American Gods - Neil Gaiman 45 стр.


Shadow sospirò. «Non ho mai ucciso nessuno. Davvero. Adesso andiamo al bar e beviamo qualcosa. Oppure, a un tuo ordine, faccio inversione e ti riporto a casa. In un caso o nell’altro spero che non chiamerai la polizia.»

Attraversarono il ponte in assoluto silenzio.

«Chi ha ucciso quei due?»

«Se te lo dicessi non mi crederesti.»

«Ti crederò.» Adesso sembrava arrabbiata. Shadow si domandò se portare la bottiglia di vino a cena fosse stata una buona idea. Certo in quel momento la vita non era un cabernet.

«Non sarà facile.»

«Io posso credere a qualsiasi cosa. Non hai idea di quello che riesco a credere.»

«Ah sì?»

«Credo in cose reali e in altre che non lo sono e credo in altre cose ancora che nessuno sa se sono reali o no. Credo in Babbo Natale e nel coniglietto di Pasqua e in Marilyn Monroe e nei Beatles, in Elvis e Mister Ed. Guarda… credo che gli uomini siano esseri perfettibili, che il sapere sia infinito, che il mondo sia nelle mani di un cartello bancario segreto e che gli alieni vengano a trovarci regolarmente, alieni bravi e tutti rugosi che assomigliano ai lemuri e alieni cattivi che mutilano il bestiame e vogliono rubarci l’acqua e le donne. Credo che il futuro sia preoccupante e che un giorno la Donna-Bufalo-Bianco tornerà a prenderci tutti a calci nel sedere. Credo che gli uomini siano soltanto bambini troppo cresciuti con gravi problemi di comunicazione e che il declino del sesso in America coincida con la chiusura dei drive-in. Credo che gli uomini politici siano dei disonesti senza principi e credo che siano comunque preferibili all’alternativa. Credo che quando verrà il grande terremoto la California affonderà nell’oceano, mentre la Florida si dissolverà, inghiottita dalla follia, dagli alligatori e dalle scorie tossiche. Credo che il sapone antibatterico stia distruggendo la nostra capacità di resistenza alla sporcizia e alle malattie e che quindi un giorno verremo tutti annientati da un banale raffreddore come i marziani nella Guerra dei Mondi. Credo che i più grandi poeti del secolo scorso siano Edith Sitwell e Don Marquis e che la giada sia sperma di drago secco, e che migliaia di anni fa, in una vita precedente, sono stata una sciamana siberiana monca. Credo che il destino dell’umanità sia scritto nelle stelle. Credo che le caramelle fossero davvero più buone quand’ero piccola, che da un punto di vista aerodinamico per il bombo sia impossibile volare, che la luce sia un’onda e una particella e che da qualche parte ci sia un gattino chiuso dentro una scatola vivo e morto allo stesso tempo (ma che se non si sbrigano ad aprire la scatola e a dargli da mangiare finirà per essere morto e basta) e che nell’universo ci siano stelle miliardi di anni più vecchie dell’universo stesso. Credo in un dio tutto mio che si preoccupa per me e protegge tutte le mie azioni. Credo in un dio impersonale che ha messo in moto l’universo e poi è andato a spassarsela e non sa nemmeno che esisto. Credo in un universo privo di dèi mosso da caos, rumore di fondo e una grande fortuna. Credo che tutti quelli che dicono che il sesso sia un’attività sopravvalutata non l’hanno mai fatto come si deve. Credo che chiunque sostienga di sapere come va il mondo sia capace di mentire anche sulle piccole cose. Credo nell’onestà assoluta e nella necessità di ragionevoli menzogne sociali. Credo nel diritto delle donne di scegliere, nel diritto di un bambino di vivere, che se ogni vita umana è sacra non c’è niente di male nella pena di morte, sempre che sia possibile fidarsi del sistema legale, e che solo uno scemo si fiderebbe. Credo che la vita sia un gioco, uno scherzo crudele, e che sia quella cosa che ti capita quando sei vivo, quindi tanto vale godersela.» Si fermò, senza fiato.

Shadow fu tentato di staccare le mani dal volante per applaudire. Invece disse: «Va bene. Allora se ti racconto quello che ho scoperto non penserai che sono matto da legare».

«Può darsi. Prova.»

«Ci crederesti se ti dicessi che tutti gli dèi immaginati sono ancora con noi?»

«… Può darsi.»

«E che nel mondo ci sono dèi nuovi, dèi dei computer e dei telefoni e cose così, e che tutti sembrano credere che non ci sia posto per entrambe le categorie. E che molto probabilmente scoppierà una specie di guerra.»

«Sono stati questi dèi a uccidere i due uomini?»

«No, li ha uccisi mia moglie.»

«Mi pareva che avessi detto che tua moglie era morta.»

«Infatti.»

«Allora li ha uccisi prima di morire?»

«Dopo. Non chiedermi di più.»

Sam alzò una mano e allontanò i capelli dalla fronte.

Si fermarono davanti al Buck Stops Here, sulla Main Street. Nell’insegna sul vetro c’era un cervo con l’aria stupita che, ritto sulle zampe posteriori, teneva tra quelle anteriori un boccale di birra. Shadow afferrò il sacchetto con il libro e scese dalla macchina.

«Perché devono farsi la guerra?» domandò lei. «Sembra superfluo. Che cosa c’è in palio?»

«Non lo so.»

«È più facile credere nell’esistenza degli alieni. Magari Town e Come Cavolo Si Chiama erano Uomini Neri di tipo alieno.»

Erano in piedi sul marciapiede davanti al bar. Sam smise di parlare e guardò Shadow mentre il suo respiro rimaneva sospeso nell’aria come una pallida nuvoletta. «Dimmi solo che sei dalla parte giusta.»

«Non posso» rispose lui. «Mi piacerebbe ma… sto facendo del mio meglio.»

Sam, senza smettere di guardarlo, si morse il labbro inferiore. Poi annuì. «Mi basta» disse. «Non ti denuncerò. Puoi offrirmi una birra.»

Shadow le aprì la porta e furono assaliti da un’ondata di caldo e musica. Entrarono.

Sam si avvicinò a salutare gli amici. Shadow fece un cenno ad alcune persone le cui facce — ma non i loro nomi — ricordava dal giorno delle ricerche di Alison McGovern, o che aveva incontrato da Mabel’s di mattina. Chad Mulligan era in piedi al banco, con un braccio intorno alle spalle di una donna con i capelli rossi, piccolina, la cugina probabilmente; Shadow si chiese che aspetto avesse, però al momento lei gli dava la schiena. Vedendolo, Chad alzò la mano in un cenno di saluto scherzoso. Shadow gli sorrise e ricambiò, poi si guardò intorno per cercare Hinzelmann, ma il vecchio non sembrava nei paraggi. Individuò un tavolino libero in fondo e partì.

A quel punto qualcuno cominciò a gridare.

Un urlo orribile, sguaiato, tipo ho-visto-un-fantasma, un urlo isterico che interruppe di colpo ogni conversazione nel locale. Shadow si voltò, sicuro che stessero uccidendo qualcuno, poi si rese conto che invece stavano tutti guardando lui. Perfino il gatto nero, che durante il giorno dormiva sul davanzale, era in cima al jukebox con la coda ritta e la schiena a gobba e lo stava fissando.

Il tempo rallentò la sua corsa.

«Prendetelo!» strillò una voce femminile molto prossima all’isteria. «Oh, per amor del Cielo, qualcuno lo fermi! Non fatelo scappare! Vi prego!» Shadow la conosceva.

Nessuno si mosse. Lo fissavano. E lui fissava loro.

Chad Mulligan si avvicinò passando in mezzo ai clienti del locale. La donna piccolina lo seguiva con aria circospetta, gli occhi sbarrati come se si stesse preparando a urlare daccapo. Shadow la conosceva. Eccome.

Chad teneva ancora in mano il bicchiere di birra, che appoggiò sul tavolo più vicino. «Mike» disse.

«Chad» ribatté lui.

Audrey Burton afferrò una manica di Chad. Era pallidissima e aveva gli occhi gonfi di lacrime. «Shadow» disse, «brutto bastardo. Schifoso bastardo assassino.»

«Sei sicura di conoscere quest’uomo, cara?» chiese Chad. Sembrava a disagio.

Audrey Burton lo guardò incredula. «Ma sei matto? Ha lavorato per anni con Robbie. Quella troia di sua moglie era la mia migliore amica. È ricercato per omicidio. Sono venuti a interrogarmi. È un evaso.» Aveva perso completamente il controllo, tremava e singhiozzava cercando di dominare i nervi come l’attrice di una telenovela decisa a vincere l’Oscar per l’interpretazione più melodrammatica dell’anno. La cugina in carne e ossa, pensò Shadow, per niente colpito dall’esibizione.

Nessuno disse niente. Chad Mulligan lo guardava. «Probabilmente si tratta di un errore. Sono certo che riusciremo a chiarire tutto» disse. Poi, rivolto ai presenti: «Va tutto bene. Non preoccupatevi. Adesso risolviamo la questione. È tutto a posto». Rivolto a Shadow aggiunse: «Usciamo, Mike». Con calma e competenza. Shadow ne fu molto colpito.

«Certo» disse.

Si sentì sfiorare una mano e quando si girò vide che Sam lo guardava. Le sorrise nel modo più rassicurante possibile.

Lei guardò Shadow e le facce di tutti quelli che lo fissavano e poi si rivolse a Audrey Burton: «Io non ti conosco. Ma. Tu. Sei. Una. Stronza». Poi si alzò sulle punte, attirò Shadow a sé e lo baciò con trasporto, un bacio che a lui sembrò durare parecchi minuti, anche se in tempo reale potevano essere solo pochi secondi.

Uno strano bacio, pensò Shadow, con le labbra contro quelle di lei: non rivolto a lui ma alla gente nel bar, per far sapere a tutti che stava dalla sua parte. Era un bacio-dichiarazione d’intenti. Anche mentre lo baciava, lui era certo di non piacerle nemmeno, perlomeno non in quel modo.

Però gli tornò in mente una storia che aveva letto da bambino, tanto tempo prima: la storia di un viandante scivolato lungo un dirupo. Sopra c’erano le tigri mangiatrici d’uomini, e sotto il baratro fatale. L’uomo, aggrappato a un appiglio, si guarda intorno: lì accanto ci sono delle fragole, la morte lo attende in alto e in basso. Cosa deve fare? chiedeva l’indovinello.

E la risposta era: Mangiare le fragole.

Quand’era bambino gli era sembrata una storia senza senso. Adesso invece la capiva. Perciò chiuse gli occhi e si abbandonò al bacio dimenticando tutto eccetto le labbra di Sam e la morbidezza della sua pelle, dolce come una fragolina di bosco.

«Andiamo» lo esortò con fermezza Chad Mulligan. «Andiamo a parlarne fuori.»

Sam si ritrasse. Si passò la lingua sulle labbra e sorrise, un sorriso che quasi coinvolse anche gli occhi. «Non male» disse. «Baci bene per essere un maschio. D’accordo, andate a giocare fuori.» Poi si rivolse di nuovo a Audrey Burton: «Ma tu resti una grande stronza».

Shadow le lanciò le chiavi della macchina e Sam le prese al volo con una mano sola. Lui attraversò il locale e uscì seguito da Mulligan. Aveva cominciato a nevicare, fiocchi delicati che scendevano a spirale nella luce dell’insegna al neon. «Hai qualcosa da dirmi?» gli chiese il poliziotto.

Audrey li aveva seguiti fuori con l’aria di potersi rimettere a strillare da un momento all’altro. «Ha ucciso due uomini, Chad. Quelli dell’Fbi sono venuti a casa mia. È uno psicopatico. Vengo con te alla centrale, se vuoi.»

«Signora, lei ha già creato abbastanza guai» disse Shadow con una voce che risuonava stanca perfino alle sue stesse orecchie. «Se ne vada, per favore.»

«Hai sentito, Chad? Mi ha minacciato!»

«Torna dentro, Audrey» le disse Mulligan. Lei fu sul punto di obiettare, poi strinse le labbra con tanta forza da farle diventare bianche e rientrò nel bar.

«Vuoi dire qualcosa a proposito delle dichiarazioni di Audrey?»

«Non ho ucciso nessuno» rispose Shadow.

Chad annuì. «Ti credo. Sono sicuro che riusciremo a venirne a capo facilmente. Non mi vuoi creare dei problemi, vero, Mike?»

«No. È tutto un equivoco.»

«Esattamente» ribatté il poliziotto. «Quindi penso che la cosa migliore sia andare da me in ufficio e chiarire quello che c’è da chiarire.»

«Sono in arresto?»

«No. A meno che tu non voglia essere arrestato. Direi che potresti seguirmi per senso civico e insieme vedremo di capirci qualcosa.»

Chad lo perquisì e non gli trovò addosso armi. Salirono sulla macchina della polizia. Shadow dietro, ancora una volta, separato dalla barriera di metallo, sos pensò. Mayday. Aiuto. Cercò di influenzare la mente dell’altro, come aveva fatto una volta con un poliziotto a Chicago: Sono il tuo vecchio amico, Mike Ainsel. Mi hai salvato la vita. Non ti rendi conto che è un’assurdità? Perché non lasci perdere?

«Mi sembrava fondamentale tirarti fuori di lì» disse Chad. «Ci mancava che qualche trombone si mettesse a dire che Alison McGovern l’hai uccisa tu e ci ritrovavamo con un bel linciaggio da gestire.»

«Giusto.»

Restarono in silenzio per tutto il tragitto fino al comando di polizia che in realtà, spiegò Chad mentre parcheggiava, apparteneva al dipartimento dello sceriffo della contea. Loro ne occupavano poche stanze. La contea doveva far costruire entro breve qualcosa di più moderno, ma per il momento dovevano accontentarsi.

Entrarono.

«Devo chiamare un avvocato?» chiese Shadow.

«Non sei accusato di niente. Decidi tu.» Superarono alcune porte a vento. «Siediti là.»

Shadow si accomodò su una sedia di legno coperta di bruciature di sigaretta. Sì sentiva stupido, e stordito. Sulla bacheca degli annunci, accanto al cartello VIETATO FUMARE, c’era un piccolo manifesto con la scritta: CHI L’HA VISTA? La fotografia era quella di Alison McGovern.

C’era un tavolo di legno con qualche vecchia copia di "Sports IIlustrated" e "Newsweek". L’illuminazione era scarsa. Le pareti gialle in origine dovevano essere state bianche.

Dopo una decina di minuti Chad gli portò una cioccolata acquosa presa dal distributore automatico. «Cos’hai nel sacchetto?» chiese. E solo allora Shadow si accorse di stringere ancora la borsa di plastica con il Minutes of the Lakeside City Council.

«Un vecchio libro» disse. «C’è il ritratto di tuo nonno. O forse bisnonno.»

«Davvero?»

Shadow sfogliò le pagine e trovò il ritratto dei consiglieri comunali; indicò l’uomo che si chiamava Mulligan. Chad ridacchiò. «Roba da matti» esclamò.

Passarono i minuti e le ore, con lui chiuso in quella stanza. Lesse due numeri di "Sports Illustrated" e attaccò una copia di "Newsweek". Di tanto in tanto Chad veniva a chiedergli se aveva bisogno di andare al bagno, una volta gli offrì un panino al prosciutto e un sacchetto di patatine.

«Grazie. Sono in arresto, adesso?»

Mulligan strinse i denti e inspirò. «Be’, non ancora. A quanto pare non ti chiami veramente Mike Ainsel, però in questo stato uno può farsi chiamare come vuole, se non ha scopi illegali. Diciamo che sei in stato di fermo.»

«Posso fare una telefonata?»

«Urbana?»

«No.»

«Se usiamo la mia carta telefonica ti costerà meno, perché il telefono pubblico nell’ingresso si succhia dieci dollari come niente.»

Certo, pensò Shadow. Così saprai che numero ho chiamato e probabilmente ascolterai la telefonata da una derivazione.

«Molto gentile» disse. Entrarono in un ufficio deserto. Shadow diede a Chad il numero: era quello di un’impresa di pompe funebri di Cairo, Illinois. Chad lo compose e porse a Shadow il ricevitore. «Ti lascio da solo» disse e uscì.

Il telefonò suonò libero alcune volte, prima che qualcuno rispondesse.

«Jacquel Ibis. Dica, prego.»

«Buonasera, signor Ibis. Sono Mike Ainsel. A Natale ho lavorato qualche giorno da voi.»

Un momento di esitazione, poi: «Certamente, Mike. Come stai?».

«Non troppo bene, signor Ibis. Sono in un brutto guaio. Sto per essere arrestato. Speravo che lei avesse visto mio zio nei dintorni, o che magari potesse fargli avere un messaggio.»

«Posso sicuramente chiedere in giro. Aspetta in linea, Mike. C’è qui qualcuno che ti vorrebbe parlare.»

Il telefono venne passato a qualcuno e una voce di donna, roca, disse: «Ciao, bello. Ho sentito la tua mancanza».

Shadow era sicuro di non riconoscere la voce. Però sapeva chi era la donna. Non aveva dubbi…

Lascia che sia, gli sussurrò la voce roca nella mente, in un sogno. Abbandonati a me.

«Chi era la ragazza che stavi baciando, bello? Vuoi farmi ingelosire?»

«Siamo soltanto amici» rispose lui. «Credo che volesse dimostrare qualcosa. Come fai a sapere che mi ha baciato?»

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