E ancora ventidue pagine occupava la corrispondenza intrattenuta da Abalkin con i suoi capi. Questa corrispondenza mi portò a fare alcune riflessioni.
Nell’ottobre dell’anno 63 Abalkin inviò al COMCON-1 una lettera in cui esprimeva, seppur timidamente, le sue perplessità per non essere stato consultato a proposito dell’operazione “Testone nel Cosmo”, nonostante che l’operazione avesse avuto successo e promettesse ricche prospettive.
Non si sa che cosa gli venisse risposto, ma nel novembre di quello stesso anno, Abalkin inoltrò a Komov una disperata richiesta di riprendere l’operazione “Testone nel Cosmo” e contemporaneamente un’aspra lettera al COMCON, in cui protestava contro il suo, di Abalkin, invio ai corsi di riqualificazione. (Facciamo notare che tutto questo avveniva stranamente in forma scritta e non secondo la prassi usuale.)
Come risulta chiaro dagli avvenimenti successivi, questa corrispondenza non produsse alcun effetto, e Abalkin fu mandato a lavorare su Higanda. Tre anni dopo, nel novembre del 66, scrisse di nuovo al COMCON da Pandora e chiese di essere inviato su Sarakš, in modo da continuare il suo lavoro con i Testoni. Questa volta la sua richiesta venne accolta, ma solo in parte: lo mandano sì su Sarakš, ma non al Serpente Azzurro, bensì ad Honti, come militante clandestino degli unionisti.
Durante i corsi di aggiornamento nel febbraio e nell’agosto del 67 scrive due volte al COMCON (a Bader, e poi addirittura a Gorbovskij), facendo notare quanto fosse inutile usarlo come residente, essendo lui un buon specialista di Testoni. Il tono delle sue missive diventa sempre più brusco; la lettera a Gorbovskij non saprei definirla in altro modo che offensiva. Sarebbe interessante sapere cosa rispose quel tesoro di Leonid Andreevič a questa esplosione di ira e di sprezzante indignazione.
E ancora da residente a Honti, nell’ottobre del 67, Abalkin manda a Komov la sua ultima lettera: un piano dettagliato di incremento dei contatti con i Testoni, che comprende lo scambio di regolari delegazioni, l’impiego dei Testoni nei lavori di zoopsicologia effettuati sulla Terra, eccetera, eccetera. Non mi sono mai occupato in modo particolare di questo settore, ma ho l’impressione che questo piano ora sia accettato e realizzato. E se è così, allora la situazione è paradossale: il piano viene realizzato, e il suo iniziatore ciondola ora ad Honti ora nell’Impero Insulare.
Nel complesso questa corrispondenza mi lasciò un’impressione penosa. Va bene, non sono uno specialista di Testoni, mi è difficile giudicare, è probabile che il piano di Abalkin sia banalissimo, e usare parole altisonanti come “iniziatore” non ha senso. Ma il problema non è questo, o perlomeno, non solo questo! Il ragazzo è chiaramente uno zoopsicologo nato. «Attitudini professionali: zoopsicologia, teatro, etnolinguistica… Indicazioni professionali: zoopsicologia, xenologia teorica…». E ciò nonostante fanno del ragazzo un Progressore. Non discuto, esiste un’intera classe di Progressori per i quali la zoopsicologia sia il pane quotidiano. Per esempio quelli che lavorano con i leonidiani o con gli stessi Testoni. Ma no, al ragazzo tocca lavorare con gli umanoidi, fare il residente, il combattente, nonostante che per cinque anni gridi a tutto il COMCON: «Che state facendo di me?». E poi si meravigliano che abbia l’esaurimento nervoso!
Certo, il Progressore è un tipo di professione per cui è indispensabile una disciplina ferrea, oserei dire militare. Il Progressore è costretto, sempre e comunque, a fare non quello che vuole lui, ma quello che gli ordina il COMCON. Per questo è un Progressore. E probabilmente il residente Abalkin è molto più prezioso per il COMCON dello zoopsicologo Abalkin. Tuttavia in questa storia si è in un certo qual modo passata la misura, e non sarebbe male parlarne con Gorbovskij o con Komov… E qualsiasi cosa abbia combinato questo Abalkin (ed è chiaro che qualcosa ha combinato), io sono dalla sua parte.
Comunque tutto questo, evidentemente, non ha niente a che fare con il mio compito.
Notai ancora che mancavano tre pagine numerate dopo il primo rapporto di Abalkin, due pagine dopo il secondo, e due pagine dopo l’ultima lettera di Abalkin a Komov. Decisi di non attribuirvi un significato.
1° giugno dell’anno 78. Quasi tutto sui possibili legami di Lev Abalkin
Compilai un elenco preliminare dei possibili legami di Lev Abalkin sulla Terra, e risultò che in questo elenco avevo in tutto diciassette nomi. Concretamente mi interessavano solo sei persone, e le elencai in ordine decrescente, secondo le probabilità (a parer mio, ovviamente) che Lev Abalkin le andasse a trovare. Questo era l’elenco:
l’insegnante Sergej Pavlovič Fedoseev
la madre Stella Vladimirovna Abalkina
il padre Vjačeslav Borisovič Ziurupa
l’istruttore Ernst-Julij Gorn
il medico osservatore della scuola dei Progressori Romuald Crasescu
il medico osservatore della scuola-internato Jadwiga Michailovna Lekanova.
Nel secondo gruppo rimasero Kornej Jašmaa, il Testone Ščekn, Jakob Vanderchuze e ancora cinque persone, dei Progressori. Per quanto riguardava persone come Gorbovskij, Bader, Komov, le aggiunsi più che altro pro forma. Rivolgersi a loro era infatti impossibile, perché non avrebbero bevuto nessuna storiella, e di raccontar loro la verità io non avevo il diritto, anche se essi stessi si fossero rivolti a me per questa faccenda.
In dieci minuti l’informatore mi diede le seguenti, poco consolanti informazioni.
I genitori di Lev Abalkin non esistevano, per lo meno non nel senso corrente della parola. Probabilmente non esistevano in assoluto. Più di quaranta anni prima Stella Vladimirovna e Vjačeslav Borisovič avevano fatto parte del gruppo Jormala, sull’astronave Tenebre, e avevano compiuto un’immersione al Buco Nero EN 200056. Non c’erano stati contatti con loro, e non ce ne potevano essere, considerate le conoscenze di allora. Lev Abalkin, a quanto pare, era il loro figlio postumo. Ovviamente, il termine “postumo” in questo contesto non è del tutto esatto: è infatti possibile che i suoi genitori siano vivi e che vivranno ancora milioni di anni secondo la nostra cronologia, ma dal punto di vista di un terrestre è la stessa cosa che se fossero morti. Non avevano figli, e prima di lasciare per sempre il nostro universo depositarono all’Istituto della vita un’ovocellula materna fecondata dal seme paterno, come hanno fatto prima di loro e dopo di loro molte coppie in una situazione simile. Quando fu chiaro che l’immersione era riuscita e che non sarebbero più tornati, la cellula venne attivata e Lev Abalkin venne alla luce: figlio postumo di genitori vivi. Perlomeno ora mi era chiaro perché nel foglio n. 1 i genitori di Abalkin non venissero nemmeno menzionati.
Ernst-Julij Gorn, l’istruttore di Abalkin alla scuola dei Progressori, non era più fra i vivi. Nell’anno 72 era perito su Venere durante un’ascensione al picco di Strogoff.
Il medico Romuald Crasescu si era trasferito sul pianeta Lu ed era assolutamente irraggiungibile. Non avevo nemmeno mai sentito parlare di questo pianeta, ma siccome anche Crasescu era un Progressore, bisognava supporre che fosse un pianeta abitato. È curioso, però, che il vegliardo (centosedici anni!) avesse lasciato nel GSI il suo ultimo indirizzo privato, accompagnandolo con questo messaggio: «Mia nipote e suo marito saranno sempre lieti di ricevere a questo indirizzo i miei ex pazienti». Bisognava supporre che i pazienti continuassero a voler bene al loro vegliardo e che spesso lo andassero a trovare. Dovevo tener presente questa circostanza.
Con gli altri due ebbi maggior fortuna.
Sergej Pavlovič Fedoseev, l’insegnante di Abalkin, viveva e godeva buona salute sulle rive del lago Ajatskij, in una tenuta dall’eloquente nome «Le Zanzare». Anche lui aveva ormai più di cento anni, ed era, evidentemente, una persona o molto modesta o molto chiusa, perché non aveva comunicato niente altro che l’indirizzo. Tutti gli altri dati erano quelli ufficiali; terminato questo e quello, archeologo, insegnante. Tutto qui. Come si suol dire, tale padre… In tutto uguale al suo alunno Lev Abalkin. Ma, quando posi al GSI ulteriori domande, risultò che Sergej Pavlovič era autore di oltre trenta articoli di archeologia, aveva preso parte ad otto spedizioni archeologiche (nell’Asia del nord-ovest) e a tre congressi eurasiatici di insegnanti. Inoltre a casa sua, alle «Zanzare», aveva organizzato un museo privato di paleoliti degli Urali del nord di importanza regionale. Ecco che tipo di uomo era. Decisi di mettermi in contatto con lui al più presto.
Invece con Jadwiga Michailovna Lekanova mi attendeva una piccola sorpresa. I pediatri raramente cambiano professione, e io già mi figuravo questa vecchietta curva, come un dente di leone, sotto il peso inimmaginabile di esperienze specifiche e, per la loro essenza, preziosissime, che sgambettava arzilla sempre per il territorio della scuola di Syktyvkar. Altro che sgambettare! Per un certo periodo aveva effettivamente esercitato come pediatra e proprio a Syktyvkar, ma poi si era riqualificata come etnologo, e inoltre si era successivamente occupata di: xenologia, patoxenologia, psicologia comparativa e sinistrologia, e in tutte queste scienze così diverse tra loro aveva avuto chiaramente successo, a giudicare dalla quantità di lavori pubblicati e dalla responsabilità degli incarichi che aveva ricoperto. Nell’ultimo quarto di secolo aveva lavorato in sei diverse organizzazioni e istituti, e ora lavorava nel settimo, un istituto itinerante di etnologia terrestre nel bacino del Rio delle Amazzoni. L’indirizzo non c’era, chi desiderasse mettersi in contatto con lei doveva rivolgersi alla sede dell’istituto di Manaos. Mille grazie, sebbene fosse improbabile che il mio cliente, nello stato in cui si trovava, si trascinasse da lei fino a quelle foreste primordiali.
Era chiarissimo che bisognava cominciare dall’insegnante. Mi misi la cartella sotto il braccio, salii in macchina e partii in volo per il lago Ajatskij.
1° giugno dell’anno 78. L’insegnante di Lev Abalkin
In barba ai miei timori, la tenuta «Le Zanzare» si trovava su un alto burrone proprio sopra il lago, in un punto molto ventoso, e non c’erano zanzare. Il padrone di casa mi venne incontro senza mostrare meraviglia e fu abbastanza cordiale. Ci sistemammo in veranda su delle sedie di vimine intrecciato, accanto a un tavolino ovale di antiquariato su cui stavano una coppa con lamponi freschi, una brocca di latte e alcuni bicchieri.
Mi scusai nuovamente per l’intrusione, e nuovamente le mie scuse furono accolte con un muto cenno del capo. Mi guardava calmo con aria di attesa, quasi con una certa indifferenza, e il suo viso era assai poco espressivo, come quello, probabilmente, di quei vecchi che con i loro cento anni e passa conservano una mente chiara e un corpo sano. Aveva un viso triangolare, abbronzato dal sole, quasi senza rughe, con delle folte sopracciglia che sporgevano all’infuori sopra gli occhi proprio come delle visiere parasole. È curioso che il sopracciglio destro fosse nero come la pece ed il sinistro bianco bianco come la neve.
Mi presentai con dovizia di particolari e cominciai a raccontare la mia storiella. Ero un giornalista, di professione zoopsicologo, e ora stavo raccogliendo materiale per un libro sui contatti dell’uomo con i Testoni. — Lei sa, probabilmente, — dissi, — che il suo alunno Lev Vjačeslavovič Abalkin ha avuto una parte importante in questi contatti. Io stesso ho avuto modo di conoscerlo, molto tempo fa, ma da allora ho perduto ogni contatto. Ora ho provato a cercarlo, ma al COMCON mi hanno detto che Lev Vjačeslavovič non si trova sulla Terra, e che non si sa quando vi farà ritorno. Fra l’altro mi piacerebbe sapere tutto quello che è possibile sulla sua infanzia, sui suoi inizi, sul perché ha fatto una Certa cosa e non un’altra; l’evolversi della psicologia del ricercatore: ecco quello che più di tutto mi interessa. Purtroppo, il suo istruttore è morto, i suoi amici non li conosco, e la mia unica possibilità è di parlare con lei, il suo insegnante. Personalmente sono convinto che nell’uomo tutto inizi nell’infanzia, e soprattutto nella prima infanzia…
Devo confessare che per tutto il tempo avevo accarezzato la speranza che all’inizio del mio vaneggiare sarei stato subito interrotto dall’esclamazione: «Mi scusi! Mi scusi! Ma Lev è stato qui da me ieri!». Però nessuno mi interruppe e mi toccò dire tutto fino alla fine; esporre con l’aria più intelligente possibile tutte le mie acerbe considerazioni sul fatto che la personalità creativa si forma nell’infanzia, proprio nell’infanzia, e non nell’adolescenza o nella giovinezza e, ovviamente, non in età matura, e che proprio si forma e non viene semplicemente impostata o fatta nascere… Quando alla fine tacqui, completamente esausto, il vecchio rimase in silenzio ancora per un minuto buono e poi mi chiese improvvisamente chi fossero questi Testoni.
Mi meravigliai sinceramente. Risultava che Lev Abalkin non fosse tipo da vantarsi dei suoi successi con il suo insegnante! Sapete, bisogna essere proprio un tipo chiuso e poco socievole per non farsi bello dei propri successi davanti al proprio insegnante.
Spiegai con prontezza che i Testoni sono una razza cinoidale dotata di ragione, che si è creata sul pianeta Sarakš come risultato di mutazioni radiali.
— Cinoidi? Cani?
— Sì. Una razza di cani raziocinanti. Hanno teste enormi, per questo si chiamano Testoni.
— Dunque, Lev si occupa di una razza di cani… Ce l’ha fatta…
Obiettai che non sapevo affatto di che cosa si stesse attualmente occupando Lev, ma che venti anni fa si occupava dei Testoni, e con grande successo.
— Ha sempre amato gli animali, — disse Sergej Pavlovič. — Sono sempre stato convinto che avrebbe dovuto diventare zoopsicologo. Quando la Commissione per la ripartizione negli studi lo assegnò alla scuola dei Progressori, io protestai come potei, ma non mi stettero a sentire… Comunque, tutto sarebbe stato più difficile, forse, se non avessi protestato…
Tacque e mi versò un bicchiere di latte. Era un uomo molto, molto chiuso. Niente esclamazioni, niente «Lev! Come no! Era proprio un ragazzo in gamba!». Ovviamente, può essere benissimo che Lev non fosse affatto un ragazzo in gamba…
— Allora, cosa vorrebbe sapere da me in concreto? — chiese Sergej Pavlovič.
— Tutto! — risposi in fretta. — Che tipo era, cosa gli piaceva, di chi era amico, in che cosa andava bene a scuola, tutto quello che lei ricorda.
— Bene, — disse Sergej Pavlovič senza il minimo entusiasmo. — Proverò.
Lev Abalkin era un ragazzo chiuso, fin da quando era bambino. Questa era la prima cosa di lui che balzava agli occhi. Però questa sua riservatezza non era la conseguenza di un senso di inferiorità, della consapevolezza della propria debolezza o di insicurezza in se stesso. Era invece la riservatezza della persona sempre occupata. Come se non volesse perder tempo con i suoi simili, come se fosse costantemente e profondamente occupato dal suo mondo. Questo mondo pareva fosse costituito solo da lui, e da tutto ciò che era vivo, ad eccezione però degli uomini. Si tratta di un fenomeno non molto raro fra i ragazzini, con la differenza che lui era veramente geniale in questo, e inoltre c’era anche un’altra stranezza: nonostante tutta la sua riservatezza, si esibiva volentieri, addirittura con piacere, in ogni genere di gare e nel teatro della scuola. Particolarmente nel teatro. Però sempre in monologhi. Rifiutava categoricamente di prender parte a commedie. Di solito declamava, addirittura cantava, ispirato, con un luccichio negli occhi insolito per lui, come se sbocciasse sulla scena, ma poi, appena sceso in platea, ritornava di nuovo quello di prima, evasivo, taciturno, inaccessibile. Ed era così non solo con i suoi insegnanti ma anche con i compagni, e non se ne riuscì a capire mai il motivo. Si può solo supporre che il suo talento nello stabilire un rapporto con la natura viva superasse talmente tutti gli altri moti del suo animo che i ragazzi che lo circondavano, e in genere tutti gli umani, erano per lui semplicemente poco interessanti. Nella fattispecie è chiaro che tutto era molto più complesso. Tutta questa riservatezza, questo immergersi nel proprio mondo non erano altro che il risultato di migliaia di microavvenimenti, che erano rimasti fuori del campo visivo dell’insegnante, il quale insegnante ricordava questa scena: dopo un acquazzone Lev era andato per i sentieri del parco in cerca di vermi da ributtare nell’erba. Agli altri ragazzi questa sembrava una cosa ridicola, e fra di loro ce ne erano alcuni che sapevano non solo ridere, ma anche deridere con cattiveria. L’insegnante, senza dire una parola, si era unito a Lev e aveva cominciato a raccogliere i vermi insieme a lui…