PARTE PRIMA
1
Nella inconcepibile finitezza dell’universo non vi è nulla di nuovo, nulla di differente. È una questione di statistica e ciò che appare eccezionale alla mente ristretta dell’uomo appare invece inevitabile all’infinito Occhio Cosmico. Quel che sembra un fatto unico può essere un luogo comune. Questo strano momento che coglie tutti nella vita, questo avvenimento inconsueto, queste impressionanti coincidenze di luogo, di possibilità, di corsi e ricorsi, tutto questo si può ripetere con esattezza e precisione straordinarie, più e più volte sul pianeta di un sistema solare della Galassia che compie un solo movimento di rotazione ogni duecento milioni di anni e ne ha compiuti finora già nove. Vi sono stati mondi e culture a non finire, ognuno forse sedotto dall’illusione orgogliosa di essere unico, insostituibile, irriproducibile. Ci sono stati uomini, a non finire, malati della stessa forma di megalomania da cui anche intere nazioni e mondi interi sono affetti. Ce ne saranno altri e altri ancora. Un’infinità. Questa è la storia di uno di questi uomini: l’Uomo Disintegrato.
Nel gennaio del 2013 sulla coppia solare n. 3 (perché l’Occhio Cosmico vede la Terra e la Luna come un sistema binario), Edward Turnbul, studente del Coates Teachers College, decise di approfondire, quale argomento della sua tesi di laurea, l’enigma dell’isteresi magnetica. Le variazioni di Reamur sulle equazioni post-mortem di Einstein avevano messo in luce un paradosso che nessuno si era preoccupato di analizzare. Le ricerche in campo atomico l’avevano trascurato; e a che servono i vicoli ciechi della scienza se non a offrire un’innocua occupazione agli studenti universitari? Turnbul studiò generalmente il tratto originale, diede un’occhiata a un paio di pubblicazioni minori sull’argomento e poi si divertì a fare lo sperimentatore.
Eccovi il quadro: un giovane serio, grasso, pallido, incredibilmente noioso. Un magnete è il suo amore; le radiazioni di un Duplexor x-27 sono i suoi amplessi coniugali. A mezzanotte il nostro giovane si diverte e prova la sublimazione di tutti i suoi guai nell’eccitante incertezza dell’esperimento. Riuscirà? E lui potrà davvero sfruttarlo commercialmente, guadagnare milioni di dollari, conquistare tutte le donne con questa incontestabile prova della sua virilità?
Turnbul apre l’involto dei panini imbottiti, ne addenta uno, poi fa passare la corrente. L’esperimento è riuscito. Trentadue libbre di macchinari e un litro di etere dimetilmetilico volano dal banco al soffitto con improvviso fragore. Turnbul ha scoperto qualcosa che gli scienziati di un secolo prima avevano, guarda caso, ignorato: l’antigravità. Fatto unico? No, inevitabile. La statistica dichiarava inevitabili tali avvenimenti.
Dimenticate Turnbul. Non è il protagonista di questa storia. Se vi identificate in lui vi perderete nel corso di questa vicenda come Turnbul si è sperduto nell’instabile trama che produrrà l’Uomo Disintegrato. Turnbul prese il suo brevetto, poi fu citato in giudizio. Si batté per quindici anni nelle aule dei tribunali, difeso da un mediocre avvocato, e perdette il brevetto. A quell’epoca Turnbul si era fatto conoscere abbastanza da ottenere una cattedra di professore al suo Istituto. Sposò una bibliotecaria, educò i propri figli, e coninuò a scorrere avidamente ogni nuovo testo, ritenendosi soddisfatto se in qualche nota o appendice gli si attribuiva la paternità dell’antigravità o nulgee.
Nel settembre del 2110 la moglie di Galen Gart morì. Era una donna alta, appariscente, di carattere chiuso, e Gart l’aveva amata profondamente e per trent’anni. Erano stati una coppia felice, e nel corso della loro unione erano venuti ad assomigliare sempre più l’uno all’altra, come spesso accade alle coppie. Era difficile distinguere la loro calligrafia, le loro voci, le loro battute.
— Pensiamo sempre allo stesso modo — era solito dire Gart. — Normalmente le rispondo prima di rendermi conto che non ha avuto il tempo di esprimermi il suo pensiero. — E dopo la sua morte disse: — Che senso c’è a continuare così? Eravamo un corpo e un’anima sola. Non avevamo bisogno di tante parole. Con chi altro potrei giungere a tale intimità? — Ma a cinquant’anni Galen Gart, inconsolabile, prematuramente invecchiato, conobbe un’eccitante ragazza di venti, con un busto stupendo, la pelle di seta, l’infantile nomignolo di Duffi, e sei mesi dopo il funerale la sposò.
Non sei poi così vecchio al buio.
— Whow, Duffi — esclamò Gart. — Che cose piacevoli dici!
— Ma non ho parlato. — Ed era vero.
Ci volle un anno perché Gart si accorgesse che era lui a non aver bisogno che gli altri parlassero. Divenne la sua specialità, il suo giochetto di società, la sua bizzarria.
Così questo è il famoso Galen Gart. Sa leggere il pensiero, eh? Impossibile. Tutti trucchi. A me non la fa. A leggere i miei pensieri non ci riesce.
— Ma sì che ci riesco, cara signora.
— Io non ho detto niente. Ho soltanto…
— Ehi, sentite! Gart c’è riuscito ancora una volta.
— Guardate come arrossisce lei.
— Che cosa sta pensando, Gart?
— La signora — sorrise Gart — sta pensando che io rido di lei. Arrossisce perché le sto dicendo che l’ammiro. Ha una delle più belle menti in cui mi sia imbattuto.
Risate generali.
Risate generali accoglievano il rivelarsi della strana facoltà di Gart, quando lui, gentile, educato, cortese si esibiva nel suo giochetto di società. Ma tale caratteristica era una qualità recessiva, che si rivelò appieno in suo figlio.
Nessuno rise quando quella piccola bestia amorale di Galen junior (tutti i bambini lo sono un po’) scoprì di aver ereditato la facoltà di percezione extrasensoriale e cominciò a usarla brutalmente. Il giovane Galen mutò le risate in lacrime, e si scrissero parecchi libri intorno alla sua triste carriera criminale che si concluse con la sua morte violenta. E Galen Gart junior, ricattatore, consigliere fraudolento e ladro, aiutò a produrre l’Uomo Disintegrato.
Il lotto di terreno in vendita nei pressi di Sheridan Place trovò un acquirente, e il Club dello Spazio fu costretto a trasferire la sede della lotteria, con relativi premi, a Brooklyn. Il barometro costituito da un razzo in miniatura inserito a metà di una colonna illuminata per graduare la quale c’erano voluti migliaia di dollari, e che era di proprietà dei soci, fu lasciato dov’era. Sul terreno sorse un isolato di grandi magazzini sperimentali, costruiti senza tetto e senza mura, protetti dalle intemperie, e dagli eventuali ladri, da un nuovo sistema difensivo detto Protezione Donaldson, una sorgente invisibile di radiazioni che, quando era umido, scintillava con il balenio fluorescente dell’olio sull’acqua.
Il negozio centrale, accanto all’ingresso della Stazione Pneumatica, venne affittato, con un contratto valido per 99 anni, da Wilson Winter, un artista di tendenze ambigue che acquistò una partita di libri vecchi in omaggio alla letteratura, e si diede a esercitare un proprio commercio di opere scandalose in omaggio alla propria borsa. Fra le anticaglie senza valore figurava Giochi di società di Nita Noyes. Il libro rimase a coprirsi di polvere sullo scaffale finché non fu acquistato dall’Uomo Disintegrato.
Platon Quin, giovane e brillante produttore di un nuovo genere di spettacolo noto con il nome di Panty, attribuisce il suo straordinario successo all’estrema attenzione con cui cura ogni minimo particolare. In un’intervista esclusiva con il nostro inviato ha detto: "La gente dimentica che Panty è solo una contrazione che significa Pantografo delle Emozioni. Quando cinquemila persone si riuniscono in un teatro per assistere a un Panty non si può farle fremere di odio, di amore, di orrore, non si possono raffigurare al vero questi sentimenti se non si curano i minimi particolari dell’elemento passione. Troppi produttori pensano che il Panty sia un fatto tridimensionale: vista, suono e sensazione. Per me i Panty sono quadrimensionali e la mia quarta dimensione è il realismo. Ogni scena, ogni costume, ogni brandello di stoffa, ogni pezzo di metallo, di porcellana, di materia plastica, e così via, nelle mie produzioni è autentico. E il pubblico lo sente. Guardate per esempio questo".
Il giovane e brillante produttore ci ha mostrato un piccolo oggetto di acciaio. "Non lo riconoscerete" ha detto con un sorriso "finché non vedrete Memorie di un Assassino. È l’unico esemplare di pistola francese pieghevole".
Ha premuto un pulsante. Si è udito un curioso schiocco. L’acciaio si è aperto come un fiore, si è vista la punta di uno stiletto, la bocca di una canna da fuoco e quattro pesanti anelli d’acciaio che, come Quinn ha spiegato, avevano una funzione protettiva.
"Un congegno mortale, e sta in un pugno" ha defto Platon con entusiasmo. "Aspettate di essere seduti al vostro posto, alla prima dello spettacolo. Sentirete il coltello penetrarvi nella carne, sentirete il proiettile trapassarvi il cuore. Sentirete tutto l’orrore del pericolo e della passione. È sensazionale. E tutto questo è contenuto nel mio ultimo Panty, Memorie di un Assassino".
Quinn ripiegò la pistola, la ripose nella sua scrivania e ve la dimenticò. Si dimenticò di prenderla con sé anche quando lasciò l’albergo. Ed essa vi rimase, dimenticata da tutti, finché non fu scoperta dall’Uomo Disintegrato.
L’antigravità, altrimenti nota con il nome di nulgee, fu studiata, approfondita e sfruttata. Fece crollare un mondo industriale e ne creò altri cinque. Tra un milione di affaristi emersi dalle rovine come altrettante fenici, chi pensò di avvalersene fu la Fratelli dei Sette Sacramenti, una Compagnia di Trasporti, dotata di un solo autocarro, il cui proprietario e gerente era un tale, figlio unico, di nome Reich; un giovanotto magro, dagli occhi da pesce, le ambizioni smisurate e un’assoluta mancanza di senso sociale.
Anche il Club dello Spazio, che era in gran difficoltà per la raccolta dei fondi comuni, decise di sfruttare l’antigravità. I grandi industriali alzarono le spalle, preferendo lasciare agli sciocchi l’arduo compito di fare da pionieri. Chi si prende la briga di speculare su una semplice probabilità? Che vantaggi commerciali possono derivare dalla possibilità di raggiungere l’ardita distesa della Luna o quelle ghiacciate dei pianeti? Chi si sentiva di spalleggiare le imprese di Cayley, Stringfellow, Haneson, Chanute, Santos-Dumont, i Wright? Tra l’altro erano in corso alcune guerre e gli eserciti combattevano per eliminare l’antigravità in omaggio a nebulose ragioni di sicurezza.
Nel frattempo fece la sua comparsa Alan Courtney. Dopo aver divorziato dalla sua dodicesima moglie, Courtney cominciò a guardarsi attorno in cerca di una nuova terapia per il suo ipertiroidismo. Aveva abbastanza denaro per essere annoiato e ciò bastò a dargli l’idea di costruire un’astronave interplanetaria. Alla stampa annunciò che era sua intenzione ricercare negli spazi stellari una moglie ideale. La stampa non si scompose, e Courtney ne fu seccato. Per dispetto, completò il suo apparecchio e, reso più ardito da una solenne sbornia, partì per la sua avventura.
Non tornò. Nessuno credette alla sua partenza. Cinque anni dopo la gente per lo più si chiedeva: Che cos’è successo a quel marito impenitente di Alan Courtney? E qualcuno rispondeva: Abita a Santa Fe, no? Sposato per la sedicesima o diciassettesima, o ventesima volta.
Anche Glen Tuttle, uno psicopatico inguaribile, e Almedo Zigerra, Joan Turnbul, Fritz Wonchalk, Speeman Van Tuerk, e ancora altri, tutta gente che si sentiva a disagio in questo mondo; incapaci di compromessi sociali, malati d’evasione, se ne andarono dalla Terra a uno a uno, con più o meno clamore e pubblicità. Nessuno ritornò. Il Club dello Spazio accolse con entusiasmo la donazione di 100.000 dollari da parte di un magnate dell’industria dei trasporti, Reich, e annunciò che presto l’uomo avrebbe lasciato la terra per il suo primo viaggio negli spazi. In realtà era cosa già avvenuta.
Varcata la soglia, si trovò nella tranquillità dello studio e si guardò attorno. Era una donna sciatta, sui quarant’anni, appassita, spaventata. Scorse subito l’uomo seduto dietro la scrivania, un giovane coi capelli e gli occhi neri, la pelle bianca e vellutata come quella di Duffi.
— Avanti signora. Accomodatevi.
Aveva una voce bassa, leggermente roca, come se celasse passioni represse.
— Grazie — sedette, faticosamente. Ha l’aria troppo ambigua. L’aria di un ladro. Hanley dice che potrebbe anche essere in regola. Io non ci credo.
— Qual è il vostro nome, signora?
— Il mio nome? Rhoda Rennsaeler, se leggete tra le righe. Sono la signora Nolles, moglie di Thomas Nolles. Il mio nome è Elvira.
— E il vostro problema, signora Nolles?
— Bene, continuo a sentire quelle voci che mi parlano all’orecchio. Così ho pensato che un dottore…
— Non sono un dottore, signora. Cercate di capire. Non esercito la professione del medico. Do solo consigli ai miei amici. Potete chiamarmi semplicemente signore, non dottore, signor Lorry Gart.
Prudente l’amico. Ma te la farò, furfante, non te l’immagini neppure come te la farò.
— Il vostro problema, signora Nolles? — ripeté Gart.
— Si tratta di quelle voci. Mi dicono che io sono Dio. E se non cadi a questa uscita, allora sei più furbo di quanto credessi. Posso pagare la visita. Ho qui dei bigliettoni che te li sogni, tu, maledetto ciarlatano.
— Forniti dal signor Hannerly?
— Oh no, sono i miei risparmi. Io… — S’interruppe.
Gart annuì e sorrise. — Cominciamo a capire, vero, signora Rennsaeler?
Ma non l’ho mai detto. Mai!
— No, naturalmente. E non avete neppure detto il vostro nome. Cerchiamo di essere pratici, signora Rennsaeler. Io non sono un ciarlatano. Voi non mi smaschererete. Anzi dimenticherete questo episodio.
Ma che cosa siete in nome di Dio?
— Un divinatore di pensiero, un uomo dotato di facoltà telepatiche, un Esper. Posseggo la facoltà della percezione extrasensoriale, signora Rennsaeler. Extra-Sensoriale PERcezione. ESP.
Il cane! Vede tutto quello che mi passa per la mente. Smettila di pensare! Perché non posso smettere di pensare? Lui mi ascolta. Come uno che spii dal buco di una serratura. Che spii senza essere visto. Lui…
— Signora Rennsaeler, smettetela! — Gart parlò aspramente. Si alzò e girando attorno alla scrivania si accostò alla donna. — Ascoltatemi, non abbiate paura. Avete l’impressione che la vostra più segreta intimità sia violata, e questo vi rende ostile. Ma non c’è niente di cui dobbiate vergognarvi, signora Rennsaeler. Nel chiuso della nostra mente siamo tutti uguali. Tutti, indistintamente. Lo so. L’ho scoperto con la mia esperienza personale.
Lei lo guardò fisso, spaventata.
— Credetemi. — Scosse la testa e fece una smorfia penosa. — Volete che vi racconti le mie vergogne, le mie paure segrete, i miei vizi e i miei orrori? Vogliamo sentirci fratelli oltre la soglia della coscienza? Mio padre era un criminale. Galen Gart junior, un ricattatore, un truffatore, un uomo che leggeva il pensiero e di questo si serviva per eliminare le persone. Fu ucciso. Io possiedo le stesse qualità, la sua stessa capacità di leggere il pensiero, non molto a fondo, ma con una certa esattezza. Da qui nascono le mie tentazioni, tentazioni suscitate dall’avidità, dal subdolo odio per la società, dall’istinto di sbalordire e distruggere la gente, dall’istinto malsano di distruggere me stesso.
— Non capisco. — La donna scosse la testa.
— Sto denudandomi psicologicamente per voi, signora Rennsaeler. È la mia unica difesa contro la vostra ostilità. Spero che voi possiate aiutarmi a divenire qualcosa di meglio di un illusionista da strapazzo. Vi intendete di rapporti sociali?
— No — disse lei. — No. Sono venuta qui per smascherare un volgare ciarlatano. Io…
— Ascoltatemi. Io mi servo della mia eccezionale facoltà per aiutare le persone confuse e smarrite. Vengono qui da me degli strani malati, quelli che non sanno scoprire i loro stessi problemi. Io li aiuto in un solo modo: a indovinare i loro problemi. Mentre parlano io seguo il flusso dei loro pensieri. Mentre si agitano e si confondono, ricostruisco punto per punto il loro caso, dico loro di che crisi soffrono. La delineo chiaramente davanti ai loro occhi. È come se avvolgessi il loro problema individuale in un bel pacchetto e lo consegnassi nelle loro stesse mani. Possono portarlo al più vicino psicanalista per averne la soluzione, benché generalmente non sia affatto necessario.