Questuomo! Rispetta le Eccellenze, fratellino. È il primo ministro del rajah, mio caro.
Saccaroa! Tu fai sempre colpi grossi.
Andiamo e alla lesta, Sandokan. Può giungere la guardia notturna.
Hai qualche veicolo?
Vi è un tciopaya fermo sullangolo della via.
Raggiungiamolo senza perdere tempo.
Con un sibilo simile a quello che aveva lanciato poco prima Yanez, il pirata malese fece accorrere tutti i suoi uomini che vigilavano allestremità della via e tutti insieme raggiunsero un gran carro, che aveva la cassa dipinta dazzurro e che reggeva una specie di cupoletta formata di frasche sotto la quale stavano due materassi.
Era uno di quei comodi veicoli che glindiani adoperano quando intraprendono qualche lungo viaggio e che sono chiamati tciopaya, dove, al riparo dal sole, possono mangiare, fumare e dormire, essendo la cassa divisa in due parti: una che serve da salotto e una da stanza da letto.
Quattro paia di zebù, bianchissimi, colle gobbe cadenti ed i dorsi coperti da gualdrappe di stoffa rossa, erano aggiogati al massiccio ruotabile.
Il ministro fu deposto su un materasso, Yanez e Sandokan vi si sedettero presso e, mentre i loro compagni, per non destare sospetti, si disperdevano, il carro si mise in moto, guidato da un malese vestito da indiano che teneva in mano una torcia per illuminare la via.
Subito a casa, disse Sandokan al cocchiere.
Poi, volgendosi verso Yanez che stava accendendo una sigaretta, gli chiese:
Parlerai ora? Io non riesco affatto a capire che razza didea ti è nata nel cervello.
Credevo che ti ammazzassero davvero là dentro.
Un uomo bianco e mylord! Uhm! Non lavrebbero mai osato, rispose Yanez, aspirando lentamente il fumo e rigettandolo con altrettanta lentezza.
Hai giuocato però una partita che poteva costarti cara.
Bisogna ben divertirsi qualche volta.
Insomma che cosa vuoi fare di questa mummia?
È una Eccellenza, ti ho detto.
Che non farà mai una bella figura alla corte del rajah.
La farò invece io.
Vuoi dunque introdurti alla corte di quel sospettoso tiranno? Sono otto giorni che tutti continuano a ripeterci che non vuol vedere nessun europeo.
Ed io ti dico che mi riceverà e con grandi onori. Aspetta che io possa avere nelle mie mani la pietra di Salagraman ed il famoso capello di Visnù e vedrai come mi accoglierà.
Chi?
Il rajah, rispose Yanez. Credevi tu che io fossi venuto qui a guardare il bel paese della mia Surama, senza darle anche la corona?
Era ben questa la nostra idea, disse Sandokan. Non avrei lasciato il Borneo per fare delle passeggiate per le vie di Gauhati.
Non riesco però a comprendere che cosa possa entrare il rapimento dun ministro, il capello di Visnù e la pietra di Salagraman colla conquista dun regno.
Sai tu, innanzi a tutto, fratellino, dove i sacerdoti tengono nascosta la conchiglia?
Io no.
E nemmeno io, quantunque abbia interrogati, in questi otto giorni, non so quanti indiani.
Chi ce lindicherà dunque?
Il ministro, rispose Yanez.
Sandokan guardò il portoghese con vera ammirazione.
Ah! che diavolo duomo! esclamò poi. Tu saresti capace di giuocare Brahma, Siva e anche Visnù insieme.
Forse, rispose Yanez, ridendo. Troveremo però alla corte del rajah un ostacolo che sarà duro da abbattere.
Che cosè?
Un uomo.
Se hai rapito un ministro, potrai fare scomparire anche quello.
Si dice che goda una grande influenza a corte e che sia lui che fa di tutto per impedire agli stranieri di razza bianca di metterci dentro i piedi.
Chi è?
Un europeo, mi hanno detto.
Qualche inglese.
Non ho potuto saperlo. Ce lo dirà il ministro.
Una brusca fermata che per poco non fece loro perdere lequilibrio, interruppe la loro conversazione.
Siamo giunti, padrone, disse il conduttore del carro.
Dieci o dodici uomini, gli stessi che li avevano aiutati a rapire il ministro, erano usciti da una porta, schierandosi silenziosamente ai due lati del veicolo.
Vi ha seguìti nessuno? chiese loro Sandokan, balzando a terra.
No, padrone risposero ad una voce.
Nulla di nuovo nella pagoda?
Calma assoluta.
Prendete il ministro e portatelo nel sotterraneo di Quiscena.
Il carro si era fermato dinanzi ad una gigantesca roccia che sappoggiava in parte al Brahmaputra e che salzava in una località deserta affatto, non essendovi intorno che delle antichissime muraglie semidiroccate, che un tempo dovevano aver servito di cinta alla città e ad ammassi colossali di macerie.
Sulla fronte, al di sopra di una porta di bronzo, si scorgevano confusamente delle divinità indiane, di pietra nera, allineate su una specie di cornicione sorretto da una infinità di teste delefante, scavate nella roccia e che tenevano le proboscidi arrotolate.
Doveva essere qualche pagoda sotterranea, come già ve ne sono tante nellIndia, poiché in alto non si vedeva alcuna cupola né semi-circolare, né piramidale.
Altri uomini erano usciti, portando delle torce ed unendosi ai primi. Pareva che tutte quelle persone, quantunque indossassero costumi assamesi, appartenessero a due razze ben distinte che nulla o ben poco avevano dindiano.
Infatti, mentre alcuni erano bassi e piuttosto tarchiati, colla pelle fosca che aveva dei riflessi olivastri con sfumature rossastro cupo e gli occhi piccoli e nerissimi, altri invece erano piuttosto alti, di colore giallastro, coi lineamenti bellissimi, quasi regolari e gli occhi grandi, bene aperti ed intelligentissimi.
Un uomo che avesse avuto profonda conoscenza della regione malese, non avrebbe esitato a classificare i primi per malesi autentici e gli altri per dayachi bornesi, due razze che si equivalevano per ferocia, per audacia e per coraggio indomito.
Prendete questuomo, aveva detto Yanez, scendendo dal carro e sporgendo il ministro sempre addormentato.
Un malese che aveva il volto rugoso, ma i capelli ancora nerissimi e forme quasi atletiche, afferrò fra le poderose braccia Kaksa Pharaum e lo trasportò nella pagoda.
Conduci il carro nel nascondiglio, proseguì Yanez volgendosi verso il conduttore. Quattro uomini rimangano qui fuori a guardia.
Possiamo essere stati seguiti.
Prese sotto braccio Sandokan, riattizzò la sigaretta e varcarono la soglia, inoltrandosi in un angusto corridoio, ingombro di rottami staccatisi dallumida volta e che pareva saddentrasse nelle viscere della colossale roccia.
Dopo aver percorsi cinquanta o sessanta metri, preceduti dagli uomini che portavano le torce e seguìti dagli altri, giungevano ad una immensa sala sotterranea, scavata nel vivo masso, di forma circolare, nel cui centro sergevano, sopra una pietra rettangolare, di dimensioni enormi, le tre dee: Parvati, Latscimi e Sarassuadi, la prima, protettrice delle armi siccome dea della distruzione; la seconda, delle vetture, dei battelli e degli animali quale dea della ricchezza; la terza, dei libri e deglistrumenti musicali come dea delle lingue e dellarmonia.
Fermatevi qui, disse Yanez a coloro che lo accompagnavano. Tenete pronte le carabine: non si sa mai quello che può succedere.
Prese una torcia e seguìto sempre da Sandokan entrò in un secondo corridoio, un po più stretto del primo e lo percorse finché fu giunto in una stanza, pure sotterranea, ammobigliata sontuosamente e illuminata da una bellissima lampada dorata che reggeva un globo di vetro giallastro.
Le pareti ed il pavimento erano coperti da fitte tappezzerie del Guzerate, scintillanti doro e rappresentanti per lo più belve strane, solo esistite nella fervida fantasia degli indù e allintorno vi erano comodi e larghi divani di seta e mensolette di metallo sorreggenti dei fiaschi dorati e delle coppe.
Nel mezzo, una tavola con incrostazioni di madreperla e di scagliette di tartaruga che formavano dei bellissimi disegni, con intorno parecchie sedie di bambù.
Solo una parte della parete era scoperta, essendovi incastrato, in una vasta nicchia, un pastore colla faccia nera: era Quiscena, il distruttore dei re malvagi e crudeli, che formavano linfelicità del popolo indiano.
Il ministro era stato deposto su uno di quei soffici divani e russava beatamente come se si trovasse nel suo letto.
È tempo di svegliarlo, disse Yanez, gettando la sigaretta e prendendo da una mensola un fiasco dal collo lunghissimo, il cui vetro rosso era racchiuso da una specie di rete di metallo dorato. Noi abbiamo pratica di veleni e dantidoti, è vero, Sandokan?
Non saremmo stati tanti anni laggiù, nel regno degli upas, rispose il pirata. Gli hai fatto fumare delloppio?
Ben nascosto sotto la foglia del sigaro, disse Yanez. Lo avevo coperto così bene da sfidare locchio più sospettoso.
Due gocce di quel liquido in un bicchiere dacqua basteranno per farlo saltare in piedi. Il suo cervello non tarderà molto a snebbiarsi.
Vediamo, disse il portoghese. Empì un bicchiere dacqua preso da una bottiglia di cristallo che si trovava sulla tavola e vi lasciò cadere due gocce dun liquido rossastro.
Lacqua spumeggiò, prendendo una tinta sanguigna, poi a poco a poco riacquistò la solita limpidezza.
Aprigli la bocca, Sandokan, disse allora il portoghese.
Il pirata savvicinò al ministro tenendo in mano un pugnale e colla punta lo sforzò ad aprire i denti, che erano fortemente chiusi.
Presto, disse Sandokan.
Yanez versò nella bocca di Kaksa Pharaum il contenuto del bicchiere.
Fra cinque minuti, disse la Tigre della Malesia.
Allora puoi accendere la tua pipa.
Credo che sia meglio.
Il pirata prese da una mensola una splendida pipa adorna di perle lungo la canna, la riempì di tabacco, laccese e si sdraiò su uno dei divani, come un pascià turco, mettendosi a fumare con studiata lunghezza.
Yanez, curvo sul ministro, lo scrutava attentamente. Il respiro, poco prima affannoso dellindiano a poco a poco diventava regolare e le sue palpebre subivano di quando in quando una specie di tremito, come se facessero degli sforzi per alzarsi.
Anche le gambe e le braccia perdevano la loro rigidità: i muscoli, sotto la misteriosa influenza di quel liquido, si allentavano.
Ad un tratto, un sospiro più lungo sfuggì dalle labbra del ministro, poi quasi subito gli occhi saprirono, fissandosi su Yanez.
Amate troppo il riposo, Eccellenza, disse Yanez ironicamente. Come fanno i vostri servi a svegliarvi? Vi ho fatto fare un viaggio che è durato più di unora e non avete cessato un sol momento di russare.
Non servite troppo bene il vostro signore.
Per Mylord! esclamò il ministro, alzandosi di colpo e girando intorno uno sguardo meravigliato.
Sì, io, mylord.
Ma dove sono io?
In casa di mylord.
Il ministro stette un momento silenzioso, continuando a girare gli occhi intorno, poi esclamò:
Per Siva! Io non ho mai veduto questo salotto.
Sfido io! rispose Yanez, colla sua solita flemma beffarda. Non vi siete mai degnato di visitare il palazzo di mylord.
E quelluomo chi è? chiese Pharaum, indicando Sandokan, che continuava a fumare placidamente come se la cosa non lo riguardasse affatto.
Ah! Quello, Eccellenza, è un uomo terribile, che fu chiamato per la sua ferocia, la Tigre della Malesia.
È un gran principe ed un grande guerriero.
Kaksa Pharaum non poté nascondere un tremito.
Non abbiate paura di lui, però, disse Yanez, che si era accorto dello spavento del ministro. Quando fuma è più dolce dun fanciullo.
E che cosa fa qui, in casa vostra?
Viene a tenere qualche volta compagnia a mylord.
Voi vi burlate di me! gridò Kaksa, furibondo. Basta! Avete scherzato abbastanza! Vi siete dimenticato che io sono possente quanto il rajah dellAssam? Voi pagherete caro questo giuoco!
Ditemi dove sono e perché mi trovo qui, invece di essere nel mio palazzo o io
Potete gridare finché vorrete, Eccellenza, nessuno udrà la vostra voce. Siamo in un sotterraneo che non trasmette al di fuori alcun rumore.
Daltronde, rassicuratevi: io non voglio farvi male alcuno se non vi ostinerete a rimanere muto.
Che cosa volete da me? Parlate, mylord.
Lasciate prima che vi dica, Eccellenza, che ogni resistenza da parte vostra sarebbe assolutamente inutile, perché a dieci passi da noi vi sono trenta uomini che nemmeno un intero reggimento di cipay sarebbe capace darrestare.
Accomodatevi ed ascoltate pazientemente una pagina di storia del vostro paese.
Da voi?
Da me, Eccellenza.
Lo spinse dolcemente verso una sedia, costringendolo a sedersi, prese alcune tazze di cristallo finissimo ed un fiasco, riempiendole dun liquore color delloro vecchio, poi aprì il portasigari, offrendolo al prigioniero.
Nel vedere i grossi manilla, Kaksa Pharaum fece un gesto di terrore.
Potete scegliere senza timore, disse Yanez. Questi non contengono nemmeno una particella doppio.
Se avete qualche sospetto, prendete una sigaretta, a vostra scelta.
Il ministro fece un feroce gesto di diniego.
Allora assaggiate questo liquore, continuò Yanez. Guardate: ne bevo anchio. È eccellente.
Più tardi: parlate.
Yanez vuotò la sua tazza, accese la sigaretta, poi, appoggiando comodamente il dorso alla spalliera della sedia, disse:
Ascoltatemi dunque, Eccellenza. Listoria che voglio narrarvi non sarà lunga, però vi interesserà molto.
Sandokan, sempre sdraiato sul divano, fumava silenziosamente, conservando una immobilità quasi assoluta.
3. Nellantro delle tigri di Mompracem
Regnava allora sullAssam, cominciò Yanez, il fratello dellattuale rajah, un principe perverso, dedito a tutti i vizi, che era odiato da tutta la popolazione e soprattutto dai suoi parenti, i quali non si sentivano mai sicuri di riveder lalba del domani. Quel principe aveva uno zio che era capo di una tribù di kotteri, ossia di guerrieri, uomo valorosissimo che più volte aveva difese le frontiere assamesi contro scorrerie dei birmani e che perciò godeva una grande popolarità in tutto il paese.
Sapendosi mal visto dal nipote, il quale si era fisso in capo, senza motivi però, che congiurasse contro di lui per carpirgli il trono e derubarlo delle sue immense ricchezze, si era ritirato fra le sue montagne, in mezzo ai fedeli suoi guerrieri.
Quel valoroso si chiamava Mahur; ne avete mai udito a parlare, Eccellenza?
Sì, rispose asciuttamente Kaksa Pharaum.
Un brutto giorno la carestia piombava sullAssam. Quellanno nemmeno una goccia dacqua era caduta ed il sole aveva arsi i raccolti.
I bramini ed i gurus indussero allora il rajah a dare in Goalpara una grandiosa cerimonia religiosa, onde placare la collera delle divinità.
Il principe vi annuì di buon grado e volle che vi assistessero tutti i parenti che vivevano disseminati nel suo stato, non escluso suo zio, il capo dei kotteri, il quale, di nulla sospettando, aveva condotto con sé oltre la moglie, i suoi figli, due maschi ed una bambina che chiamavasi Surama.