Darma! Punthy! ripeté Tremal-Naik.
La tigre si raccolse su se stessa, emise un sordo brontolìo e con un salto di quindici piedi venne a cadere ai piedi del padrone.
Coshai, Darma? chiese egli, passando le sue mani sul robusto dorso della belva. Tu sei inquieta.
Il cane invece di accorrere dal padrone si piantò sulle quattro zampe allungò la testa verso il sud, fiutò per qualche tempo laria ed abbaiò lamentosamente tre volte. Che sia toccata qualche disgrazia ad Hurti e ad Aghur? mormorò il cacciatore di serpenti, con inquietudine.
Lo temo, padrone, disse Kammamuri, gettando sguardi spaventati sulla jungla. A questora dovrebbero essere qui, ed invece non danno segno di vita.
Hai udito nessuna detonazione, durante la giornata?
Sì, una verso la metà del meriggio, poi più nulla.
Da dove veniva?
Dal sud, padrone.
Hai mai veduto alcuna persona sospetta aggirarsi nella jungla?
No, ma Hurti mi disse daver veduto, una sera delle ombre sulle rive dellisola Raimangal ed Aghur davere udito degli strani rumori provenire dal banian sacro.
Ah! dal banian! esclamò Tremal-Naik. Hai udito qualche cosa anche tu?
Forse. Cosa facciamo, padrone?
Aspettiamo.
Ma possono
Zitto! disse Tremal-Naik, stringendogli un braccio con forza tale da arrestargli il sangue.
Coshai udito? mormorò il maharatto, battendo i denti.
Guarda laggiù, non ti sembra che i bambù della jungla si muovano?
È vero, padrone.
Punthy fece udire per la terza volta il suo lamentevole urlo, che fu seguito dalle note acute del misterioso ramsinga. Tremal-Naik si strappò dalla cintura di pelle di tigre una lunga e ricca pistola incrostata dargento e larmò.
In quellistante un indiano, dalta statura, seminudo, armato duna sola scure, si slanciò fuori dai bambù correndo a rompicollo verso la capanna.
Aghur! esclamarono ad una voce Tremal-Naik ed il maharatto.
Punthy gli si slanciò contro urlando lugubremente.
Padrone! pa drone! rantolò lindiano.
Giunse come un fulmine dinanzi alla capanna, barcollò come fosse stato colpito da un improvviso malore, stralunò gli occhi, gettò un grido strozzato come un rantolo e piombò fra le erbe come albero sradicato dal vento.
Tremal-Naik gli si era precipitato sopra. Una esclamazione di sorpresa gli sfuggì.
Lindiano pareva moribondo. Aveva alle labbra una spuma sanguigna, tutto il volto lacerato ed imbrattato di sangue, gli occhi stravolti e dilatati enormemente ed ansimava emettendo rauchi sospiri.
Aghur! esclamò Tremal-Naik. Che cosa ti è successo? Dovè Hurti?
La faccia dAghur, a quel nome si contrasse spaventosamente e colle unghie sollevò rabbiosamente la terra.
Padrone padrone! balbettò egli con profondo terrore.
Continua.
Sof foco ho corso ah! padrone.
Che sia avvelenato? mormorò Kammamuri.
No, disse Tremal-Naik. Il povero diavolo ha galoppato come un cavallo e soffoca; fra qualche minuto si sarà rimesso.
Infatti Aghur cominciava a ritornare in sé, ed a respirare liberamente.
Parla, Aghur, disse Tremal-Naik, dopo qualche minuto. Perché sei ritornato solo? Perché tanto terrore? Cosa è successo al tuo compagno?
Ah! padrone, balbettò lindiano rabbrividendo. Quale disgrazia!
Il ramsinga laveva annunciata, mormorò Kammamuri, sospirando.
Avanti, Aghur, incalzò il cacciatore di serpenti.
Se laveste veduto il poveretto era là, disteso per terra, irrigidito, cogli occhi fuor dalle orbite
Chi? chi?
Hurti!
Hurti morto! esclamò Tremal-Naik.
Si, lhanno assassinato ai piedi del banian sacro.
Ma chi lha assassinato? Dimmelo, che io vada a vendicarlo.
Non lo so, padrone.
Narra tutto.
Eravamo partiti per cacciare una gran tigre. Sei miglia da qui, scovammo la belva la quale, ferita dalla carabina di Hurti, fuggì verso il sud. Seguimmo per quattro ore la sua pista e la ritrovammo presso la riva, di fronte allisola Raimangal, ma non riuscimmo a ucciderla, poiché appena ci scorse si gettò in acqua approdando ai piedi del gran banian.
Bene e poi?
Io volevo ritornare, ma Hurti si rifiutava dicendo che la tigre era ferita e quindi una facile preda. Attraversammo il fiume a nuoto e giungemmo allisola Raimangal, dove ci separammo per esplorare i dintorni.
Lindiano sarrestò battendo i denti pel terrore e divenne pallidissimo.
Calava la sera, riprese egli con voce cupa. Sotto i boschi cominciava a fare oscuro e regnava un silenzio funebre che metteva paura. Tutto ad un tratto una nota acuta, quella del ramsinga, rimbombò. Mi guardo dattorno ed i miei occhi sincontrano con quelli di unombra che si teneva a venti passi da me, semi-nascosta fra un cespuglio.
Unombra! esclamò Tremal-Naik. Unombra hai detto?
Sì, padrone, unombra.
Chi era? Dimmelo, Aghur, dimmelo!
Mi parve una donna.
Una donna!
Si, sono sicuro che era una donna.
Bella?
Faceva troppo oscuro perché potessi vederla distintamente.
Tremal-Naik si passò una mano sulla fronte.
Unombra! ripeté egli, più volte. Unombra laggiù! Se fosse la mia visione? Tira innanzi, Aghur.
Quellombra mi guardò per alcuni istanti, poi tese un braccio verso di me, invitandomi ad allontanarmi subito. Sorpreso e spaventato ubbidii, ma non avevo fatto ancora cento passi, che un urlo straziante giunse ai miei orecchi. Quel grido lo riconobbi subito: era quello di Hurti!
E lombra? chiese Tremal-Naik, in preda ad una estrema agitazione.
Non mi volsi nemmeno indietro per vedere se era rimasta là, oppure scomparsa. Mi slanciai attraverso alla jungla colla carabina in mano e giunsi sotto al gran banian, ai piedi del quale, disteso sul dorso, vidi il povero Hurti. Lo chiamai e non mi rispose. Lo toccai, era ancora caldo ma il suo cuore non batteva più!
Sei certo?
Sicurissimo, padrone.
Dove era stato colpito?
Non vidi sul suo corpo ferita alcuna.
È impossibile!
Te lo giuro.
E non vedesti alcuno?
Nessuno, né udii alcun rumore. Io ebbi paura mi gettai nel fiume lo attraversai perdendo la carabina e riguadagnai la nostra jungla. Credo di aver fatto sei miglia senza respirare, tanto era il mio spavento. Povero Hurti!
II. Lisola misteriosa
Un profondo silenzio seguì la triste narrazione dellindiano. Tremal-Naik, diventato ad un tratto cupo e nervosissimo, sera messo a passeggiare dinanzi al fuoco, colla testa china sul petto, la fronte aggrottata e le braccia incrociate. Kammamuri, agghiacciato dal terrore, meditava aggomitolato su se stesso. Persino il cane aveva cessato di fare udire ii suo lamentevole urlo e sera sdraiato a fianco di Darma.
Le note acute del misterioso ramsinga strapparono il cacciatore di serpenti dalle sue meditazioni. Alzò il capo come un cavallo di battaglia che ode il segnale della carica, gettò unocchiata profonda nella deserta jungla sulla quale ondeggiava allora una densa nebbia, carica desalazioni velenose, girò su se stesso ed avvicinandosi bruscamente ad Aghur, gli disse:
Hai udito mai il ramsinga?
Sì, padrone, rispose lindiano, ma una sola volta.
Quando?
La notte che scomparve Tamul, vale a dire sei mesi fa.
Sicché credi anche tu, come Kammamuri, che segnali una disgrazia?
Si, padrone.
Sai chi è che lo suona?
Non lo seppi mai.
Credi tu che il suonatore abbia relazione coi misteriosi abitanti di Raimangal?
Lo credo.
Chi sospetti che siano quegli uomini?
Sono poi uomini?
Non credo che siano le anime dei morti.
Allora saranno pirati, disse Aghur.
E quale interesse possono avere, per assassinare i miei uomini?
Chissà, forse quello di spaventarci e di tenerci lontani.
Dove supponi che abbiano le loro capanne?
Lignoro, ma oserei dire che ogni notte si radunano sotto la fosca ombra del banian sacro.
Sta bene, disse Tremal-Naik. Kammamuri, prendi i remi.
Cosa vuoi fare, padrone? chiese il maharatto.
Recarmi al banian.
Oh! Non farlo, padrone! gridarono a un tempo i due indiani.
Perché?
Ti ammazzeranno come hanno ammazzato il povero Hurti.
Tremal-Naik li guardò con due occhi che mandavano fiamme.
Il cacciatore di serpenti non tremò mai in sua vita, né tremerà questa sera. Al canotto, Kammamuri! esclamò egli, con un tono di voce da non ammettere replica.
Ma, padrone!
Hai paura forse? chiese sdegnosamente Tremal-Naik.
Sono maharatto! disse lindiano con fierezza.
Va allora. Questa notte io saprò chi sono quegli esseri misteriosi che mi hanno dichiarato la guerra: e chi è colei che mi ha stregato.
Kammamuri prese un paio di remi e si diresse verso la riva. Tremal-Naik entrò nella capanna, staccò da un chiodo una lunga carabina dalla canna rabescata, si munì di una gran fiasca di polvere e si passò nella cintola un largo coltellaccio.
Aghur, tu rimarrai qui, dissegli, uscendo. Se fra due giorni non saremo ritornati, verrai a raggiungerci a Raimangal colla tigre o con Punthy.
Ah! padrone
Non ti senti il coraggio bastante per venire laggiù?
Del coraggio ne ho, padrone. Volevo dire che fai male a recarti in quellisola maledetta.
Tremal-Naik non si lascia assassinare, Aghur.
Prendi con te Darma. Potrebbe esserti utile.
Tradirebbe la mia presenza ed io voglio sbarcare senza esser veduto, né udito. Addio, Aghur.
Si gettò la carabina ad armacollo e raggiunse Kammamuri, che lo attendeva presso ad un piccolo gonga, rozzo e pesante battello, scavato nel tronco di un albero.
Partiamo, disse.
Saltarono nel battello e presero il largo, remando lentamente ed in silenzio.
Unoscurità profonda, resa densa da una nebbia pestilenziale che ondeggiava sopra i canali, le isole e le isolette, copriva le Sunderbunds e la corrente del Mangal.
A destra ed a sinistra si estendevano masse enormi di bambù spinosi, di cespugli fitti, sotto i quali si udivano brontolare le tigri e sibilare i serpenti, di erbe lunghe e taglienti, confuse, amalgamate, strette le une alle altre in modo da impedire il passo.
In lontananza però, sulla fosca linea dellorizzonte, spiccavano qua e là alcuni alberi, dei manghi carichi di frutta squisite, dei palmizi tara, dei latania e dei cocchi dallaspetto maestoso, con lunghe foglie disposte a cupola.
Un silenzio funebre, misterioso, regnava ovunque, rotto appena appena dal mormorìo delle acque giallastre che radevano i rami arcuati dei paletuvieri e le foglie del loto e dal fruscio dei bambù scossi da un soffio di aria calda, soffocante, avvelenata.
Tremal-Naik, sdraiato a poppa, col fucile sottomano, taceva e teneva aperti gli occhi fissandoli ora sulluna e ora sullaltra riva, dove udivansi sempre rauchi brontolii e sibili lamentevoli. Kammamuri, invece, seduto nel mezzo, faceva volare il piccolo gonga il quale lasciavasi dietro una scia di una fosforescenza ammirabile, da far quasi credere che quelle acque corrotte fossero sature di fosforo.
Ogni qual tratto, però, cessava di remare, ratteneva il respiro e stava alcuni istanti in ascolto, chiedendo di poi al cacciatore di serpenti se nulla avesse udito o veduto.
Era di già mezzora che navigavano, quando il silenzio fu rotto dal ramsinga, che si fece udire sulla riva destra, ma così vicino, da sospettare che il suonatore si trovasse a un centinaio di passi di distanza.
Alto! mormorò Tremal-Naik.
Non aveva ancora terminata la parola, che un secondo ramsinga rispose al primo, ma ad una distanza maggiore, intuonando una melodia malinconica, quanto era brillante e viva laltra. La musica indiana si basa su quattro sistemi che hanno unintima relazione colle quattro stagioni dellanno ed a ciascuno di essi viene applicato un tono e modo particolare.
È malinconica nella stagione fredda, viva ed allegra nel ringiovanire della stagione, languida nei grandi calori destate e brillante nellautunno.
Perché mai quei due istrumenti suonavano così contrariamente? Era forse un segnale? Kammamuri lo temeva.
Padrone dissegli, siamo stati scoperti.
È probabile, rispose Tremal-Naik, che ascoltava attentamente.
Se ritornassimo? Questa notte non fa per noi.
Tremal-Naik non ritorna mai. Arranca e lascia che i ramsinga suonino a loro piacimento.
Il maharatto riprese i remi spingendo innanzi il gonga, il quale non tardò a giungere in un luogo dove il fiume stringevasi a mo di collo di bottiglia. Un buffo daria tiepida, soffocante, carica desalazioni pestifere, giunse al naso dei due indiani.
Dinanzi a loro, ad un tre o quattrocento passi, apparvero molte fiammelle che vagolavano bizzarramente sulla nera superficie del fiume. Alcune, come fossero attirate da una forza misteriosa, vennero a danzare dinanzi alla prua del gonga, allontanandosi dipoi con fantastica rapidità.
Eccoci al cimitero galleggiante, disse Tremal-Naik. Fra dieci minuti arriveremo al banian.
Passeremo col gonga? chiese Kammamuri.
Con un po di pazienza si passerà.
È male, padrone, offendere i morti.
Brahma e Visnù ci perdoneranno. Arranca, Kammamuri.
Il gonga, con pochi colpi di remo raggiunse la stretta del fiume e sboccò in una specie di bacino, sul quale si intrecciavano i lunghi rami di colossali tamarindi, formando una fitta volta di verzura.
Colà galleggiavano parecchi cadaveri che i canali del Gange avevano trascinato fino al Mangal.
Avanti! disse il cacciatore di serpenti.
Kammamuri stava per ripigliare i remi, quando la volta di verzura, che copriva quel cimitero galleggiante, saprì per dar passaggio a uno stormo di strani esseri dalle ali nere, i trampoli lunghissimi, i becchi aguzzi e smisurati.
Cosa cè di nuovo? esclamò Kammamuri sorpreso.
I marabù, disse Tremal-Naik.
Infatti un centinaio di quei funebri uccelli del sacro fiume, calavano, starnazzando giocondamente le ali, posandosi sui cadaveri.
Avanti, Kammamuri, ripeté Tremal-Naik.
Il gonga spinto innanzi, e dopo una buona mezzora, attraversato il cimitero, trovossi in un bacino assai più ampio, completamente sgombro, che veniva diviso in due bracci da una aguzza punta di terra, sulla quale spiccava un grandissimo e singolare albero.