Il leone, la strega e l’armadio - Lewis Clive Staples 4 стр.


— Questo è un punto che merita di essere approfondito — precisò il professore. — Seriamente approfondito. Per esempio, e scusatemi se vi faccio la domanda, dalla vostra passata esperienza risulta che vostro fratello e vostra sorella siano tipi credibili? Voglio dire, chi vi sembra più sincero?

— Ho pensato anch’io qualcosa del genere, signore — intervenne Peter. — Fino a ora, avrei risposto senz’altro che Lucy è la più sincera.

— E tu cosa ne pensi, cara? — fece il professore rivolto a Susan.

— Be’, in linea generale — cominciò Susan — sarei della stessa opinione di Peter. Ma ora questa faccenda del bosco e del fauno…

— Capisco — mormorò il professore. E aggiunse: — Io non oserei pronunciarmi contro Lucy. Accusare di falsità una persona che è sempre stata sincera è una cosa molto grave, cara. Una cosa molto grave.

— È per questo che siamo venuti da lei — disse Susan. — Ci è venuto il sospetto… La paura che Lucy non stia mentendo, ma che le sia successo qualcosa di brutto.

— Che sia impazzita? — chiese il professore, freddamente. — Se è per questo, potete vedere da voi che Lucy non è matta. Basta guardarla e sentire come parla.

— Ma allora… — e qui Susan si fermò di nuovo.

Non avrebbe mai immaginato che un adulto potesse parlare come il professore. Non sapeva cosa pensare.

— La logica! — esclamò il professore, rivolto quasi a se stesso. — Ma perché non insegnano un po’ di logica a questi poveri ragazzi? Esistono solo tre possibilità: la vostra sorellina mente, è impazzita oppure dice la verità. Voi stessi riconoscete che è una bambina sincera, che non dice mai bugie. E non è matta. Allora, e fino a prova contraria, dobbiamo pensare che dica la verità.

Susan tornò a guardare in faccia il professore: dalla sua espressione si convinse che non stava prendendoli in giro. Parlava seriamente.

— Ma come può esser vera, una storia così? — chiese Peter.

— Perché me lo chiedi? — ribatté il professore.

— Prima di tutto — cominciò Peter — come mai, se il bosco esiste veramente, non lo abbiamo trovato? Abbiamo guardato nell’armadio e non c’era proprio niente, signore.

— E con questo? — ribatté il professore.

— Ma… se le cose esistono realmente, ci sono sempre.

— Davvero? — commentò l’anziano signore.

Peter non seppe cosa rispondergli.

— E il tempo? — intervenne Susan. — Non c’è stato tempo per tutte le cose che dice Lucy. Anche se il regno di Narnia esistesse veramente, non potrebbe esserci andata. Eravamo appena usciti dalla stanza, quel giorno, che già ci correva dietro raccontandoci tutta la storia. Ha detto di essere stata via delle ore, invece era meno di un minuto.

— È proprio questo che rende verosimile il racconto — affermò il professore. — Se in questa casa c’è una porta che dà su un altro mondo (e devo avvertirvi che è una casa molto, molto strana… non la conosco bene neppure io), se questa porta esiste, dicevo, e Lucy è passata in un mondo diverso dal nostro, non mi sorprende affatto che abbia vissuto in un tempo diverso e tutto suo. Staccato, capite? Puoi stare là delle ore e intanto occupi "quel" tempo, ma non occupi il "nostro". Lucy è troppo piccola per aver capito questo particolare, non può esserselo inventato, dunque vuol dire che non mente. Se avesse voluto inventare una fandonia, sarebbe rimasta nascosta per parecchie ore.

— Ma lei pensa che ci sia davvero quest’altro paese? — chiese Peter, che non era del tutto sicuro di aver capito. — Ci sarebbero davvero altri mondi, accanto al nostro?

— Niente di più probabile — rispose il professore, e, toltisi gli occhiali, cominciò a pulirli borbottando: — Ma cosa diavolo insegnano, dico io, nelle scuole?

— E noi cosa dobbiamo fare? — domandò Susan, che in qualche modo sentiva che la conversazione stava diventando difficile.

— Giusto, cara signorina — esclamò il professore, e alzò gli occhi a osservare prima l’uno e poi l’altra con sguardo penetrante. — Non avevamo preso in considerazione l’unica cosa che valga la pena fare.

— E cioè? — chiesero insieme Peter e Susan.

— Pensare ai fatti nostri. E che Lucy pensi ai suoi.

Con questa stupefacente affermazione il colloquio ebbe fine, ma da quel momento in poi le cose andarono assai meglio. Peter si premurò che Edmund non si azzardasse più a sbeffeggiare la piccola Lucy, la quale, dal canto suo, non parlò più dell’armadio e nessuno si sentì in dovere di farlo. Per un pezzo sembrò che la faccenda fosse finita: ma era destino che non fosse così.

La casa del professore (che lui stesso non conosceva completamente) era così antica e famosa che venivano a visitarla da ogni parte dell’Inghilterra. Tanto per intenderci, il tipo di vecchia magione citata sulle guide e nei libri di storia. Sulla villa si raccontavano tante strane storie, forse anche più strane di questa. Quando arrivavano le comitive di turisti che chiedevano il permesso di visitarla, il professore diceva sempre di sì e incaricava la signora Macready, la governante, di portare i visitatori nelle diverse sale. La signora Macready non aveva pazienza con i bambini ed esigeva che non le venissero tra i piedi: soprattutto, non tollerava di essere interrotta quando faceva da guida ai turisti, indicando i quadri più belli e i libri più rari, e dicendo tutte le cose che meritavano di essere dette. A questo proposito aveva parlato chiaro, stabilendo con Susan e Peter, fin dal primo giorno, la lista delle cose proibite.

— E ricordatevi, per favore — aveva concluso — di non disturbarmi quando sono occupata con i turisti. Statemi alla larga.

— Figurarsi — aveva commentato poi Edmund. — Come se avessimo voglia di perdere una mattinata insieme a un branco di adulti col naso in aria.

Una bella mattina Edmund e Peter si trovavano nella sala dell’armatura e discutevano animatamente sulla difficoltà di smontarla e rimontarla o di entrarci dentro, quand’ecco sopraggiungere di corsa Lucy e Susan.

— Arriva la Macready — gridarono con il fiato grosso. — È in giro con un codazzo di visitatori che non finisce più.

— Filiamo alla svelta — ordinò Peter.

Veloce come il lampo, fuggì verso il fondo della sala seguito dagli altri tre. Attraversarono una sala verde (quella di musica) e poi, sempre di corsa, le diverse stanze della biblioteca. Ma forse quel giorno la Macready aveva scelto un itinerario diverso dal solito, perché di nuovo i ragazzi sentirono la sua voce e lo scalpiccio dei passi di molte persone che venivano verso di loro. Fecero un rapido dietrofront e ripresero a fuggire. Forse persero l’orientamento; forse la Macready si era accorta della loro presenza e voleva coglierli di sorpresa. E se una particolare magia li avesse spinti nella misteriosa Narnia? In ogni caso si trovavano sempre nelle vicinanze della signora Macready ed erano costretti a continuare a correre.

Alla fine Susan disse: — Oh, insomma, che noia questi gitanti. Su, entriamo nella stanza vuota e restiamoci finché non se ne sono andati. Lì non verranno di sicuro.

Ma appena furono entrati nella stanza deserta, sentirono delle voci in corridoio e qualcuno che girava la maniglia della porta, come se volesse aprirla ed entrare.

— Presto — bisbigliò Peter. — Non c’è altro da fare. — Spalancò l’armadio e ci saltò dentro, seguito dagli altri tre. Restarono là, stretti l’uno all’altro, ansando nel buio. Peter teneva l’anta dell’armadio accostata, badando bene di non chiuderla perché sapeva che chi ha un po’ di sale in zucca mai e poi mai si chiuderebbe in un armadio, magico oppure no.

6

Nella foresta

— Mi auguro che la Macready finisca presto il suo giro — disse Susan. — Mi vengono i crampi a star così rannicchiata.

— Ma che cattivo odore — esclamò Edmund. — Naftalina, canfora…

— Eh, sì — rispose Susan. — È per tenere lontane le tarme. Si mettono palline di naftalina nelle tasche dei vestiti e canfora sul fondo degli armadi.

— Ma c’è anche qualcosa che punge la schiena — brontolò Peter.

— E non senti freddo, tu? — chiese Susan.

— Già, adesso che mi ci fai pensare ho freddo anch’io. Freddo e umido, anzi bagnato, come se fossi seduto sul bagnato. Cosa diavolo può esserci, qui dentro?

— Usciamo — propose Edmund. — Devono essere andati via.

— Ooooooh… — esclamò Susan proprio in quel momento.

— Cosa c’è?

— Io… sono seduta contro un albero. E guardate laggiù, quel chiarore.

— Perbacco, hai ragione — esclamò Peter. — Si va facendo chiaro, sempre più chiaro, e ci sono alberi dappertutto. Be’, sembra di essere nel bosco di Lucy.

Impossibile sbagliarsi, ormai. Alle loro spalle, cappotti e pellicce pendevano in bell’ordine; davanti a loro, invece, si stendeva un bosco di grandi alberi coperti di neve. Era un chiaro mattino d’inverno.

Peter si volse dalla parte di Lucy e disse: — Scusami se non ti ho creduto. Facciamo la pace, vuoi?

— Oh, certo — rispose Lucy, e i due ragazzi si strinsero la mano.

— E ora cosa facciamo? — chiese Susan.

— Cosa facciamo? — ripeté sbalordito Peter. — Diamine, si va a esplorare il bosco, naturalmente.

— Brrr, che freddo — esclamò Susan, battendo i piedi per riscaldarsi. — Prendiamo qualche pelliccia, che ne dite?

— Non sono nostre — obiettò Peter.

— Non ha importanza — replicò Susan. — Non le portiamo mica via. Non le facciamo neanche uscire dall’armadio.

— Brava — esclamò Peter. — Non ci avrei mai pensato, ma hai ragione. Ognuno può prendere la pelliccia che vuole, in realtà non le faremo uscire dall’armadio. Questo bosco è tutto dentro l’armadio.

I ragazzi fecero come aveva consigliato Susan. Indossarono ognuno una pelliccia e, benché cercassero le misure più piccole, alla fine sembrarono avvolti in mantelli regali che scendevano fino ai piedi, con l’aggiunta di un piccolo strascico. Ma così stavano caldi e in un certo senso si intonavano di più al paesaggio che li circondava.

— Possiamo far finta di essere esploratori che vanno al Polo Nord — disse Lucy.

— La nostra avventura mi sembra già abbastanza straordinaria — osservò Peter. — Non c’è proprio bisogno che ci inventiamo dell’altro.

Si addentrarono nella foresta, Peter davanti a tutti. Sopra di loro il cielo prometteva altra neve.

A un certo punto Edmund disse: — Secondo me sarebbe meglio piegare un po’ a sinistra, se vogliamo arrivare al lampione.

Per un attimo Edmund dimenticò di aver sempre sostenuto che lui, nel bosco, non c’era mai stato, anzi che erano tutte fantasie di Lucy. Ma non appena ebbe aperto bocca si accorse che gli era scappata la verità. I fratelli si fermarono a guardarlo, stupiti.

— Ah, è così — esclamò Peter. — Sei già stato qui, allora. Eppure, quando Lu diceva di averti incontrato, tu l’hai fatta passare per bugiarda. — Ci fu un lungo silenzio, poi Peter riprese: — Di tutti i serpentelli velenosi, tu… — Qui si interruppe, alzò le spalle e non aggiunse altro. In effetti, sembrava proprio che non ci fossero parole adatte a commentare il comportamento di Edmund. La piccola comitiva si rimise in marcia, come se niente fosse. Ma Edmund si sentiva scornato e mugugnava tra sé: — Ve la farò pagare a tutti. Siete un branco di stupidi, arroganti, presuntuosi.

— In ogni modo dove andiamo? Da che parte? — chiese Susan, tanto per riprendere la conversazione.

— Deciderà Lucy — rispose Peter. — Credo che meriti l’onore di farci da guida. Allora, Lucy, dove ci porti?

— Perché non andiamo a casa del signor Tumnus? — propose Lucy. — È il simpatico fauno di cui vi ho già parlato.

Furono tutti d’accordo e Lucy si mise alla testa del drappello. Dapprima sembrò preoccupata, poi cominciò a riconoscere i luoghi da certi piccoli particolari, un vecchio ceppo isolato laggiù o un albero dalla forma strana poco più avanti. Camminavano di buon passo, battendo i piedi sulla neve, e presto arrivarono al luogo dove le grosse rocce spuntavano dal terreno, intorno alla valle su cui si affacciava la caverna del signor Tumnus. Qui, li attendeva una brutta sorpresa: la porta era stata letteralmente strappata dai cardini ed era a terra, in pezzi.

Dentro la caverna era buio e freddo, con il caratteristico odore dei posti non più abitati. Sul pavimento si ammucchiava la neve spinta dal vento e mischiata con la cenere del focolare: qua e là si vedevano tizzoni spenti e rametti bruciacchiati; c’era una gran quantità di cocci, tavolo e sedie erano a gambe all’aria e il ritratto del padre del fauno era stato tagliuzzato in lungo e in largo.

— Questo cos’è? — chiese Peter, avanzando di qualche passo.

Aveva notato un pezzo di carta appuntato sul tappeto con uno spillo.

— C’è scritto qualcosa? — domandò Susan.

— Credo di sì — rispose Peter — ma non riesco a leggere. Andiamo al chiaro.

Uscirono di nuovo all’aria aperta e Peter lesse ad alta voce:

L’INQUILINO CHE ABITAVA QUESTI LOCALI, IL FAUNO TUMNUS, È IN CARCERE IN ATTESA DI PROCESSO. DEVE RISPONDERE DELL’ACCUSA DI ALTO TRADIMENTO CONTRO SUA MAESTÀ IMPERIALE JADIS, REGINA DI NARNIA, CASTELLANA DI CAIR PARAVEL, IMPERATRICE DELLE ISOLE SOLITARIE ECC., DI AVER DATO ASILO AI NEMICI DI SUA MAESTÀ, E OSPITATO SPIE NELLA SUA CASA E FRATERNIZZATO CON GLI ESSERI UMANI.

FIRMATO: MAUGRIM, CAPITANO DELLA POLIZIA SEGRETA.

EVVIVA LA REGINA!

I ragazzi si guardarono in faccia sbalorditi.

— Comincio a credere che questo posto non mi piacerà — disse Susan.

Peter si rivolse a Lucy: — Chi è la regina? Ne sai qualcosa, tu?

— Non è la regina di Narnia — rispose subito Lucy. — È una orribile strega che chiamano la Strega Bianca. Tutti la odiano perché ha fatto un incantesimo, qui è sempre inverno ma non è mai Natale.

— Mi domando se sia bene restare — disse Susan. — Il posto non mi sembra… tranquillo. Probabilmente non ci divertiremo affatto. Fa sempre più freddo e non abbiamo portato niente da mangiare. Forse è meglio tornare a casa alla svelta, che ne dite?

— Oh, no! — esclamò improvvisamente Lucy. — Non possiamo. Non capite? Non possiamo tornare a casa dopo quello che ho visto. Se il povero fauno è finito nei guai è per colpa mia. Mi ha nascosta qui. Invece di consegnarmi alla Strega Bianca, mi ha riaccompagnato a casa. Questo vuol dire "fraternizzare con gli esseri umani", capite?

— Ah, un bell’affare — esclamò Edmund. — Pensa invece che non abbiamo niente da mettere sotto i denti.

— Sta’ zitto, tu — ordinò seccamente Peter, che era ancora arrabbiato con Edmund. — Susan, che ne dici?

— Dico che Lucy ha maledettamente ragione — rispose Susan. — Non vorrei fare un passo di più in questo bosco e mi pento di esserci venuta, ma sono convinta che dobbiamo fare qualcosa per questo signor Come-diavolo-si-chiama, il fauno, insomma.

— Lo penso anch’io — disse Peter. — Mi preoccupa il fatto di non avere nulla da mangiare, naturalmente, ma non mi sembra il caso di tornare indietro per far provviste. Ho l’impressione che non riusciremmo più a tornare qui nel bosco. Ormai che ci siamo, ci conviene restare. Che ne dite?

— Va bene — esclamarono insieme Susan e Lucy.

— Ah, se almeno sapessimo dove hanno portato quel povero fauno — mormorò Peter con un gesto di rammarico.

I quattro ragazzi erano ancora a pochi passi dalla caverna del signor Tumnus, chiedendosi da che parte andare, quando Lucy gridò: — Guardate là, c’è un pettirosso. È il primo uccellino che vedo nel bosco. — Così dicendo, la piccola Lucy fece un passo verso il pettirosso che si chinò sul ramo a guardarla attentamente. — Per favore, bel pettirosso, puoi dirmi dov’è la prigione del fauno Tumnus? — chiese la piccola.

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