La cameriera era tornata a sparecchiare. «Dimmi, cara» la apostrofò Wednesday, «sei sposata?»
Lei scosse la testa.
«È incredibile che si siano lasciati sfuggire una giovane di così grande bellezza.» Wednesday muoveva in tondo un polpastrello nel mucchietto di sale tracciando segni tozzi che somigliavano a rune. La cameriera, in piedi accanto a lui, aveva un atteggiamento passivo; adesso più che una cerbiatta sembrava un coniglietta paralizzato dalle luci di un Tir, raggelato dalla paura.
Wednesday abbassò la voce al punto che Shadow, a pochi centimetri da lui, riuscì a sentirlo a stento. «A che ora finisci?»
«Alle nove» disse lei, e deglutì. «Nove e mezzo al massimo.»
«E qual è il motel migliore della zona?»
«C’è un Motel 6» rispose lei. «Non è niente di che.»
Wednesday le sfiorò il dorso della mano con la punta delle dita lasciandovi qualche granello di sale. Lei non cercò nemmeno di ripulirsi. «Per noi» disse lui, la sua voce un rombo così basso da risultare quasi impercettibile, «sarà il palazzo del piacere.»
La cameriera lo guardò. Si morse le labbra, e dopo un attimo di esitazione annuì e scappò in cucina.
«Ma dai, Wednesday» disse Shadow. «Non è neanche maggiorenne, è illegale.»
«La legalità non mi ha mai interessato molto. E ho bisogno di lei, non come fine in sé ma per svegliarmi un po’. Anche il re David sapeva qual è il modo più semplice per far scorrere di nuovo il sangue in un vecchio: datemi una vergine e lasciatemi in pace fino a domani.»
Shadow si ritrovò a chiedersi se la ragazza del turno di notte all’albergo di Eagle Point fosse stata vergine. «Ma non ti preoccupi di prendere delle malattie? E se la mettessi incinta? Se avesse un fratello?»
«No» rispose Wednesday. «Delle malattie non mi preoccupo perché non le prendo. Sfortunatamente quelli come me — quasi sempre — sparano a salve, perciò non succede quasi mai che si producano incroci. Ai vecchi tempi succedeva. Adesso è possibile ma talmente improbabile da essere inimmaginabile. Quindi nessuna preoccupazione sotto questo aspetto. E poi molte ragazze hanno fratelli, e padri. È un problema che non mi riguarda. Novantanove volte su cento io sono già da un’altra parte.»
«Allora passiamo la notte qui?»
Wednesday si accarezzò il mento. «Io sarò al Motel 6» disse. Poi infilò una mano nella tasca della giacca e prese una chiave color bronzo con un’etichetta su cui era scritto un indirizzo: 502 Northridge Road, interno 3. «Tu, invece, hai un appartamento che ti aspetta in una città lontana.» Wednesday chiuse gli occhi per un momento. Poi li riaprì, occhi grigi e scintillanti e leggermente male assortiti, e disse: «Il Greyhound arriverà tra venti minuti. Si ferma davanti al benzinaio. Questo è il biglietto.» Tirò fuori un biglietto piegato e lo allungò sul tavolo. Shadow lo prese e lo guardò.
«Chi è Mike Ainsel?» chiese. Era il nome scritto sul biglietto.
«Sei tu. Buon Natale.»
«E Lakeside?»
«Sarà la tua felice dimora per i prossimi mesi. E adesso, siccome le buone notizie arrivano tre a tre…» Estrasse dalla tasca anche un pacchettino avvolto in una carta natalizia e lo spinse verso Shadow. Si fermò accanto alla bottiglia di ketchup con l’incrostazione di salsa secca e nera intorno al tappo. Shadow non si mosse.
«Dunque?»
Shadow lo prese con riluttanza e quando lo scartò vide che conteneva un portafogli di pelle chiara, lucida per l’uso. Era ovviamente di qualcun altro. Dentro c’era una patente con la sua fotografia intestata a Michael Ainsel, un indirizzo del Milwaukee, una MasterCard, sempre di M. Ainsel, e venti banconote nuove da cinquanta dollari. Shadow lo chiuse e lo infilò nella tasca interna.
«Grazie» disse.
«Consideralo una gratifica natalizia. Allora, lascia che ti accompagni alla fermata del Greyhound. Resterò a fare ciao con la manina mentre il vecchio levriero ti porta a settentrione.»
Uscirono dal ristorante. Era incredibile quanto fosse scesa la temperatura in quelle poche ore. Sembrava troppo freddo per nevicare. Un gelo aggressivo. Era proprio un inverno duro.
«Ehi, Wednesday. I due trucchi di cui mi hai parlato — quello del violino e l’altro, del vescovo con il poliziotto…». Esitò, cercando di dare una forma ai pensieri, di metterli a fuoco.
«Cosa vuoi sapere?»
Ecco, l’aveva capito. «Sono tutti e due trucchi per i quali servono due uomini. Avevi un socio?» Il respiro gli usciva dalla bocca a nuvolette. Si ripromise che appena arrivato a Lakeside avrebbe speso una parte della gratifica natalizia per comperare la giacca più calda e pesante esistente sul mercato.
«Sì» rispose Wednesday. «Avevo un socio. Un socio più giovane. Quei tempi sono passati, ahimè. Ecco la pompa di benzina ed ecco lì, se l’occhio non mi inganna, l’autobus.» Il Greyhound aveva già messo la freccia per svoltare. «L’indirizzo è attaccato alla chiave» disse Wednesday. «Se qualcuno dovesse farti delle domande io sono tuo zio e rispondo all’improbabile nome di Emerson Borson. Ti troverai bene a Lakeside, nipote Ainsel. Verrò da te entro una settimana e viaggeremo insieme. Andremo dalle persone che devo incontrare. Nel frattempo comportati bene e sta’ alla larga dai guai.»
«E la mia macchina…?»
«Me ne occuperò io. Buon soggiorno a Lakeside.» Wednesday tese la mano e Shadow gliela strinse. Era fredda come la mano di un cadavere.
«Sei gelato» gli disse Shadow.
«Prima vado in una camera tranquilla del Motel 6 a fare la bestia a due teste con l’eccellente ragazzina del ristorante e meglio sarà.» Allungò l’altra mano e diede una stretta sulla spalla di Shadow.
Per un istante Shadow provò un senso di vertigine e vide doppio: davanti a lui c’era l’uomo con i capelli e la barba grigi, che gli stringeva una spalla, ma c’era anche qualcos’altro: un’infinità di inverni, centinaia e centinaia di inverni, e un uomo grigio con un cappello dalla tesa larga che peregrinava a piedi da un insediamento all’altro, appoggiandosi al bastone, che fissava da dietro le finestre stanze illuminate dal fuoco, la gioia e la vita splendente che non avrebbe mai potuto avere, che non avrebbe mai potuto condividere…
«Vai» disse Wednesday con una voce che risuonò come un ringhio rassicurante. «Tutto va bene, tutto va bene e tutto andrà bene.»
Shadow mostrò il biglietto all’autista. «Brutta giornata per viaggiare» disse la donna. E poi, con un sorriso quasi soddisfatto aggiunse: «Buon Natale».
Il Greyhound era semivuoto. «Quando arriviamo a Lakeside?»
«Tra due ore. Forse un pochino di più. Dicono che stia arrivando un’ondata di gelo.» Premette un pulsante e le porte si chiusero con un sibilo e un tonfo.
Shadow scelse un posto a metà corridoio, abbassò più che poté lo schienale del sedile e cominciò a riflettere. Il movimento dell’autobus e il calore lo cullavano, e prima di rendersi conto di avere sonno si assopì.
Nella terra, e sottoterra. I segni sui muri erano di rossa argilla ancora umida: impronte di mani, di dita e, qui e là, rozze raffigurazioni di animali, uomini e uccelli.
Il fuoco era sempre acceso e l’uomo-bufalo sedeva ancora dall’altra parte. Fissava Shadow con occhi enormi, due pozzanghere di fango nero. Le sue labbra, contornate da un’arruffata peluria marrone, non si mossero mentre diceva: «Ebbene, Shadow? Ci credi, ora?».
«Non so» rispose. Nemmeno lui, notò, aveva mosso la bocca. Le parole che passavano tra loro non venivano pronunciate, non nel senso in cui Shadow intendeva la comunicazione verbale. «Ma tu esisti?»
«Credi» rispose l’uomo-bufalo.
«Ma tu…» Dopo un attimo di esitazione Shadow chiese: «Sei un dio anche tu?».
L’uomo-bufalo infilò una mano tra le fiamme e afferrò un tizzone ardente stringendolo proprio nel mezzo. Fiamme azzurre e gialle gli accarezzavano la mano rossa senza bruciarla.
«Questa non è una terra adatta agli dèi» disse l’uomo-bufalo. Ma non era più lui che parlava. Shadow lo sapeva, nel sogno: era il fuoco a parlare, era il crepitio della fiamma che gli parlava in quel luogo buio sotto la terra.
«Questo paese è stato fatto emergere dalle profondità dell’oceano da un palombaro» disse il fuoco. «E stato tessuto da un ragno con la sua bava. È stato cagato da un corvo. È il corpo di un padre caduto le cui ossa sono diventate montagne, i cui occhi sono laghi.»
«Questa è una terra di sogni e di fuoco» disse la fiamma.
L’uomo-bufalo ripose il tizzone tra le fiamme.
«Perché mi dici queste cose?» chiese Shadow. «Io non sono importante. Non sono nessuno. Ero un allenatore discreto, un ladro a tempo perso davvero fetente e forse un marito non così bravo come credevo…» Non riuscì a concludere.
«Come faccio ad aiutare Laura?» chiese all’uomo-bufalo. «Vuole tornare viva. Le ho detto che l’avrei aiutata. Glielo devo.»
L’uomo-bufalo non parlò. Indicò il soffitto della caverna. Shadow lo seguì con gli occhi. C’era una sottile lama di luce fredda che entrava da un’apertura nella sommità lontana.
«Lassù?» chiese rimpiangendo che le sue domande non trovassero mai risposta. «Dovrei andare lassù?»
Allora il sogno lo sollevò, poiché l’idea era diventata azione, e Shadow si ritrovò schiacciato contro la roccia e la terra. Era una specie di talpa che cercava di aprirsi un varco, un tasso che scavava, una marmotta che sollevava la terra con le zampe, un orso, ma era terra troppo dura, troppo compatta; respirava con affanno e ben presto non riuscì più ad avanzare, né a scavare o arrampicarsi, e capì che sarebbe morto, lì nelle profondità sotto il mondo.
Da solo non avrebbe potuto farcela. Ogni sforzo era vano. Sapeva che, anche se il suo corpo stava viaggiando in un autobus riscaldato attraverso le foreste invernali, se avesse smesso di respirare lì, sotto il mondo, avrebbe smesso di respirare anche sull’autobus, stava già ansimando con brevi respiri mozzi.
Lottò cercando di spingere, sempre più debole, consumando, a ogni movimento, aria preziosa. Era in trappola: non poteva avanzare e non poteva tornare da dove era venuto.
«Adesso scendi a patti» gli disse una voce nella mente.
«Che cosa ho da offrire?» domandò. «Non ho niente.» Sentiva in bocca il sapore dell’argilla, denso e polveroso sotto i denti.
Poi disse: «Eccetto me stesso. Ho me stesso, non è forse vero?».
Fu come se ogni cosa trattenesse il respiro.
«Offro me stesso» disse.
La reazione fu immediata. Le rocce e la terra che lo avevano avvolto cedettero schiacciandolo sotto il loro peso fino a svuotargli i polmoni dell’ultimo soffio. La pressione divenne dolore, un peso che lo comprimeva da ogni parte. Raggiunse l’apogeo della sofferenza e lì rimase, sospeso, sapendo che di più non avrebbe potuto sopportare. In quel momento la contrazione si allentò e Shadow ricominciò a respirare. La luce sopra di lui era diventata più forte.
Qualcosa lo spingeva verso la superficie.
Quando lo spasmo successivo arrivò, Shadow cercò di assecondarlo. Questa volta si sentì spinto in alto.
Il dolore era incredibile, durante quell’ultima terribile contrazione, e si sentì schiacciato, stritolato e spinto attraverso una rigida fessura rocciosa che gli faceva scricchiolare le ossa e gli spappolava i muscoli. Quando la bocca e la testa martoriata emersero dalla soglia cominciò a gridare di paura e dolore.
Mentre gridava si chiese se non stesse per caso gridando anche nel mondo della veglia, se non stesse gridando anche nel sonno su quell’autobus immerso nell’oscurità.
E quando l’ultima contrazione finì, Shadow si ritrovò per terra, le mani che stringevano la rossa argilla.
Si mise seduto, ripulì la faccia e guardò in cielo. Era il tramonto, un lungo tramonto purpureo, già le stelle spuntavano a una a una, stelle più luminose di qualsiasi stella mai vista o immaginata.
«Presto cadranno» disse alle sue spalle la voce crepitante della fiamma. «Presto cadranno e il popolo delle stelle incontrerà il popolo della terra. Tra loro vi saranno eroi, uomini che sconfiggeranno mostri e porteranno la luce della conoscenza, ma nessuno diventerà un dio. Questo è un posto sbagliato per gli dèi.»
Una ventata d’aria, fredda in maniera scioccante, lo investì in pieno. Era come una doccia ghiacciata. Sentì la voce dell’autista che annunciava l’arrivo a Pinewood: «Chi ha bisogno di fumare una sigaretta o di sgranchirsi le gambe può scendere. Sosta di dieci minuti, poi si riparte».
Shadow barcollò giù dall’autobus. Erano davanti a un’altra pompa di benzina, un piccolo spiazzo praticamente identico a quello da cui era partito. L’autista stava aiutando due adolescenti a sistemare i borsoni nel bagagliaio.
«Ehi» chiamò rivolgendosi a Shadow. «Lei scende a Lakeside, giusto?»
Semiaddormentato, Shadow rispose di sì.
«Accidenti, quella sì che è una bella città» disse la donna. «Qualche volta penso che se mi dovessi trasferire armi e bagagli da qualche parte, andrei proprio a Lakeside. La città più carina che abbia mai visto in vita mia. Ci abita da molto?»
«È la prima volta che ci vado.»
«Mangi una pasty per me da Mabel’s, mi raccomando.»
Shadow decise di non chiedere spiegazioni. «Senta» le domandò invece, «ho forse parlato nel sonno?»
«Io non ho sentito niente.» La donna guardò l’ora. «A bordo. Quando arriviamo a Lakeside la chiamo.»
Le due ragazze salite a Pinewood — Shadow dubitò che avessero più di quattordici anni — si erano sedute nei due sedili davanti al suo. Erano amiche, dedusse Shadow origliando senza volere la conversazione, non sorelle. Una delle due non sapeva niente del sesso però sapeva un sacco di cose sugli animali perché lavorava o passava molto tempo in una specie di rifugio per animali abbandonati, mentre l’altra non era interessata agli animali ma, armata di centinaia di brandelli di informazione carpiti su Internet o dai programmi televisivi pomeridiani, era convinta di saperla lunga sul comportamento sessuale dei bipedi. Shadow ascoltò con orrore e divertimento la ragazza che si credeva esperta delle faccende del mondo raccontare nei dettagli il meccanismo dell’uso di Alka-Seltzer per migliorare il sesso orale.
Shadow si sforzò di non ascoltarle, respingendo ogni suono eccetto il rumore del Greyhound sull’asfalto, e adesso gli giungevano soltanto saltuari frammenti di conversazione.
Goldie è, come dire, un bravo cane, un retriever purissimo, se soltanto mio padre dicesse di sì, scondinzola tutte le volte che mi vede.
È Natale, deve lasciarmi usare il gatto delle nevi.
Puoi scrivere il tuo nome con la lingua.
Sandy mi manca.
Sì, manca anche a me.
Hanno detto che ne scenderanno due metri entro sera, ma secondo me si inventano tutto, si inventano le previsioni e nessuno protesta…
Poi i freni sibilarono, l’autista gridò: «Lakeside!», e le porte si spalancarono. Shadow seguì le ragazze nel parcheggio illuminato di un negozio di video e di un centro abbronzatura ancora aperti, che svolgevano anche la funzione di stazione del Greyhound. L’aria era terribilmente fredda, un freddo piacevole che lo svegliò. Rimase a fissare le luci della città da sud fino a ovest e, a oriente, la grande distesa chiara del lago ghiacciato.
Le due ragazze battevano i piedi e si soffiavano vistosamente sulle mani. La più giovane gettò un’occhiata di soppiatto a Shadow e rendendosi conto che lui l’aveva vista gli sorrise imbarazzata.
«Buon Natale» disse Shadow.
«Già» rispose l’altra, che forse aveva un anno di più, «Buon Natale anche a lei.» Aveva i capelli color carota e il naso, camuso, coperto di lentiggini.
«Bella città» disse lui.
«Noi ci stiamo bene» rispose la più giovane. Era quella a cui piacevano gli animali. Sorrise timida mettendo in mostra gli elastici azzurri dell’apparecchio per i denti. «Assomiglia a qualcuno» gli domandò seria: «lei non è fratello, o figlio di qualcuno, o qualcosa del genere?»
«Sei fuori, Alison» le disse l’amica. «Tutti hanno un padre o un fratello o qualche altro parente.»