Arrivò la breve risposta di Tong Ov: uno stampato, ricevuto da un ufficio della Prefettura Distrettuale e consegnatole a mano, dopo una verifica del suo braccialetto con il codice d’identità, da un fattorino in divisa. "Osservatore Sutty Dass: Considera la tua vacanza l’inizio di un viaggio di istruzione. Continua la ricerca e la registrazione delle osservazioni personali come ritieni opportuno."
Il Controllore era sistemato! Sorpresa ed esultante, Sutty uscì a guardare la vetta impennacchiata del Silong e a riflettere su dove iniziare.
Nella mente, aveva raccolto innumerevoli cose da approfondire: gli esercizi di meditazione; le porte con la decorazione della nuvola, che aveva trovato in tutta la città, sempre imbiancate o dipinte con altri colori; le iscrizioni nei negozi; le metafore dell’albero che continuava a sentire quando si parlava di cibo o di salute o di qualsiasi argomento relativo al corpo; l’esistenza possibile di libri proibiti; l’esistenza certa di una rete d’informazione, più discreta di quella elettronica e non controllata dall’Azienda, una rete che permetteva alla gente di tutta la cittadina di tenersi sempre in contatto e di essere sempre informata, per esempio circa Sutty: chi era, dov’era, cosa voleva. Sutty vedeva quella consapevolezza negli occhi delle persone che incrociava per strada, dei negozianti, degli scolari, delle vecchie che zappavano nei piccoli orti, dei vecchi seduti al sole sui barili agli angoli delle strade. Non l’avvertiva come un’intromissione, era come se camminasse tra linee sottilissime che la guidavano; non erano vincoli, limitazioni, bensì rassicurazioni. Che al suo arrivo non avesse varcato la soglia di Iziezi o del Fecondatore per puro caso, adesso le sembrava probabile, sebbene non sapesse spiegare la cosa, e gradito, sebbene non sapesse perché.
Ora che era libera, decise di tornare nella bottega del Fecondatore. Raggiunse la parte alta della cittadina, cominciò a salire la ripida stradina. A metà percorso, s’imbatté nel Controllore.
Non dovendo più preoccuparsi di obbedirgli o di evitarlo, lo guardò come l’aveva guardato la prima volta durante il viaggio sul fiume, non come l’oggetto del controllo burocratico guarda il burocrate, ma umanamente. Il Controllore aveva schiena dritta e bei lineamenti, anche se l’ambizione, l’ansia, l’autorità, avevano reso la sua faccia dura e tesa. Nessuno nasceva così, rifletté Sutty. Non esistevano bambini arcigni. Magnanima, lo salutò: «Buongiorno, Controllore!».
Il tono allegro e sciocco della propria voce le risuonò negli orecchi. Sbagliato, sbagliato. Per lui, un saluto simile era una provocazione bell’e buona. Il Controllore rimase in silenzio, fronteggiandola.
Quindi si schiarì la voce e disse: «Mi è stato ordinato di annullare la richiesta che ti avevo fatto di informare il mio ufficio dei tuoi contatti e dei tuoi spostamenti. Dato che tu non avevi aderito, ho cercato di sorvegliarti a scopo protettivo. Mi hanno comunicato che ti sei lamentata di questo. Ti chiedo scusa per qualsiasi disturbo o disagio causato da me o dal mio personale».
Il suo tono era gelido e cupo, ma aveva una certa dignità, e Sutty, vergognandosi, disse: «No… mi dispiace, io…».
«Ti avverto» proseguì il Controllore, ignorandola, con un tono di voce più intenso, «qui ci sono persone che intendono servirsi di te per i loro scopi. Non sono resti pittoreschi di un’epoca passata. Non sono innocue. Sono malvage. Sono la feccia di un veleno mortale… la droga che ha stordito il mio popolo per diecimila anni. Cercano di trascinarci di nuovo in quella paralisi, in quella barbarie assurda. Anche se forse sono gentili con te, ti avverto, sono crudeli. Per loro sei una preda. Ti lusingheranno, ti insegneranno cose false, ti prometteranno miracoli. Sono i nemici della verità, della scienza. La loro cosiddetta conoscenza è farneticamento, superstizione, poesia. Le loro pratiche sono illegali, i loro libri e i loro riti sono proibiti, e tu lo sai. Non mettere la mia gente nella posizione spiacevole di scoprire una scienziata dell’Ekumene in possesso di materiale illegale, che partecipa a riti turpi e vietati. Ecco cosa ti chiedo… come scienziata dell’Ekumene…» Aveva cominciato a balbettare, alla ricerca delle parole giuste.
Sutty lo guardò, trovando la sua agitazione grottesca, snervante. Replicò seccamente: «Non sono una scienziata. Studio poesia. E non c’è bisogno che tu mi venga a parlare dei danni che la religione può provocare. Li conosco».
«No» fece il Controllore, stringendo e aprendo i pugni. «Non li conosci… Non sai nulla di cosa eravamo un tempo. Dei nostri grandi progressi. Non torneremo mai alla barbarie.»
«E tu sai qualcosa del mio mondo?» ribatté Sutty incredula, sprezzante. Poi le sembrò che quella conversazione fosse del tutto inutile e desiderò solo allontanarsi da quel fanatico. «Ti assicuro che nessun rappresentante dell’Ekumene s’intrometterà negli affari akani a meno che non gli venga chiesto espressamente di farlo.»
Lui la fissò e disse con straordinaria veemenza: «Non tradirci!».
«Non ho la minima intenzione…»
Il Controllore volse il capo, in un gesto di diniego o di dolore. Poi, di colpo, passò oltre, e proseguì lungo la strada.
Sutty provò nei suoi confronti un impeto di odio che la spaventò.
Si girò e riprese a camminare, dicendosi che avrebbe dovuto provare compassione per lui. Era sincero. Come la maggior parte dei fanatici. Quello sciocco, stupido e arrogante, che cercava di dirle che la religione era pericolosa! Ma stava solo ripetendo come un pappagallo la propaganda dovzana. Cercava di spaventarla, arrabbiato perché i suoi superiori l’avevano fatto apparire colpevole. Non potendo controllare lei, esasperato, aveva perso il controllo di se stesso. Non era assolutamente il caso di pensare più a lui.
Continuò a percorrere la salita, diretta al negozietto, per chiedere al Fecondatore cos’erano le porte con la nuvola, il motivo per cui era uscita.
Quando entrò nel negozio, la stanza alta e buia con le pareti coperte di parole le sembrò appartenere a una realtà del tutto diversa. Rimase immobile un minuto, lasciando che quella realtà diventasse sua. Guardò l’iscrizione: "Nella discesa della nube scura dal cielo l’albero-lampo biforcuto cresce dalla terra".
L’elegante vasetto donatole dal Fecondatore recava un motivo che sulle prime le era parso un arbusto o un albero stilizzato, poi però si era resa conto che avrebbe potuto trattarsi di una variante dell’immagine della nuvola sulle porte doppie. Aveva schizzato il motivo del vaso. Quando il Fecondatore spuntò dai reconditi recessi oscuri della bottega, Sutty posò lo schizzo sul banco e chiese: «Per favore, yoz, sai dirmi cos’è questo motivo?».
Lui osservò il disegno. Con voce fievole e stridula, commentò: «È un disegno molto grazioso».
«È preso dal vasetto che mi hai donato. Ha un significato? Significa qualcosa d’importante?»
«Perché me lo chiedi, yoz?»
«M’interessano le cose vecchie. Le vecchie parole, le vecchie usanze.»
Il Fecondatore la fissò con occhi velati dall’età, e non disse nulla.
«Il vostro governo» Sutty usò la vecchia parola, biedins, "sistema di funzionari", invece del termine moderno vizdestit, "impresa collettiva" o "azienda"… «il vostro governo, lo so, preferisce che la gente impari nuove usanze, non si soffermi sul passato.» Usò ancora il vecchio termine per dire "gente", non riyingdutey, "produttori-consumatori". «Ma agli storici dell’Ekumene interessa tutto quello che i mondi membri hanno da insegnare, e noi crediamo che una conoscenza proficua del presente abbia radici nel passato.»
Il Fecondatore ascoltò, affabile, impassibile.
Sutty proseguì decisa: «Mi è stato chiesto, dal mio superiore nella capitale, di scoprire il più possibile su alcune vecchie usanze che là non esistono più, le arti e le credenze e le tradizioni che regnavano su Aka prima che la mia gente venisse qui. Un Controllore Socioculturale mi ha assicurato che il suo dipartimento non ostacolerà i miei studi». Pronunciò l’ultima frase con un certo piacere vendicativo. Era ancora scossa, irritata, dopo lo scontro con il Controllore. Ma la quiete di quel luogo, la penombra, i vaghi odori, le antiche scritte parzialmente visibili, le facevano sembrare quell’episodio qualcosa di remoto.
Una pausa. L’indice magro del vegliardo si mosse sopra il disegno che lei aveva fatto. «Non vediamo le radici» disse il Fecondatore.
Sutty ascoltò.
«Il tronco dell’albero» proseguì lui, indicando l’elemento del disegno che, in un edificio, era la porta a due battenti. «I rami e il fogliame dell’albero, la chioma di foglie.» Indicò la "nuvola" a cinque lobi sopra il tronco. «Questo è anche il corpo, vedi, yoz…» Si toccò le anche e i fianchi, si batté leggermente la testa con un movimento come di foglie delle dita, e sorrise brevemente. «Il corpo è il corpo del mondo. Il corpo del mondo è il mio corpo. Così, dunque, l’uno fa due.» Le sue dita mostrarono il punto in cui il tronco si divideva. «E i due generano ognuno tre rami, che si ricongiungono, dando cinque.» Le dita si spostarono sui cinque lobi del fogliame. «E dai cinque nasce la miriade, le foglie e i fiori che muoiono e ritornano, ritornano e muoiono. Gli esseri, le creature, le stelle. L’essere che si può descrivere. Però non vediamo le radici. Non possiamo vederle, descriverle.»
«Le radici sono nella terra…?»
«La montagna è la radice.» Il Fecondatore fece un bellissimo gesto solenne, unendo in punta il dorso delle mani e formando così con le dita una vetta, poi toccandosi il petto sul cuore.
«La montagna è la radice» ripeté Sutty. «Questi sono misteri.»
Lui tacque.
«Non puoi dirmi altro? Parlami del due, e del tre, e del cinque, yoz.»
«Per parlare di queste cose è necessario molto tempo, yoz.»
«Ho tutto il tempo necessario per ascoltare, non devo fare altro. Però non voglio far perdere tempo a te, né disturbarti. Né chiederti di dirmi cose che non vuoi dirmi, cose che è meglio tenere segrete.»
«Tutto è tenuto segreto, adesso» commentò il Fecondatore con quella sua vocetta flebile. «Eppure è tutto in bella vista.» Si girò, e guardò le file di cassettini e le pareti sopra gli armadi interamente coperte di parole, incantesimi, poesie, formule. Adesso, agli occhi di Sutty, gli ideogrammi non si espandevano e non si contraevano, non respiravano, ma rimanevano immobili sui muri alti immersi nella penombra. «Ma per molti non sono parole, sono solo vecchi graffi, scarabocchi. Così la polizia li lascia stare… Al tempo di mia madre, tutti i bambini sapevano leggere. Potevano iniziare a leggere la storia. La narrazione non è mai cessata. Nelle foreste e sulle montagne, nei villaggi e nelle città, narravano la storia, la narravano a voce alta, la leggevano a voce alta. Eppure era tutto segreto anche allora. Il mistero dell’inizio, delle radici del mondo, le tenebre. La fine, yoz. Dove è il principio.»
Così iniziò l’istruzione di Sutty. Anche se in seguito lei concluse che in realtà era iniziata quando, seduta al tavolinetto nella propria stanza in casa di Iziezi, aveva sentito per la prima volta il sapore di quel cibo sulla lingua.
Uno degli storici di Darranda diceva: "Imparare una credenza senza credere è come cantare una canzone senza melodia".
Sottomettersi, obbedire, essere disposti ad accettare quelle note come le note giuste, quel modello come il modello vero, ecco il gesto essenziale per eseguire, tradurre, comprendere. Il gesto non doveva essere permanente, un atteggiamento mentale o spirituale duraturo; tuttavia non era falso. Era qualcosa di più della sospensione dell’incredulità necessaria per assistere a una commedia, ma era qualcosa di meno di una conversione. Era una posizione, una postura nella danza. Gli insegnanti di Sutty, provenienti da molti mondi e radunati nella città di Valparaíso, in Cile, le avevano insegnato questo, e lei non aveva motivo di mettere in discussione i loro insegnamenti.
Era andata su Aka per imparare a cantare la canzone di quel mondo, a ballare la sua danza; e finalmente, secondo lei, lontano dal rumore incessante della città, stava cominciando a sentire la musica e a imparare a muoversi al ritmo di quella musica.
Un giorno dopo l’altro, registrò i propri appunti, osservazioni confuse che si contraddicevano, approfondivano, rivedevano, ipotizzavano, un’abbondanza caotica di informazioni su ogni sorta di argomento, una mappa disordinata e frammentaria che malgrado la sua complessità rappresentava solo uno schizzo approssimativo di un angolo dell’immensità che lei doveva esplorare: un modo di pensare e di vivere sviluppato ed elaborato nel corso di migliaia di anni dalla grande maggioranza degli esseri umani di quel mondo, un enorme sistema interdipendente di simboli, metafore, corrispondenze, teorie, cosmologia, cucina, callistenia, fisica, metafisica, metallurgia, medicina, fisiologia, psicologia, alchimia, chimica, calligrafia, numerologia, erboristeria, alimentazione, leggende, parabole, poesia, storia e racconti.
In quell’immensa foresta vergine mentale, Sutty cercò sentieri e segni, istituzioni che potessero essere descritte, idee che potessero essere definite. Evitò d’istinto i grandi concetti nebulosi e cercò elementi tangibili, come l’architettura. Gli edifici di Okzat-Ozkat con la doppia porta che rappresentava l’Albero una volta erano templi, "umyazu", una parola adesso bandita, cancellata. Le parole cancellate erano utili segnalazioni di sentieri che avrebbero potuto indicare la strada da seguire in quell’area selvaggia. "Tempio" era la traduzione migliore? Cosa accadeva nell’umyazu?
Be’, le avevano risposto, la gente un tempo andava là e ascoltava.
Cosa?
Oh, be’, le storie, ecco.
Chi raccontava le storie?
Oh, i maz. Vivevano là. Alcuni di loro.
Sutty dedusse che gli umyazu dovevano essere stati delle specie di monasteri, di chiese, e molto simili a biblioteche: luoghi dove dei professionisti raccoglievano e conservavano i libri e la gente andava a imparare a leggerli, a sentirli leggere. Nelle aree più ricche, c’erano stati grandi e prosperi umyazu, dove la gente si recava in pellegrinaggio per vedere i tesori della biblioteca e "sentire la Narrazione". Quelli erano stati tutti distrutti, abbattuti o fatti saltare, tranne il più vecchio e famoso, la Montagna d’Oro, molto lontano, a oriente.
Da un quasivero ufficiale che aveva seguito con partecipazione totale quando era a Dovza City, Sutty sapeva che la Montagna d’Oro era stata trasformata in un Sito Aziendale per il culto del Dio della Ragione: un culto artificiale che esisteva solo in quel centro turistico e in certi slogan e vaghe dichiarazioni dell’Azienda. Prima, comunque, la Montagna d’Oro era stata sventrata. Il quasivero mostrava scene di libri che venivano tolti da un grande archivio sotterraneo per mezzo di macchine, enormi pale che li ammassavano su camion ribaltabili come fossero immondizia, scavatrici che li spingevano a mucchi in una discarica. Chi seguiva il quasivero con la realtà virtuale prendeva parte alle operazioni di una di quelle macchine, mentre una musica vivace e allegra suonava come sottofondo. Sutty aveva fermato il quasivero a metà della scena, e aveva scollegato le connessioni corporee della realtà virtuale dall’apparecchio. In seguito, aveva guardato e ascoltato i quasiveri dell’Azienda senza più parteciparvi direttamente, anche se ricollegava i moduli errevi ogni giorno, quando lasciava la sua cabina di ricerca al Ministero Centrale della Poesia e dell’Arte.
Tali ricordi la inducevano a provare una certa solidarietà nei confronti di quella religione, ammesso che ciò che stava studiando fosse una religione, ma la cautela e la diffidenza bilanciavano il suo punto di vista. Lei doveva evitare i giudizi e le teorie, attenersi all’evidenza e all’osservazione, ascoltare e registrare quanto le dicevano.
Malgrado fossero tutte cose bandite, illecite, la gente ne parlava liberamente, rispondeva fiduciosa alle sue domande. Sutty non ebbe difficoltà a scoprire gli schemi e i cicli annuali e perenni di feste, digiuni, indulgenze, astinenze, celebrazioni. Quei riti, che in generale sembravano simili alle pratiche della maggior parte delle religioni che conosceva, adesso erano naturalmente segreti, nascosti, oppure inseriti in modo così complesso e discreto nel tessuto della vita comune che i Controllori del Dipartimento Socioculturale non erano in grado di indicare una particolare azione e dire: "Questo è proibito".