Assolutamente nulla.
Non hai avvertito alcun odore?
Non mi parve.
Devono aver bruciato qualche sostanza per farci addormentare.
Lo credi?
Ne sono certo rispose Fedoro.
Eppure prima non ho veduto entrare nessuno.
Da qual parte si sono introdotti quegli uomini?
Da quella rispose Rokoff, indicando un angolo della stanza.
Stavo per addormentarmi, eppure ho veduto aprirsi una porta o qualche cosa di simile.
Fedoro si recò a visitare la parete battendola col calcio della rivoltella e udì un suono sordo che non annunciava di certo che al di là ci fosse un vuoto.
È strano! disse. Eppure tu li hai veduti entrare per di qui?
Sì, me lo ricordo.
E non vedo alcuna traccia sulla tappezzeria; tuttavia non mi stupisco. Questi cinesi hanno inventato mille segreti. Dovè il maggiordomo?
Eccomi, signore rispose il cinese, il quale stava ritto accanto al letto, piangendo silenziosamente.
Sono devoti i servi di questa casa?
Lo credo, signore.
Sono affiliati a qualche società?
Non potrei dirvelo, perché nessuno lo direbbe, anche se sottoposto alla tortura.
Chi è stato il primo ad accorgersi del delitto?
Io rispose il maggiordomo. Ogni mattina premo il bottone dun campanello elettrico per svegliare il mio padrone. Stamane feci come il solito, e non ricevendo risposta, né udendo alcun rumore, mi nacque il sospetto che fosse accaduta qualche disgrazia. Fatta abbattere la porta, ho trovato il mio signore assassinato.
Era ben chiusa? chiese Fedoro.
E per di dentro.
Non vi era alcuna traccia che fosse stata forzata?
Nessuna, signore.
Sapevi che noi eravamo chiusi qui col tuo padrone?
Lo ignoravo, e poi come spiegare questo mistero? Voi vi siete svegliati proprio nella stanza che io stesso vi ho assegnata per espresso ordine del mio padrone.
Ti dico che eravamo qui. Chi può averci trasportati in quella stanza?
Ne siete certo, signore? chiese il maggiordomo con accento alquanto incredulo.
Sì, noi eravamo qui.
Se la porta era chiusa!
Eppure non abbiamo sognato. Il tuo padrone aveva paura di venire assassinato e ci aveva pregati di tenergli compagnia.
E vi siete svegliati nella vostra stanza? Oh!
Ci hai ben veduti uscire.
È vero disse il cinese, il cui stupore non aveva più limiti.
Poi, come fosse stato colpito da un improvviso pensiero, chiese:
Voi avete veduto il mio padrone toccare la molla segreta che doveva aprire la porta?
Eravamo assieme a lui rispose Fedoro.
Il viso del maggiordomo si fece oscuro ed i suoi occhi si fissarono sul russo.
Ah disse poi.
Che coshai? chiese Fedoro con inquietuline.
Dico che se conoscevate il segreto della molla, potevate anche uscire e tornare nella vostra stanza.
Tu oseresti sospettare di noi?
Non è a me che tocca indagare su questo affare misterioso, disse il cinese con voce lenta bensì ai magistrati della giustizia. Ecco la polizia: sbrigatevela come meglio potete.
UNACCUSA INFAME
Un cinese piuttosto attempato, tozzo, dallaria arcigna, con una lunga coda che gli batteva le calcagna e un paio docchiali giganteschi che gli coprivano buona parte del viso, era allora entrato nella stanza, seguito da quattro individui daspetto punto rassicurante e armati di scimitarre.
Vedendo i due europei, i quali erano rimasti come fulminati dalle ultime parole del maggiordomo, mosse verso di loro, salutandoli con affettata cortesia.
Chi siete voi? chiese Fedoro, che cominciava a diventare assai inquieto per la brutta piega che prendevano le cose.
Un magistrato della giustizia rispose il cinese.
Ah! Benissimo: farete almeno un po di luce su questo misterioso delitto.
Io credo di averla già fatta rispose il magistrato, con un risolino sardonico. Ho già interrogato la servitù e so molte cose a questora che non vi faranno certo piacere.
Vi prego di spiegarvi disse Fedoro, impallidendo. So già che si cerca di gettare su di noi il sospetto daver assassinato il povero Sing-Sing, ma noi vi proveremo linsussistenza duna tale mostruosa accusa.
Ve lo auguro; disgraziatamente vi sono ormai troppe prove contro di voi e abbiamo anche trovata larma che ha spento Sing-Sing.
E dove? chiese Fedoro.
Nella vostra stanza.
È impossibile! Voi mentite! gridò il russo. Rokoff, amico mio, queste canaglie cercano di perderci!
Noi? chiese Rokoff, il quale non aveva compreso fino allora che pochissime parole, conoscendo la lingua cinese assai imperfettamente.
Dicono che hanno trovato nella nostra stanza il coltello.
Ve lavranno posto coloro che ci hanno trasportati sui nostri letti. La cosa è chiara.
Per noi, sì, ma non per questo magistrato e nemmeno per la servitù.
Si convinceranno.
Volete seguirmi? chiese il magistrato, volgendosi verso Fedoro.
E dove? chiese questi.
Nella vostra stanza.
Andiamoci disse Fedoro, risolutamente.
Appena usciti, videro schierati nel corridoio attiguo parecchi servi i quali li guardavano quasi ferocemente.
Hai osservato, Rokoff? chiese Fedoro. Tutti sono convinti che noi abbiamo assassinato Sing-Sing e tutte le prove stanno contro di noi.
Ricorreremo ai consoli rispose Rokoff. Questi cinesi non oseranno arrestare due europei.
E chi li avvertirà? Non abbiamo nessun amico qui.
Troveremo il modo di far sapere allambasciata russa il nostro arresto. Canaglie! Incolpare noi!
Più canaglie sono stati gli affiliati della società segreta, i quali hanno agito in modo da far ricadere su di noi questo infame delitto.
Giunti nella stanza, il magistrato si diresse verso il letto che Rokoff aveva occupato, levò il materasso ed estrasse un pugnale lungo un buon piede, con la lama di forma triangolare, collimpugnatura sormontata da una piccola campana dargento.
Larma era insanguinata fino alla guardia.
Lo vedete? chiese, mostrandolo ai due europei, smarriti. Sing-Sing è stato ucciso con questo e voi, compiuto il delitto, lavete nascosto qui. Potevate essere più furbi o per lo meno più prudenti.
E voi credete? chiese Fedoro, facendo un gesto di ribrezzo.
La prova è chiara disse il cinese con un sorriso maligno.
E non vedete che questo pugnale non è di quelli che si usano in Europa?
Potete averlo comperato qui od in altra città.
È un pugnale appartenente ad una società segreta. Guardate, vi è una piccola campana dargento sullimpugnatura.
E che cosa proverebbe questo? chiese il magistrato accomodandosi tranquillamente gli occhiali.
Che lassassino, di Sing-Sing non può essere stato che un membro della società della «Campana dargento», alla quale il nostro amico era affiliato.
Ed ha nascosto larma in uno dei vostri letti? Eh! via, non sono uno sciocco per crederlo!
Ascoltatemi disse Fedoro, coi denti stretti per la collera che già lo invadeva. Vi narrerò come sono avvenute le cose.
Dite pure.
Fedoro gli espose chiaramente quanto era accaduto dopo il banchetto, ciò che gli aveva raccontato Sing-Sing: la veglia angosciosa, il sonno misterioso, la comparsa delle ombre umane e finalmente il loro risveglio nella stanza che era stata loro destinata dal maggiordomo.
Il magistrato lo aveva ascoltato pazientemente, colle mani incrociate sul ventre rotondissimo, crollando di quando in quando la testa pelata.
Quando Fedoro ebbe finito, lo guardò in viso, poi disse:
Quello che mi avete raccontato, quantunque mi sembri assolutamente straordinario, può essere vero. Io però intanto vi dichiaro in arresto, e se volete un consiglio, cercate di scolparvi meglio che potete, perché la vostra testa è in pericolo.
Voi non lo farete!
E perché?
Chiederemo lintervento dellambasciatore russo.
Ah! fece il cinese ridendo. Sì, lambasciata, poi minaccia di far intervenire la flotta, colpi di cannone, invasione armata. Ah! no! basta! Conosciamo troppo bene gli europei per farli entrare nei nostri affari. La giustizia avrà corso senza lambasciata. Avete assassinato un cinese: vi condannerà un tribunale cinese.
Noi protesteremo.
Fatelo.
Non ci lasceremo assassinare da voi! urlò Fedoro, alzando minacciosamente il pugno sul magistrato.
Badate! I miei uomini sono armati e le vostre rivoltelle sono nelle nostre mani.
Maledizione!
Rokoff, quantunque ben poco avesse compreso dalle grida e dal gesto di Fedoro, si era accorto che la cosa si aggravava e si era spinto addosso al magistrato, pronto ad afferrarlo pel collo e gettarlo fuori dalla porta o anche giù dalla finestra.
Fedoro disse inarcando le robustissime braccia. Si tratta di menare le mani? Sono pronto a fare una marmellata di queste teste pelate.
No, Rokoff, non aggraviamo la nostra posizione disse il russo, fermandolo. E poi non esiterebbero a far uso delle loro armi.
Afferro un letto e glielo butto sulla testa.
Ci sono i servi appostati nel corridoio.
Ti ho veduto furibondo. Si guasta la faccenda?
Ci hanno intimato larresto.
Ah! Bricconi! E noi obbediremo?
A che cosa servirebbe ribellarci? Sono i più forti e dobbiamo cedere per ora.
E ci condurranno in prigione?
Sì, Rokoff.
E dopo?
Cercheremo di persuadere i magistrati della nostra innocenza. Lasciamoli fare per ora e prendiamo tempo.
Dunque? chiese il magistrato, che aveva fatto avvicinare i suoi uomini.
Siamo pronti a seguirvi, però pensate che noi siamo europei, che siamo innocenti e che qualunque violenza sarà vendicata dal nostro paese.
Sta bene, intanto venite con noi. Vi sono delle portantine dinanzi alla porta del palazzo.
Andiamo, Rokoff disse Fedoro.
Ah! Per le steppe del Don! Mi sentirei capace di rompere la testa a questi bricconi e di disarmarli tutti.
No, amico, sarebbe peggio per noi.
Andiamo allora in prigione.
Uscirono dalla stanza preceduti dal magistrato, il quale camminava tronfio e pettoruto, e seguiti da quattro agenti di polizia che avevano snudate le scimitarre, onde prevenire qualsiasi tentativo di ribellione.
Alla base della gradinata vi erano già due portantine guardate da altri quattro agenti e da otto robusti portatori.
I due europei furono fatti salire, si abbassarono le tende onde sottrarli alla vista dei curiosi, poi i facchini partirono a passo rapido, scortati dagli agenti di polizia.
Nessuno pareva che si fosse accorto dellarresto dei due russi.
Daltronde era una cosa talmente comune il vedere in Pechino delle portantine, che i passanti non vi avevano fatto alcun caso, quantunque vi fossero intorno i poliziotti.
Dopo una lunga ora, i facchini si fermarono. Rokoff e Fedoro, che cominciavano a perdere la pazienza e ad averne abbastanza di quella prigionia, si trovarono sotto uno spazioso atrio, dove si vedevano gruppi di agenti, di soldati e di guardiani che chiacchieravano fumando o masticando semi di zucca.
È questa la prigione? chiese Rokoff.
Lo suppongo rispose Fedoro.
Che ci chiudano ora in qualche segreta?
O in gabbia invece?
Vivaddio! Io in una gabbia? Non sono già una gallina!
La vedremo!
Non lasciarti trasportare dallira, Rokoff disse Fedoro. Forse non oseranno trattarci come delinquenti comuni, per paura dellAmbasciata.
Due uomini seminudi, dai volti arcigni, colle code arrotolate intorno al capo, armati di certi coltellacci che pendevano snudati dalle loro cinture, si fecero innanzi, afferrando brutalmente i due europei.
Rokoff, sentendosi posare una mano sulla spalla, fece un salto indietro, gridando con voce minacciosa:
Non toccatemi o vi spacco il cranio!
Anche Fedoro aveva respinto violentemente il suo carceriere o carnefice che fosse, prendendo una posa da pugilatore.
Noi siamo europei gridò. Giù le mani!
I due carcerieri si guardarono lun laltro, forse sorpresi di quellinaspettata resistenza, poi piombarono sui due prigionieri, cercando di abbatterli. Avevano però calcolato male le loro forze. Rokoff, con una mossa altrettanto fulminea, si era gettato innanzi a Fedoro, poi con due ceffoni formidabili che risuonarono come due colpi di fucile, fece piroettare tre o quattro volte i due cinesi, finché caddero lun sullaltro, sradicati da due pedate magistrali.
Urla furiose echeggiarono sotto latrio. Soldati, poliziotti e carcerieri si erano slanciati come un solo uomo verso i due europei, sguainando le scimitarre ed impugnando picche, coltellacci e rivoltelle.
Siamo perduti! esclamò Fedoro.
Non ancora rispose Rokoff, furibondo. Possiamo accopparne degli altri prima di cadere.
Si abbassò rapidamente, raccolse uno dei caduti e lo alzò sopra la testa preparandosi a scaraventarlo come un proiettile fra lorda urlante.
A quella nuova prova di vigore così straordinario, i cinesi si erano arrestati.
Vi accoppo tutti, canaglie! urlò Rokoff. Indietro!
A quel fracasso però accorreva la guardia delle carceri, comandata da un ufficiale. Erano dodici soldati, armati di fucili a retrocarica, e a quanto pareva, non troppo facili a spaventarsi.
Ad un comando dellufficiale inastarono risolutamente le baionette e le puntarono verso Rokoff.
Indietro! tuonò il colosso.
Lufficiale invece armò la rivoltella e lo prese di mira dicendogli
Non opponete resistenza o comando il fuoco. Tale è lordine.
Rokoff, bada disse Fedoro. Sono soldati e obbediranno.
Meglio farci fucilare che lasciarci imprigionare.
No, amico, noi riacquisteremo presto la libertà perché la nostra innocenza verrà riconosciuta. Siamo prudenti per ora.
Rokoff, quantunque si sentisse prendere da una voglia pazza di scaraventare il carceriere addosso ai soldati, comprese finalmente il pericolo e depose il povero diavolo, che pareva più morto che vivo.
Nel medesimo istante compariva il magistrato che li aveva fatti arrestare.
Una ribellione? disse, aggrottando la fronte. Volete aggravare la vostra posizione o farvi uccidere.
Dite ai vostri uomini che siano meno brutali rispose Fedoro. Noi non siamo stati ancora condannati.
Darò gli ordini opportuni perché vi rispettino, ma non opponete alcuna resistenza. Seguitemi.
Obbediamo, Rokoff.
Se tu mi avessi lasciato fare, avrei sgominato questi poltroni rispose il cosacco. Avevo cominciato così bene!
E avremmo finito male.
Ne dubito.
Seguiamo il magistrato.
Scortati dai soldati, i quali non avevano ancora levato le baionette dai fucili, furono introdotti in unampia stanza dove si vedevano sospese quattro gabbie contenenti ciascuna tre teste umane che parevano appena decapitate, colando ancora il sangue dal collo.