L'ultima volta che era riuscita a stare un po' da sola era successo nella cabina passeggeri dell'ariaplano inviato dal Gatay per condurla da Voe Deo oltre l'oceano. Sulla pista d'atterraggio le era venuta incontro una delegazione di preti e ufficiali del re e del consiglio, maestosi nei loro colori rossi, marroni e turchesi, ed era stata portata al palazzo, dove per ore non si poteva ruttare e ti toccava fare molti inchini: una presentazione alla sua piccola e raggrinzita maestà, presentazioni ai sommi Muckamuck e ai Lord Hooziwhat, discorsi, un banchetto, tutto assolutamente prevedibile, nessun problema, neanche nel caso dell'incomprensibile, gigantesco fiore fritto che s'era ritrovata sul piatto durante il banchetto. Ma accanto a lei, fin dal primo momento sulla pista d'atterraggio e per ogni istante successivo, ci furono due uomini, che si tenevano discretamente di fianco e alle spalle, oppure molto vicini: erano la sua guida e la sua guardia.
La guida, che di nome faceva San Ubattat, le era stata assegnata dai suoi ospiti del Gatay. Naturalmente lui faceva la spia per il governo, ma era una spia molto cortese, le spianava sempre la strada mostrandole con un piccolo cenno quello che doveva fare e le gaffe da evitare, ed era anche un linguista eccellente, pronto a tradurre appena lei ne aveva bisogno. San era a posto, ma la guardia era tutt'altra faccenda.
Le era stata affidata dagli ospiti dell'Ekumene su questo mondo, il potere dominante su Werel, la grande nazione voedeana. Lei aveva protestato immediatamente presso la sua ambasciata di Voe Deo, dicendo che non ne aveva bisogno e non voleva una guardia del corpo. Nessuno nel Gatay le voleva del male, e anche se così fosse stato avrebbe preferito pensarci da sola. L'ambasciatore sospirò. Ci dispiace, disse, è già deciso, quello rimane. Voe Deo è militarmente presente nel Gatay, che dopotutto è uno stato cliente in condizione di dipendenza economica. È nell'interesse di Voe Deo proteggere il governo legittimo del Gatay contro le sette terroriste locali, e tu vieni protetta come uno dei loro interessi, quindi non possiamo biasimarli.
Sapeva che era meglio non discutere con l'ambasciatore, ma non riuscì lo stesso a rassegnarsi al maggiore, il cui grado, rega, lei aveva tradotto nella parola arcaica maggiore grazie a una vignetta che aveva visto su Terra. Il maggiore della storiella era un pallone gonfiato, un'uniforme impagliata coperta di medaglie e decorazioni, che sbuffava e si pavoneggiava e comandava, e alla fine scoppiava in mille pezzi. Se solo anche questo maggiore fosse saltato per aria! Non che si pavoneggiasse, per l'esattezza, o che comandasse in modo esplicito. Era duro ma gentile, silenzioso come un sasso, rigido e freddo come il rigor mortis. Ben presto Solly desistette da ogni tentativo di parlargli. Qualunque cosa lei dicesse, lui rispondeva sissignora o nossignora, con l'ottusità subitanea di un uomo che non ascolta e non ascolterà mai, un ufficiale ufficialmente incapace di umanità. Lui stava assieme a Solly in ogni occasione pubblica, giorno e notte, per strada, nei negozi, durante gli incontri con uomini d'affari e con ufficiali, nelle visite di piacere, a corte, nel pallone aerostatico sopra le montagne, ovunque… ovunque tranne che a letto.
E neanche a letto riusciva a restare da sola come le sarebbe piaciuto. Di notte la guardia del corpo se ne andava a casa, ovvio, ma nella stanza accanto dormiva la cameriera, un regalo di sua maestà, la sua proprietà privata.
Ricordava l'incredulità provata quando per la prima volta aveva imparato quella parola, tanti anni prima, in un testo sulla schiavitù. «Su Werel i membri della classe dominante sono chiamati possidenti, i membri della classe servile sono chiamati proprietà. Solo i possidenti vengono chiamati uomo e donna, le proprietà sono chiamati schiavo e schiava.»
E così ecco cos'era adesso, la proprietaria di una proprietà. Non si restituisce né si rifiuta il regalo di un re. La sua proprietà si chiamava Rewe. Rewe era probabilmente pure lei una spia, anche se era difficile crederlo. Era una donna bellissima, dignitosa, di pochi anni più vecchia di Solly e quasi della stessa sfumatura di colore della pelle, anche se Solly era d'un marrone rosato mentre Rewe era d'un marrone azzurrognolo. Le palme delle sue mani erano di un delicato colore azzurrino. Le maniere di Rewe erano squisite, aveva tatto, era astuta e aveva un istinto infallibile nel capire quando era desiderata e quando non lo era. Solly naturalmente la trattava come una sua pari, dopo averle detto sin dall'inizio che lei non credeva che gli esseri umani avessero diritto di dominarne altri, né tanto meno possederli, che non le avrebbe impartito nessun ordine e che sperava di poter diventare amica sua. Purtroppo Rewe l'accettò come una nuova serie di ordini. Sorrise e disse di sì. Era assolutamente condiscendente. Qualsiasi cosa Solly dicesse o facesse, veniva assorbita in quella accettazione e andava perduta, lasciando Rewe immutata: una presenza fisica attenta e obbediente, gentile ma distaccata. Lei sorrideva e diceva sempre di sì. E rimaneva inattaccabile.
Solly cominciò a convincersi, dopo l'eccitazione dei primi giorni nel Gatay, che aveva bisogno di Rewe, aveva veramente bisogno di lei come donna con cui parlare. Non c'era modo di conoscere o incontrare le altre donne possidenti, che vivevano rintanate "in casa", così si diceva, cioè nei loro quartieri, i beza. Tutte le donne schiave, tranne Rewe, erano proprietà di altre persone, perciò non le era possibile parlarci. Incontrava solo uomini. Ed eunuchi.
Anche che un uomo scambiasse volontariamente la sua virilità per un minimo di rango sociale era stato difficile da credere, ma lei aveva incontrato a più riprese degli uomini del genere alla corte di re Hotat. Nati proprietà, sfuggivano alla schiavitù per diventare eunuchi e spesso venivano elevati a posizioni di potere e fiducia fra i loro proprietari. L'eunuco Tayandan, maggiordomo della servitù del palazzo, dava ordini persino al re, un sovrano che non governava ma era solo una figura di rappresentanza nel consiglio. Il quale consiglio era costituito da vari tipi di Lord, ma solo un ordine di preti, i Tualiti. Solo le proprietà veneravano Kamye, e la religione originaria del Gatay era stata soppressa allorché la monarchia era diventata Tualita, circa cent'anni prima. Se c'era una cosa che le dava veramente fastidio su Werel, a parte la schiavitù e il predominio sessuale, era la religione. Le canzoni su Madonna Tual erano bellissime, le sue statue e i grandi templi nel Voe Deo erano anch'essi splendidi e l'Arkamye sembrava una storia interessante, anche se alquanto prolissa, ma quella mortale ipocrisia, l'intolleranza, la stupidità dei preti, le dottrine spaventose che giustificavano ogni crudeltà nel nome della fede! Ma in realtà, si chiedeva Solly, c'era forse qualcosa che le piacesse veramente su Werel?
E si rispondeva subito: mi piace, mi piace. Mi piacciono questo piccolo sole strano e abbagliante e tutti quei frammenti di luna e le montagne che si innalzano come pareti di ghiaccio e la gente, gente con occhi neri senza il bianco, simili a occhi di animale, occhi come vetro scuro, come acqua scura, misteriosi. Voglio amarli, voglio conoscerli, voglio raggiungerli!
Doveva purtroppo ammettere che quei pisciasotto dell'ambasciata avevano ragione su una cosa: a Werel era duro essere una donna. Non si sentiva a suo agio da nessuna parte. Andava in giro da sola, aveva una posizione pubblica e quindi era una contraddizione in termini. Le donne per bene se ne stavano a casa, invisibili. Solo le schiave andavano in giro per strada o incontravano sconosciuti o lavoravano in pubblici impieghi. Lei si comportava come una proprietà, non come un possidente, e tuttavia era una persona assai importante, un Nunzio dell'Ekumene. Il Gatay desiderava molto unirsi all'Ekumene e non offendere i suoi inviati. Così gli ufficiali, i funzionari di corte e gli uomini d'affari con cui trattava per conto dell'Ekumene facevano del loro meglio e la trattavano come se fosse un uomo.
La finzione non era mai completa e spesso si rompeva subito. Il povero vecchio re la palpeggiò coscienziosamente, sotto la vaga impressione che Solly fosse una delle sue scaldaletto. Quando Solly contraddisse Lord Gatuyo in una discussione, lui la fissò con lo sconcerto di un uomo rimbrottato dalla propria scarpa. Quello là finora l'aveva creduta una donna, ma in generale la negazione del genere sessuale funzionava, permettendole di lavorare con loro. Così Solly cominciò a sentirsi a proprio agio e parte del gioco, facendo in modo che Rewe l'aiutasse a creare vestiti che somigliassero a quelli che indossavano i possidenti maschi del Gatay, ed evitando tutto quanto fosse specificamente femminile. Rewe era una sarta veloce e industriosa. I pantaloni aderenti, pesanti e lucidi, erano pratici ed eleganti, le giacche ricamate erano splendidamente calde. A lei piaceva indossarle, ma si sentiva desessualizzata da quegli uomini che non la volevano accettare per quel che era. Aveva proprio bisogno di confidarsi con una donna.
Cercò di incontrare attraverso i mariti alcune delle donne possidenti che vivevano rintanate, ma si scontrò contro un muro di gentilezza privo di porta, senza nemeno uno spioncino. Ma che bella idea, organizzeremo sicuramente una visita quando il tempo sarà migliore! Sarebbe fantastico se l'inviata potesse far visita a Lady Mayoyo e alle mie figlie, ma queste stupide ragazze provinciali sono così timide… sono sicuro che capirà. Oh, certo, certo, un giro dei giardini interni, ma non in questo momento che le vigne non sono in fiore! Dobbiamo aspettare che le vigne siano in fiore!
Non c'era nessuno con cui parlare, nessuno, finché non incontrò Batikam, il makil.
Fu un evento: una troupe in tournée dal Voe Deo. Nella piccola capitale montana del Gatay non c'era molto da fare per quanto riguardava i divertimenti, tranne qualche spettacolo di danza – solo ballerini, naturalmente – e le fesserie sdolcinate che venivano fatte passare per commedie sulla rete di Werel. Solly s'era sorbita con cocciutaggine qualcuno di quei quadretti, sperando di farsi un'idea della vita "domestica" locale, ma non riusciva a sopportare quelle vergini svenevoli che morivano d'amore mentre gli eroi altezzosi e stupidi, che per giunta assomigliavano tutti al maggiore, morivano nobilmente in battaglia, e Tual la Misericordiosa si sporgeva dalle nuvole sorridendo sulla loro morte con i suoi occhi leggermente strabici che mostravano il bianco, segno di divinità. Solly si era accorta che gli uomini di Werel non si sintonizzavano mai sul canale delle commedie. Ora sapeva perché. Ma i ricevimenti a palazzo, le feste in suo onore date dai vari Lord e uomini d'affari erano molto noiose, sempre solo uomini, perché non avrebbero accettato le schiave in presenza del Nunzio. Non poteva nemmeno civettare con gli uomini più carini, dal momento che non poteva ricordargli che erano uomini, visto che allora quelli si sarebbero ricordati che lei era una donna e non si comportava come una signora. L'eccitazione era decisamente scemata quando arrivò la troupe dei makil.
Chiese a San, consigliere affidabile in fatto di etichetta, se sarebbe stato opportuno presenziare allo spettacolo. Lui tergiversò, ma alla fine, con una gentilezza più untuosa del solito, le fece capire che non ci sarebbe stato nulla di male, a patto che si vestisse da uomo. «Le donne, sa, non si mostrano in pubblico, ma a volte vogliono vedere gli attori. Lady Amatay era solita accompagnare Lord Amatay vestita con gli abiti del marito, tutti gli anni. Lo sapevano tutti, ma nessuno ha mai detto niente, sa. Per una persona importante come lei non ci dovrebbero essere problemi, nessuno avrà da ridire. Tutto bene, allora. Naturalmente io verrò con lei, e anche il Rega viene con lei. Come due amici, no? Sa, tre amici che vanno a divertirsi, ah! ah!»
Ah! ah! fece lei obbediente. Che spasso! Ma vale la pena di vedere i makil, pensò.
Non comparivano mai nelle varie reti. Le ragazze chiuse in casa non potevano vedere le loro rappresentazioni, alcune delle quali, come le disse San in tono serio, erano piuttosto sconvenienti. Recitavano solo nei teatri. Pagliacci, ballerini, prostitute, attori, musicisti, i makil formavano una specie di sottoclasse, le uniche proprietà che non erano possedute personalmente. Uno schiavo di talento comperato al suo proprietario dalla Corporazione del Divertimento diventava quindi una proprietà aziendale, che gli insegnava il mestiere e badava a lui per il resto della sua vita.
Andarono a piedi fino al teatro, sei o sette strade più in là. Solly si era dimenticata che i makil erano tutti travestiti, e infatti non se lo ricordò neanche quando li vide per la prima volta, una truppa di ballerini alti e snelli che ballavano sul palco con la precisione, la forza, la grazia di grandi uccelli che roteavano a stormi. Stette a guardare senza pensare, rapita dalla loro bellezza fino a che improvvisamente la musica cambiò e i pagliacci entrarono in scena, neri come la notte, neri come i possidenti, indossando delle gonne fantasiose con strabilianti petti sporgenti pieni di gioielli, cantando con vocette da deliquio. «Oh, non mi violentare per favore, gentil signore, no, non ora!» Sono uomini, sono uomini! Finalmente Solly se ne accorse, e già rideva a tutto spiano. Prima che finisse il numero di Batikam, un meraviglioso monologo drammatico, lei era già diventata una sua ammiratrice. «Lo voglio incontrare,» disse a San nell'intervallo. «Quell'attore, Batikam.»
San assunse l'espressione vacua di chi sta pensando come riuscirci, guadagnandoci anche un po' di soldi. Ma il maggiore, che stava in guardia come sempre, rigido come un palo, girò appena la testa per dare un'occhiata a San. L'espressione di San cominciò a cambiare.
Se la proposta di Solly fosse stata un po' fuori dalla norma, San gliel'avrebbe fatto capire. Quel pallone gonfiato del maggiore la stava semplicemente controllando, cercando di tenerla al guinzaglio come se fosse una delle sue donne. Era tempo di sfidarlo. Si girò verso di lui e lo fissò dritto negli occhi. «Rega Teyeo,» gli disse, «capisco che ti hanno ordinato di tenermi sotto controllo. Ma se dai degli ordini a San o a me, devono essere impartiti ad alta voce e devono essere giustificati. Non mi farò manovrare dai tuoi battiti di palpebra o dai tuoi capricci.»
Ci fu una pausa di durata considerevole, una pausa veramente deliziosa e appagante. Era difficile capire se l'espressione del maggiore fosse cambiata. Le luci soffuse del teatro non evidenziavano i dettagli della sua faccia nera bluastra, ma c'era qualcosa di raggelato nella sua immobilità che le rivelò di essere riuscita a bloccarlo. Alla fine lui disse, «Ho il compito di proteggerla, Nunzio».
«Devo temere i makil? È forse poco opportuno che un inviato dell'Ekumene si congratuli con un grande artista di Werel?» Ancora quel silenzio glaciale. «No,» disse lui.
«Allora ti chiedo di accompagnarmi dietro le quinte, dopo lo spettacolo, per parlare con Batikam.»
Un cenno rigido. Rigido, pomposo e sconfitto. Uno a zero per me! pensò Solly, e si adagiò tutta allegra sulla sedia per ammirare le danze erotiche, i pittori con le luci e la scenetta curiosamente commovente con cui finì la serata. Era in versi arcaici, difficili da capire, ma gli attori erano tanto belli e le loro voci così dolci che lei scoprì di avere le lacrime agli occhi senza sapere perché.
«È un peccato che i makil attingano sempre dall'Arkamye» disse San compiaciuto, con bigotta disapprovazione. Non era un possidente di alta classe, e infatti non possedeva alcuna proprietà, però era sempre un possidente, un Tualita bigotto, e gli piaceva ricordarselo. «Delle scene dalle Incarnazioni di Tual sarebbero più adatte per questo tipo di pubblico.»
«Sono sicura che sarete d'accordo, Rega» disse lei, crogiolandosi nella propria ironia.
«Niente affatto,» replicò il maggiore con una gentilezza così inespressiva che dapprima lei non capì che cosa avesse detto. Poi Solly dimenticò tutto nel trambusto, mentre cercava la maniera di entrare dentro le quinte e nei camerini degli attori.