Gli osservatori - Силверберг Роберт 13 стр.


— Esseri di grazia divina… transumani nelle loro facoltà… benevoli, che tutto vedono, e tutto sanno… afflitti per la nostra travagliata civiltà…

Adesso lo schermo mostrava l’interno di un disco volante. Congegni di ogni genere dappertutto, calcolatori, strumenti ticchettanti e misuratori. C’erano anche le creature dei dischi volanti: superbi esemplari di vita transumana, muscolosi, bellissimi, con espressioni di ineffabile saggezza. Adesso la nave stava atterrando sulla Terra, leggera come una piuma. La scena si fece violenta: contadini che sparavano ai visitatori, uomini in divisa che li attaccavano con determinazione, donne isteriche che si nascondevano dietro gli alberi. Ed i visitatori galattici che se ne restavano calmi e tranquilli, respingendo le pallottole e le bombe, sorridendo tristemente, facendo cenni agli spaventati terrestri perché riprendessero animo.

— In quest’epoca di crisi e di dubbio, Frederic Storm si è fatto avanti offrendosi come intermediario fra il genere umano e il genere transumano…

Si vide il grand’uomo avanzare senza paura verso il disco volante atterrato, sorridendo, e sollevando le mani in segno di saluto. Poi lo si vide tracciare segni geometrici sul terreno, e porgere il benvenuto con voce vigorosa. Quindi apparve Storm a bordo del disco volante. I galattici sembravano alti quasi due metri e mezzo, e gli stringevano solennemente le mani.

— Frederic Storm trasmise il messaggio di pace ad un genere umano ostile e paralizzato dalla paura. All’inizio andò incontro soltanto alla derisione ed all’ironia che altri grandi condottieri dell’umanità avevano conosciuto…

La folla che spaccava il parabrezza della macchina di Storm e le dava fuoco. La polizia che interveniva appena in tempo a salvare il profeta. Pugni agitati minacciosamente. Volti distorti dall’odio.

— … ma vi furono coloro i quali riconobbero la verità della missione di quest’uomo perseguitato…

L’immagine di donne che facevano la fila in un supermercato per acquistare copie di uno dei libri di Storm. Discepoli. Storm che sorrideva, rivolto ad una gran folla nel «Coliseum» di Los Angeles. Il senso di un ritmo in crescendo, di un movimento religioso appena nato ma già sulla strada.

Kathryn si agitò sulla sedia.

Con una sorta di stralunata sagacia, il documentario cominciò a passare da un’immagine all’altra: Storm nuovamente tra gli esseri del disco volante, Storm che guidava i suoi seguaci alla preghiera ed alla meditazione, Storm che parlava direttamente dallo schermo, sollecitando tutta l’umanità a mettere da parte la sfiducia ed il sospetto, ed a dare il benvenuto al pacifico popolo spaziale con tutto il suo cuore. Immagini di altre persone che avevano avvistato i dischi volanti si formarono sullo schermo: donne eccitate che affermavano di aver visto i galattici, «Sì, li ho visti davvero», ed uomini magri, tremanti che annunciavano di aver viaggiato sulle navi degli extraterrestri, «effettivamente e letteralmente». Ed una sequenza finale di immagini che rivelavano una vera funzione della Società per la Fratellanza dei Mondi. Non era altro che una sessione di risveglio religioso, piena di benedizioni e di dichiarazioni urlate a gran voce, di braccia sollevate e di fronti sudate e di occhi sgranati, di estatiche confessioni di contatti con i galattici. Il documentario si concluse con una rapsodia eseguita da un organo che fece vibrare l’intero palazzo. Quando le luci si riaccesero, le altre quattro donne che componevano il pubblico rimasero sedute immobili, stordite, come se avessero vissuto un’esperienza sconvolgente.

Kathryn lasciò rapidamente la sala, ed uscì dall’anticamera al pianterreno prima che qualcuno potesse vederla. Era stato uno spreco di tempo venire fin lì, se ne rese conto solo allora. Tutto ciò che aveva sentito dire a proposito del Culto del Contatto era vero: non era altro che un sistema per far denaro, un tentativo per approfittarsi dei gonzi e degli illusi. Kathryn provò l’impulso di precipitarsi in quell’elegante ufficio e di gridare: — Frederic Storm non ha mai visto un galattico in vita sua! Se ne vuole vedere uno, venga con me a casa mia! — I galattici erano forse alti due metri e mezzo e con l’aria straordinariamente benevola? No; almeno uno di loro non lo era. Kathryn non vedeva alcun legame tra l’ospite che aveva in casa e gli scintillanti esseri di quel documentario. Frederic Storm era un impostore, ed i suoi seguaci erano dei maniaci, proprio come avevano sempre sostenuto la maggior parte delle persone intelligenti. A Kathryn sembrò amaramente divertente che Vorneen fosse andato a cadere proprio nel giardino di una persona scettica. E se fosse andato a finire vicino alla casa di un vero credente?

Rise di quell’idea. Di sicuro Storm sarebbe rimasto di sasso, se uno dei suoi proseliti si fosse presentato alla funzione serale con un autentico galattico a rimorchio! Sarebbe stato come portare Gesù alla Messa Alta… un bell’imbarazzo per le autorità.

Peccato, comunque, che avesse fatto un viaggio inutile. Cedendo ad un impulso che — come si rendeva conto solo ora — era stato dettato da una disperata ingenuità, si era recata ad Albuquerque aspettandosi di trovare conforto e consigli sinceri presso il Culto del Contatto… qualcuno che sapesse guidarla e dare un senso alla presenza in casa sua di quell’essere misterioso. Invece le avevano propinato una specie di carosello pubblicitario tambureggiante e le avevano munto un paio di dollari. Ma adesso aveva chiuso con la Società per la Fratellanza dei Mondi, pensò, mentre correva verso casa sulla superstrada che cominciava a riempirsi del traffico dell’ora di punta. Il Culto del Contatto non aveva niente da offrire. Con Vorneen, avrebbe dovuto vedersela da sola.

Dopo essere passata a riprendere Jill dalla vicina, Kathryn entrò in casa già pensando a che cosa avrebbe preparato per cena. Si recò nella stanza di Vorneen. Era sveglio.

— Ha fatto buon viaggio? — le domandò.

— Non proprio. Non ho combinato nulla.

— Che cos’ha in mano?

Si rese conto che aveva ancora con sé gli opuscoli ed i libretti che le avevano dato alla sede dei contattisti. Le sue guance avvamparono. — Niente di particolare. Rivistucole.

— Magari potrei leggerne qualcuna.

Kathryn cercò una via d’uscita, non la trovò, e disse: — Va bene. Per quello che valgono. — Gettò il materiale sul letto. Vorneen aprì le pubblicazioni a ventaglio.

— Di che si tratta? — domandò.

In tono uniforme, Kathryn rispose: — Letteratura sui dischi volanti. Me li hanno dati al Culto del Contatto di Albuquerque. Sa che cos’è il Culto del Contatto?

— La nuova religione. Basata su ipotetici incontri fra terrestri ed esseri alieni provenienti dallo spazio.

— Esatto — commentò Kathryn.

— Perché mai dovrebbe interessarsi di queste cose? — le chiese lui in un tono inequivocabilmente ironico.

I loro occhi si incontrarono. — Io mi interesso di molte cose. Ma con loro ho perso il mio tempo. Raccontano un mucchio di sciocchezze. La loro religione è tutta un’invenzione. Non saprebbero riconoscere un vero essere galattico nemmeno se se lo trovassero davanti al naso e li salutasse.

— Ne è sicura?

— Sì — rispose lei, decisa. — Sì!

CAPITOLO UNDICESIMO

Nei momenti più oscuri degli ultimi anni, Tom Falkner si era detto spesso, quasi per compiangersi, che la sua vita era un inferno. Ma ora, nei pochi giorni da che aveva portato Glair a casa sua, si era reso conto che aveva esagerato parecchio. In realtà non si trattava tanto dell’inferno, quanto dei suoi sobborghi. Alla fine, però, era riuscito ad arrivarci, proprio nel bel mezzo dell’inferno.

E non era nemmeno sicuro di poter resistere troppo a lungo senza crollare.

Negli anni trascorsi aveva subito parecchi duri colpi — il fallimento della sua carriera di astronauta, la relegazione in quella raccolta di scarti umani che era il SOA, la fine del suo matrimonio — senza crollare. Piegandosi, sì, ma rimanendo intero. Quest’ultimo sembrava però essere stato di troppo. Lo aveva colpito proprio lungo la linea di conflitti inconciliabili che giaceva nell’intimo del suo essere, ed era sul punto di spaccarsi come la Faglia di Sant’Andrea.

— Continua, e bevi qualcosa — gli disse Glair.

— Chi ti dice che ne abbia voglia?

— Non è difficile capirlo. Povero Tom! Mi dispiace tanto per te!

— E così siamo in due.

— Lo so — ribatté lei, rivolgendogli un sorriso.

— Piccolo demonio! Non è leale, approfittarti delle mie debolezze. Che cosa ci posso fare se ho la tendenza ad autocommiserarmi?

— Potresti metterci un po’ più di impegno. Ma vai a versarti un goccio, comunque.

— Ne vuoi anche tu?

— Lo sai che non dovrei toccare l’alcool — replicò Glair. Era seduta sul letto, con le coperte avvolte intorno alla vita. La parte superiore del suo corpo era nascosta dalla giacca di un pigiama maschile. Aveva insistito lui; Glair non aveva vestiti, a parte la fascia lombare e la tuta, ed entrambe erano ben nascoste nella camera di sicurezza della cantina. D’altra parte Falkner si era accorto che, nelle sue attuali condizioni mentali, la nudità di Glair gli creava dei problemi. I suoi seni erano straordinariamente ben modellati — fino ad essere improbabili, a dire la verità — e la loro vista lo riempiva di un desiderio così furioso che le aveva chiesto di coprirli. La tentazione di infilarsi nel letto accanto a lei era già abbastanza pressante, senza bisogno di aggiungere altri stimoli. E poi la sua presenza gli creava da sola parecchi altri grattacapi, e non era proprio il caso di andarsi ad impegolare in situazioni del genere.

Prese dalla cassetta delle bevande una bomboletta di scotch giapponese e la attivò, iniettandosela direttamente in vena; era il modo migliore. Al diavolo il gusto: l’alcool andava a finire subito nella circolazione sanguigna, che era comunque la sua destinazione, e di lì partiva per raggiungere il cervello. Glair lo osservò impassibile. Dopo un po’, gli sembrò di sentirsi più rilassato.

— Non dovrai fare rapporto al tuo ufficio, uno di questi giorni? — gli chiese lei.

— Sono in licenza per motivi di salute. Nessuno mi scoccerà fino a lunedì, il che mi concede ancora qualche giorno per chiarirmi le idee.

— Stai ancora pensando di consegnarmi?

— Dovrei. Ma non posso, e non lo farò.

— Le mie gambe stanno guarendo in fretta — disse lei. — Forse tra un paio di settimane saranno a posto. Allora non dipenderò più da te. Me ne andrò, la mia gente mi porterà via e tu potrai tornare al tuo lavoro.

— Come faranno a trovarti se il comunicatore della tua tuta è rotto?

— Non preoccuparti, Tom. Loro troveranno me o io troverò loro, e in un baleno sarò lontana dalla Terra.

— Diretta dove? A Dirna?

— Probabilmente no. Solo alla nostra base di soccorso per un controllo medico ed un periodo di riposo.

Falkner aggrottò la fronte. — Dove si trova?

— Non te lo dirò, Tom. Ti ho già detto fin troppo.

— Certo — ribatté lui con astioso sarcasmo. — E quando ti avrò strappato tutti i vostri segreti galattici, stilerò un rapporto completo per l’Aeronautica. Credi che ti tenga qui per gioco? Faccio solo finta di tenerti nascosta. In realtà, il SOA sa tutto di te, e questo è il nostro modo ingegnoso di…

— Tom, perché ti detesti tanto?

— Detestare me stesso?

— Si capisce da ogni cosa che dici, dai tuoi gesti, perfino. Sei così pieno di amarezza, di tensione. Il tuo sarcasmo, l’espressione sul tuo volto. Che cosa c’è?

— Pensavo che tu lo sapessi. Io dovevo essere un astronauta, e mi hanno sbattuto fuori, sistemandomi in questo insulso ufficio dove ho passato cinque giorni su sette a consolare i maniaci ed a dare la caccia per tutto il paese a misteriose luci volanti. Non è una buona ragione di amarezza?

— Sì, perché tu non credevi nel tuo lavoro. Ma ora sai che il tuo incarico non era tutto tempo sprecato. C’era veramente qualcosa nel cielo della Terra. Non è meglio così? Non senti adesso che c’era uno scopo, in ciò che facevi?

— No — rispose lui cupamente. — Quello che facevo non valeva un accidente. Ed è tuttora così. — Allungò la mano per prendere una seconda bomboletta. — Glair, Glair, Glair. Io non volevo che fosse vero! Io non volevo trovare una ragazza di un disco volante in mezzo al deserto! Io…

Si interruppe, sentendosi assurdo per quel veemente sfogo verbale.

Glair gli disse, con voce carezzevole: — Preferivi un lavoro inutile e vuoto, perché in tal modo potevi continuare a tormentarti per la tua carriera rovinata. Le cose sono peggiorate parecchio, per te, quando mi hai trovato, non è vero? All’improvviso hai dovuto fare i conti con il fatto che il motivo per auto-torturarti non esisteva più.

— Smettila, Glair. Cambia argomento.

— Guardami, Tom. Perché ti detesti tanto? Perché vuoi continuare a farti del male?

— Glair…

— E continui a cercare nuovi modi per tormentarti. Mi hai detto che era tuo dovere denunciarmi. Non l’hai fatto. Sei l’unico uomo in tutto il SOA che abbia effettivamente trovato un essere extraterrestre, ed invece di fare la cosa più naturale da un punto di vista militare, lo porti in casa tua, ve lo nascondi ed opacizzi le finestre. Perché? Perché così puoi sentirti colpevole come desideri per il modo in cui stai violando i tuoi ordini.

Le mani di Falkner tremavano a tal punto che a stento riuscì ad iniettarsi nelle vene la successiva bomboletta di scotch.

— Una cosa ancora, Tom. Poi ti lascerò in pace. Perché ti tieni alla larga da me, se non per quella tua stessa tendenza autodistruttiva? Tu mi desideri, e lo sappiamo entrambi. Ma tu ti punisci ricoprendo il mio corpo con quest’indumento e dicendoti che sei virtuoso. Nella vostra lingua esiste una parola che definisce questo tipo di personalità. Me lo disse Vorneen, una volta. Un mato… masi…

— Masochista — completò per lei Falkner, mentre il cuore gli martellava nella gabbia toracica.

— Masochista, sì. Non voglio dire che tu ti frusti o che indossi delle scarpe strette. Voglio dire che trovi dei modi per ferire la tua anima.

— Chi è Vorneen? — domandò Falkner.

— Uno dei miei compagni.

— Intendi dire uno dei tuoi compagni d’equipaggio?

— Anche quello. Ma io intendevo un compagno sessuale. Vorneen, Mirtin ed io, eravamo l’equipaggio. Un gruppo sessuale a tre elementi. Due maschi ed io.

— Come poteva funzionare un’unione del genere? A bordo di una nave, due maschi e…

— Funziona. Noi non siamo umani, Tom. E non è detto che dobbiamo avere le stesse emozioni degli esseri umani. Eravamo molto felici insieme. Può darsi che loro siano rimasti uccisi nell’esplosione della nave, non lo so. Io sono stata la prima a saltare. Ma stai sviando dall’argomento, Tom. L’argomento sei tu.

— Dimenticati di me. Non avrei mai immaginato che tu avessi… avessi un gruppo sessuale. Non ci avevo mai pensato. Quindi sei una donna sposata.

— Si può dire così. A meno che non siano morti. Non ho alcun modo di mettermi in comunicazione con loro.

— Ma li amavi entrambi?

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