Emilio Salgari
I PESCATORI DI BALENE
I. IL CAPODOLIO
La notte del 24 agosto 1864, una nave correva bordate, a tutte vele sciolte, a centotrenta miglia a sud delle Aleutine, lunga catena di isole che si estende dinanzi al mare di Behring fra le coste dellAmerica e dellAsia. Era un magnifico veliero di oltre quattrocentoventi tonnellate, attrezzato a «barco», colla prua tagliata quasi ad angolo retto e munita di un solido sperone di acciaio, i fianchi piuttosto larghi e difesi da lamine di rame di notevole spessore. Alta era la sua alberatura, con uno sviluppo grandissimo di vele; libera quasi del tutto la sua coperta, ma untuosa e sdrucciolevole, senza cassero e senza castello. Sulla poppa, in lettere dorate, spiccavano questi due nomi: «Danebrog Aalborg».
Sulla gran gabbia, aggrappati alle sartie e alle griselle, si vedevano due uomini un po curvi innanzi, cogli occhi fissi sulloscuro mare che muggiva sordamente frangendosi contro i fianchi del naviglio.
Uno dimostrava quarantanni. Era di statura bassa ma tarchiato, con larghe spalle e grosse e robustissime membra. Aveva la pelle un po abbronzata, gli occhi di un azzurro profondo, il naso un po rosso, forse per il soverchio abuso di bevande spiritose, e la barba e i capelli biondi.
Aveva accostato agli occhi un cannocchiale e guardava attentamente limmensa distesa dacqua.
Laltro era invece un giovanotto di venticinque o ventisei anni, di statura molto alta, biondo di capelli, cogli occhi pure azzurri, ma la pelle ancora bianca. Dai suoi lineamenti traspariva una energia straordinaria e un coraggio indomito.
Ebbene, tenente Hostrup, disse ad un tratto il giovanotto si vede nulla?
Ho un bel guardare, fiociniere, ma non vedo proprio nulla rispose il compagno.
Eppure ho udito distintamente un tonfo e ho visto con questi occhi una grossa ondata correre a quattrocento passi dal nostro legno.
E tu credi che sia stata una balena?
Sì, tenente.
Se fosse vero! esclamò lufficiale mordendosi i baffi. A questora tutti i balenieri hanno dellolio nel ventre del loro legno, mentre noi non ne abbiamo ancora una goccia. E siamo in pieno agosto! Comprendi, Koninson, in pieno agosto!
Lo comprendo, signore, ma la colpa non è nostra. Se quel «brick» del malanno non ci avesse, colla sua speronata, inchiodati per tre lunghi mesi nei cantieri della Nuova Arcangelo, a questora avremmo già mezzo carico nella stiva.
Che il diavolo si porti quel «brick» e tutta la ciurmaglia che lo monta! Fortunatamente abbiamo del fegato, noi, e il nostro «Danebrog» è un legno che non teme i ghiacci. Se sarà necessario andremo fino al polo.
Il capitano ha questa intenzione?
Per Bacco! Se non troviamo balene nel mare di Behring, egli ci trascinerà sotto il polo. Vuole vincere la scommessa a qualunque costo.
Cè una scommessa chiese il fiociniere.
Sì, e molto grossa.
E con chi,tenente?
Col capitano del «Biscoë».
Ah! Quel dannato norvegese scommette contro i danesi? Allora bisogna sfidare tutto, pur di vincere.
E tutto sfideremo, Koninson.
Io sono pronto a seguire il capitano anche al polo, purchè colà vi siano delle balene, e vi giuro, signor Hostrup, che il mio rampone non fallirà una sola volta.
Lo so che la tua è unarma terribile, che ha già ucciso parecchie dozzine di balene.
Delle centinaia, signore! disse Koninson con orgoglio. Sono duecento e più anni che viene adoperata nella mia famiglia.
Corbezzoli! La tua è adunque una famiglia di fiocinieri?
Sì, tenente, e il rampone di cui oggi mi servo si trasmette di padre in figlio.
E chi lo adoperò per primo?
Mio nonno Erico Koninson, il quale lo ebbe in dono dal re Cristiano V.
Ah! È unarma reale?
Sì, e
Il fiociniere fu bruscamente interrotto da una voce che pareva scendesse dal cielo e che aveva gridato:
Ohè! Lanimale soffia!
Il tenente e Koninson alzarono il capo e videro sulla crocetta dellalbero di trinchetto un marinaio che stava guardando il mare.
Lhai udito tu? chiese il signor Hostrup.
Sì, tenente! rispose il marinaio.
Da qual parte?
Il soffio veniva da sottovento.
Il tenente puntò il cannocchiale e guardò con profonda attenzione.
Ebbene? chiese Koninson, che non era capace di star fermo.
Il marinaio non si è ingannato. Laggiù ho veduta una massa nerastra sorgere e poi tuffarsi.
È una balena?
Non lo so poichè, come ben vedi, loscurità è profonda e il cetaceo è apparso a un buon miglio di distanza.
Balena o capodolio, noi lo prenderemo, tenente.
Lo spero, Koninson. Andiamo ad avvertire il capitano Weimar.
E prepariamo le baleniere. Ho il sangue che mi bolle nelle vene pensando che fra poco mi misurerò col mostro che soffia.
Il tenente e il fiociniere si aggrapparono alle griselle e scesero rapidamente in coperta, dove dieci o dodici marinai stavano già preparando le baleniere per la caccia.
Il capitano, tosto avvertito della presenza del cetaceo, non tardò a comparire sulla tolda.
Valdemaro Weimar, comandante e proprietario del legno, non aveva più di trentacinque anni. Era alto, vigoroso, biondo come il tenente Hostrup, con una fronte alta, lo sguardo vivo e nero e labbra sottili che denotavano una energia non comune.
Nato in Danimarca, come tutti gli uomini del suo equipaggio, aveva affrontato il mare a soli dieci anni e ora godeva una grande fama, come marinaio e come pescatore di balene. Nulla lo spaventava; nè le più terribili tempeste, nè le più ardite navigazioni nei poco conosciuti mari artici, nè i ghiacci del polo.
Sei volte, con unaudacia senza pari, mentre tutti i suoi colleghi fuggivano verso il sud dinanzi allavanzata del gelo, aveva condotto la sua valorosa nave al di là delle terre abitate, sfidando i ghiacci polari per inseguire le balene che vi si erano rifugiate, e due volte, sorpreso dagli immensi campi di ghiaccio, aveva svernato sulle deserte coste della Giorgia occidentale e senza perdere nè un uomo nè una imbarcazione.
Quando il tenente Hostrup lo informò della presenza di un cetaceo, gli occhi del bravo capitano scintillarono di gioia.
Ah, è così! esclamò. Sta bene, domani mattina lo cacceremo. Dovè?
Laggiù, un miglio sottovento! disse il tenente.
Non bisogna perderlo di vista. Due gabbieri sulle crocette e tu, mastro Widdeak, aggiunse, volgendosi ad un vecchio marinaio che stava al timone governa in modo di tenerti sempre a poca distanza dal cetaceo. E ora andiamo a vedere coi nostri occhi.
Salì sulla murata di tribordo aggrappandosi alle sartie del trinchetto e guardò nella direzione indicata con un forte cannocchiale.
Lo vedete, capitano? chiese Hostrup che laveva raggiunto.
Sì, tenente.
Balena o capodolio?
Non è facile dirlo, ma dalle sue mosse brusche, lo crederei più un capodolio che una balena.
Lo cacceremo egualmente.
Lo credo, tenente; Koninson non teme simili mostri, quantunque siano, specialmente se soli, pericolosissimi. Mi ricordo che una volta uno, un solitario anche quello, ebbe laudacia di gettarsi contro un brigantino.
E lo colò a picco?
Lo sfasciò di colpo, tenente. Ehi, Koninson, prepara due baleniere.
Pronto, capitano! rispose il fiociniere.
Con un fischio chiamò i diciotto marinai che formavano lequipaggio del «Danebrog», e si mise alacremente al lavoro. Dieci minuti dopo tutto era pronto per la pesca. Non mancava che di calare le baleniere in mare e di muovere contro il cetaceo che non pareva disposto ad abbandonare quelle acque.
Il capitano Weimar e il suo tenente, sempre in piedi sulla murata seguivano attentamente collo sguardo lenorme pesce che di quando in quando si tuffava o avventava dei formidabili colpi di coda sollevando delle grandi ondate.
Il primo si mostrava impazientissimo e imprecava contro loscurità; il secondo invece, uomo flemmatico quanto mai, quantunque non meno intrepido marinaio del capitano, appariva tranquillissimo e taceva fumando con tutta flemma in una vecchia pipa che quasi mai abbandonava.
Anche Koninson e lequipaggio erano in preda ad una viva agitazione, e ingiuriavano il cetaceo che non si lasciava accostare dalla nave, quantunque questa filasse con una notevole velocità avvicinandosi alle isole Aleutine, che ormai non dovevano essere molto lontane.
Finalmente cominciò a far chiaro. Ad oriente apparve una luce biancastra che fece impallidire la luce degli astri e che gettò sui neri flutti delle tinte madreperlacee di bellissimo effetto.
Il capitano attese ancora un po, quindi tornò a puntare il cannocchiale verso il cetaceo che allora si trovava a due miglia dal «Danebrog», ma quasi nel medesimo istante il gigantesco pesce, quasi indovinasse che qualcuno lo spiava, si tuffò.
Ah, brigante! esclamò Weimar. Ma non per questo mi sfuggirai. Ehi, mastro Widdeak governa dritto su quel briccone!
Il mastro non si fece ripetere il comando e lanciò il «Danebrog» verso il luogo ove il cetaceo si era inabissato; ma passarono dieci, venti, trenta minuti, senza che apparisse a galla.
Non è una balena quella là! disse il capitano. Se lo fosse, a questora sarebbe già tornata a galla.
È un capodolio, capitano disse il tenente. Non ci sono che questi cetacei che siano capaci di starsene quaranta, cinquanta e anche sessanta minuti senza respirare.
Niente di meglio. Alla balena preferisco il capodolio che dà maggior profitto. Ma come mai si trova qui?
Guarda! Guarda! gridò in quellistante Koninson.
A cinquecento metri dal «Danebrog» si era visto alla superficie dei mare un largo tremolio, segno evidente che il cetaceo stava per risalire; poi apparve un punto nero, indi una massa enorme che gettò in aria due nuvolette di vapore grigiastro. Koninson gettò un grido:
Un capodolio! Un capodolio! Alle baleniere, ragazzi!
II. LA CACCIA
Il fiociniere non si era ingannato.
Era un vero capodolio, pesce enorme, dalla testaccia spaventevole che eguaglia il terzo della lunghezza del corpo, il muso assai rigonfio, la bocca immensa armata di cinquantaquattro denti di forma conica e ricurvi allindentro e il dorso coperto di gibbosità più o meno grandi.
Era lungo diciassette o diciotto metri, con una circonferenza di quattordici o quindici, enorme massa che prometteva almeno sessanta o settanta tonnellate dì eccellente olio, senza contare quel prezioso liquido conosciuto col nome di bianco di balena che portava nella testa.
Il mostro pareva non essersi accorto della presenza del «Danebrog», e dopo il primo soffio si era messo a nuotare lentamente, quasi interamente sommerso, mostrando di quando in quando lestremità dei muso e lanciando in aria, con sordo rumore, le nuvolette di vapore che diventavano però sempre meno fitte.
Abbiamo da fare senza dubbio con un vecchio maschio disse il capitano.
Peccato che sia solo disse Koninson che guardava il cetaceo con occhio fiammeggiante.
Avrai un gran da fare egualmente, fiociniere. Tu sai che questi mostri sono sempre di cattivo umore e coraggiosi fino alla pazzia. Affrettiamoci prima che si allontani troppo. Ai vostri posti, giovanotti.
In un baleno furono imbrogliate le vele e le due baleniere sospese alle gru furono calate in mare. Erano queste due svelte imbarcazioni, colla prua tagliente, le costole saldissime, a prova di coda. I remi, i ramponi, le lance e le lenze erano già state collocate a posto.
Il tenente Hostrup, Koninson e quattro robusti rematori, presero posto nella prima; mastro Widdeak, il secondo fiociniere Harwey, un bravo giovanotto allievo di Koninson e che aveva già ramponate non poche balene, presero posto nella seconda assieme ad altri quattro marinai.
Cè tutto? chiese il capitano curvandosi sulla murata.
Tutto risposero ad una voce il tenente e il mastro.
Al largo adunque e che Dio vi guardi!
Le due baleniere a quel comando sallontanarono fendendo le onde con grande rapidità. Il tenente e il mastro, con un lungo remo le guidavano e accanto a loro con una coscia trattenuta nella scanalatura della poppa, stavano i due fiocinieri cogli occhi fissi sul cetaceo e i ramponi in mano, lance terribili, munite di una freccia lunga un buon metro, in forma di una V rovesciata, coi margini esterni taglientissimi e i margini interni grossi e dritti per impedire allarma, una volta entrata nelle carni del cetaceo di uscirne.
Ad ognuna di queste armi era già attaccata una lenza di 400 metri terminante in una tavoletta di sughero grossa assai e sulla quale si vedeva impresso, a ferro rovente, il nome del «Danebrog» e il porto da dove era salpato.
Il capodolio, a quanto pareva, non aveva ancora scorto le due baleniere che gli si avvicinavano rapidamente e in silenzio, manovrando in modo da coglierlo in mezzo. Continuava tranquillamente a nuotare, tuffando ora la testa per pascersi, o sollevando la possente coda bilobata, un sol colpo della quale era più che sufficiente per gettare in aria o schiacciare gli arditi cacciatori che stavano per affrontarlo.
Già le baleniere non erano che a tre gomene, quando il mostro si voltò bruscamente verso di esse guardandole coi suoi occhietti e mostrando la sua enorme bocca capace di contenere tutti i dodici uomini che correvano su di lui. Contemporaneamente battè la coda in basso sollevando onde gigantesche.
Attenzione! disse il tenente. Il capodolio è inquieto.
Che brutto sguardo! disse Koninson con voce un po alterata. Si direbbe che affascina.
Non guardarlo, Koninson.
Guardo il punto ove posso lanciare il mio rampone.
Le due baleniere avevano rallentata la corsa ed avanzavano colla massima prudenza cercando di virare al largo.
Ad un tratto il capodolio gettò fuori una nuvoletta di vapore più denso, agitò la coda e si inabissò lentamente formando un piccolo vortice.
Fermi! gridarono il tenente e il mastro.
I marinai alzarono i remi e le due baleniere rimasero ferme, lasciandosi dondolare dalle onde.
Nessuno fiatava nè si muoveva e tutti, eccettuato il tenente, erano pallidissimi. Persino Koninson, che aveva già cacciato centinaia di volte i giganti del mare era bianco e le sue membra provavano, di quando in quando, dei tremiti nervosi.
Era il principio di quella strana paura che sovente invade i balenieri, anche i più audaci e i più invecchiati nel mestiere, paura che talvolta assume proporzioni tali da far perdere completamente la testa ai timonieri e ai remiganti e da togliere ai fiocinieri le forze in siffatta guisa da non essere più capaci di alzare il braccio per scagliare, al momento opportuno, il rampone.
Se il mare fosse stato tranquillo e le baleniere, nel ricadere, non avessero fatto rumore, si sarebbe udito il cuore di Koninson e di tutti gli altri battere precipitosamente.
Coraggio, fiociniere! disse il tenente.
Ne ho, signore! rispose il giovanotto, sforzandosi di sembrare calmo. Aspetto solo che il mostro ricompaia per piantargli nelle costole il mio rampone, e Dio mi danni se non gli farò una ferita mortale.
Attenti, ragazzi! gridò in quellistante mastro Widdeak.
Cento passi più innanzi, alla superficie del mare si scorse un largo tremolio, poi apparve prima lestremità del muso indi la testa e quindi lintero capodolio.