La falce dei cieli - Le guin Ursula Kroeber 4 стр.


— Dirà che era un cavallo — fece Orr, in tono calmo ma dolente. — Lo è sempre stato. Dopo il mio sogno. Era un cavallo. Ho creduto che forse, visto che era stato lei a suggerirmi il sogno, forse anche lei, come me, poteva conservare il doppio ricordo. Ma ora vedo che non è affatto così. — E i suoi occhi, che ora non fissavano più in basso, si puntarono nuovamente su Haber con la loro chiarezza, la loro carica di sopportazione, la loro tranquilla e disperata richiesta di aiuto.

Quell’uomo era malato. Bisognava curarlo. — Vorrei che lei tornasse da me, George. Domani, se le è possibile.

— Be’, il lavoro…

— Si faccia dare un’ora di permesso, e venga da me alle quattro. Lei è in Terapia Volontaria. Lo comunichi al suo capufficio, e non provi nessun falso pudore nel dirglielo. Prima o poi, l’82 per cento della popolazione finisce in Terapia Volontaria, per non parlare del 31 per cento che finisce in quella obbligatoria. Quindi, venga da me alle quattro, e riprenderemo a lavorare insieme. Otterremo certamente dei buoni risultati, lo sa anche lei. Per ora, eccole una ricetta per del meprobamato: terrà un po’ in sordina i suoi sogni, ma senza eliminare lo stadio-d. Può richiedere all’automatico una nuova dose ogni tre giorni. Se le succede di fare un sogno, o qualsiasi altra esperienza, che la spaventa, telefoni a me, giorno e notte. Ma non credo che le possa succedere, se prende il meprobamato; e se è disposto a lavorare seriamente con me, in poco tempo potrà fare a meno dei farmaci. Risolveremo tutto questo suo problema dei sogni, lo metteremo sul tappeto, in chiaro. D’accordo?

Orr prese la ricetta su scheda perforata. — Sarebbe un enorme sollievo — disse. Sorrise: un sorriso un po’ sforzato, infelice, ma con una sfumatura ironica. — Ah, a proposito del cavallo… — fece.

Haber, che lo superava di tutta la testa, lo fissò.

— Mi ricorda lei — disse Orr.

Haber lanciò subito un’occhiata alla riproduzione. Era vero. Grosso, robusto, irsuto, color castano rossiccio, lanciato su di te al galoppo…

— Forse — chiese, in tono simpatico e perspicace, — il cavallo del sogno assomigliava a me?

— Certo, le assomigliava — disse il paziente.

Quando Orr fu uscito, Haber si sedette e rimase a fissare un po’ allarmato la riproduzione fotografica di Tammanny Hall. Davvero, era troppo grossa per l’ufficio. Accidenti, perché non si poteva permettere un ufficio con una vera finestra!

CAPITOLO TERZO

Coloro che sono aiutati dal Cielo sono da noi chiamati figli del Cielo. Essi non imparano attraverso lo studio. Essi non elaborano mediante il lavoro. Essi non ragionano servendosi della ragione. Arrestare la comprensione a ciò che non può essere compreso è un grande conseguimento. Chi non saprà farlo verrà distrutto dalla Falce dei Cieli.

Chuang Tse: XXIII

George Orr lasciò l’ufficio alle 3 e mezza e si diresse alla stazione del metrò; a piedi, perché non possedeva un’auto. Forse, risparmiando, si sarebbe potuto permettere una VW a vapore e relativa tassa di circolazione, ma a che scopo? Il centro era un’isola pedonale, ed egli abitava proprio laggiù. Aveva preso la patente, ancora negli anni ’80, ma non aveva mai acquistato un’auto. Prese la linea di Vancouver fino a Portland. I vagoncini erano già affollatissimi; fu costretto a viaggiare senza potersi tenere a maniglie o mancorrenti, sostenuto solamente dalla pressione ugualizzatrice dei corpi umani che lo premevano da tutti i lati: ogni tanto i suoi piedi perdevano il contatto con il fondo della vettura ed egli veniva sollevato in aria, quando la forza di affollamento (simboleggiata da a) superava quella di gravità (g). L’uomo accanto a lui, che teneva in mano il giornale, per tutto il viaggio non riuscì ad abbassare il braccio e dovette rimanersene immobile, con la faccia immersa nella pagina sportiva. Il titolo «GRANDE SCIOPERO INTERVENTISTA AL CONFINE AFGANO» e il sottotitolo «Minaccia di intervento» fissarono Orr negli occhi per sei fermate. Poi il proprietario del giornale riuscì a conquistare l’uscita e venne sostituito da un paio di pomidoro in un contenitore di plastica verde, proprietà di una vecchia signora in impermeabile di plastica verde, la quale gli rimase sul piede sinistro per le ultime tre fermate.

Orr guadagnò l’uscita alla fermata di Est Broadway, e si fece strada per quattro isolati attraverso la folla crescente degli impiegati che uscivano dall’ufficio, fino a raggiungere la East Tower Willamette: un colonnone di vetro e cemento armato, brutto e pretenzioso, che lottava con l’ostinazione di un vegetale per rubare alla giungla di edifici similari che lo stringevano d’assedio la luce e l’aria. Ben poco di entrambe giungevano al livello del suolo, e quel poco era caldo e pieno di una fine acquerugiola. Per la città di Portland, la pioggia era un’antica tradizione, ma il caldo — 25 °C al 2 di marzo — era un fenomeno moderno, un effetto dell’inquinamento atmosferico. Gli effluvi urbani e industriali non erano stati messi sotto controllo in tempo, e le tendenze cumulative che erano già all’opera alla metà del ventesimo secolo non si erano mai invertite; sarebbero occorsi vari secoli perché l’anidride carbonica in eccesso sparisse dall’aria, ammesso che lo facesse. New York era una delle maggiori perdite dovute all’Effetto Serra, perché le calotte polari continuavano a sciogliersi e il livello del mare ad alzarsi; in realtà tutte le coste erano in pericolo. Tuttavia, c’era anche qualche vantaggio. La Baia di S. Francisco aumentava di livello, e avrebbe finito col ricoprire le varie centinaia di chilometri quadrati di terra di riporto e di spazzatura che vi erano stati gettati a partire dal 1848. Per quanto riguardava Portland, separata dal mare da un centinaio di chilometri e dalla Catena Costiera, non era minacciata dall’acqua che saliva: soltanto da quella che scendeva dal cielo.

Nell’Oregon occidentale era sempre piovuto, ma ora vi pioveva incessantemente; una pioggia continua e calda. Era come vivere sotto un eterno scroscio di brodaglia tiepida.

Le «Città Nuove» — Umatilla, John Day, French Glen — erano state costruite a est delle Cascate, in una zona dove trent’anni prima c’era il deserto. In estate, laggiù, faceva un caldo spaventoso, ma le precipitazioni atmosferiche erano soltanto 1350 mm l’anno, mentre a Portland si arrivava fino a 2900 mm. Era possibile praticare l’agricoltura intensiva: il deserto fioriva. Oggi French Glen aveva una popolazione di 7 milioni di anime. Portland, con i suoi 3 milioni e nessun potenziale per la crescita, era stata lasciata indietro dalla Marcia del Progresso. Per Portland era storia vecchia, ma che differenza faceva? La denutrizione, il sovraffollamento e un crescente deterioramento ambientale erano la norma. Nelle Vecchie Città erano in aumento lo scorbuto, il tifo e l’epatite; nelle Città Nuove la delinquenza organizzata, la criminalità e gli omicidi. I topi spadroneggiavano nelle une, la Mafia nelle altre. George Orr rimaneva a Portland perché ci era sempre vissuto e perché non aveva motivo di credere che la vita in un altro posto potesse essere migliore, o anche soltanto diversa.

Miss Crouch, con un sorriso privo d’interesse, lo fece entrare immediatamente. Orr avrebbe detto che gli uffici degli psichiatri, come le tane di coniglio, avevano sempre due porte: una d’ingresso e una d’uscita, ma quello di Haber aveva una porta sola. Però Orr dubitava che i pazienti corressero il rischio di scontrarsi mentre entravano e uscivano da lì. Alla Clinica Universitaria gli avevano detto che il dottor Haber teneva soltanto un numero limitato di pazienti, dato che, essenzialmente, era un ricercatore. Questo gli aveva fatto pensare a una persona affermata e un po’ ritirata, e il comportamento gioviale e sicuro del medico gli aveva confermato tale convinzione. Ma oggi, meno nervoso, si accorse di vari particolari che non aveva notato. L’ufficio non dava l’impressione cuoio e acciaio cromato caratteristica del successo finanziario, né l’impressione stracci e provette del disinteresse scientifico; il rivestimento delle poltrone e del divano era in vinile, la scrivania era un tavolo metallico con rivestitura in laminato plastico imitazione legno. Nulla, lì dentro, era genuino. Il dottor Haber, grosso, capigliatura folta e rossiccia, denti bianchi, esclamò con un gran vocione: — Buon giorno!

La cordialità non era fasulla, ma era esagerata. Il calore umano, l’espansività di quell’uomo erano veri, ma anch’essi avevano un rivestimento in laminato plastico di manierismo professionale, erano distorti dall’uso non spontaneo che il medico faceva della propria persona. Orr avvertì in lui un desiderio di farsi apprezzare e una bramosia di rendersi utile; il dottore, si disse, non era veramente certo che esistessero altre persone all’infuori di lui, e, aiutandole, voleva dimostrare la loro esistenza. Gridava «Buon giorno!» a voce così alta perché non era mai sicuro di ricevere una risposta. Orr desiderava scambiare qualche frase in tono amichevole, ma non gli pareva che qualcosa di personale fosse adatto; disse: — Pare che l’Afghanistan voglia entrare in guerra.

— Mmm, i giornali continuano a parlarne dal mese di agosto. — Avrebbe dovuto immaginarselo: il dottore era meglio informato di lui, sugli affari internazionali; Orr, di solito, era informato a metà, e le sue conoscenze erano vecchie di tre settimane. — Non credo che la cosa preoccupi gli Alleati — intanto continuava a dire Haber, — a meno che non trascini il Pakistan dalla parte iraniana. In questo caso l’India dovrà dare all’Isregitto qualcosa di più del sostegno verbale che dà loro attualmente. — Era la denominazione data dai commentatori politici alla recente alleanza tra Israele e Nuova Repubblica Araba. — Secondo me, il discorso fatto a Delhi da Gupta mostra che si sta preparando a questa eventualità.

— Si allarga — disse Orr, che si sentiva scoraggiato e fuori posto. — La guerra, voglio dire.

— Perché, la preoccupa?

— Lei no?

— Irrilevante — disse il dottore, sorridendo con quel suo sorriso largo e irsuto, animalesco: una sorta di grande orso totemico; ma era ancora allarmato per la seduta del giorno precedente.

— Be’, io me ne preoccupo. — Haber non si era guadagnato quella risposta, ma chi interroga non può rifiutarsi di rispondere assumendo una posizione di obiettività, come se le risposte fossero degli oggetti. Orr tuttavia non espresse a voce queste considerazioni; era nelle mani del medico, e certo lui sapeva il fatto suo.

Orr aveva la tendenza a dare per scontato che gli altri sapessero sempre il fatto loro: forse perché egli, di solito, dava per scontato di non sapere il proprio.

— Dormito bene? — chiese Haber, accomodandosi a sedere sotto lo zoccolo posteriore sinistro di Tammanny Hall.

— Benissimo, grazie.

— Ha voglia di fare un’altra visita al Palazzo dei Sogni? — Lo stava sorvegliando attentamente.

— Certo, sono qui per questo, credo.

Vide Haber alzarsi e avvicinarsi a lui aggirando la scrivania, vide la grossa mano che si accostava al suo collo, e poi più nulla.

— … George…

Il suo nome. Chi lo chiamava? Non conosceva la voce. Terra asciutta, aria asciutta, il fragore di una voce estranea nelle sue orecchie. La luce del giorno, e nessuna direzione. Nessun modo di ritornare indietro. Si destò.

La stanza quasi familiare; l’uomo grosso, anch’egli quasi familiare, con la voluminosa chioma rossiccia, la barba tra il rosso e il castano, il sorriso chiaro e gli occhi scuri e opachi. — Sull’EEG pareva un sogno breve, ma assai vivace — disse la voce profonda. — Vediamo di cosa si trattava. Prima si racconta il sogno, più viva e completa è la descrizione.

Orr si rizzò a sedere: si sentiva un po’ stordito. Era sul divano, ma come ci era arrivato? — Ecco. Non era molto lungo. Di nuovo il cavallo. Me lo ha detto lei, di sognare di nuovo il cavallo, mentre ero sotto ipnosi?

Haber scosse il capo, in un modo che non indicava né sì né no; non disse nulla.

— Ecco, questa era una stalla. Questa stanza. C’era della paglia, una mangiatoia, un forcone nell’angolo e così via. Il cavallo era nella stalla. E…

Il silenzio pieno di attesa di Haber non permetteva evasioni.

— E ha fatto questa enorme pila di sterco. Marrone, fumante. Sterco equino. Il mucchio assomigliava un po’ a Monte Hood, con quella piccola gobba sulla parte nord e tutto il resto. Copriva tutto il tappeto, e stava per cascarmi addosso, così mi sono detto: «Ma no, è soltanto la fotografia della montagna.» Poi credo di essermi svegliato.

Orr alzò gli occhi e guardò dietro il dottor Haber, sulla parete alle sue spalle, dove c’era una fotografia col panorama di Monte Hood.

Era uno spettacolo sereno in un modo silenzioso, con una certa pretesa artistica: il cielo grigio, la montagna color marrone chiaro e un po’ rossastra, con qualche traccia di neve accanto alla cima e il primo piano indistinto, formato da cime di alberi.

Il dottore non stava guardando la riproduzione. Stava osservando Orr con quel suo sguardo cupo e acuto. Rise quando Orr terminò: una risata né lunga né forte, forse un po’ eccitata.

— Stiamo approdando a qualcosa, George!

— A cosa?

Orr si sentiva tutto sgualcito e molto sciocco, seduto sul divano, ancora stordito dal sonno, dopo avere dormito lì (probabilmente a bocca aperta e russando), impotente, mentre Haber osservava le giravolte e le impennate del suo cervello e gli ordinava cosa sognare. Si sentiva messo in mostra, usato. E a quale scopo?

Era chiaro che il dottore non aveva alcun ricordo della fotografia del cavallo, e neppure della loro conversazione sull’argomento; era già nel nuovo presente, e tutti i suoi ricordi ne facevano parte. Quindi non avrebbe potuto dargli nessun aiuto. Adesso stava camminando su e giù per l’ufficio, e parlava più forte del solito. — Benissimo! Lei: (a) può sognare, e sogna, a comando; e segue le suggestioni ipnotiche; (b) risponde splendidamente all’Aumentare. Perciò possiamo lavorare insieme, in modo veloce ed efficiente, senza narcosi. Io preferisco sempre lavorare senza farmaci. Ciò che il cervello compie da sé è infinitamente più affascinante e complesso delle risposte che può presentare con una stimolazione chimica; è per questo che ho inventato l’Aumentore, per fornire al cervello un sistema di auto-stimolazione. Le risorse creative e terapeutiche del cervello… sia nella veglia che nel sonno e nel sogno… sono praticamente infinite. Si tratta di trovare le chiavi adatte alle serrature. Già soltanto il sogno ha delle potenzialità che non ci sogniamo neppure! — E rise con quella sua immensa risata: non era la prima volta che faceva questa battuta. Orr sorrise un po’ a disagio, perché Haber aveva toccato un punto dolente. — Ora sono sicuro che la terapia più adatta a lei sia in questa direzione: usare i suoi sogni, invece di sfuggirli ed evitarli. Affrontare le sue paure, e, col mio aiuto, risolverle. Lei ha paura della sua mente, George. E si tratta di una paura con cui non si può vivere. Ma lei non ha bisogno di farlo. Lei non ha visto l’aiuto che la sua mente può darle, i modi con cui può usarla, impiegarla creativamente. Ciò che le occorre non è nascondersi ai suoi poteri mentali, reprimerli, bensì lasciarli agire. E questo possiamo farlo insieme. Ora, la cosa non le pare giusta, non le pare la giusta cosa da fare?

— Non saprei — rispose Orr.

Quando Haber aveva parlato di impiegare, di usare i suoi poteri mentali, per un istante Orr aveva creduto che il dottore si riferisse alla sua facoltà di cambiare la realtà con i sogni; ma adesso pensava che Haber, se avesse davvero inteso riferirsi a quella, si sarebbe espresso più chiaramente. Haber sapeva che aveva un disperato bisogno di venire rassicurato sulla sua facoltà: dunque, se il dottore avesse potuto dargli la buona notizia, non gliela avrebbe tenuta celata con tanta indifferenza, come se si trattasse di una cosa da nulla.

Orr provò un tuffo al cuore. L’uso di farmaci gli aveva deteriorato l’equilibrio emotivo; lo sapeva, e perciò si faceva forza di combattere, di controllare i propri sentimenti. Ma la delusione provata in questo momento era incontrollabile. Si era concesso il lusso di una speranza: soltanto ora lo comprendeva. Ieri aveva avuto la certezza che il dottore si fosse accorto del cambiamento della fotografia, da montagna a cavallo. Haber, a causa della scossa iniziale, gli aveva nascosto la notizia, ma Orr non ne era stato né sorpreso né allarmato; il dottore, senza dubbio, non era riuscito a capacitarsene in quel primo momento, ad ammetterlo, neppure a se stesso. Lo stesso Orr aveva impiegato molto tempo a convincersi di poter compiere l’impossibile. Comunque, si era concesso il lusso di sperare che Haber, conoscendo il sogno ed essendo presente durante il suo svolgimento, trovandosi proprio nel punto focale del fenomeno, avesse visto il cambiamento, potesse ricordare, confermare l’accaduto.

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