— Dobbiamo andare avanti, dobbiamo scaldarci con un fuoco.
Lei non rispose.
La strinse tra le braccia contro il suo petto. Avevano stivali, calzoni, eskimo, tutto irrigidito dal gelo, dalla testa ai piedi. Il viso di lei, poggiato sul suo braccio, era di un pallore mortale.
La chiamò per nome, cercando di farla alzare. — Estrel! Estrel, andiamo. Non possiamo stare qui. Dobbiamo andare avanti ancora un po'. Non è poi così duro. Andiamo, svegliati, piccolina, piccolo falco, svegliati… — In preda alla stanchezza lui stesso, le stava parlando come faceva con Parth, allo spuntar del giorno, tanto tempo fa.
Infine lei gli diede ascolto, tirandosi faticosamente in piedi col suo aiuto, riprendendo il laccio tra i guanti gelati, e seguendolo passo passo oltre la riva, poi su per la bassa sponda, quindi avanti nella neve che batteva senza tregua, sempre uguale.
Costeggiarono il letto del fiume, procedendo verso sud, come aveva consigliato lei quando avevano pensato alla fuga. Egli non nutriva alcuna speranza di riuscire a trovare alcunché in quel biancore turbinoso, dove le cose si confondevano come durante la tormenta notturna. Ma poco dopo giunsero a un altro corso d'acqua, tributario di quello che avevano attraversato, e presero a costeggiarlo procedendo con difficoltà sul terreno ineguale. Avanzavano incespicando. Falk ormai pensava che la miglior cosa era lasciarsi cadere e dormire, ma non si risolse a farlo. C'era qualcuno che faceva affidamento su di lui, qualcuno che lontano da lì e molto tempo prima gli aveva fatto intraprendere quel viaggio; non poteva lasciarsi andare perché aveva delle responsabilità…
Ci fu un crepitare appena percettibile vicino al suo orecchio, la voce di Estrel. Davanti a loro un gruppo di alti fusti d'albero spruzzati di neve apparvero come spettri contro il biancore, ed Estrel prese a tirarlo per il braccio. Incespicavano su e giù per le montagnole che costeggiavano la sponda settentrionale del fiume bordato di bianco, sempre lungo gli alti alberi, alla ricerca di qualcosa. — Una pietra — ripeteva lei — una pietra. — E benché non sapesse perché mai avessero bisogno di una pietra, anche lui s'era messo a cercare a tentoni nella neve con lei. Procedevano entrambi strisciando carponi, quando infine lei si imbatté nella pietra che cercava, un enorme masso coperto dalla neve, alto mezzo metro.
Con i guanti ormai rigidi ripulì la neve che si era ammucchiata sul lato orientale del masso. Falk la aiutava senza interesse, indifferente per la stanchezza. Grattando portarono alla luce un rettangolo metallico, a livello di quel terreno stranamente piatto. Estrel cercò di aprirlo. Scattò una maniglia nascosta, ma i bordi del rettangolo erano bloccati dal gelo. Falk raccolse le ultime forze nel tentativo di sollevarlo, finché tornò in sé e sgelò il metallo bloccato col raggio termico dell'impugnatura della pistola. Sollevarono quindi la porta e guardarono in giù: una ripida scala, stranamente geometrica in quella landa desolata, che portava a un'altra porta chiusa.
— È quel che cercavo — mormorò Estrel e scese le scale strisciando all'indietro come su una scala a pioli, perché non si fidava delle sue gambe. Aprì la porta, poi guardò in su verso Falk. — Vieni — lo invitò.
Scese anche lui chiudendosi la botola sulla testa come gli era stato detto. Improvvisamente fu tutto nero e Falk accovacciato sui gradini schiacciò alla svelta il bottone dell'impugnatura per fare luce. Sotto di lui biancheggiava il volto di Estrel. Scese, e passando per la porta dietro di lei entrò in un luogo assolutamente buio, vastissimo, così vasto che la luce non arrivava a richiarare né il soffitto né le pareti più vicine. Il silenzio era perfetto, l'aria immobile li avvolgeva come un debole, immutabile fluido.
— Dovrebbe esserci della legna, laggiù — disse la voce dolce e arrochita dalla fatica di Estrel, da qualche parte alla sua sinistra. — Eccola. Abbiamo bispgno di un fuoco; aiutami ad accenderlo…
In un angolo vicino all'entrata era accatastata della legna secca. Mentre egli faceva splendere una bella fiamma, predisponendo la legna dentro un cerchio di pietre annerite al centro dell'antro, Estrel scivolò via in qualche remoto angolo e tornò portando un paio di pesanti coperte. Si spogliarono, si massaggiarono per scaldarsi, poi si avvolsero nelle coperte, come nei sacchi a pelo Basnasska, in prossimità del fuoco. Ardeva come in un camino, con un forte tiraggio che spazzava via anche il fumo. Non c'era speranza di scaldare l'immensa stanza, o caverna che fosse, ma la luce e il calore del fuoco li rilassarono. Si sentirono allegri. Estrel tirò fuori dalla sacca un po' di carne secca che masticarono seduti, benché le labbra gli dolessero per il gelo e fossero troppo stanchi per aver fame. Un poco alla volta il tepore della fiamma gli entrò nelle ossa.
— Chi altri si serve di questo posto?
— Chiunque altro ne è a conoscenza, immagino.
— Doveva esserci un enorme Palazzo una volta, se questa è la cantina — disse Falk, scrutando nelle ombre tremolanti che a una certa distanza dal fuoco si ispessivano in un'oscurità impenetrabile. Gli tornarono alla mente le smisurate fondamenta sotto la Casa della Paura.
— Pare che ci fosse un'intera città qua sotto. Arriva a una buona distanza dalla porta, si dice. Io non ne so nulla.
— Come sei venuta a saperlo, sei una Samsit?
— No.
Egli non fece domande, ricordando le regole: ma fu proprio lei ad aggiungere, con i suoi modi sottomessi: — Sono una Vagabonda. Ne conosciamo molti di posti come questi, nascondigli… Credo che tu abbia sentito parlare dei Vagabondi.
— Qualche volta — rispose Falk allungandosi e guardando la sua compagna al di là del fuoco. Riccioli fulvi le incorniciavano il volto mentre sedeva nel sacco informe; al collo un amuleto di giada chiara rifletteva la luce del fuoco.
— Si sa poco di noi nella Foresta.
— Nessun Vagabondo si è mai spinto tanto a est da arrivare alla mia Casa. Quel che si sapeva di loro si adatta di più ai Basnasska: selvaggi, cacciatori, nomadi. — Parlava mezzo addormentato, con la testa reclinata sul braccio.
— Alcuni Vagabondi possono esser definiti selvaggi, altri no. I Cacciatori di Bestiame, invece, sono tutti selvaggi e non conoscono nulla al di fuori del loro territorio, i Basnasska come i Samsit e gli Arksa. Noi invece andiamo da tutte le parti. Ci spingiamo a est fino alla Foresta, a sud fino alle foci del Fiume Interno, a ovest al di là della Grande Montagna e dei Monti Occidentali, fino al mare. Io stessa ho visto il sole tuffarsi nel mare, dietro alla catena di isolotti blu situati lungo la costa, dietro alle scoscese vallate della California, sconvolte dai terremoti… — La voce morbida aveva assunto la cadenza di un'arcaica cantilena o lamento. — Prosegui — sussurrò Falk, ma lei tacque, e in un batter d'occhio egli si addormentò. Lei rimase a osservare per qualche minuto il volto del dormente. Infine raccolse le ceneri, mormorò delle parole, come di preghiera, all'amuleto che portava intorno al collo, e si raggomitolò dall'altra parte del fuoco.
Quando Falk si svegliò, la donna stava costruendo un supporto di mattoni attorno al fuoco, per scaldare un bricco pieno di neve. — Fuori pare pomeriggio avanzato — disse lei — ma per quello che se ne capisce potrebbe essere anche mattina, o mezzogiorno. La tormenta infuria come al solito. Non riusciranno certo a rintracciarci. E anche se ci riuscissero, non potrebbero arrivare in questo posto… Il bricco stava in un ripostiglio assieme alle coperte. E c'è un sacco di piselli secchi. Ce la caveremo egregiamente quaggiù. — Volse verso di lui il volto duro ma delicato con un debole sorriso. — È buio, però. Non mi piacciono queste pareti spesse e questo buio.
— Sempre meglio degli occhi bendati. Certo, però mi hai salvato la vita con quella fasciatura. Un Horressins cieco è sempre meglio di un Falk morto. — Esitò un poco, poi chiese: — Cosa ti ha spinta a salvarmi?
Si strinse nelle spalle, sempre con quel sorriso debole, riservato. — Compagni di prigionia… Si dice che i Vagabondi siano bravi per le astuzie e le dissimulazioni. Non li hai sentiti chiamarmi la Volpe? Fammi vedere le tue ferite. Mi son portata dietro la borsa degli impiastri.
— I Vagabondi sono anche dei bravi guaritori?
— Non ci mancano certe doti.
— E sai l'Antica Lingua; non hai dimenticato i vecchi modi dell'uomo, come i Basnasska.
— Sì, sappiamo tutti il Galaktika. Guarda qui, il lobo del tuo orecchio si è congelato, perché ieri ti sei tolto il laccio del cappuccio, per darmelo da tenere.
— Non riesco a vederlo — replicò Falk con tono affabile, lasciandosi visitare. — Di solito non ne ho bisogno.
Mentre gli medicava la ferita ancora aperta della tempia sinistra, gli gettò due o tre occhiate al viso, infine si azzardò a chiedergli: — Sicuramente non ci sono molti Forestali che hanno gli occhi come te.
— Nessuno.
Ovviamente la regola ebbe il sopravvento. Non chiese nulla più, mentre lui, risoluto a non fidarsi di nessuno, non aggiunse altro. Ma la curiosità fu più forte, e alla fine fu lui stesso a chiedere: — Non ti spaventano, vero, i miei occhi da gatto?
— No — rispose lei nel suo modo calmo. — C'è stata una sola volta che mi hai fatto paura. Quando hai sparato, così fulmineo.
— Avrebbe dato l'allarme a tutto l'accampamento.
— Lo so, lo so. Ma noi non abbiamo armi. E tu hai sparato così velocemente, ero terribilmente spaventata; sembrava una cosa orribile che ho visto una volta, quand'ero bambina. Un uomo che uccise un altro uomo con la rivoltella, più rapido del fulmine, come te. Era uno dei Cancellati.
— I Cancellati?
— Sì, li si incontra a volte sulle Montagne.
— So ben poco delle Montagne.
Prese a spiegargli, anche se di malavoglia. — Conosci la Legge dei Signori. Non uccidono, come sai. Se nella loro città c'è un assassino, per impedirgli di rifarlo non possono ucciderlo, perciò ne fanno un Cancellato. Agiscono sulla mente. Poi lo lasciano libero e lui ricomincia a vivere, innocente come un agnellino. L'uomo di cui parlo era più vecchio di te, ma la sua mente era come quella di un bambino. Però aveva una pistola in mano, e le sue mani sapevano come si usa, perciò lui… sparò a un uomo a distanza ravvicinata, come hai fatto tu…
Falk rimase zitto. Guardò la pistola al di là del fuoco, in cima al suo fagotto, meraviglioso aggeggio che aveva acceso il fuoco, aveva fornito il cibo e rotto l'oscurità per tutto il cammino. Nelle sue mani non c'era particolare conoscenza di come usarlo, vero? Metock gli aveva insegnato come si spara. Aveva imparato da Metock ed era diventato sempre più abile a cacciare. Ne era sicuro. Non poteva essere una semplice anomalia, un criminale, cui l'arrogante carità dei Signori di Es Toch aveva concesso una seconda occasione…
Eppure non era più plausibile questa interpretazione dei vaghi sogni e pensieri che aveva nutrito sulla sua origine?
— E come fanno ad agire sulla mente umana?
— Non lo so.
— Può darsi — disse aspramente — che non lo facciano solo ai criminali, ma anche ai… ribelli.
— Cosa sono i ribelli?
Lei parlava il Galaktika più speditamente di lui, ma quella parola non l'aveva mai sentita.
Aveva finito di medicargli la ferita e stava riponendo con cura le medicine nella borsa. Si girò verso di lei così bruscamente che la fece trasalire. Lei si ritrasse di colpo.
— Hai mai visto occhi come i miei, Estrel?
— No.
— La conosci la Città?
— Es Toch? Sì, ci sono stata.
— Allora hai visto gli Shing?
— Tu non sei Shing.
— No. Ma vado tra loro — disse con fierezza. — Ma ho paura… — Si interruppe.
Estrel chiuse la borsa dei medicinali e la ripose nella sacca. — Es Toch è strana per chi viene dalle Case Solitarie e dalle zone lontane — disse infine la sua voce morbida e carezzevole — io ho percorso le sue strade senza alcun pericolo; ci vive molta gente che non ha alcun timore dei Signori. Non è necessario che tu ci vada pieno di paura. I Signori sono potentissimi, certo; ma di Es Toch si dicono molte cose che non sono vere…
I loro occhi si incontrarono. Poi con decisione improvvisa, e raccogliendo tutte le virtù oratorie che aveva le chiese per la prima volta: — E allora dimmi cosa è vero di Es Toch!
Lei scrollò il capo, rispondendo a voce chiara: — Ti ho salvato la vita e tu l'hai salvata a me, siamo compagni e viaggiamo insieme per un po'. Ma io non chiederei nulla né a te né a nessuna persona incontrata per caso; né ora né mai.
— Mi credi uno Shing dopo tutto? — le chiese ironicamente, un po' umiliato perché sapeva che aveva ragione.
— Chi lo sa mai? — rispose lei. E aggiunse, con un sorriso appena accennato: — Certo che mi sarebbe difficile crederlo di te… Ecco, la neve nel bricco si è sciolta. Vado a prenderne ancora. Ce ne vuole un mucchio per fare un goccio d'acqua abbiamo sete entrambi. Tu… ti chiami Falk?
Egli annuì, guardandola.
— Non diffidare di me, Falk — gli disse. — Giudicami dalle mie azioni. Le parole da sole non dimostrano nulla; la fiducia dipende dalle azione che uno compie, giorno dopo giorno.
— Bene, aspettiamo — disse Falk — e speriamo che cresca.
Più tardi, nella lunga notte silenziosa della caverna, egli si svegliò e la vide seduta tutta rannicchiata vicino alle ceneri residue, col capo fulvo appoggiato alle ginocchia. La chiamò per nome.
— Ho freddo — rispose. — Non c'è più un briciolo di calore.
— Vieni qui da me — replicò mezzo addormentato con un sorriso. Lei non disse nulla, ma un momento dopo lo raggiunse in quell'oscurità appena rotta dalle braci, completamente nuda, con solo la pallida giada che le pendeva tra i seni. Era minuta e tremava dal freddo. Nell'animo, sotto certi aspetti ancora vergine, egli aveva il proposito di non toccarla, perché aveva dovuto così duramente sopportare quei selvaggi; ma lei gli sussurrò: — Scaldami, fammi divertire. — Ed egli avvampò come fuoco al vento, mentre tutti i buoni propositi si dileguavano spazzati via dalla presenza di lei, dalla sua dedizione. Per tutto il resto della notte gli stette tra le braccia, vicino alle ceneri ormai spente.
Per tre giorni e tre notti Falk ed Estrel rimasero nella caverna, mentre la tormenta infuriava e poi si calmava sopra di loro. Dormivano e facevano all'amore. Lei era sempre uguale: docile, condiscendente. Egli, che ricordava soltanto il piacevole e gioioso amore vissuto con Parth, era sgomentato dall'insaziabilità e dalla violenza del desiderio che Estrel destava in lui. Spesso gli tornava il pensiero di Parth, accompagnato dalla vivida immagine di una fonte dalle acque rapide, chiare, che sgorgava in mezzo alle rocce in un ombroso recesso della foresta, vicino alla Radura. Ma il ricordo non bastava ad acquietare la brama, e ancora cercava appagamento nella smisurata dedizione di Estrel, per trovare, alla fine, uno spossato nirvana. Una volta sfociò invece in un'inspiegabile rabbia. Le urlò con tono di accusa: — Mi vuoi solo perché pensi che sia inevitabile, che altrimenti ti avrei fatto violenza.
— Perché, non l'avresti fatto?
— No! — le urlò, credendo in quel che diceva. — Non voglio che tu mi sia sottomessa, che tu faccia quello che voglio… Non è forse il calore, il calore umano, quello che andiamo cercando?
— Sì — sussurrò lei.
Non le si avvicinò per un po' di tempo; aveva preso la decisione di non toccarla mai più. Se ne andò per conto suo con la pistola luminosa a esplorare lo strano posto in cui si trovavano. Dopo qualche centinaio di metri la caverna si stringeva e diventava un'alta galleria, molto ampia e liscia. Oscura e immota, continuava perfettamente diritta per un bel tratto, poi improvvisamente curvava, senza restringersi o biforcarsi, e dopo l'angolo buio continuava, continuava. I suoi passi riecheggiavano debolmente. Nulla veniva illuminato o proiettava ombra sotto la luce della lampada. Camminò fino a che fu stanco ed ebbe fame, poi tornò indietro. Era sempre uguale, non portava da nessuna parte. Tornò da Estrel, all'insaziabile promessa e al senso di incompiutezza del suo abbraccio.