Scortati dai soldati, i quali non avevano ancora levato le baionette dai fucili, furono introdotti in unampia stanza dove si vedevano sospese quattro gabbie contenenti ciascuna tre teste umane che parevano appena decapitate, colando ancora il sangue dal collo.
Erano orribili a vedersi. Avevano i lineamenti alterati da unangosciosa espressione di dolore, gli occhi smorti e sconvolti, la bocca aperta ed imbrattata da una schiuma sanguigna. Sotto ogni gabbia era appeso un cartello su cui stava scritto:
La giustizia ha punito il furto.
Mille demoni! esclamò Rokoff, stringendo le pugna. È per spaventarci che ci hanno condotto qui?
Sono gabbie che poi verrano esposte su qualche piazza, onde servano di esempio ai ladri disse Fedoro. Guarda altrove.
Sì, perché mi sento il sangue ribollire.
Attraversato lo stanzone, passarono in un altro, le cui pareti erano coperte da strumenti di tortura.
Vi erano numerose kangue, specie di tavole che servono ad imprigionare il collo del condannato e talvolta anche le mani, pesanti venti, trenta e persino cinquanta chilogrammi; canne di ogni lunghezza e dogni grossezza, destinate alla bastonatura; arpioni di ferro per infilzarvi i condannati a morte; pettini dacciaio per straziarli, poi tavole con corde destinate a distendere fino alla rottura dei tendini, le mani ed i piedi dei pazienti.
Canaglie! brontolò Rokoff. Altro che lInquisizione di Spagna! Questi cinesi sono più feroci degli antropofagi.
Stavano per varcare la soglia, quando giunse ai loro orecchi un clamore che fece gelare il sangue ad entrambi.
Era un insieme di urla acute e strazianti, di gemiti, di rantoli, di singhiozzi a malapena soffocati e di ruggiti che parevano mandati da belve feroci.
Qui si ammazza! gridò Rokoff, guardando il magistrato ed i soldati, minacciosamente.
Si tortura rispose Fedoro.
E noi lasceremo fare?
Non spetta a noi intervenire.
Io non posso tollerare
Devi resistere, Rokoff.
Che non veda nulla, altrimenti mi scaglio contro questi bricconi e ne ammazzo quanti più ne posso.
Il magistrato, che aveva forse indovinato le idee bellicose del cosacco e che non desiderava vederlo ancora arrabbiato per paura di provare la sua forza, piegò a destra, inoltrandosi in un corridoio e si arrestò dinanzi ad una porta ferrata.
Un carceriere stava dinanzi, tenendo in mano una chiave enorme. Ad un cenno del magistrato aprì ed i due europei si sentirono bruscamente spingere innanzi. Rokoff stava per rivoltarsi, ma la porta fu subito chiusa.
Si trovavano in una cella lunga tre metri e larga appena due, rischiarata da un pertugio difeso da grosse sbarre di ferro e che pareva prospettasse su un cortile, essendo la luce fioca. Lunico mobile era un saccone, forse ripieno di foglie secche, che doveva servire da letto.
Bellalloggio! esclamò Rokoff. Nemmeno una coperta per difenderci dal freddo.
E nemmeno uno sgabello disse Fedoro. Molto economi questi cinesi.
A un tratto si guardarono lun laltro con ansietà.
Avevano udito dei gemiti sordi e strazianti, che parevano provenire dal cortile.
Si tortura anche presso di noi? chiese Rokoff.
Savvicinò al pertugio guardando al di fuori, e subito retrocesse, pallido come un cadavere.
Guarda, Fedoro disse con voce soffocata. Che cosa fanno subire a quei miseri? Lorrore mi agghiaccia il sangue.
GLI ORRORI DELLE CARCERI CINESI
Fedoro, quantunque provasse una sensazione non meno terrificante, spinto da una viva curiosità, si era approssimato al pertugio, il quale, trovandosi solamente a un metro e mezzo dal suolo, permetteva di vedere al di fuori senza dover arrampicarsi.
Non immetteva veramente su un cortile, bensì sotto una immensa tettoia, il cui pavimento era formato da un tavolato crivellato di buchi.
Cinque o sei esseri umani, che parevano già agonizzanti, cogli occhi schizzanti dalle orbite, pallidi come se tutto il sangue avesse abbandonato i loro corpi, si contorcevano disperatamente, mandando lugubri lamenti.
Non si vedevano che i loro tronchi, avendo le gambe, fino alle cosce nascoste entro il tavolato, in quei buchi che già Fedoro aveva notati.
Alcuni aguzzini seminudi, veri tipi di carnefici, si sforzavano di far inghiottire ai martirizzati un po di riso e qualche sorso di sciam-sciù, specie di acquavite estratta dal miglio.
Ah! Infami! esclamò Fedoro, rabbrividendo. Quale spaventevole tortura! Uccideteli piuttosto di tormentare così quei disgraziati.
Che cosa stanno facendo quei mostri? chiese Rokoff, additando gli aguzzini.
Cercano di prolungare lagonia alle loro vittime.
E quale spaventevole supplizio subiscono quei miseri? Forse che stritolano lentamente le loro gambe?
Peggio ancora, Rokoff. Io ho udito parlare di questa atroce tortura e non vi avevo creduto, tanto mi pareva inverosimile.
Spiegati, Fedoro, sono un uomo di guerra.
Sotto quellassito esiste un fossato
E poi?
Pullulante di topi, di vermi, dinsetti dogni specie.
Ah! Comprendo! esclamò Rokoff, con orrore. Essi divorano lentamente le gambe di quei miseri.
Sì, amico.
Canaglie! Potevano inventare un supplizio più atroce! E non poter far nulla! Se fossi libero accopperei a calci quei carnefici! Questi cinesi hanno il cuore delle tigri! Andiamocene, Fedoro! Quei lamenti mi straziano lanima!
E dove andarcene? Sarei ben lieto di poter uscire; invece, come vedi, la porta è chiusa e solida.
Ti dico che non voglio rimanere più qui, dovessi spezzarmi le ossa contro queste pareti.
Il bollente cosacco, senza attendere la risposta dellamico, fidando daltronde nella sua erculea forza, si scagliò come una catapulta contro la porta, facendola traballare.
La scardineremo! gridò. E allora guai a chi vorrà chiudermi il passo.
Stava per slanciarsi una seconda volta, quando i due battenti saprirono violentemente, mostrando il magistrato seguito da quattro soldati armati di fucili colle baionette inastate.
Fedoro ebbe appena il tempo di gettarsi dinanzi allamico, il quale, reso maggiormente furioso, stava per scagliarsi contro tutti, risoluto ad impegnare una lotta disperata.
No, Rokoff disse. Sarebbero troppo contenti di ucciderci!
Che cosa fate? chiese il magistrato. Ancora una ribellione? Questi europei cominciano a diventare troppo importuni.
Levateci di qui disse Fedoro. Noi non siamo dei cinesi per assistere alle vostre barbarie. Nella vicina tettoia si tormenta e si uccide.
Sì, dei ribelli che avevano cospirato contro limpero rispose il giudice. Sono cose daltronde che riguardano noi e non voi.
Non possiamo resistere a simili infamie. Il giudice alzò le spalle, poi disse:
Siete aspettati.
Da chi? Da qualche membro dellambasciata? chiese Fedoro, che aveva avuto un lampo di speranza.
Non siamo così schiocchi da avvertire il vostro ambasciatore. È il tribunale che vi aspetta per giudicarvi. Abbiamo fretta di vendicare Sing-Sing.
E di ucciderci, è vero? chiese Fedoro, sdegnosamente.
Sì, se siete colpevoli.
Tu sai meglio di noi che noi non abbiamo commesso quellabominevole delitto.
Il tribunale giudicherà. Venite e non opponete resistenza perché i soldati hanno ricevuto lordine di fare fuoco su di voi.
Andiamo disse Fedoro a Rokoff, dopo avergli tradotto quanto aveva detto il giudice. Vedremo se il tribunale oserà condannare degli europei senza lintervento dun membro dellambasciata russa.
Ritenendo inutile ogni protesta e troppo pericolosa una nuova resistenza, seguirono il giudice, attraversando parecchi androni quasi bui, dove non si vedevano altro che gabbie destinate ai prigionieri più ricalcitranti, ed entrarono in una saletta quadrata e bassa, ammobiliata con un lurido tavolo sopra cui si vedeva un tappeto ancor più lurido.
Due giudici, appartenenti probabilmente allalta magistratura, avendo sui loro conici cappelli di feltro il bottone di corallo con fibbia doro, insegna dei mandarini di seconda classe, stavano seduti dinanzi al tavolo.
Erano due panciuti cinesi, dalle facce color del limone, con grandi occhiali di quarzo, vestiti di seta a enormi fiori gialli, rossi e azzurrini.
Presso di loro un cancelliere magro e sparuto, stava sciogliendo un bastoncino dinchiostro di Cina e preparando dei pennelli, non conoscendo ancora i cinesi la penna o reputandola per lo meno inutile per le loro calligrafie veramente mostruose.
In un angolo invece si tenevano ritti due individui daspetto sinistro, che portavano alla cintura certi coltellacci da far rabbrividire. Erano due esecutori della giustizia, pronti a far subire ai condannati i più atroci tormenti, anche lo spaventoso ling-cih o taglio dei diecimila pezzi, riservato ai traditori e ai più pericolosi delinquenti.
Nel vederli, Fedoro aveva provato un lungo brivido.
I due mandarini si sussurrarono alcune parole, guardando di traverso i due europei, poi il più anziano si volse verso Fedoro, chiedendogli:
Voi comprendete il cinese?
Sì, ma il mio compagno non parla che il russo, quindi domando che vi sia un interprete dellambasciata russa.
Tradurrete voi; noi non vogliamo stranieri qui, allinfuori dei colpevoli.
Noi non siamo sudditi cinesi, quindi voi non avete alcun diritto di giudicarci senza la presenza dun rappresentante del nostro paese.
Per far intervenire lambasciatore e levarvi dalle nostre mani? Oh! Le conosciamo queste cose.
Io protesto.
Lo farete poi disse il mandarino. Voi siete accusati di aver assassinato Sing-Sing, un fedele suddito dellImpero.
Chi lo afferma?
Tutta la servitù di Sing-Sing ha deposto contro di voi.
Sono dei miserabili, degli affiliati alla società segreta della «Campana dargento», che per salvare i veri assassini incolpa noi.
Sì, sì, la vedremo. Da dove venite voi?
Io ed il mio amico Rokoff, ufficiale dellarmata russa, siamo sbarcati a Taku sette giorni or sono per venire qui ad acquistare cinquecento tonnellate di tè.
Siete un negoziante di tè, voi?
Sì, e la mia casa si trova a Odessa.
Siete venuto altre volte in Cina?
Tutti gli anni ci torno.
E conoscevate Sing-Sing?
Da molto tempo ed ero suo amico. Quale scopo dovevo dunque avere io per assassinarlo?
Lodio che tutti gli europei nutrono verso di noi e
Mentite!
E poi quello di derubarlo, perché il suo forziere è stato trovato vuoto.
E dove volete che noi abbiamo nascosto il suo denaro?
Chi mi assicura che non abbiate avuto dei complici? chiese il mandarino. Il maggiordomo di Sing-Sing ha affermato daver veduto delle persone sospette aggirarsi intorno al palazzo, anche dopo che tutte le lanterne erano state spente.
Allora è lui il colpevole! È lui il ladro! È lui che ha protetto gli affiliati della «Campana dargento».
Il maggiordomo era affezionato al suo padrone; tutta la servitù lo ha confermato.
Sicché voi siete convinto che Sing-Sing sia stato assassinato da noi?
Il mandarino alzò le braccia, poi le lasciò ricadere con un gesto di scoraggiamento, più simulato però che reale.
Fedoro fu preso da un impeto di furore.
Voi non ci ucciderete, canaglie! urlò, battendo furiosamente il pugno sul tavolo. Noi siamo innocenti e per di più europei.
Se siete innocenti, provatelo rispose il mandarino con calma.
Cominciate collarrestare il maggiordomo e costringerlo a confessare la verità. A voi i mezzi non mancano per strappargli quanto egli sa e che non vuol dire.
Non abbiamo alcun motivo per tradurlo qui e sottoporlo alla tortura. Non è già nella sua stanza che fu trovato il pugnale che servì agli assassini per trucidare Sing-Sing.
Siete dei banditi!
Dei giudici.
No, delle canaglie, che per odio di razza volete sopprimerci, ma le ambasciate europee non vi permetteranno di compiere una simile infamia.
Il mandarino alzò le spalle, poi fece un gesto.
Prima che Fedoro e Rokoff potessero sospettare ciò che significava, si sentirono afferrare per le spalle e per le braccia da dieci mani vigorose ed atterrare.
Una banda di carnefici o di carcerieri, tutti di statura gigantesca, era entrata silenziosamente nella sala ed al cenno del mandarino si era scagliata improvvisamente sui due europei, prendendoli di sorpresa.
Né Fedoro, né Rokoff avevano avuto il tempo di opporre la menoma resistenza, tanto quellassalto era stato fulmineo.
Mentre i giudici si ritiravano per deliberare sulla pena da infliggersi ai due colpevoli, i carcerieri ed i carnefici, aiutati anche dai soldati, strappavano di dosso ai due russi le loro vesti, costringendoli ad indossare una ruvida keu-ku, specie di casacca fornita dampie maniche ed un paio di keu-ku, sorta di calzoni molto ampi che formano sul ventre una doppia piega e che usano portare i barcaioli ed i contadini.
Levarono quindi loro gli stivali, surrogandoli invece con le ha-tz, ossia scarpe grosse, a punta quadra e un po rialzata, con suola di feltro bianco, poi con pochi colpi di rasoio fecero cadere le loro capigliature, non lasciando coperta che parte della nuca.
Era una trasformazione completa: i due europei erano diventati due cinesi e per di più dellultima classe.
Quando quei manigoldi ebbero finito, sollevarono violentemente Fedoro e Rokoff e li cacciarono a forza entro una gabbia di bambù, duna solidità a tutta prova e così stretta da contenerli a malapena.
Quando Rokoff si sentì libero, mandò un vero ruggito. Saggrappò alle sbarre e le scosse con furore, mentre dalle sue labbra contratte uscivano urla feroci.
Banditi! Canaglie! Vi mangerò il cuore! Siamo europei! Aprite o vi uccido tutti!
Erano vani sforzi. I bambù non si piegavano nemmeno, quantunque lufficiale, come abbiamo detto, fosse dotato duna forza più che straordinaria. Fedoro invece, accasciato da quellultimo colpo, si era lasciato cadere in fondo alla gabbia girando intorno sguardi inebetiti.
Intanto il cancelliere era rientrato tenendo in mano un cartello su cui si vedevano dipinte delle lettere contornate da geroglifici superbi. Lo mostrò per un momento ai due prigionieri, poi lo appese sotto la gabbia.
Fedoro era diventato orribilmente pallido e si era avventato contro le traverse come se avesse voluto strappare al cancelliere quel cartello che annunciava la loro pena.
Ed infatti aveva potuto leggere:
Condannati a morte perché assassini.
Subito otto uomini avevano alzato la gabbia ed erano entrati in unaltra sala dove se ne vedevano parecchie altre contenenti ciascuna due prigionieri, ma molto più piccole, tanto anzi, che i disgraziati che vi erano rinchiusi non potevano fare il più piccolo movimento senza mandare urla spaventose.
Fedoro disse Rokoff, che aveva gli occhi schizzanti dalle orbite. È finita, è vero?
Sì, se non interviene lambasciatore russo.
E oseranno ucciderci?
Come cinesi.
Perché ci hanno vestiti così?