La falce dei cieli - Le guin Ursula Kroeber 3 стр.


— Adesso?

— Perché, dovremmo aspettare qualcosa?

— Ma non posso addormentarmi alle quattro e mezza del pomeriggio… — cominciò, e subito si accorse di avere detto una sciocchezza. Haber stava già cercando qualcosa nel cassetto (stipato e disordinatissimo) della scrivania, e l’istante dopo gli tese un modulo: il Consenso all’Ipnosi, richiesto dal Controllo Sanitario. Orr prese la penna che Haber gli porgeva, appose la propria firma e poi appoggiò il foglio sul piano della scrivania, con aria di sottomissione.

— A posto. Benissimo. Ora, mi dica una cosa, George. Il suo dentista usa un ipnonastro, oppure è uno di quelli che preferiscono fare le cose da sé?

— Nastro. Sono al grado 3 della scala di suggestionabilità.

— Giusto nel mezzo del grafico, eh? Bene, perché la suggestione che riguarda il contenuto del sogno possa funzionare, ci occorre una trance piuttosto profonda. Non vogliamo una trance ipnotica, ma un vero stato di sonno; l’Aumentore si occupa di fornircelo, ma desideriamo essere sicuri che la suggestione ipnotica giunga in profondità. Perciò, invece di perdere ore a condizionarla a entrare in una trance profonda, useremo l’induzione vago-carotidea. Mai vista praticare?

Orr scosse il capo. Pareva leggermente preoccupato, ma non fece obiezioni. C’era una caratteristica di passività, di sottomissione, in lui, che sembrava quasi femminile o infantile, addirittura. E Haber riconosceva in sé una reazione protettiva-prepotente verso questo paziente così arrendevole e cosi fisicamente minuto. Assumere nei suoi riguardi un atteggiamento di dominanza, di paternalismo, era talmente facile da risultare quasi irresistibile.

— Sa, io uso quasi sempre quella. È veloce, priva di pericoli, sicura: è il metodo migliore per indurre l’ipnosi, quello che arreca meno fastidi, sia al medico che al paziente. — Quasi certamente, Orr doveva avere udito storie truculente di pazienti che subivano lesioni cerebrali o che addirittura morivano a causa di induzioni v-c troppo prolungate o praticate empiricamente, e anche se tali paure, nella presente sede, erano irragionevoli, Haber doveva mostrarsi comprensivo e cercare di spegnerle sul nascere, per evitare che Orr opponesse resistenza all’induzione ipnotica. Per questo gli recitò tutta la storiella, descrivendogli prima i cinquant’anni di vita del metodo vago-carotideo, e poi abbandonando l’argomento dell’ipnosi per parlare ancora del sonno e del sogno, in modo da allontanare l’attenzione di Orr dalle tecniche d’induzione e riportarla allo scopo che desiderava raggiungere con tali tecniche. — Il varco che dobbiamo superare, vede, è il golfo che separa la condizione di veglia o di trance ipnotica dalla condizione fisiologica in cui si sogna. Questo golfo ha un nome comune: sonno. Sonno normale, stato-s, sonno non-REM (sonno privo di movimenti oculari rapidi), chiamiamolo come vogliamo. Ora, parlando in generale, gli stati in cui si può írovare la mente e che hanno rilevanza per noi sono quattro: veglia, trance, sonno-s e stadio-d, cioè stadio onirico. Se li osserviamo dal punto di vista dei processi psichici, lo stato-s, lo stadio-d e lo stato di ipnosi hanno qualcosa in comune; tanto il sonno quanto il sogno e la trance mettono in libertà le attività del subcosciente, dell’inconscio: tendono a impiegare quello che chiamiamo «pensiero per processo primario», così detto in contrapposizione al processo «secondario», cioè i processi mentali razionali, quelli dello stato di veglia. Ma ora guardiamo come si presentano le registrazioni elettroencefalografiche dei quattro stati. Nei grafici vediamo che quelli che hanno qualcosa in comune sono lo stadio-d, la trance e la veglia, mentre lo stato-s, o sonno, è profondamente diverso. E inoltre non si può passare direttamente dalla trance al vero sogno dello stadio-d. Tra i due deve intervenire lo stato-s. Normalmente, noi entriamo nello stadio-d quattro o cinque volte per notte, ogni 60-90 minuti, e ci rimaniamo per circa un quarto d’ora ogni volta. Per tutto il resto del tempo siamo in una qualsiasi delle condizioni del sonno normale, non-REM. E in questa condizione facciamo anche dei sogni, ma non si tratta di sogni vividi: nel sonno-s, l’attività mentale è come un motore che gira in folle al minimo, una specie di confuso brontolio di immagini e di pensieri. Noi invece vogliamo, adesso, i sogni vividi, memorabili, carichi di emozione dello stadio-d. E con l’ipnosi e l’Aumentore cercheremo di averli, superando il golfo cronologico e neurofisiologico del sonno e tuffandoci rapidamente nel sogno. E per questo lei dovrà accomodarsi sul divano. Il mio campo di ricerche è stato inaugurato da pionieri come Dement, Aserinsky, Berger, Oswald, Hartmann ecc., ma il divano ci arriva direttamente da Nonno Freud. Noi però lo usiamo per dormirci sopra: cosa che non troverebbe certamente d’accordo Freud! Ora, ciò che le chiedo, tanto per cominciare, è semplicemente questo: si sieda tranquillamente sul bordo del divano. Ecco, così va bene. Dovrà rimanerci per un certo tempo, le conviene mettersi comodo. Lei diceva di avere provato l’autoipnosi, vero? Eccellente. Faccia pure, usi le tecniche che impiegava allora. Respiri profondamente. Conti fino a dieci mentre inspira, trattenga il fiato fino a cinque; bene, ottimo. Adesso la prego di fissare il soffitto, proprio al di sopra della sua testa. Così. Bene.

Mentre Orr, sempre obbedientissimo, alzava il capo per fissare il soffitto, Haber, che si era messo al suo fianco, allungò rapidamente la mano sinistra e gliela appoggiò con decisione, premendo col pollice e il medio, dietro le orecchie, un po’ più in basso; nello stesso tempo, con il pollice e il medio della destra, esercitò una forte pressione sulla pelle nuda della gola, presso l’attaccatura della barba soffice e bionda, dove decorrono il nervo vago e l’arteria carotide. Sentì la pelle liscia e cedevole sotto le dita; notò l’istintivo movimento di sorpresa e di protesta, poi vide chiudersi gli occhi chiari. Provò un certo sentimento di piacere nel contemplare la propria abilità, il dominio istantaneo del paziente: tutto ciò mentre mormorava rapidamente, in tono pacato: — Ora lei sta per addormentarsi; chiude gli occhi, dorme, si rilassa, lascia che la mente si svuoti; lei sta per addormentarsi, è rilassato, disteso; si addormenta, si distende…

E Orr cadde all’indietro sul divano, come un uomo colpito a morte da una fucilata: la destra gli crollò al fianco.

Haber subito si chinò su di lui, continuando a premere leggermente la mano sui centri nervosi e senza mai fermare il tranquillo, insistente flusso dei suggerimenti ipnotici. — Adesso lei è in trance: non addormentato, ma in una profonda trance ipnotica, e non si sveglierà e non ne uscirà fino a quando non glielo ordinerò io. Lei è adesso in trance, e la trance continua ad approfondirsi; ma può ancora ascoltare la mia voce e seguire le mie istruzioni. Da questa seduta in poi, ogni volta che io, semplicemente, le toccherò la gola, come faccio ora, lei entrerà immediatamente nella trance ipnotica. — Ripeté queste istruzioni, poi seguitò: — Adesso, quando le dirò di aprire gli occhi, lei lo farà, e vedrà una sfera di cristallo sospesa in aria, davanti a lei. Desidero che la osservi con attenzione; mentre la osserverà, lei continuerà a immergersi nella trance, sempre più profondamente. Apra adesso gli occhi, sì, bene, e mi dica quando vede la sfera di cristallo.

Gli occhi chiari, che ora fissavano in modo strano, interiore, si fermarono su un punto indeterminato dell’aria, oltre Haber. — Adesso — mormorò l’uomo ipnotizzato, con un filo di voce.

— Ottimo. Continui a fissarla e a respirare regolarmente; presto la sua trance sarà molto profonda.

Haber lanciò un’occhiata in direzione della scrivania. Tutta la faccenda aveva richiesto un paio di minuti. Eccellente; non gli piaceva sprecar tempo con i mezzi: arrivare ai fini desiderati era la cosa importante. Mentre Orr, steso sul divano, continuava a fissare la sua immaginaria sfera di cristallo, Haber si raddrizzò e cominciò a infilargli sul capo la cuffia modificata, a toglierla e a rimetterla, accomodando i minuscoli elettrodi perché fossero a contatto con il cuoio capelluto, in mezzo alla massa di capelli sottili, color castano chiaro. Continuava anche a parlare in tono pacato, ripetendo le frasi della suggestione ipnotica e rivolgendogli, di tanto in tanto, qualche domanda di poco conto, per assicurarsi che non scivolasse nel sonno e non interrompesse il rapporto medianico. Quando la cuffia fu a posto, Haber accese lo schermo EEG, e rimase per qualche momento a osservarlo, per capire che tipo di cervello aveva sotto esame.

Otto degli elettrodi erano collegati con l’elettroencefalogramma; nell’interno della macchina, otto pennini tracciavano una registrazione permanente dell’attività elettrica cerebrale. Sullo schermo osservato da Haber, gli impulsi venivano riprodotti direttamente, sotto forma di tremolanti linee spezzate, bianche su fondo grigio. Poteva isolarne una, o sommarle tra loro, a volontà. Era una scena che non lo stancava mai: il Cinematografo Aperto Tutta la Notte, lo Spettacolo Continuato, lo Show 24 Ore su 24.

Non c’era nessuna delle cuspidi sigmoidi che cercava, e che spesso caratterizzano le personalità schizoidi. Nel quadro complessivo dei tracciati non c’era nulla di inconsueto, tranne la sua diversità. Un cervello di tipo semplice produce dei tracciati relativamente semplici e si accontenta di ripetere quelli; ma questo cervello non era affatto semplice. Le sue pulsazioni elettriche erano diversificate e complesse, e le ripetizioni non erano né frequenti né assolutamente identiche. Il calcolatore dell’Aumentore le poteva analizzare, ma Haber, finché non avesse visto i risultati dell’analisi, non poteva isolare dal quadro nessun fattore specifico, salvo la sua stessa complessità.

Dando al paziente l’ordine di non vedere più la sfera di cristallo e di chiudere gli occhi, Haber ottenne quasi immediatamente un tracciato di onde alfa, forti e chiare, a 12 cicli. Continuò a interessarsi ancora un po’ dei tracciati, compiendo registrazioni per il calcolatore, saggiando la profondità dell’ipnosi, e infine disse: — Adesso, John… — No, perdiana, come si chiamava il paziente? — George. Adesso lei si addormenterà, tra un minuto. Si addormenterà profondamente, e sognerà; ma non si addormenterà finché io non pronuncerò la parola «Anversa»; quando io la pronuncerò, lei si addormenterà, e dormirà finché io non pronuncerò per tre volte il suo nome. Però, mentre dormirà, lei farà un sogno: un bel sogno. Un sogno solo, chiaro e piacevole. Non un brutto sogno: un sogno piacevole, ma molto chiaro, molto vivido. E dovrà ricordarlo al suo risveglio. Il sogno riguarderà… — esitò per un istante; non si era preparato su questo punto, aveva fatto affidamento sull’ispirazione. — Riguarderà un cavallo. Un grosso cavallo baio che galoppa in un campo. Che corre davanti a lei. Forse lei sarà in sella, forse lei cercherà di fermarlo, o forse si limiterà a osservarlo. Ma il cavallo deve essere l’argomento del sogno. Un sogno vivido e… — (qual era la parola usata dal paziente?) — ed efficace, che riguarderà un cavallo. Dopo il cavallo, lei non dovrà sognare altro; quando ripeterò tre volte il suo nome lei si sveglierà e si sentirà calmo e riposato. Adesso io la faccio dormire pronunciando… la parola… Anversa.

Con obbedienza, le piccole linee danzanti sullo schermo cominciarono a cambiare. Si rafforzarono e rallentarono; presto i «fusi» dello stadio 2 del sonno cominciarono a moltiplicarsi, seguiti dai primi accenni dei ritmi delta, lunghi e profondi, dello stadio 4. E come i ritmi cerebrali, così cambiava anche la gravosa materia abitata da quella energia danzante: le mani erano rilasciate sul torace pulsante, il volto era immobile e lontano.

L’Aumentore disponeva già di una completa serie di registrazioni dei tracciati di quel cervello nello stato di veglia; ora registrava e analizzava i tracciati del sonno-s; presto avrebbe raccolto i primi tracciati del sonno-d del paziente, e fin da questa prima seduta, da questo primo sogno, sarebbe stato capace di ritrasmetterli al cervello dormiente, amplificando le sue emissioni. Forse stava già facendolo. Haber aveva previsto di dover attendere, ma la suggestione ipnotica, sommata al fatto che il paziente era reduce da un lungo periodo di semi-privazione di sogni, lo avevano fatto entrare immediatamente nello stadio-d: appena raggiunto lo stadio 2, le curve cominciarono a risalire. Sullo schermo, il tracciato lentamente sinuoso prese a scuotersi qui e là, occasionalmente; tremolò ancora; si fece più rapido e riprese a danzare, assumendo un ritmo veloce e non sincronizzato. Ora la regione del ponte era entrata in attività, e il tracciato prelevato dall’ippocampo mostrava un ciclo di 5 secondi: il ritmo theta, che prima, nel paziente, non si era mostrato in modo chiaro. Le dita si mossero leggermente; gli occhi, dietro le palpebre chiuse, si agitarono, attenti; le labbra si schiusero per un profondo respiro. Il dormiente sognava.

Erano le 5 e 6 minuti.

Alle 5 e 11, Haber schiacciò il grosso pulsante nero che recava la scritta SPENTO, sul quadro dei comandi dell’Aumentore. Alle 5 e 12, vedendo riapparire i fusi e le alte punte del sonno-s, si piegò sul paziente e pronunciò con chiarezza il suo nome, tre volte.

Orr sospirò, allargò il braccio in un gesto largo e incontrollato, spalancò gli occhi e si destò. Haber gli staccò la cuffia dal cuoio capelluto con pochi, abili gesti. — Si sente bene? — chiese, in tono amichevole e sicuro di sé.

— Sì.

— E inoltre ha sognato. Ma questo è tutto ciò che posso dirle. Può raccontarmi il sogno?

— Un cavallo — si affrettò a dire Orr, ancora stordito per la brusca uscita dal sonno. Si rizzò a sedere. — Un sogno che riguardava un cavallo. Quel cavallo lì — e indicò la riproduzione fotografica murale, grossa come tutta la parete, che decorava l’ufficio di Haber: la fotografia del famoso stallone Tammanny Hall, lanciato al galoppo in una radura erbosa.

— E cosa faceva, il cavallo, nel sogno? — chiese Haber, compiaciuto. Non si era aspettato che l’ipnosuggestione riuscisse a influenzare così chiaramente il contenuto del sogno, dato che si trattava del primo rapporto ipnotico con quel paziente.

— Il cavallo… no, io; attraversavo il prato, e all’inizio il cavallo era lontano da me, lo vedevo nella distanza. Poi si è precipitato al galoppo nella mia direzione, e io a un certo punto ho capito che mi avrebbe travolto. Tuttavia non avevo paura. Probabilmente pensavo di riuscire ad afferrare la briglia, o di potergli salire in groppa e cavalcarlo. Sapevo che in realtà non avrebbe potuto farmi del male, perché era il cavallo della fotografia, e non un cavallo vero. Era una specie di gioco… Dottor Haber, mi scusi, ma non le sembra che quella fotografia abbia qualcosa di… strano?

— Be’, qualcuno la giudica un po’ eccessiva per l’ufficio di uno psicologo, un po’ opprimente. Un simbolo sessuale, formato naturale, proprio di fronte al divano! — E rise.

— C’era già, un’ora fa? Voglio dire, non c’era forse il panorama di Monte Hood, quando io sono entrato… prima che sognassi il cavallo?

Oh Cristo era davvero Monte Hood il tizio aveva ragione

Non era Monte Hood non poteva essere Monte Hood era un cavallo era un cavallo

Era una montagna

Era un cavallo era un cavallo era un cavallo…

Fissava George Orr a occhi sbarrati, stupefatto, e dovevano essere passati vari secondi dalla domanda; non poteva farsi sorprendere così, doveva ispirare fiducia, e sapeva come rispondere.

— George, a quanto le dice la sua memoria, la fotografia della parete era il panorama di Monte Hood?

— Sì — fece Orr, col suo tono triste, ma risoluto. — Certo. Era Monte Hood. Con la neve.

— Mmmm -annuì con imparzialità, meditabondo. Il terribile brivido di gelo che aveva provato alla bocca dello stomaco era passato.

— Perché, lei ricorda qualcosa di diverso?

Gli occhi di quell’uomo, dal colore così indefinibile, eppure così chiari e diretti nel guardare: erano gli occhi di uno psicotico.

— No, mi spiace dirlo, ma la risposta è no. È Tammanny Hall, il vincitore dei tre Premi nell’ottantanove. Sento la mancanza delle corse, è una vergogna che per i nostri problemi alimentari abbiano dovuto eliminare le specie inferiori. Naturalmente, un cavallo è un clamoroso anacronismo, ma la fotografia mi piace; ha vigore, forza… la totale realizzazione della propria personalità sotto forma di un animale. È una specie di ideale di ciò che lo psichiatra vuole ottenere, in termini psicologici umani; un simbolo. Ad esso mi sono ispirato nel suggerirle il contenuto del sogno: ovviamente, mi era caduto l’occhio sulla fotografia… — Haber lanciò un’occhiata di traverso alla riproduzione. Certo, che era un cavallo. — Comunque, mi ascolti: se vuole sentire anche l’opinione di una terza persona, possiamo chiedere a Miss Crouch: lavora con me da due anni.

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