— Lo so. Lo sanno anche loro. Ed è proprio delle vostre armi che vogliono impadronirsi.
— Tu menti — disse Kobol facendosi avanti. — Se ci fosse tanta gente da queste parti l'avremmo scoperta coi nostri sensori…
— Non dire stronzate. — La ragazza tornò a rivolgersi ad Alec. — Senti, tuo padre mi ha raccontato tutto della piattaforma che avete su in cielo. Di là non possono vedere chi si nasconde fra gli alberi. Ci sono almeno duecento banditi a pochi "clic" dall'aeroporto. Noi stiamo cercando di tenerli a bada…
— È un trucco — insisté Kobol.
Lei lo guardò storto.
— Dov'è mio padre? — le chiese Alec.
Angela fece un gesto vago con la mano. — Su a nord. A sette o otto "clic" da qui.
— E i materiali fissili?
— I cosa?
Dunque suo padre non le aveva detto tutto. — Le macchine e le altre cose che erano in quei fabbricati. Mio padre li ha portati a nord con lui?
— Non lo so — rispose lei alzando le spalle. — Quelle case sono vuote da anni.
Ci avrei scommesso, pensò Alec, e a Kobol: — Andiamo. Dobbiamo tornare all'aeroporto. Se davvero ci sono centinaia di…
— Forse non è vero — disse Kobol.
— Non mi piace che mi si dia della bugiarda — sbottò la ragazza. — Specialmente da una testa di merda che non sa distinguere un albero da uno stronzo.
Alec si morse il labbro per non ridere. Kobol arretrò di un passo allibito. Era ridicolo, così alto, magro, con elmetto e stivali vederlo arretrare davanti a una ragazzina.
— Andiamo — ripeté Alec sforzandosi di mantenersi serio. — Non possiamo permetterci di ignorare il suo avvertimento. Qui tanto non c'è più niente da fare. Muoviamoci. — Afferrò Angela per un braccio. — Tu vieni con noi.
Lei si divincolò: — Posso camminare da sola.
Senza mollare la presa, Alec le disse: — Saliremo su quel veicolo, così faremo più presto che non a piedi.
Angela smise di protestare.
Quando si furono ammucchiati sull'autoblindo e partirono, Alec chiamò via radio Jameson. — Qui è tutto tranquillo — gli rispose l'anziano militare. — Nessun segno di movimento, fatta eccezione per qualche uccello.
— Controlla col satellite — ordinò Alec. — Di' che scandaglino questa zona coi sensori più sensibili.
— Il satellite si trova dall'altra parte del pianeta. Non ci sorvolerà che fra quattro ore.
— Accidenti — borbottò Alec. — Be', state in guardia. Attenzione alle navette.
— Stai tranquillo — rispose Jameson.
Furetto tremava di eccitazione e di paura accovacciato con gli altri nel bosco a osservare le strane navi ferme sulla pista dell'aeroporto, sorvegliate da un pugno di uomini.
— Ricordate bene — sussurrò Billy-Joe passandosi un dito sulla cicatrice che gli sfregiava il mento, come faceva sempre prima di un'aggressione. — Dopo avere messo fuori combattimento gli uomini, dobbiamo prendere le armi. In fretta. Ci sono una dozzina di altre bande sparse intorno all'aeroporto e tutte vogliono quelle armi.
Furetto annuì e mostrò i denti in quello che per lui era un sorriso. Ma dentro di sé moriva di paura. Una cosa era fare fuori i pochi uomini di guardia alle macchine volanti, ma la vera battaglia si sarebbe svolta fra le bande rivali, una volta eliminati gli stranieri.
Afferra un'arma più svelto che puoi, si disse, e poi nasconditi nei boschi e resta nascosto finché Billy-Joe non darà l'ordine di tornare al campo.
I primi rumori dello scontro raggiunsero l'orecchio di Alec quando erano ancora a diversi chilometri dall'aeroporto.
— Che cos'è?
Era un rumore strano, smorzato, che proveniva dalla parte opposta del colle che stavano per risalire.
Alec stava seduto sull'affusto del laser, con le gambe penzoloni sul bordo della piattaforma girevole. Angela sedeva accanto a lui. Sentendo il rumore la ragazza s'irrigidì. — Mortai — disse. — Will dev'essere entrato in contatto…
— Accelera al massimo! — gridò Alec al conducente.
I motori elettrici cigolarono più forte, ma il veicolo sovraccarico non accelerò di un passo mentre s'inerpicava sulla cresta della collina.
— Will Russo è un amico di tuo padre — gridò Angela per farsi sentire al di sopra del rumore del vento e degli spari. — Guida un gruppo dei nostri qui nei paraggi cercando di tenere a bada i banditi per darvi il tempo di ripartire.
— William Russo — commentò Kobol, accovacciato dietro di loro. — Dunque non è morto. È diventato un traditore come Doug.
Alec si voltò strizzando gli occhi al sole ormai alto. — Sarà meglio alzare le fiancate blindate — disse. — È probabile che questi boschi siano pieni di barbari.
— No, non da questa parte dell'aeroporto — disse Angela.
Fu un tragitto affannoso. L'autoblindo avanzava con lentezza snervante. Gli uomini impugnavano le armi e sbirciavano fra il fogliame. Alec notò che sudavano nonostante il vento fresco che soffiava fra gli alberi.
Ogni tanto guardava Angela. Pareva preoccupata ma non impaurita. Evidentemente, pensò, non si aspetta difficoltà in questo punto, così anche noi non dobbiamo temere. Ma si scoprì le mani viscide di sudore.
Kobol si manteneva in contatto radio con le navi. Alec si era tolto l'elmetto e lo aveva appeso per il sottogola alla ringhiera della piattaforma.
— Conosci bene mio padre? — chiese ad Angela.
Lei annuì. — È anche mio padre.
Alec ebbe l'impressione di avere ricevuto un calcio nello stomaco. Non riusciva a parlare.
— Patrigno — corresse lei accorgendosi dell'effetto provocato dalle sue parole. — Lui e mia madre, prima che lei morisse… — lasciò la frase in sospeso e distolse gli occhi.
Alec si riprese con uno sforzo. Aveva stretto i denti tanto forte che provava un dolore lancinante alla mascellla.
Angela tornò a voltarsi verso di lui. — Amava molto mia madre — disse. — Non è come quando un uomo prende una donna. Erano come marito e moglie. E lui si è preso cura di me fin da quando ero piccola.
Alec non aprì bocca. Il nodo allo stomaco diventava sempre più stretto.
— Vivi davvero sulla Luna? — gli chiese lei.
— Sì — la sua voce risuonò come un gemito alle sue stesse orecchie.
— Ho detto qualcosa che non va?
— No. Niente… È solo che… non mi aspettavo di incontrare una sorellastra. Sarà un bel colpo per mia madre.
— Già, immagino. Capisco.
— Davvero?
— Sì.
— Non credo.
— Ecco l'aeroporto — disse la voce di Gianelli. — Come sono belle le navi!
Alec si alzò in piedi proprio mentre un'esplosione deflagrava fra gli alberi in fondo all'aeroporto levando al cielo volute di rumo nero striate di fuoco. Il rombo assordante lo colpì un attimo dopo con lo stesso effetto di un pugno in piena faccia.
— Si avvicinano — disse Angela. Per la prima volta c'era un'ombra di paura nella sua voce. — Will non riuscirà a tenerli a bada ancora per molto.
L'autoblindo correva lungo la strada e puntava a tutta velocità verso le navi, che scintillavano argentee sotto il sole abbagliante.
Gli altri automezzi dotati di laser erano raccolti a semicerchio al di là delle navette. Per quanto Alec poteva vedere, non avevano ancora sparato.
Alec si voltò al richiamo di uno dei suoi, e vide tre uomini che erano sbucati dalla boscaglia sulla destra delle navi. Anche senza binocolo riuscì a distinguere che portavano un fucile in spalla.
Si fermarono e agitarono in alto le braccia.
— Aspettate! — gridò Angela vedendo che un soldato puntava l'arma contro il terzetto. — Non sparate. È Will! Non sparate!
Prima che qualcuno riuscisse a fermarla saltò a terra e corse verso i tre.
— Non sparate! — ordinò Alec. Si sporse, chinandosi e batté sul tettuccio dell'abitacolo. — Raggiungi quegli uomini — disse al conducente. E agli altri: — Voialtri andate tutti alle navi, eccettuato Kobol. Via!
Dall'espressione si capiva che agli uomini non andava molto l'idea di correre per un chilometro e più allo scoperto, coi boschi così vicini. Tuttavia obbedirono.
L'autoblindo si affiancò ad Angela, che smise di correre, mentre i tre uomini le andavano incontro. Erano vestiti di stracci: calzoni corti sfrangiati che una volta erano lunghi, vecchie camicie grigie sbiadite, uno indossava un gilé, e solo uno aveva gli stivali. Ma le armi erano lustre e tutti portavano in spalla cassette di munizioni.
Alec scese dall'autoblindo. Kobol invece rimase sull'affusto, con lo specchio di rame dell'arma puntato sulla schiena di Alec. Potrebbe farci fuori tutti in mezzo secondo, pensò Alec.
Angela sorrideva come una bambina. Prese Alec per un braccio, come a sollecitarlo a camminare più in fretta.
Uno degli uomini si era fatto avanti e Angela disse: — Alec, questo è Will Russo… Will, Alec Morgan.
— Oh! Così tu saresti il figlio di Doug.
Non c'erano mai stati cani o cuccioli alla base lunare, ma Alec aveva visto molti film per bambini, anni prima, e adesso gli tornò improvvisamente alla memoria l'immagine di un grosso, bonario cucciolo di San Bernardo: ricordava come si fosse imposto su tutti gli altri personaggi col suo entusiasmo ben intenzionato che provocava disastri a non finire. Will Russo era un grosso cucciolo di San Bernardo, allegro, sorridente, dinoccolato. Come tutti gli uomini grandi e grossi teneva le spalle un po' curve per l'abitudine di chinarsi quando si trovava con uomini più bassi di lui. Aveva la faccia tonda, con gli occhi un po' sporgenti, le guance rubizze, capelli ricci rossastri impastati di sudore e un sorriso accattivante.
— È un piacere conoscerti — disse con morbida voce tenorile, ma la mano che strinse con vigore quella di Alec pareva una grossa zampa. — Spiacente di non avere potuto fare di più, ma loro sono molto più numerosi di noi. Se ti pare il caso, potremmo cercare di tenerli a bada ancora per una mezz'ora.
Un'altra esplosione sottolineò le sue parole.
— I boschi pullulano di banditi. Vogliono prendere le vostre armi.
— Perdite? — chiese Angela.
— Qualcuna. Finora abbiamo fatto a spara e scappa. Ma adesso loro cominciano a fare sul serio.
Un'altra esplosione, più vicina, fece rintronare le orecchie di Alec.
— Un momento — disse poi a Russo. — Devo saperne di più su quello che sta succedendo…
— Buon Dio, non è il momento adatto per le spiegazioni. Devi solo…
Alec si piantò i pugni sui fianchi. — Non mi muovo di qui finché non avrò saputo…
Un lungo sibilo lo fece tacere.
— Arrivano! — gridò uno degli uomini.
Russo si buttò su Alec gettandolo a terra. Prima che Alec potesse dire o fare qualcosa una serie di esplosioni scatenò l'inferno. Il suolo tremava, zolle di terra ricaddero su di loro. Alec sentì l'odore acre del fumo.
Stava sdraiato a pancia in giù, con la faccia nell'erba umida. Gli girava la testa, ma si sforzò di sollevarla un po'. Angela era in ginocchio, e un filo di sangue le colava lungo il braccio. Russo, accovacciato sui talloni, le stava vicino.
— A quanto pare hai ragione — disse Russo senza la minima traccia di paura o d'ira. — Ho paura che avrete delle difficoltà per tornare sulla Luna. — Così dicendo indicò l'aeroporto, e Alec vide che una navetta era ormai in preda alle fiamme.
11
Tutto si era risolto in un pasticcio cruento. Furetto si arrampicò sul ripido versante dell'altura per allontanarsi dalle urla dei moribondi.
Billy-Joe era rimasto laggiù, insieme a quasi tutto il resto della banda, ridotto in brandelli sanguinanti di carne annerita dalle esplosioni. Quanto a Furetto era pressoché incolume: solo qualche graffio qua e là oltre a un doloroso squarcio alla gamba sinistra.
Qualcosa era andato maledettamente storto. Invece della solita scorreria durante la quale tutte le bande assalivano gli stranieri, la faccenda si era risolta in un combattimento fra le bande. Subito, fin dall'inizio. Furetto non riusciva a capacitarsene.
Adesso Billy-Joe e gli altri erano morti tutti. Un massacro. Il rumore delle esplosioni gli rintronava ancora le orecchie.
Ma era vivo. Questo era l'importante. Ancora vivo. Ferito, ma vivo. Poteva sopportare il dolore. Non ci faceva caso. Adesso doveva allontanarsi il più possibile, nascondersi. Se una delle altre bande lo avesse catturato, si sarebbero sfogati su di lui. L'avrebbero torturato di sicuro; e di sicuro sarebbe morto. Ma lentamente, non come Billy-Joe. Non come gli altri.
Ansimando, con gli occhi annebbiati dalle lacrime, il frastuono delle esplosioni che gli echeggiava ancora in testa, la gamba ferita che stava diventando insensibile, Furetto si aggrappò al fogliame per risalire l'erta scoscesa, trascinandosi lontano dal campo di battaglia, disposto ad andare dovunque, purché non dove gli altri potessero trovarlo solo e indifeso.
Quando raggiunse la cresta dell'altura non aveva più fiato e si sentiva troppo debole per proseguire. Rotolò sulla schiena ansando e socchiudendo gli occhi alla vivida luce del cielo.
— Ehi, guardate cosa c'è qui — disse una voce alle sue spalle.
— Mi sembra morto — disse un'altra voce.
— Non ancora. Ma morirà.
Furetto chiuse gli occhi e attese che cominciasse l'agonia.
Alec fissava la navetta in fiamme. Un enorme squarcio si era aperto nella fiancata, e dall'interno si riversava un denso fumo nero che si mescolava alle fiamme.
— Dobbiamo fare tacere il mortaio — disse con urgenza Will Russo — altrimenti andrà distrutta anche l'altra navetta.
Alec balzò in piedi e corse all'autoblindo. Kobol stava già gridando nel microfono dell'elmetto: — Spegnete l'incendio! Quando il fuoco raggiungerà i serbatoi del carburante farà saltare in aria anche l'altra navetta.
Alec si arrampicò sull'affusto del laser e fece cenno a Kobol di tacere. Afferrò il suo elmetto, se lo calcò in testa e prese il microfono. — Qui Alec Morgan. Raccogliete tutti gli uomini, imbarcateli sulla navetta incolume e partite subito. Capito? Immediatamente!
— Una sola navetta può portare… — obiettò Kobol.
Alec gli agitò il pugno sotto il naso e Kobol tacque. — Confermate! — gridò. — Chi è alla radio?
Per un lungo istante l'auricolare si limitò a ronzare, poi una voce disse: — Qui Jameson. Una sola navetta non può portare più di una trentina di uomini.
— Stipateli dentro senza discutere. Lasciate veicoli e attrezzature.
Alec guardò in direzione dell'aeroporto e vide che la navetta indenne cominciava ad allontanarsi rullando da quella in fiamme.
— Abbiamo tre feriti, qui — disse ancora la voce di Jameson — due piloti sono morti quando la navetta è stata colpita.
— Caricate a bordo i feriti. Voglio che una dozzina di volontari restino qui con me con tutti i veicoli-terra. Così la stiva della navetta è sgombra e può accogliere tutti quelli che devono partire.
Russo, che aveva raggiunto l'autoblindo insieme ad Angela e agli altri due, chiese: — Non potreste lasciarci usare qualcuna delle vostre armi per respingere i banditi?
— Salite — disse Alec. E al conducente: — Muoviamoci, svelto!
Kobol, aggrappato alla ringhiera mentre l'autoblindo partiva con un sobbalzo, accostò la faccia a quella di Alec per sussurrare: — Parto anch'io con gli altri. Non voglio restare qui.
— Bene. Ma tieniti in contatto. Ti saprò dire quando dovrete tornare a prenderci.
— D'accordo.
Si fissarono a lungo. Non ha intenzione di tornare a prendermi, pensò Alec, e lui sa che io lo so.
L'autoblindo procedeva a scossoni sul terreno erboso. Altri due proiettili caddero vicino alla pista ma troppo lontano dalle navette per provocare danni. Il fumo dell'incendio stava dissipandosi.
— Forse il fuoco si è spento — gridò Angela per farsi sentire sopra al sibilo del vento e al rumore delle esplosioni.