, con gli altri naturalmente, ti preparerò tante belle gelatine di frutta. Ora non mi è possibile, perché la magia funziona una volta soltanto. A casa mia, invece, è tutta un’altra cosa.
— Perché non ci andiamo subito? — chiese Edmund.
— È un posto incantevole, quello dove abito — disse la regina. — Ti piacerà. E poi, ci sono sale intere piene di gelatine di frutta e non ho figli miei. Vorrei averne uno come te, per educarlo come un principe e farlo diventare re, quando io non ci sarò più. Re di Narnia. Ma come principe dovrebbe portare una corona d’oro in testa e mangiare gelatine da mattina a sera. Ti farò diventare principe quando mi avrai portato gli altri.
— Perché non subito? — chiese ancora Edmund.
— Come faresti a guidarli da me? Io voglio conoscerli bene. Tu sarai principe e prima o poi re; tuo fratello diventerà duca e le tue sorelle duchesse.
— Oh, non c’è niente d’interessante in quei tre — esclamò Edmund. — E in ogni modo, potrei andarli a prendere in qualsiasi momento.
— No, no. — La regina scosse la testa. — Staresti così bene a casa mia, ti divertiresti tanto da dimenticare tutto. Tornare indietro a prendere tuo fratello e le tue sorelle ti sembrerebbe una seccatura: non lo faresti più. Perciò è meglio che torni indietro subito, verrai qui insieme a loro. Ma se torni da solo è inutile, capito?
— Io non conosco la strada — si lamentò Edmund.
— Presto fatto — rispose la regina. Poi, indicando il lampione sotto il quale si erano incontrati il fauno e Lucy, aggiunse: — Dritto per di là, vedi?, c’è il mondo degli uomini. Adesso voltati nella direzione opposta e dimmi se riesci a vedere le due collinette che spuntano tra gli alberi.
— Sì — rispose Edmund. — Le vedo.
— Ebbene la mia casa è proprio là, tra le due colline. La prima volta che tornerai, non avrai che da metterti sotto il lampione e cercare davanti a te le due colline. Attraversato il bosco ci arriverai direttamente. Ma ricordati, se tornerai solo mi arrabbierò moltissimo.
— Farò del mio meglio — mormorò Edmund.
— Naturalmente non è necessario che racconti ogni cosa, non ti pare? Deve restare un segreto tra noi due. Sarà più divertente, e per loro una sorpresa più grande. Basta che li porti alle colline: da ragazzo intelligente quale sei, non ti mancherà una scusa per farlo; poi, una volta a casa mia, dirai: «Vediamo un po’ chi abita qui dentro» o qualcosa del genere. Sono certa che è meglio così. Se tua sorella minore ha già incontrato uno dei fauni, può darsi che abbia sentito qualche strana storia sul mio conto… Stupidi pettegolezzi che potrebbero averle fatto impressione. I fauni, lo sai anche tu, ne raccontano di cotte e di crude. E ora…
— Scusi — la interruppe improvvisamente Edmund. — Non potrei avere un’altra di quelle gelatine? Magari solo un pezzetto, per mangiarlo strada facendo?
— No, no — esclamò la regina, divertita. — Dovrai aspettare fino alla prossima volta. — Così dicendo fece cenno al nano di continuare il cammino, e mentre la slitta spariva rapidamente, Edmund si trovò di nuovo solo e in mezzo alla neve.
Teneva ancora lo sguardo fisso nel punto in cui era scomparsa la slitta, quando sentì qualcuno chiamarlo per nome. Era Lucy, e veniva verso di lui da tutt’altra parte.
— Oh, Edmund — esclamò raggiante di gioia. — Sei venuto anche tu. Non è meraviglioso?
— Sì — rispose Edmund. — Devo riconoscere che avevi ragione. Ma, se non ti dispiace, vorrei sapere dove sei stata tutto questo tempo. Ti ho cercata ovunque, sai?
— Se avessi saputo che eri entrato nell’armadio magico, ti avrei aspettato — rispose Lucy, troppo contenta per rendersi conto del tono sprezzante con cui Edmund le aveva parlato e di come fosse rosso in faccia, tutto stravolto. — Sono stata dal caro signor Tumnus, il fauno dell’altra volta. Abbiamo mangiato insieme e parlato un po’. Ho visto con piacere che la Strega Bianca non gli ha fatto niente di male. Forse non si è neanche accorta che mi ha lasciata tornare a casa.
— La Strega Bianca? — chiese Edmund. — E chi è?
— Una persona veramente terribile. Dice di essere la regina di Narnia ma non ne ha il diritto, proprio no. Le driadi, le ninfe, i fauni e gli animali del bosco, o per lo meno i migliori, non la possono soffrire. Può trasformare la gente in statue di pietra e fare mille stregonerie. È per colpa sua se a Narnia, adesso, è sempre inverno. Sempre inverno e mai Natale, pensa… E intanto lei se ne va in giro su una slitta trainata da renne bianche, tiene la bacchetta magica in mano e una corona d’oro in testa.
— E tutta questa roba a te chi l’ha raccontata?
— Il signor Tumnus, il fauno — rispose Lucy.
— E dai retta alle chiacchiere di un fauno? — chiese ancora Edmund, nel tono di uno che la sa lunga. — Non si può credergli.
— Chi l’ha detto?
— Ma lo sanno tutti, cara mia — ribatté Edmund. — Chiedi a chi vuoi. Ora muoviamoci di qui, torniamo a casa.
— Sì, andiamo — accondiscese Lucy. — Se sapessi come sono contenta che tu sia venuto. Adesso anche Peter e Susan dovranno credere che il paese di Narnia esiste davvero. Ci verremo tutti e ci divertiremo tanto.
Edmund, in cuor suo, pensava che per il momento lui si sarebbe divertito meno: doveva darle ragione di fronte agli altri, dopo averla canzonata più degli altri. Inoltre, qualcosa gli diceva che Peter e Susan avrebbero immediatamente parteggiato per il fauno e contro la regina, mentre lui aveva quasi deciso che era meglio stare dalla parte di lei. Forse gli altri se ne sarebbero accorti e per questo era meglio non parlare dell’incontro con la regina di Narnia.
Camminarono un bel po’ per arrivare al lampione, lungo il sentiero tra gli alberi. Improvvisamente, si resero conto di essere tra le morbide pellicce custodite nel guardaroba. Un attimo e furono nella grande stanza vuota.
— Ehi — esclamò Lucy, guardando bene in faccia il fratello. — Non ti senti bene? Hai una brutta cera, Edmund.
— Sto benissimo — rispose lui, ma non era vero. Si sentiva lo stomaco sottosopra.
— Vieni, allora, cerchiamo gli altri — disse Lucy. — Abbiamo un sacco di cose da raccontare.
5
Da questa parte dell’armadio
Il gioco a nascondino continuava, quindi ci volle un bel po’ prima che i ragazzi si trovassero tutti insieme. Quando questo avvenne (nella lunga stanza con l’armatura di ferro), Lucy cominciò subito: — Peter, Susan, è come dicevo io. C’è veramente un altro paese dall’altra parte dell’armadio… C’è venuto anche Edmund, poi ci siamo ritrovati nel bosco e abbiamo fatto insieme la strada del ritorno. Su, Ed, diglielo.
— Cos’è questa storia? — chiese Peter. — Di che si tratta, Ed, cos’hai da dirci?
Fu allora che si verificò la cosa più spiacevole della nostra storia. Edmund non aveva ancora deciso cosa dire e non dire dell’avventura nel regno di Narnia. Si sentiva male e aveva la nausea; inoltre, era seccato con Lucy perché non gli andava di doverle dar ragione in pubblico. Quando Peter gli rivolse una domanda ben precisa, fece la peggior cosa che si possa immaginare: restò muto come un pesce. Susan lo incoraggiò, dicendo: — Dai, parla — ma lui gettò un’occhiata di superiorità alla povera Lucy, come se fosse molto più grande (invece aveva solo un anno di più) e disse, sogghignando: — Lucy e io abbiamo fatto un gioco, fingendo che la storia del paese immaginario fosse vera. Uno scherzo tra noi, naturalmente. Non c’è proprio nulla dietro l’armadio, l’abbiamo visto benissimo.
Lucy lo guardò un attimo sbigottita, poi fuggì dalla stanza. Edmund, che diventava più cattivo ogni minuto, fu certo di aver ottenuto un gran successo e continuò nel tono di prima: — Ecco che scappa di nuovo. Cos’ha, adesso? Il guaio con questi bambini è che…
— Senti un po’ — lo interruppe Peter, voltandosi verso Edmund con grande durezza. — Innanzi tutto chiudi il becco. Da quando Lu ha cominciato con la storia dell’armadio, ti sei comportato come un mostro verso di lei, l’hai presa in giro senza pietà. E ora ti metti a fare giochetti, prima fingi che sia vero e poi…? Vuoi farla diventar matta? Credo che tu sia un gran dispettoso, Ed.
— Ma è tutta una faccenda senza senso — replicò Edmund.
— Certo che non ha alcun senso. È proprio questo il punto. Da quando siamo arrivati qui, Lucy è cambiata: a casa stava benissimo, era calma, simpatica e sincera. Ora è diventata una gran bugiarda oppure ha perso una rotella. Ma che sia questo o che sia quello, cosa credi di ottenere sbeffeggiandola prima e incoraggiandola dopo? Eh, sì, ieri la maltrattavi e oggi inventi questo gioco sul paese oltre l’armadio.
— Io credevo… credevo… — balbettò Edmund.
— Tu non credevi proprio niente. L’hai fatto per dispetto, ti è sempre piaciuto maltrattare i più piccoli. Lho visto anche a scuola, sai.
— Basta — ordinò Susan a questo punto. — Smettetela, tutti e due. Se stiamo qui a litigare le cose non andranno meglio. Cerchiamo Lucy, invece.
Quando la trovarono, parecchio più tardi, nessuno si meravigliò nel vedere che aveva gli occhi rossi e gonfi come di chi abbia pianto molto. Cercarono inutilmente di farla ragionare. Lucy ripeteva sempre la stessa storia: per lei era la verità.
— Dite quel che volete, pensate quel che volete, non me ne importa nulla. Potete dirlo al professore o scrivere alla mamma, insomma, fate come vi pare. Io so di essere stata in quel bosco e ho davvero incontrato il fauno. Vorrei essere rimasta là, perché voi siete… stupidi, stupidi, stupidi.
Fu una serata spiacevole. Lucy si sentiva tanto infelice e anche Edmund cominciava a capire che forse il suo piano non aveva funzionato. Peter e Susan si erano quasi convinti che a Lucy avesse dato di volta il cervello. Restarono un bel po’ in corridoio a confabulare tra loro, mentre la più piccola era già addormentata nel suo letto. Alla fine decisero che il mattino seguente avrebbero raccontato tutto al professore.
— Ci penserà lui a scrivere a papà — aveva concluso saggiamente Peter. — Dirà se le condizioni di Lucy sono davvero preoccupanti. Noi non possiamo capire.
Così andarono tutti e due nello studio del professore, bussarono alla porta e, quando lui fece avanti!, entrarono. Il professore li fece accomodare su due poltroncine e si dichiarò a loro disposizione per tutto quello di cui avessero bisogno, poi sedette e ascoltò la storia senza interromperli, le punte delle dita di una mano premute contro quelle dell’altra. Quando i ragazzi ebbero finito, il professore restò in silenzio, si schiarì la gola e disse l’ultima cosa che Peter e Susan avrebbero immaginato di sentirgli dire. Chiese semplicemente: — Come fate a sapere che la storia di vostra sorella non è vera?
— Ma… — cominciò Susan e poi si fermò, guardando bene in faccia il professore. Chiunque avrebbe capito che non scherzava affatto. Allora Susan si fece coraggio e proseguì: — Edmund ha detto di non essere mai stato dall’altra parte dell’armadio, che era tutto uno scherzo combinato con Lucy.