Fecero di no con la testa e la ragazza andò a occuparsi di un altro cliente.
«Ecco» disse Wednesday «una che "non ha la fede e non avrà la gioia" come diceva Chesterton. Pagani, bella roba. Allora? Vogliamo uscire, mia cara Easter, e ripetere l’esperimento per strada? Scoprire quanti sanno che la festa di Pasqua prende il nome da Eostre of the Dawn? Vediamo… facciamo così: chiediamolo a cento persone. Per ognuna che conosce la risposta mi taglierai un dito della mano, e quando avrai finito con le mani mi taglierai le dita dei piedi; per ogni venti che non sanno la verità invece tu passerai una notte d’amore con me. E le probabilità sono certamente in tuo favore in questa città: siamo a San Francisco, dopotutto. Lungo queste ripide strade abbondano pagani e miscredenti e streghe.»
Gli occhi verdi della donna si posarono su Wednesday. Erano dell’esatto colore delle foglie in primavera quando il sole vi brilla attraverso. Non disse niente.
«Potremmo provare» continuò Wednesday. «Io finirei col tenermi tutte le dita dei piedi e delle mani e guadagnerei il diritto di passare cinque giorni nel tuo letto. Quindi non venirmi a dire che la gente ti venera e onora la tua festa. Pronunciano il tuo nome, ma per loro non significa niente. Zero.»
A Easter spuntarono le lacrime agli occhi. «Lo so» disse a bassa voce. «Non sono stupida.»
«No. Non lo sei.»
Ha esagerato, pensò Shadow.
Wednesday abbassò gli occhi: «Mi dispiace». Shadow sentì che il suo tono era sincero. «Abbiamo bisogno di te. Ci serve la tua energia. Il tuo potere. Lotterai al nostro fianco, quando scoppierà la tempesta?»
Lei esitò. Sul polso sinistro aveva tatuata una ghirlanda di azzurri nontiscordardime.
«Sì» disse dopo qualche tempo. «Credo di sì.»
Probabilmente è vero quello che si dice, pensò Shadow. Se sembri sincero è fatta. Poi provò un senso di colpa per averlo pensato.
Wednesday posò un bacio su un dito e sfiorò la guancia di Easter. Chiamò la cameriera e pagò i caffè contando con cura il denaro, piegando le banconote insieme alla ricevuta.
Mentre la cameriera si allontanava, Shadow disse: «Signorina, scusi. Credo che abbia perso questo» e raccolse dal pavimento una banconota da dieci dollari.
«No» rispose lei guardando la ricevuta piegata che stringeva in mano.
«L’ho vista cadere» ribatté lui cortese ma insistente. «Provi a contarle.»
La cameriera contò il denaro e con aria perplessa disse: «Cavoli. Ha ragione lei. Grazie.» Prese la banconota e se ne andò.
Easter uscì insieme ai due uomini nella luce che cominciava appena a impallidire. Fece un cenno a Wednesday, poi sfiorò la mano di Shadow e disse: «Che cos’hai sognato, la notte scorsa?».
«Uccelli del tuono. Una montagna di teschi.»
Lei annuì. «E sai a chi appartenevano quei teschi?»
«C’era una voce nel sogno. Me l’ha detto.»
Lei annuì ancora e attese.
«Ha detto che erano miei. Vecchi teschi miei. Migliaia e migliaia.»
Easter guardò Wednesday e disse: «Penso che questo qui sia un custode». Fece il suo sorriso luminoso, batté un colpetto sul braccio di Shadow e si avviò lungo il marciapiede. Lui rimase a guardarla camminare cercando, senza riuscirci, di non pensare alle sue cosce che sfregavano l’una contro l’altra.
Nel taxi diretto all’aeroporto Wednesday si rivolse a Shadow. «Che cosa diavolo è stato quel casino con i dieci dollari?»
«L’avevi fregata. Se c’è un ammanco di cassa lo detraggono dal suo stipendio.»
«E a te che cosa te ne frega?» Wednesday sembrava sinceramente adirato.
Shadow rifletté un momento, poi disse: «Ecco, non vorrei che qualcuno lo facesse a me. In fondo non aveva fatto niente di male».
«Ah no?» L’altro fissò un punto non lontano nel vuoto e disse: «A sette anni ha chiuso un gattino nell’armadio e l’ha lasciato miagolare per giorni. Quando ha smesso di piangere l’ha tirato fuori dall’armadio, l’ha infilato in una scatola di scarpe e l’ha sepolto in cortile. Voleva seppellire qualcosa. Ruba continuamente dalla cassa. Piccole cifre, di solito. L’hanno scorso è andata a trovare la nonna nella casa di riposo per anziani. Ha preso un orologio d’oro antico dal suo comodino e poi ha fatto furtivamente un giro delle altre stanze rubando piccole cifre ed effetti personali, cimeli degli anni d’oro degli anziani ricoverati. Tornata a casa, siccome non sapeva cosa farne e aveva paura che qualcuno la venisse a cercare, ha buttato via tutto eccetto i contanti».
«Ho capito il concetto» disse Shadow.
«Inoltre ha una gonorrea asintomatica» continuò Wednesday. «Sospetta di essere malata ma non fa niente per curarsi. Quando l’ultimo fidanzato l’ha accusata di avergli trasmesso l’infezione lei si è offesa e non l’ha più voluto vedere.»
«Non c’è bisogno che tu vada avanti. Ti ho detto che ho capito il concetto. Comunque potresti farlo con chiunque, no? Dirmi brutte cose sul loro conto, voglio dire.»
«Certo» disse Wednesday. «Fanno tutti le stesse cose. Magari credono di commettere peccati originali, ma in genere sono banali e ripetitivi.»
«E questo ti autorizza a rubarle dieci dollari?»
Wednesday pagò il taxi ed entrarono nell’aeroporto, dirigendosi al cancello. Il volo non era ancora pronto all’imbarco. «Che cos’altro potrei fare? Non sacrificano tori o arieti in mio onore. Non mi mandano le anime di assassini e schiavi, di gente impiccata e sbranata dai corvi. Loro mi hanno creato, loro mi hanno dimenticato. Adesso mi prendo qualche piccola rivalsa. Non ti sembra giusto?»
«Mia mamma diceva sempre: "Non c’è giustizia a questo mondo"» disse Shadow.
«Lo credo» disse Wednesday. «È una di quelle cose che dicono tutte le mamme, insieme a: "Se i tuoi amici si buttassero giù dalla rupe ti ci butteresti anche tu?".»
«Hai fregato dieci dollari a quella ragazza, e io glieli ho ridati» disse Shadow con ostinazione. «Era la cosa giusta da fare.»
Una voce annunciò che il loro volo era pronto all’imbarco. Wednesday si alzò. «Che le tue scelte siano sempre altrettanto facili.»
Il gelo stava allentando la morsa quando Wednesday lasciò Shadow davanti a casa, nelle prime ore del mattino. Lakeside era sempre oscenamente fredda, ma non in maniera insopportabile. L’insegna luminosa sulla facciata della M I Bank lampeggiava alternativamente 3:30 e -15°.
Quando il capo della polizia Chad Mulligan bussò alla sua porta per chiedergli se conosceva una ragazza di nome Alison McGovern erano le nove e mezzo.
«Non mi pare» rispose Shadow insonnolito.
«Questa è la sua foto» disse Mulligan. Era stata scattata al liceo. Shadow la riconobbe immediatamente: era la ragazza con gli elastici azzurri dell’apparecchio per i denti, quella che sul Greyhound aveva imparato dall’amica un uso alternativo dell’Alka Seltzer.
«Ah sì. Era sul pullman con me quando sono arrivato.»
«Dove ti trovavi ieri, Ainsel?»
Shadow ebbe l’impressione che il mondo cominciasse a girargli intorno. Sapeva di non avere motivo di sentirsi colpevole (Sei un criminale che ha violato le norme della libertà vigilata e usa un nome e documenti falsi, gli sussurrò calma una voce interiore. Non basta?).
«Ero a San Francisco» disse. «In California. Ho aiutato mio zio a trasportare un letto a baldacchino.»
«Hai la matrice del biglietto o qualcosa del genere?»
«Sì.» Aveva le carte d’imbarco di andata e ritorno nella tasca posteriore dei pantaloni. «Che cosa sta succedendo?»
Mulligan esaminò le carte. «Alison McGovern è sparita. Lavorava come volontaria alla Lakeside Humane Society. Dava da mangiare agli animali, portava a passeggio i cani. Tutti i giorni dopo la scuola per qualche ora. Comunque. Dolly Knopf, che gestisce il Centro, la sera l’accompagna sempre a casa, quando chiudono. Ieri Alison non si è presentata.»
«È scomparsa?»
«Già. I genitori ci hanno telefonato la notte scorsa. La sciocchina faceva l’autostop per andare al Centro. Si trova sulla County W, piuttosto isolato. I suoi le dicevano sempre di non fare l’autostop, comunque in questo posto non succede mai niente… la gente non chiude la porta a chiave, capisci? È difficile proibire certe cose ai ragazzi. Comunque, guarda un’altra volta la foto.»
Alison McGovern sorrideva. Gli elastici dell’apparecchio erano rossi, non azzurri.
«Puoi onestamente dichiarare di non averla rapita, né violentata o uccisa?»
«Ero a San Francisco. E non farei mai una schifezza del genere.»
«È quello che pensavo, amico. Vuoi venire con noi a cercarla?
«Io?»
«Tu. Questa mattina sono arrivati i ragazzi dell’unità cinofila… finora niente.» Sospirò. «Diamine, Mike. Spero proprio che sia a Twin Cities con qualche amico a fumarsi le canne.»
«Ti sembra probabile?»
«È possibile. Vuoi unirti alla squadra di ricerca?»
Shadow si ricordò di aver visto la ragazzina da Hennings Farm and Home Supplies, il bagliore di un sorriso timido con l’apparecchio dagli elastici azzurri, e di aver pensato a come sarebbe diventata bella, un giorno. «Vengo.»
Nell’atrio della caserma dei pompieri erano in più di venti tra uomini e donne. Shadow riconobbe Hinzelmann e parecchie altre facce ormai familiari. C’erano agenti di polizia e qualcuno con l’uniforme marrone dell’ufficio dello sceriffo.
Chad Mulligan spiegò cosa indossava Alison quando era stata vista l’ultima volta (tuta da sci rossa, guanti verdi, berretto di lana blu sotto il cappuccio della giacca) e divise i volontari in gruppi di tre persone. Shadow, Hinzelmann e un certo Brogan si ritrovarono insieme. Il capo della polizia ricordò a tutti che le giornate erano brevi e che se, Dio non voglia, avessero trovato il corpo di Alison, andava da sé che non dovevano toccare niente ma chiedere aiuto via radio, e che se era viva dovevano tenerla al caldo fino all’arrivo dei soccorsi.
Vennero accompagnati in macchina sulla County W.
Hinzelmann, Brogan e Shadow si avviarono lungo l’argine di un torrente gelato. Ogni gruppo era stato dotato di una piccola ricetrasmittente.
Sotto la cappa di nuvole basse il mondo era completamente grigio. Nelle ultime trentasei ore non aveva nevicato e sulla neve ghiacciata e scintillante le impronte erano ben visibili.
Con i baffetti sottili e le tempie canute Brogan sembrava un colonnello in pensione. Disse a Shadow di essere stato il preside del liceo. «Ma diventavo vecchio. Adesso insegno ancora qualcosina, mi occupo della recita scolastica — che è l’avvenimento più importante dell’anno — vado a caccia e ho una casupola sul lago Pike dove passo molto tempo.» Quando partirono aggiunse: «Da una parte spero di trovarla. Dall’altra sarei più contento se la trovasse qualcun altro. Capisce cosa voglio dire?».
Shadow lo capiva perfettamente.
I tre uomini non parlarono molto. Camminarono cercando una tuta rossa, o un paio di guanti verdi, o un berretto blu o un corpo bianco. Ogni tanto Brogan, che aveva la ricetrasmittente, si teneva in contatto con Chad Mulligan.
All’ora di pranzo si unirono agli altri su un pulmino scolastico requisito per l’occasione e mangiarono hot dog e brodo caldo. Qualcuno indicò un buteo su un albero spoglio e qualcun altro disse che sembrava un falco, ma siccome volò via la discussione non ebbe seguito.
Hinzelmann raccontò la storia della tromba di suo nonno che un giorno aveva provato a suonarla durante una gelata, ma davanti al fienile dov’era andato a esercitarsi faceva così freddo che non uscì nemmeno una nota.
«Tornato in casa appoggiò lo strumento vicino alla stufa a legna. Ebbene, mentre tutta la famiglia dormiva, di colpo le note congelate cominciarono a uscire dalla tromba. Mia nonna si è spaventata a morte.»
Il pomeriggio trascorse interminabile, infruttuoso e deprimente. La luce sbiadì piano piano: le distanze si ridussero e il mondo diventò color indaco mentre il vento soffiava così freddo da bruciare la faccia. Quando fu troppo buio per proseguire le ricerche, Mulligan ordinò via radio di rientrare e i gruppi furono riaccompagnati alla caserma dei pompieri.
Poco lontano c’era Buck Stops Here, la taverna dove si ritrovarono quasi tutti. Sfiniti e demoralizzati, non facevano che ripetere com’era freddo e che molto probabilmente Alison sarebbe ricomparsa tra un paio di giorni ignara dei dispiaceri che aveva causato a tutti.
«Non deve pensare male della nostra città per questo» disse Brogan. «È una città tranquilla.»
«Lakeside» aggiunse una donna ben curata di cui Shadow aveva dimenticato il nome, ammesso che le fosse stata presentata, «è la migliore cittadina dei North Woods. Sa quanti disoccupati abbiamo?»
«No.»
«Meno di venti. Su più di cinquemila abitanti compresi i dintorni. Non saremo ricchi ma tutti hanno un impiego. Non come le città minerarie del Nordest che adesso sono state quasi tutte abbandonate. E ci sono le cittadine agricole strozzate dalla caduta del prezzo del latte, o da quello dei maiali. Sa qual è la principale causa non naturale di morte tra i coltivatori del Midwest?»
«Il suicidio?» arrischiò Shadow.
La donna lo guardò con aria delusa. «Sì. È esatto. Si tolgono la vita.» Scosse la testa. «Poi ci sono anche troppe cittadine che vivono solo su quelli che vengono a caccia o sui villeggianti, si limitano a spennarli e a rispedirli a casa pieni di trofei e di punture di insetti. E quelle industriali dove tutto fila liscio come l’olio fino a quando Wal-Mart non sposta i suoi centri di distribuzione o la 3M smette di produrre cd o quello che è, e all’improvviso una barca di gente non sa più come pagare il mutuo della casa. Scusi, non ho capito il suo nome.»
«Ainsel» disse Shadow. «Mike Ainsel.» La birra che stava bevendo era di produzione locale, fatta con acqua sorgiva. Era buona.
«Sono Callie Knopf» si presentò la donna. «La sorella di Dolly.» Aveva le guance ancora arrossate dal freddo. «Quello che voglio dire è che Lakeside è fortunata. Abbiamo un po’ di tutto: agricoltura, industria leggera, turismo, artigianato. Buone scuole.»
Shadow la guardava sconcertato. In fondo alle sue parole risuonava il vuoto, era come ascoltare un venditore, un buon venditore che crede nel suo prodotto ma il cui problema in fondo è rifilarti tutte le spazzole o l’enciclopedia completa. Forse la donna glielo lesse in faccia, perché disse: «Mi scusi. Quando si ama qualcosa non si smetterebbe mai di parlarne. Lei di che cosa si occupa, signor Ainsel?».
«Mio zio commercia in antichità. Mi chiama quando ha bisogno di spostare qualche oggetto pesante. È un buon lavoro, ma saltuario.» Un gatto nero che era la mascotte del locale si strusciò contro le gambe di Shadow e gli sfregò il muso contro uno stivale. Poi saltò sulla panca e gli si addormentò vicino.
«Quanto meno può viaggiare» disse Brogan. «Si occupa di nient’altro?»
«Ha in tasca otto monete da venticinque centesimi?» chiese Shadow. Brogan rovistò tra gli spiccioli e ne trovò cinque, che gli allungò. Callie Knopf fornì le altre tre.
Shadow le sistemò in due file di quattro, poi, senza alcuna incertezza, eseguì il Trucco Attraverso il Tavolo, dando l’illusione di far cadere metà delle monete proprio nel legno mentre in realtà le passava dalla mano sinistra alla destra.
Poi prese tutte le monete nella destra, afferrò con la sinistra un bicchiere vuoto, lo coprì con un tovagliolo e fece sparire a uno a uno dalla mano i quarti di dollaro per farli ricomparire nel bicchiere con un sonoro clic. Infine aprì la mano destra per mostrare che era vuota e levò il tovagliolo in modo che tutti potessero ammirare le monete dentro il bicchiere.
Le restituì — tre a Callie, cinque a Brogan — poi ne riprese una dalla mano di Brogan, lasciandogliene quattro, vi soffiò sopra e la trasformò in un penny che diede all’ex preside. Quando Brogan contò le monete che gli erano rimaste fu stupito di trovarne ancora cinque da venticinque centesimi.
«Ma sei un Houdini» chiocciò Hinzelmann. «Proprio Harry Houdini!»
«Solo un dilettante. Devo fare ancora molta strada.» Però provava una certa fierezza. Per Shadow era il suo primo pubblico adulto.
Tornando a casa si fermò in un negozio di alimentari a comperare un cartone di latte. La ragazza con i capelli fulvi alla cassa aveva un’aria familiare e gli occhi rossi di pianto. Era tutta lentiggini.