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— La vecchia di Kessnokaty dice che nevicherà presto — mormorò vicino una voce amica. — Dobbiamo tenerci pronti a cogliere la prima occasione per filar via.
Falk non rispose, seduto ad ascoltare con orecchio attento i rumori del campo: voci in una lingua sconosciuta, smorzate per la distanza; il rumore secco di qualcuno lì vicino che raschiava una pelle; il tenue parlottare di un bimbo; gli schiocchi di un fuoco da campo.
— Horressins! — lo chiamò qualcuno dall'esterno ed egli si alzò prontamente, ma poi rimase fermo. Un attimo dopo aveva sul braccio la mano dell'amica che lo guidava dove l'avevano chiamato, presso il fuoco comune al centro del cerchio di tende, dove si stava festeggiando una caccia ben riuscita arrostendo un manzo tutto intero. Gli fu messo in mano uno stinco di bue. Si sedette per terra e cominciò a mangiare. Un grasso sugo gli colò giù per il mento ma egli non si ripulì. Sarebbe stato infamante per la dignità di un Cacciatore della Compagnia Mzurra della Nazione Basnasska. E benché straniero, prigioniero e cieco era nondimeno un Cacciatore, e stava imparando a comportarsi come tale.
Quanto più una società sta sulle difensive, tanto più è conformista. La gente in mezzo a cui si trovava percorreva un Cammino molto limitato, tortuoso e ristretto, in una vasta piana aperta. Ma fintanto che rimaneva tra loro doveva seguire tutti i contorcimenti dei loro modi, tali e quali. I Basnasska si nutrivano di manzo fresco e poco cotto, cipolle crude e sangue. Selvaggi pastori di bestiame selvaggio, non diversamente dai lupi sceglievano dalle enormi mandrie i capi che zoppicavano, che restavano indietro o deboli, facendone un interminabile banchetto di carne, una vita senza tregua. Cacciavano con pistole laser e tenevano lontani gli stranieri dal loro territorio con uccelli-bomba come quello che aveva distrutto la slitta di Falk, piccoli missili a impatto programmati per lanciarsi su qualsiasi cosa contenesse un elemento di fusione. Essi non costruivano né riparavano quelle armi, e le usavano solo dopo purificazioni e incantesimi; dove se le procurassero Falk non riuscì a scoprirlo, benché si parlasse a volte di un pellegrinaggio annuale, probabilmente collegato a quelle armi. Non praticavano l'agricoltura, né avevano animali domestici; erano analfabeti e non conoscevano nulla della storia dell'umanità, se non per certi miti ed eroi leggendari. Dissero a Falk che non poteva essere uscito dalla Foresta in quanto la Foresta era abitata solo da gigantesche serpi bianche. Praticavano una religione monoteista, il cui rituale comportava mutilazioni, castrazioni e sacrifici umani.
Fu grazie a una delle superstizioni derivanti dal loro complesso Credo se presero Falk vivo e ne fecero un membro della tribù. Normalmente, dato che aveva un laser e perciò era al di sopra della condizione di schiavitù, gli avrebbero asportato lo stomaco e il fegato per trarne gli auspici, poi lo avrebbero lasciato alle donne che lo facessero a pezzetti come volevano. Ma dato che una settimana o due prima della sua cattura, nella tribù era morto un vecchio della Compagnia Mzurra e non c'era nessun bambino senza nome cui si potesse dare quello del morto, fu dato al prigioniero che, benché cieco, sfigurato e lucido solo a momenti, era sempre meglio che niente; perché fintanto che il vecchio Horressins avesse lasciato il nome al suo spirito, questo, perfido come ogni spirito, sarebbe immancabilmente tornato a turbare la tranquillità dei vivi. Pertanto il nome fu preso allo spirito e dato a Falk, assieme a tutte le altre iniziazioni del Cacciatore durante una cerimonia che comportava frustate, emetici, danze, narrazioni di sogni, tatuaggi, cori improvvisati, banchetti, violenza carnale a una donna da parte di tutti i maschi uno dopo l'altro, e infine interminabili incantesimi per tutta la notte perché il Dio tenesse lontani dal nuovo Horressins tutti i mali. Dopo di che lo abbandonarono su una pelle di cavallo in una tenda di pelle di bue, in delirio e senza nessuna cura, a morire o a ristabilirsi, mentre lo spirito, senza nome e senza potere, se ne scappava via per la pianura uggiolando nel vento.
La donna che quando riprese conoscenza gli stava fasciando gli occhi e curando le ferite veniva ogni volta che poteva a prendersi cura di lui. L'aveva vista soltanto per brevi momenti quando nell'imperfetto isolamento della sua tenda si era potuto togliere le fasce che il vivace ingegno di lei gli aveva procurato quando era stato portato tra loro. Se i Basnasska avessero visto aperti i suoi occhi, gli avrebbero strappato la lingua in modo che non potesse più dire il suo nome e lo avrebbero sepolto vivo. Lei gli aveva detto questo e tante altre cose che non poteva ignorare sulla Nazione dei Basnasska; ma non molto di sé. Pareva che non fosse con la tribù da molto più tempo di lui; egli giunse alla conclusione che si era smarrita nella pianura e si era unita alla tribù piuttosto che morir di fame. La tribù fu pronta ad accettare un'altra schiava da mettere a disposizione degli uomini, ed ella si dimostrò molto abile nel medicare, per cui la lasciarono in vita. Aveva capelli rossi, una voce dolcissima e il suo nome era Estrel. Oltre a ciò non sapeva nient'altro di lei; ed ella non gli aveva chiesto nulla di lui, nemmeno il nome.
L'aveva scampata bella, tutto considerato. Paristolis, la Nobile Materia dell'antica scienza Cetian, non esplode né s'incendia, per cui la slitta non gli era scoppiata sotto, benché i comandi fossero tutti saltati. Il missile nello scoppio gli aveva smangiato la parte sinistra del volto e del busto, ma ora c'era Estrel con la sua scienza medica e alcuni linimenti. Non sopravvennero infezioni; si ristabilì alla svelta e pochi giorni dopo il battesimo di sangue che aveva fatto di lui un Horressins, progettavano insieme la fuga.
Ma i giorni passavano e non si presentava mai l'occasione. Una società sulla difensiva: gente circospetta, gelosa; azioni rigidamente regolate da riti, tradizioni, tabù. Ogni Cacciatore viveva nella sua tenda, mentre le donne stavano tutte assieme e facevano con tutti ciò che facevano con uno, più che una comunità costituivano un gruppo, una mandria, membri interdipendenti di un'unica entità. Naturalmente, in nome della sicurezza, risultavano sospetti l'indipendenza e l'isolamento, perciò Falk ed Estrel dovevano approfittare di ogni occasione per poter parlare un momento. Lei non conosceva il dialetto della Foresta, ma si servivano del Galaktika, che i Basnasska parlavano in una forma corrotta.
— Sarebbe il caso di provare — disse lei una volta — durante una bufera di neve, in modo che la neve nasconda le nostre impronte. Ma quanta strada potremmo fare a piedi in una tormenta? Tu hai la bussola; ma il freddo…
Gli abiti invernali di Falk gli erano stati confiscati, assieme a ogni altra sua cosa, anche l'anello d'oro che aveva sempre avuto al dito. Gli avevano lasciato soltanto una rivoltella; faceva parte integrante della sua dignità di Cacciatore, né poteva venirgli tolta. Ma gli abiti che aveva così a lungo indossato ricoprivano ora le scarne costole e le gambe del Vecchio Cacciatore Kessnokaty, e se gli rimaneva la bussola era solo grazie a Estrel, che l'aveva sottratta e tenuta nascosta prima che lo perquisissero. Entrambi indossavano tuniche e calzoni di pelle di daino, e stivali e giacche di pelle dipinta di rosso; ma nonostante fossero indumenti confortevoli, non offrivano una protezione sufficiente contro le tormente della pianura e i gelidi venti impetuosi. Con quei vestiti indosso, era necessario poter stare al riparo in una capanna, davanti al fuoco.
— Se riusciamo ad attraversare la pianura e ad arrivare in territorio Samsit, qualche miglio a ovest da qui, potremmo ficcarci in un Vecchio Riparo che conosco, e restare nascosti finché smettono di cercarci. Avevo già pensato di provare prima che venissi tu. Ma non avevo la bussola e avevo paura di perdermi nella tormenta. Con la bussola e con un'arma possiamo anche riuscire… o forse no.
— Se è l'unica possibilità che ci rimane — disse Falk — non ci resta che provare.
Non era più ingenuo, fiducioso e facilmente influenzabile come prima di essere catturato. Si era fatto più circospetto e risoluto. Benché avesse ricevuto del male dai Basnasska, non serbava alcun rancore contro di loro; gli avevano marchiato sulle braccia, in modo irreparabile, i fregi blu dei tatuaggi della consanguineità, marchiandolo sì come un barbaro, ma anche come un uomo. Nulla di strano. Ma loro agivano a modo loro, e lui a modo suo. La tenace volontà che si era rafforzata in lui con gli insegnamenti della Casa della Foresta richiedeva che cercasse la libertà, che continuasse il viaggio, che portasse a termine quel che Zove aveva definito un'opera virile. Questa gente non aveva né meta né origini, non aveva radici nel passato dell'umanità. L'impazienza di scappar via non dipendeva soltanto dall'estrema precarietà dell'esistenza che conduceva tra i Basnasska; era un senso di soffocamento, di limitatezza e immobilità ancor più insopportabile delle fasce che gli impedivano la vista.
Quella sera Estrel si fermò accanto alla sua tenda per dirgli che era cominciato a nevicare, e a bassa voce stavano facendo progetti per la fuga quando si sentì parlare all'entrata della tenda. Estrel tradusse con tono calmo: — Sta dicendo: "cacciatore cieco, vuoi la Donna Rossa questa notte?". — Non aggiunse una parola di spiegazione. Falk conosceva le regole e sapeva dell'abitudine di dividersi le donne passandosele; ma la sua mente era occupata dall'argomento della loro conversazione, per cui rispose con la più semplice delle poche parole Basnasska che conosceva: — Mieg! -. No.
La voce dell'uomo aggiunse qualcosa di più imperioso. — Se continua a nevicare forse è per domani sera — mormorò Estrel in Galaktika. Sempre pensoso, Falk non rispose. Subito dopo si accorse che lei s'era alzata ed era uscita lasciandolo solo nella tenda. Poi si rese conto che la Donna Rossa era lei, e che quell'uomo l'aveva chiamata per accoppiarsi con lei.
Sarebbe bastato che avesse detto Sì, invece di No; e quando pensò alla bravura di lei, alla gentilezza nei suoi riguardi, alla dolcezza del suo tocco e della sua voce, al contegnoso silenzio dietro a cui nascondeva l'orgoglio o la timidezza, rimase sgomento per non averla protetta, sentendosi umiliato come suo compagno, come uomo.
— È per questa sera — le disse l'indomani in un turbinio di neve vicino all'Alloggio delle Donne. — Vieni alla mia tenda. Fatti viva a notte inoltrata.
— Kokteky mi ha detto di andare nella sua tenda questa sera.
— Non puoi sgattaiolare via?
— Può darsi.
— Qual è la tenda di Kokteky?
— Dietro alla Sede della Comunità Mzurra, sulla sinistra. Sul lembo dell'apertura c'è una pezza rimessa.
— Se non vieni tu, vengo io a prenderti.
— Un'altra sera sarebbe meno pericoloso…
— Ma ci sarebbe meno neve. L'inverno è ormai avanzato; questa può essere l'ultima nevicata buona. Andiamo questa sera.
— Vengo io nella tua tenda — disse con tono accomodante e sottomesso, ma fermo.
Nella fascia aveva una fessura attraverso la quale poteva intravedere vagamente dove metteva i piedi, e adesso cercava di scrutarla; ma in quella luce opaca lei gli appariva come una forma vaga nel grigiore del giorno.
A sera inoltrata ella lo raggiunse, calma come la neve che il vento aveva deposto sulla tenda. Avevano entrambi preparato ciò che dovevano portare con sé. Nessuno dei due parlò. Falk si allacciò il cappotto di pelle, si tirò su il cappuccio, annodò i legacci, poi si chinò per slegare il lembo dell'apertura. Ma subito si scostò per far passare un uomo che entrava irruente, piegato in due, attraverso il piccolo varco dell'entrata: Kokteky, un vigoroso Cacciatore, completamente calvo, geloso del suo rango e della sua virilità. — Horressins! La Donna Rossa… — cominciò, poi la scorse nell'ombra, al di là del fuoco ormai morente. Nello stesso istante, vedendo come erano vestiti lei e Falk, si rese conto delle loro intenzioni. Indietreggiò per ostruire il passaggio o per sfuggire all'attacco di Falk, spalancando la bocca per urlare. Senza nemmeno pensarci, con un veloce riflesso e sicuro nel gesto Falk gli sparò a bruciapelo col laser e il lampo fulmineo della luce mortale spense l'urlo nella bocca del Basnasska, bruciandogli bocca cervello e vita in un solo attimo, in un perfetto silenzio.
Falk balzò al di sopra delle ceneri, afferrando la mano della donna, e la fece passare sopra il corpo dell'uomo che aveva ucciso nell'oscurità.
Una neve sottile quasi uno spolverio, turbinava in un vento leggero, mentre il respiro gli si condensava in una nuvoletta fredda. Quello di Estrel usciva mischiato a singhiozzi. Falk, tenendole il polso con la sinistra e reggendo la pistola nella destra, si diresse verso ovest tra le tende sparse, a malapena visibili, punti e macchie di un pallido arancio. In un paio di minuti anch'esse erano scomparse e non rimaneva nient'altro che notte e neve.
Le pistole laser della Foresta Orientale avevano parecchi congegni e funzioni: l'impugnatura poteva servire come accendino mentre dalla canna potevano uscire lampi luminosi non molto potenti. Falk fece partire dalla pistola un bagliore per leggere la bussola e cercare la direzione giusta, poi avanzarono, guidati dalla luce mortale.
Sull'ampia altura dove i Basnasska avevano fissato l'accampamento invernale, il vento aveva quasi spazzato il manto di neve. Ma poco dopo, non sapevano più dove andare; si basavano unicamente sulla bussola rivolta a ovest mentre la tormenta confondeva terra e cielo in un indistinguibile turbinio. Infine arrivarono su un terreno meno elevato. Per qualche metro vi furono mulinelli attraverso i quali Estrel si trovò ad arrancare annaspando come un nuotatore esausto in alto mare. Falk si tirò via dal cappuccio la fettuccia di pelle, se la legò attorno al braccio, e le fece afferrare l'altra estremità, procedendo poi davanti a lei per aprirle il cammino. Una volta lei cadde e diede al legaccio uno strattone che per poco non tirò giù anche lui; si girò e dovette cercarla per un po' con la luce prima di scorgerla, accovacciata dietro di lui, quasi a terra. Si inginocchiò e nella pallida sfera di luce fluttuante di neve le vide il viso distintamente per la prima volta. Disse lei in un mormorio: — È peggio di quel che mi aspettavo…
— Tira un po' il fiato. In questa conca siamo al riparo dal vento.
Si accovacciarono lì insieme, minuscolo puntino luminoso. Attorno volteggiava la neve, spinta dal vento per centinaia di miglia nel buio della pianura.
Lei mormorò qualcosa che in un primo momento non capì: — Perché lo hai ucciso?
Giacendo inerte, con i sensi intorpiditi, cercando di raccogliere le forze per il proseguimento della loro lenta e difficile fuga, Falk non diede risposta. Alla fine borbottò in un mezzo sogghigno: — È cos'altro…?
— Non lo so. Dovevi farlo.
Il suo volto era pallido e teso per la fatica; egli non riusciva a seguire quello che diceva. Era troppo intirizzita per stare ferma a riposare, perciò egli si alzò in piedi costringendo anche lei ad alzarsi. — Vieni. Non deve mancare molto al fiume.
Invece mancava molto. Lei era venuta nella sua tenda alcune ore dopo che si era fatto buio, pensò — c'era una parola per dire ore nella lingua della Foresta, ma il significato era impreciso e dava solo la qualità; persone senza occupazioni e comunicazioni nello spazio e nel tempo non hanno bisogno di indicare le ore e i minuti — e restava un bel po' prima che finisse quella notte d'inverno. Essi avanzarono e avanzò la notte.
Al primo grigiore che venne a rischiarare il turbinoso buio dei fiocchi di neve, stavano scendendo a fatica giù per il pendio di erba e cespugli ghiacciati quanto folti. Un essere possente si alzò proprio davanti a Falk con un suono lamentoso e balzò via nella neve. Da qualche parte lì vicino sentirono sbuffare una vacca o un toro, poi per qualche minuto furono circondati da quelle grosse bestie, mentre la luce pioveva sui bianchi musi e sui grandi occhi liquidi, sui fianchi e sugli ispidi lombi dove si raccoglieva e si ammonticchiava la neve battente. Si lasciarono alle spalle la mandria e arrivarono alla riva del fiumiciattolo che separava il territorio Basnasska da quello dei Samsit. Il corso, molto rapido e poco profondo, non era gelato. Fu giocoforza guadare. La corrente gli intralciava il passo sui sassi lisci, impetuosa contro i piedi, poi contro le ginocchia ad altezza della cintola che pareva infuocata. Le gambe di Estrel cedettero prima che fossero arrivati dall'altra parte. Falk la trascinò fuori dell'acqua, tra i giunchi ghiacciati della sponda occidentale, poi si lasciò cadere accanto a lei in una vuota spossatezza tra i cespugli ricoperti di neve della riva sovrastante. Spense la pistola luminosa. Anche se con una luce pallida una giornata tempestosa stava ormai scacciando le tenebre lungo tutto l'orizzonte.