La salvezza di Aka - Le guin Ursula Kroeber 2 стр.


Sutty guardò Tong Ov per vedere se le sue lagnanze lo annoiassero ma, nonostante stesse ancora cercando il file smarrito, sembrava che stesse ascoltando con vivo interesse. «Tutto audio, eh?» disse.

«A parte i manuali dell’Azienda, in pratica non c’è nulla di stampato, esclusi i testi per i sordi e i manualetti elementari che accompagnano i testi audio per gli scolari… La campagna contro le vecchie forme ideografiche è stata molto efficace, a quanto pare. Forse, a causa di essa, la gente ha paura di scrivere… diffida della scrittura in generale. Comunque, per quanto concerne la letteratura, sono riuscita a procurarmi solo nastri audio e quasiveri. Pubblicati dal Ministero Mondiale dell’Informazione e dal Ministero Centrale della Poesia e dell’Arte. Si tratta perlopiù di materiale educativo o informativo, e non di… be’, letteratura o poesia come le intendo io. Anche se molti quasiveri sono drammatizzazioni di problemi pratici o etici e relative soluzioni…» Si stava talmente sforzando di parlare in modo neutro, obiettivo, senza pregiudizi, che la sua voce era completamente atona.

«Sembra molto noioso» commentò Tong, continuando a esaminare file.

«Be’, mi sento apatica, credo di essere insensibile a questa estetica. È così politicizzata che… Certo, qualsiasi arte è politicizzata. Ma quando è tutto didascalico, quando ogni cosa è al servizio di un sistema di convinzioni, mi dà fastidio… voglio dire, oppongo resistenza. Ma cerco di non farlo. Forse, dal momento che fondamentalmente hanno cancellato la loro storia… Certo, era impossibile sapere che erano sull’orlo di una rivoluzione culturale, quando sono stata inviata qui… In ogni modo, per questo incarico di Osservatore toccato a me, forse è stato un errore scegliere una terrestre. Noi sulla Terra, infatti, stiamo vivendo il futuro di un popolo che ha rinnegato il proprio passato.»

Sutty s’interruppe di colpo, allibita per tutto ciò che aveva detto.

Tong si girò verso di lei, impassibile. Disse: «Non mi sorprende che tu abbia la sensazione di trovarti di fronte a un compito impossibile. Però mi serviva la tua opinione. Quindi quello che hai fatto è stato utile per me, anche se faticoso per te. Ci vuole un cambiamento». C’era un luccichio nei suoi occhi scuri. «Che ne dici di risalire il fiume?»

«Il fiume?»

«È l’espressione che usano qui per riferirsi a "un posto sperduto", vero? Ma in effetti io mi riferivo proprio all’Ereha.»

Quando Tong disse il nome, Sutty si ricordò che un grande fiume attraversava la capitale, in parte coperto, e talmente nascosto da edifici e banchine che lei non ricordava di averlo mai visto, se non sulle cartine.

«Intendi dire, uscire da Dovza City?»

«Sì» rispose Tong. «Fuori dalla città! E non in un’escursione guidata! Per la prima volta in cinquant’anni!» Era raggiante, come un bambino che tira fuori un regalo nascosto, una splendida sorpresa. «Sono qui da due anni, e ho presentato ottantuno richieste di inviare un membro del nostro gruppo fuori da Dovza City o Kangnegne o Ert. Richieste garbatamente respinte per ottanta volte, accompagnate dalla proposta dell’ennesima visita guidata per ammirare gli impianti del programma spaziale o le bellezze della primavera nelle Isole Orientali. Presento queste richieste per abitudine, di routine. E all’improvviso ne accolgono una! Sì! "Un membro del vostro gruppo è autorizzato a trascorrere un mese a Okzat-Ozkat." O è Ozkat-Okzat? È una piccola città nella regione pedemontana, lungo il fiume. L’Ereha nasce nella Grande Catena delle Sorgenti, a circa millecinquecento chilometri dalla costa. Ho chiesto quella regione, il Rangma, non aspettandomi affatto che accogliessero la richiesta. E invece l’hanno accolta!» Tong gongolava.

«Perché proprio là?»

«Ho sentito dire che là vive della gente che sembra interessante.»

«Una minoranza etnica?» chiese Sutty, speranzosa. Poco dopo il suo arrivo, quando aveva incontrato per la prima volta Tong Ov e gli altri due Osservatori attualmente a Dovza City, avevano discusso della massiccia monocultura che caratterizzava le grandi città di Aka, gli unici posti dove ai pochi extraplanetari ammessi su quel mondo fosse consentito vivere. Erano tutti convinti che la società akana avesse delle diversità, delle variazioni regionali, ed era frustrante non poterle scoprire.

«Una setta, credo, più che una minoranza etnica. Un culto. Forse, resti nascosti di una religione proibita.»

«Ah» disse Sutty, cercando di mantenere un’espressione interessata.

Tong era ancora alle prese con i file. «Sto cercando le poche informazioni che ho raccolto sull’argomento. Rapporti del Dipartimento Socioculturale sulle attività di culto antiscientifiche criminali rimaste. E anche qualche diceria e qualche storia. Riti segreti, camminare sul vento, cure miracolose, predizione del futuro. Il solito.»

Ereditare una storia di tre milioni di anni significava trovare ben poco che potesse definirsi insolito nel comportamento o nell’inventiva umana. Gli hainiani erano abituati a quel retaggio, ma per i loro vari discendenti era un onere gravoso sapere che avrebbero stentato parecchio a trovare qualcosa di nuovo, perfino di immaginario, sotto qualsiasi sole.

Sutty non disse nulla.

«Nel materiale inviato sulla Terra dai Primi Osservatori in missione qui su Aka» proseguì Tong «non c’era nulla che riguardasse le religioni?»

«Be’, dato che solo il rapporto linguistico è arrivato a destinazione intatto, per le informazioni su tutto il resto ci siamo dovuti accontentare del poco che siamo riusciti a dedurre dal lessico.»

«Tutte quelle informazioni dalle uniche persone che hanno avuto modo di studiare Aka liberamente… perse per un difetto di funzionamento» commentò Tong, mettendosi comodo sulla sedia e lasciando che il vaglio dei file si completasse automaticamente. «Che sfortuna! Sarà stato proprio un difetto di funzionamento?»

Come tutti i chiffewariani, Tong era totalmente calvo, un chihuahua, nel gergo di Valparaíso. Per mascherare il proprio aspetto insolito lì su Aka, dove la calvizie era assai rara, portava un cappello; ma dato che gli akani di rado lo portavano, forse Tong sembrava ancora più alieno col cappello che senza. Era un uomo garbato, alla mano, schietto, che cercava di mettere Sutty il più possibile a proprio agio; tuttavia era così discreto da risultare, in definitiva, distaccato. La sua riservatezza inviolabile non offriva alcuna intimità. Sutty era contenta che lui accettasse il suo riserbo. Finora, Tong aveva mantenuto il proprio. Ma la domanda che le aveva fatto le sembrò insincera. Tong sapeva sicuramente che la perdita di dati durante la trasmissione non era stata un incidente. Perché avrebbe dovuto spiegarglielo lei? Sutty aveva messo bene in chiaro che viaggiava senza bagaglio, come facevano gli Osservatori e i Mobili nello spazio da secoli. Non rispondeva del posto da cui la separavano ormai sessanta anni luce. Non era responsabile della Terra e del suo sacro terrorismo.

Il silenzio si protrasse, e alla fine Sutty disse: «L’ansible di Pechino è stato sabotato».

«Sabotato?»

Lei annuì.

«Dagli Unisti?»

«Verso la fine del regime ci sono stati attacchi contro la maggior parte delle installazioni dell’Ekumene e le zone protette. Le Riserve.»

«Ne hanno distrutte molte?»

Cercava di farla parlare. Di spingerla a raccontare. Sutty fu invasa dalla collera. Era furiosa. Aveva la gola serrata. Non disse nulla, perché era incapace di parlare.

Ci fu una pausa considerevole.

«Dunque, a parte il rapporto linguistico, non è arrivato nulla» disse Tong.

«Quasi nulla.»

«Che sfortuna!» ripeté con veemenza Tong Ov. «Che i Primi Osservatori fossero terrestri, e che quindi abbiano inviato il loro rapporto alla Terra invece che a Hain… un fatto non proprio insolito, ma comunque una disdetta. E una sfortuna anche peggiore, forse, che le trasmissioni via ansible provenienti dalla Terra siano giunte tutte a destinazione. Tutte le informazioni tecniche chieste dagli akani, che la Terra ha inviato, senza alcuna obiezione, senza alcuna restrizione… Perché? Perché i Primi Osservatori hanno consentito un intervento culturale così massiccio?»

«Forse loro non c’entrano. Forse sono stati gli Unisti a inviare le informazioni.»

«Perché gli Unisti avrebbero dovuto avviare la marcia verso le stelle di Aka?»

Sutty si strinse nelle spalle. «Proselitismo.»

«Cioè convincere gli altri a credere in quello in cui credevano loro? Il progresso tecnologico industriale era un elemento costitutivo della religione unista?»

Sutty si trattenne dall’alzare di nuovo le spalle.

«Allora, nel periodo in cui rifiutavano il contatto via ansible con gli Stabili su Hain, gli Unisti stavano… convertendo gli akani? Sutty, pensi che possano avere inviato qui dei… come li chiamate, voi?… dei missionari?»

«Non lo so.»

Tong non la stava sondando, non le tendeva trappole. Proseguiva con entusiasmo il proprio ragionamento, e cercava di indurre Sutty, una terrestre, a spiegargli cos’avevano fatto i terrestri e perché. Ma lei non voleva e non poteva spiegare, né parlare per gli Unisti.

Cogliendo il suo rifiuto di fare delle ipotesi, Tong disse: «Sì, sì, scusa. Certo, non eri in confidenza con i capi unisti! Ma, vedi, ho appena avuto un’idea… Se hanno davvero inviato dei missionari, e se in qualche modo hanno trasgredito i codici akani, capisci… questo potrebbe spiegare la Legge del Limite». Si riferiva all’annuncio improvviso, fatto cinquant’anni prima e applicato da allora, che solo quattro extraplanetari alla volta sarebbero stati ammessi su Aka, e soltanto nelle città. «E potrebbe spiegare la messa al bando della religione alcuni anni dopo!» Stava infervorandosi per quella teoria. Sorrise radioso, poi le chiese quasi supplichevole: «Non hai mai sentito parlare di un secondo gruppo mandato qui dalla Terra?».

«No.»

Tong Ov sospirò, si appoggiò allo schienale della sedia. Un minuto dopo, liquidò le proprie congetture con un lieve gesto della mano. «Siamo qui da settant’anni» disse «e non conosciamo che il lessico.»

Sutty si rilassò. Avevano lasciato la Terra, erano tornati su Aka. Era al sicuro. Parlò circospetta, ma con la scioltezza del sollievo. «Nel mio ultimo anno di addestramento, sono stati ricostruiti dei facsimile, utilizzando i documenti danneggiati. Immagini, alcuni frammenti di libri. Insufficienti, però, per estrapolare elementi culturali importanti. E dato che al mio arrivo lo Stato Azienda si era ormai affermato, non so nulla della situazione esistente prima. Non so nemmeno quando sia stata bandita la religione qui su Aka. Circa quarant’anni fa?» Udì la propria voce: conciliante, falsa, forzata. Sbagliato.

Tong annuì. «Trent’anni dopo il primo contatto con l’Ekumene. L’Azienda ha emanato il primo decreto che dichiarava illegali le pratiche e l’insegnamento religiosi. Nel giro di alcuni anni, sono state proclamate pene spaventose… Ma quel che è strano, quello che mi ha indotto a pensare che l’impulso possa essere stato di origine esterna, extraplanetaria, è la parola che usano per "religione".»

«Una parola di derivazione hainiana» annuì Sutty.

«Non esisteva una parola indigena? Ne conosci qualcuna?»

«No» rispose Sutty, dopo avere ripassato scrupolosamente non solo il proprio vocabolario dovzano, ma parecchie altre lingue akane che aveva studiato a Valparaíso. «Non ne conosco nemmeno una.»

Gran parte del lessico dovzano recente proveniva naturalmente dall’esterno, al pari delle tecnologie industriali; ma mutuare una parola straniera per indicare una istituzione indigena da dichiarare illegale? Strano davvero. E lei avrebbe dovuto accorgersene. Se ne sarebbe accorta, se non avesse ignorato la parola, la cosa, l’argomento, ogni volta che si presentava. Sbagliato. Sbagliato.

Tong adesso era un po’ agitato; il materiale che stava cercando era saltato fuori, finalmente, e doveva acquisirlo e decodificarlo col proprio noter. Ci volle un po’ di tempo. «Il sistema di microfile akano lascia abbastanza a desiderare» commentò, premendo un ultimo tasto.

«Tutto si guasta come programmato» disse Sutty. «È l’unica freddura akana che conosco. Purtroppo, è anche la verità.»

«Però pensa a cos’hanno realizzato in settant’anni!» L’inviato si mise comodo sulla sedia, divagando ciarliero, il cappello leggermente di traverso. «Giusto o sbagliato, a questa gente è stato dato il piano per realizzare una G86.» G86, nel gergo stenografico degli storici hainiani, indicava una società in fase di rapido progresso tecnologico industriale. «E loro hanno divorato le informazioni in un boccone. Hanno rifatto la loro cultura, hanno creato lo stato aziendale globale, hanno inviato un’astronave su Hain… tutto nell’arco di una vita umana! Gente sorprendente, davvero. Una compattezza e una disciplina sorprendenti!»

Sutty annuì rispettosa.

«Però dev’esserci stata qualche resistenza lungo il percorso. Questa ossessione antireligiosa… Anche se siamo stati noi a provocarla, assieme allo sviluppo tecnologico…»

Molto gentile da parte sua continuare a dire "noi", rifletté Sutty. Come se l’Ekumene fosse stato responsabile dell’ingerenza terrestre su Aka. Quello era l’elemento hainiano alla base del pensiero ekumenico: "Assumersi la responsabilità".

Intanto l’inviato proseguiva il proprio ragionamento. «I meccanismi di controllo sono così capillari ed efficaci che devono essere stati istituiti in risposta a qualcosa di molto forte, non credi? Se la resistenza allo Stato Azienda s’imperniava su una religione, una religione consolidata e diffusa, questo spiegherebbe la soppressione delle pratiche religiose da parte dell’Azienda. E il tentativo di creare un teismo nazionale come surrogato. Dio come Ragione, il Martello della Scienza Pura, e via dicendo. Nel cui nome distruggere i templi, vietare la predicazione. Che ne pensi?»

«Penso che sia comprensibile» rispose Sutty.

Forse non era la risposta che lui si aspettava. Rimasero in silenzio un minuto.

«La vecchia scrittura, gli ideogrammi» disse Tong. «Sai leggerli facilmente?»

«Non c’era nient’altro da imparare, durante l’addestramento. Era l’unica scrittura esistente su Aka, settant’anni fa.»

«Certo» convenne Tong, col disarmante gesto chiffewariano che significava: "Per favore, scusa questo idiota". «Sai, venendo da appena dodici anni luce di distanza, io ho imparato solo la scrittura moderna.»

«A volte mi sono chiesta se sono l’unica persona su Aka in grado di leggere gli ideogrammi. Una straniera, un’extraplanetaria. Sicuramente, non sono l’unica.»

«Sicuramente, no. Anche se i dovzani sono gente metodica. Sono così metodici che quando hanno bandito la vecchia scrittura hanno anche distrutto sistematicamente tutto quanto era scritto nei vecchi caratteri… poesie, drammi, filosofia, storia. Proprio tutto, secondo te?»

Sutty ricordò lo smarrimento crescente delle sue prime settimane a Dovza City: la sua incredulità di fronte al contenuto misero e insulso di quelle che chiamavano "biblioteche", il muro cieco contro cui si scontravano tutti i suoi tentativi di ricerca, quando credeva ancora che da qualche parte dovesse esserci qualche traccia della letteratura di un mondo intero.

«Anche adesso, se trovano libri o testi, li distruggono» disse. «Uno dei dipartimenti principali del Ministero della Poesia è il Dipartimento per la Localizzazione dei Libri. Trovano i libri, li sequestrano, e li mandano al macero per trasformarli in materiale per l’edilizia. Materiale isolante. I vecchi libri sono chiamati "macerabili". Una donna che lavorava in quella sezione mi ha detto che l’avrebbero trasferita a un altro dipartimento perché non c’erano più macerabili nella regione di Dovza. Era pulita, ha detto. Purificata.»

Sentì una nota di irritazione sempre più netta nella propria voce. Distolse lo sguardo, cercò di allentare la tensione che le irrigidiva le spalle.

Tong Ov rimase calmo. «Un’intera storia andata perduta, spazzata via, come in seguito a una terribile calamità» disse. «Straordinario!»

«Nulla di così insolito» fece lei, molto contratta… Sbagliato. Mosse di nuovo le spalle, inspirò ed espirò una volta, e parlò con deliberata pacatezza. «Le poche poesie e immagini akane ricostruite al Centro Comunicazioni Ansible sulla Terra sarebbero illegali, qui. Ne avevo delle copie nel mio noter. Le ho cancellate.»

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