«Non era quello che volevo dire» ribatté Alison. Per un luminoso istante si trovarono dentro il cono di luce di due fanali. Era una station wagon con una madre al volante che dopo aver preso a bordo le ragazze e i bagagli scomparve rapida lasciando Shadow solo nel parcheggio.
«Giovanotto? Posso esserti utile?» Il vecchietto stava chiudendo il negozio di video. Infilò in tasca le chiavi. «A Natale il negozio è chiuso» disse in tono allegro. «Però sono venuto a vedere l’arrivo dell’autobus per accertarmi che fosse tutto a posto. Non sopporterei l’idea che qualche povera anima si trovasse a piedi il giorno di Natale.» Gli era venuto così vicino che Shadow riusciva a vederlo in faccia: vecchio ma soddisfatto, aveva l’aria di un uomo che ha bevuto fino in fondo il calice dell’esistenza e nel complesso lo ha trovato colmo di whiskey, di quello buono.
«Be’, potrebbe darmi il numero dei taxi» disse Shadow.
«Potrei» rispose il vecchio con aria dubbiosa, «ma temo che a quest’ora Tom sia già a letto; l’ho visto poco fa, giù al Buck Stops Here, ed era molto allegro. Allegrissimo, in effetti. Dove sei diretto, giovanotto?»
Shadow gli mostrò la targhetta con l’indirizzo attaccata al portachiavi.
«Bene, è una camminata di dieci o forse venti minuti dall’altra parte del ponte. Con questo freddo non è una bella passeggiata, e se poi non si conosce la strada sembra ancora più lunga, l’hai mai notato? La prima volta il percorso dura un’eternità e poi lo si fa in un attimo.»
«Sì» rispose Shadow. «Non ci avevo mai riflettuto ma credo sia vero.»
Il vecchio annuì e la faccia si aprì in un sorriso. «Che diavolo, è Natale. Ti accompagno io con la mia Tessie.»
Shadow lo seguì fino alla strada dov’era parcheggiata un’enorme automobile scoperta, il tipo di vettura che ostentavano i gangster negli anni Venti, completa di predellino e tutto. La carrozzeria era verniciata di un colore scuro che alle luci a vapori di sodio sembrava a volte rosso e a volte verde. «Questa è Tessie. Non è una meraviglia?» Il vecchio accarezzò con aria di possesso una curva del cofano.
«Che marca è?»
«È una Wendt Phoenix. La Wendt ha chiuso nel ’31, il marchio è stato comprato dalla Chrysler però poi non le hanno prodotte più. Harvey Wendt, il fondatore, era di queste parti. Poi è andato ad ammazzarsi in California nel… vediamo, 1941 o ’42. Una terribile tragedia.»
L’auto odorava di cuoio e fumo stantio, come se nel corso degli anni la gente avesse fumato una quantità tale di sigarette da far diventare la puzza di tabacco bruciato tutt’uno con il tessuto dei rivestimenti. Il vecchio girò la chiave dell’accensione e Tessie partì immediatamente.
«Domani se ne va in garage. La copro per proteggerla dalla polvere e la lascio al riparo fino a primavera. In effetti oggi non dovrei guidarla, con la neve.»
«Non tiene la strada, con la neve?»
«La tiene benissimo, il problema è il sale che spargono dappertutto. Fa arrugginire queste bellezze in quattro e quattr’otto. Vuoi che facciamo la strada più veloce o preferisci il grand tour della città al chiaro di luna?»
«Non vorrei approfittare…»
«Nessun disturbo. Quando si arriva alla mia età dormire diventa difficile. Mi considero già fortunato se riesco a chiudere occhio per cinque ore a notte, ormai, altrimenti sto sveglio con i pensieri che mi frullano nella testa. Che maleducato! Mi chiamo Hinzelmann. Il mio nome è Richie, ma la gente qui mi chiama Hinzelmann e basta. Ti stringerei la mano, però ho bisogno di tutt’e due per guidare Tessie. Se ne accorge quando non le presto tutta l’attenzione.»
«Mike Ainsel» disse Shadow. «Piacere di conoscerla, Hinzelmann.»
«Allora facciamo il giro del lago. Il grand tour.»
La Main Street che stavano percorrendo era una strada graziosa anche di sera, con un’aria antiquata nel senso migliore del termine, come se per cent’anni gli abitanti se ne fossero presi gran cura e non avessero nessuna fretta di perdere ciò che amavano.
Hinzelmann indicò a Shadow i due ristoranti della città (uno tedesco che descrisse come: «in parte greco, in parte norvegese, e ogni piatto viene servito con un panino dolce»); poi gli indicò la panetteria e la libreria («Secondo me una città non è una città senza una libreria. Magari pretende di chiamarsi città lo stesso, ma se non ha una libreria sa bene di non poter ingannare nessuno»). Rallentò quando passarono davanti alla biblioteca, affinché Shadow potesse ammirarla. Davanti al portone tremolava la luce di antichi lampioni a gas… Hinzelmann li fece notare a Shadow con un certo orgoglio. «Costruita negli anni Settanta del 1800 da John Henning, locale magnate del legname. Avrebbe voluto che si chiamasse Henning Memorial Library, ma alla sua morte la gente cominciò a chiamarla Lakeside Library e credo che così continuerà a chiamarsi fino alla fine dei tempi. Non è fantastica?» Se l’avesse costruita con le sue mani il vecchio non avrebbe potuto sembrare più fiero. A Shadow faceva pensare a un castello. Quando glielo disse l’altro rispose: «Esatto. Con le torri e tutto. Henning voleva che sembrasse proprio un castello. Dentro hanno conservato le scaffalature originali di abete. Miriam Shultz vorrebbe ristrutturare e rimodernare, ma siccome è un monumento cittadino non si può toccare niente».
Aggirarono l’argine meridionale del lago. La cittadina si sviluppava intorno al lago, che era una decina di metri più in basso del livello stradale. A Shadow sembrò di distinguere le lastre opache di ghiaccio e qualche macchia scintillante d’acqua che rifletteva le luci della città.
«Sta gelando completamente» disse.
«È gelato da un mese, ormai» spiegò Hinzelmann. «Dove vede opaco sono cumuli di neve ammucchiata dal vento e il lucido è ghiaccio. È gelato in una sola notte subito dopo il Ringraziamento, un bello strato di ghiaccio liscio come vetro. Hai mai pescato nel ghiaccio?»
«Non l’ho mai fatto.»
«È la cosa più bella che esista. Non per il pesce che prendi ma per la pace mentale che ti riporti a casa.»
«Lo terrò presente.» Shadow guardava il lago dal finestrino di Tessie. «Ci si può davvero camminare sopra?»
«Si può. Ci si può andare perfino in macchina, ma forse è un po’ prematuro. Qui è freddo già da sei settimane ma bisogna riconoscere che nel Wisconsin settentrionale il ghiaccio si forma più in fretta ed è più duro che da qualsiasi altra parte. Una volta ero a caccia, caccia al cervo, quand’è stato… trenta o quarant’anni fa, e sparo a questo maschio, lo manco e lo vedo correre nel bosco -stiamo parlando della parte più settentrionale del lago, vicino a dove vivrai tu, Mike. Dunque, era il più bel cervo che avessi mai visto, con le corna molto ramificate, alto come un cavallino, parola. Dunque, io ero molto più giovane e avventato di quanto sia ora e benché avesse cominciato a nevicare già prima di Halloween, quell’anno, era il Ringraziamento e per terra c’era neve fresca, perciò potevo vedere le impronte. Il grosso cervo mi dava l’impressione di essere diretto al lago in preda al panico.
«Be’, solo un matto cercherebbe di correre dietro a un cervo, e invece eccomi lì, matto come un cavallo, che gli corro dietro e te lo vedo fermo in mezzo al lago, in dieci o quindici centimetri d’acqua, che mi fissa. In quel preciso momento una nuvola nasconde il sole e arriva la gelata, la temperatura dev’essere scesa di dieci gradi di colpo, è la pura verità. E quando il vecchio maschio cerca di scappare non riesce a muoversi. È intrappolato nel ghiaccio.
«Io mi avvicino piano piano. Si capisce che vorrebbe scappare ma è bloccato e quindi non ce la farà mai. D’altra parte niente al mondo mi farebbe sparare a una creatura indifesa: che razza di uomo sarei se facessi una cosa simile, eh? Così alzo la canna del fucile e sparo un colpo in aria.
«Be’, il rumore dello sparo e lo shock sono sufficienti a far scappare il cervo fuori dalla sua pelle ed è proprio quello che fa, lasciando la pelle e le corna nel ghiaccio mentre corre a nascondersi nel bosco, rosa come un neonato e tutto un tremito.
«Sicome mi dispiaceva per lui sono andato a chiedere alle signore del Circolo di Lavori Femminili di confezionargli una cosetta calda per l’inverno e loro gli hanno fatto una specie di tuta di lana in modo che non congelasse. Ovviamente si erano prese gioco di noi perché preparandogli una tuta di un bell’arancione acceso nessun cacciatore avrebbe potuto sparargli per sbaglio. Dalle nostre parti i cacciatori si vestono di arancione» aggiunse per chiarire. «E se pensi che ci sia anche una piccola parte di menzogna in quello che ti ho detto posso dimostrarti che è tutto vero. Ho ancora le corna appese al muro del mio studiolo.»
Shadow rise e il vecchio si concesse il sorriso soddisfatto dell’artigiano fiero del proprio capolavoro. Si fermarono davanti a un edificio di mattoni con un porticato di legno a cui erano appese le decorazioni natalizie che si accendevano a intermittenza.
«Il cinquecentodue è questo» disse Hinzelmann. «L’appartamento numero tre è all’ultimo piano, dall’altra parte, affacciato sul lago. Ben arrivato, Mike.»
«Grazie, signor Hinzelmann. Posso pagarle la benzina?»
«Chiamami solo Hinzelmann. No, non mi devi niente. Buon Natale da parte mia e di Tessie.»
«È sicuro di non poter accettare niente?»
Il vecchio si grattò il mento. «Sta’ a sentire, la settimana prossima verrò a venderti un biglietto della nostra lotteria di beneficenza. Per il momento, giovanotto, pensa solo a metterti sotto le coperte.»
Shadow sorrise. «Buon Natale, Hinzelmann.»
Il vecchio gli strinse la mano; aveva le nocche arrossate, una mano dura e callosa come il ramo di una quercia. «Sta’ bene attento a dove metti i piedi perché si scivola, sul sentiero. Da qui vedo la tua porta, la vedi? Aspetto in macchina fino a quando non sei dentro. Fammi un cenno quando sei arrivato e io me ne vado.»
Rimase con il motore acceso fino a quando Shadow non fu al sicuro sul portico di legno e non ebbe aperto la porta dell’appartamento. La porta si spalancò. Shadow si voltò a fare un cenno con i pollici alzati e il vecchio sulla Wendt — Tessie, pensò, e il pensiero che un’automobile avesse un nome di donna gli strappò un altro sorriso — Hinzelmann e Tessie, fecero inversione e tornarono in direzione del ponte.
Shadow chiuse la porta. La stanza era gelida. Odorava di gente che se n’era andata a vivere altrove, e di tutto ciò che avevano mangiato e sognato. Trovò il termostato e lo alzò a venti gradi; entrò nella minuscola cucina, aprì i cassetti e il frigorifero color avocado, vuoto. Nessuna sorpresa. Perlomeno l’interno del frigorifero aveva un odore di pulito, non puzzava di muffa.
C’era una piccola camera da letto, accanto alla cucina, con un nudo materasso e un bagno ancora più angusto occupato in gran parte dalla doccia. Nella tazza del water galleggiava un vecchio mozzicone di sigaretta che aveva tinto l’acqua di marrone. Shadow tirò lo sciacquone.
Nell’armadio trovò lenzuola e coperte e preparò il letto. Poi si sfilò gli stivali, la giacca e l’orologio e si sdraiò tutto vestito, chiedendosi quanto tempo avrebbe impiegato a riscaldarsi.
Le luci erano spente e regnava un silenzio pressoché totale, fatta eccezione per il ronzio del frigorifero e, in lontananza, una radio accesa in un altro appartamento. Rimase sdraiato al buio domandandosi se sul Greyhound non avesse per caso già soddisfatto tutto il suo bisogno di sonno, se la fame e il freddo e il letto nuovo e la follia delle ultime settimane lo avrebbero tenuto sveglio tutta la notte.
Nell’immobilità generale sentì risuonare un colpo secco, come uno sparo. Un ramo, pensò, o il ghiaccio. Fuori il mondo stava gelando.
Chissà quanto avrebbe dovuto aspettare l’arrivo di Wednesday. Un giorno? Una settimana? Sapeva di doversi concentrare su qualcosa, perché l’attesa poteva essere lunga. Decise che avrebbe ripreso a fare ginnastica e a esercitarsi con giochetti e palmaggi fino a ottenere una grande scioltezza (esercitati con tutti i giochi, mormorò qualcuno dentro la sua testa in una voce che non gli apparteneva, con tutti meno uno, quello che ti ha mostrato il povero Mad Sweeney ucciso dal freddo e dagli stenti, dall’oblio e dall’eccesso di zelo. Oh no, quello no).
Però Lakeside era una bella cittadina. Lo sentiva.
Ripensò al sogno, se di un sogno s’era trattato, della prima notte a Cairo. Ripensò a Zarja… come diavolo si chiamava? La sorella di mezzanotte.
E poi pensò a Laura…
Pensare a lei fu come spalancare una finestra della mente. Gli sembrava di vederla. In qualche modo riusciva a vederla.
Era a Eagle Point, nel cortile della grande casa di sua madre.
In piedi al freddo, un freddo che non sentiva più o che sentiva fin troppo, in piedi davanti alla casa che sua madre aveva comperato nel 1989 con i soldi dell’assicurazione sulla vita del marito, Harvey McCabe, morto d’infarto seduto sulla tazza del cesso, e guardava dentro la casa, le mani fredde premute contro la finestra non appannata dal suo fiato, guardava la madre, la sorella con i figli e il marito arrivati dal Texas per Natale. Fuori al buio, ecco dov’era Laura, incapace di non guardare il quadretto familiare.
Shadow sentì salire le lacrime agli occhi e si girò su un fianco.
Gli sembrava di essere un guardone e cercò di respingere quei pensieri, di riportarli a sé: vedeva la grande distesa ghiacciata del lago mentre il vento soffiava dall’Artico facendo diventare le dita di chiunque cento volte più fredde di quelle di un cadavere.
Adesso Shadow respirava a fatica. Sentiva il vento ululare intorno alla casa e per un momento gli sembrò di riconoscere alcune parole.
Se proprio doveva essere da qualche parte, pensò, tanto valeva essere lì, poi si addormentò.
Nel frattempo. Una conversazione
Din don.
«Signorina Crow?»
«Sì?»
«La signorina Samantha Black Crow?»
«Sì.»
«Le dispiace se le facciamo qualche domanda?»
«Siete poliziotti? Chi siete?»
«Io sono Town. Il mio collega si chiama Road. Stiamo investigando sulla scomparsa di due colleghi.»
«E come si chiamano?»
«Prego?»
«Ditemi come si chiamano. Voglio sapere i loro nomi. Il nome dei colleghi. Ditemi come si chiamano e forse potrò aiutarvi.»
«… Okay. Si chiamavano Stone e Wood. Allora, possiamo farle qualche domanda sì o no?»
«Ma cosa fate, prendete i nomi dal primo oggetto che vi capita a tiro? "Oh, ecco il signor Marciapiede e il signor Tappeto, dite ciao al signor Aeroplano"?»
«Molto spiritosa, signorina. Prima domanda: dobbiamo sapere se ha mai visto quest’uomo. Tenga. Guardi la fotografia.»
«Accidenti. Di fronte e di profilo, con una fila di numeri sotto… E grande e grosso. Bello, però. Cos’ha fatto?»
«Ha partecipato a una rapina alla banca di una cittadina, guidava la macchina, qualche anno fa. I due soci hanno deciso di tenersi il malloppo e l’hanno piantato in asso. Lui si è arrabbiato. Li ha trovati. Li ha quasi uccisi a mani nude. L’accusa ha patteggiato con le vittime: hanno testimoniato contro di lui. Shadow si è beccato sei anni. Ne ha scontati tre. Se vuole sapere la mia opinione, tipi così dovrebbero chiuderli in cella e buttare via la chiave.»
«Non l’avevo mai sentito dire nella vita vera. Non a voce alta.»
«Che cosa, signorina Crow?»
«"Malloppo". Non è una parola che si usa spesso. Forse nei film. Non nella vita.»
«Questo non è un film, signorina Crow.»
«Black Crow. Mi chiamo Black Crow. Sam, per gli amici.»
«Abbiamo capito, Sam. Allora, a proposito di quest’uomo…»
«Voi non siete miei amici. Chiamatemi signorina Black Crow.»
«Senti, mocciosetta…»
«Tranquillo, Road. Sam — mi scusi, signora — volevo dire… la signorina Black Crow vuole aiutarci. E una cittadina timorata della legge.»
«Signorina, noi sappiamo che lei ha aiutato Shadow. E stata vista con lui a bordo di una Chevy Nova bianca. Le ha dato un passaggio. Le ha offerto la cena. Ha detto niente che potrebbe risultare utile alle indagini? Due dei nostri uomini migliori sono stati uccisi.»