Attenti, ragazzi! gridò in quellistante mastro Widdeak.
Cento passi più innanzi, alla superficie del mare si scorse un largo tremolio, poi apparve prima lestremità del muso indi la testa e quindi lintero capodolio.
Ad un cenno del tenente i marinai tuffarono i remi e la baleniera mosse velocemente contro il gigante. Già non era più che a trenta braccia e Koninson aveva afferrato e alzato il rampone, quando il cetaceo sollevò colla sua potente coda una montagna dacqua così enorme, che la baleniera fu rovesciata violentemente su di un fianco atterrando coloro che la montavano
Maledizione urlò Koninson.
Dopo quella prima ondata il mostro ne sollevò una secondi e finalmente una terza ancora maggiore che riempì più che mezza limbarcazione, la quale si trovò nellimpossibilità di agire.
Koninson e i marinai abbandonato il rampone e i remi si videro costretti a vuotare lacqua imbarcata che minacciava di mandarli a picco, mentre il cetaceo, preso da un subitaneo accesso di collera, correva qua e là come fosse impazzito gettando sordi brontolii che somigliavano al tuono udito a grande distanza e lanciando ovunque colpi di mare. Pareva che cercasse i nemici per frantumarli a colpi di coda ma, male servito dai suoi occhietti che, sono debolissimi, non riusciva a scorgerli.
Mastro Widdeak, che fino allora si era tenuto un po indietro, spinse la baleniera contro di lui. In tre minuti giunse ad una distanza di sole venti braccia.
Coraggio, Harwey! gridò Koninson.
Il giovane fiociniere, quantunque pallidissimo e in preda ad un forte tremito che paralizzava in parte le sue forze, alzò il rampone cercando un buon punto per lanciarlo.
Getta! urlò il mastro.
Il rampone ondeggiò innanzi ed indietro e partì. Forò due onde, sfiorò una terza e si piantò nel fianco destro del capodolio in una parte carnosa e ricca di tendini.
Subito la baleniera si mise a indietreggiare rapidamente lasciando scorrere la lenza.
Il mostro, ferito forse pericolosamente fece un balzo innanzi gettando un urlo così acuto da poter essere udito a parecchi chilometri di distanza, indi si tuffò. Ma non rimase sottacqua che brevissimi istanti e riapparve cento braccia più innanzi gettando un secondo e più forte urlo, battendo furiosamente la coda e rovesciandosi sul fianco ferito come se cercasse di strapparsi larma che lo tormentava.
Mastro Widdeak diresse limbarcazione verso di lui, mentre Harwey afferrava una lancia munita allestremità di una specie di palla tagliente, aspettando il momento che alzasse la coda per lanciargliela sotto le ultime vertebre caudali.
Il tenente spinse pure innanzi la sua baleniera, ma il cetaceo, che senza dubbio non era stato ferito molto gravemente dopo aver descritto un semicerchio, si mise a filare con estrema rapidità verso nord-nord-est.
In breve la lenza del rampone fu tutta consumata senza che il capodolio scemasse la sua velocità. Harwey attaccò una seconda la lenza, ma anche questa in pochissimo tempo fu tutta fuori.
Cerchiamo di affaticarlo! disse mastro Widdeak.
Lega la lenza! gridò Koninson, che era ancora lontano, quantunque i remiganti arrancassero disperatamente.
Harwey legò la lenza e la baleniera fu trascinata dal cetaceo che continuava a nuotare verso nord-nord-est, senza tuffarsi e senza fermarsi un solo istante.
Ma anche questo tentativo non riuscì a scemare la corsa del mostro, anzi si accrebbe tanto che cera da temere che le onde invadessero la baleniera.
Mastro Widdeak fece legare la «droga» alla lenza e lasciò andare il capodolio, certo di ritrovarlo ben presto senza vita.
A bordo! disse egli. Quel brigante si di stancherà di correre e allora lo troveremo.
La scialuppa virò di bordo e si diresse verso il «Danebrog» che avanzava a tutte vele spiegate verso la baleniera del tenente, sulla quale bestemmiava su tutti i toni e in tutte le lingue della terra il fiociniere Koninson.
Pochi minuti dopo i dodici cacciatori salivano sul «Danebrog».
Mille tuoni! esclamò Koninson, mettendo piede sulla tolda. Non mi aspettavo questoggi un tiro così birbone. Brigante dun capodolio, sfuggire così al mio rampone! Ma se lo incontro ancora gli farò passare un gran brutto quarto dora.
Non pigliartela tanto a cuore, fiociniere! disse il tenente. Lo raggiungeremo e ben presto, è vero, capitano?
Lo spero rispose Weimar.
Lo spero anchio disse Koninson. Ma se il mio rampone lavesse toccato! Quel briccone di Harwey ha sempre più fortuna di me.
Saresti geloso? chiese il capitano, ridendo.
Io! Mai più! Ma se lavessi ramponato io! Mille tuoni, non sarebbe corso tanto.
Ti ripeto che lo raggiungeremo.
Ma dove sarà fuggito?
Scommetterei una botte di «wisky» contro una tazza di «gin» che si è diretto verso lo stretto di Isanotzkoi.
Ci dirigeremo adunque verso quello stretto.
Subito, fiociniere A bordo le baleniere, giovanotti.
Le due imbarcazioni in brevi istanti furono issate alle gru, dopo di che il «Danebrog» si rimise in marcia dirigendosi verso la penisola di Alaska che collisola di Uminak forma lo stretto accennato di Isanotzkoi
Lequipaggio a cui premeva assai ritrovare il cetaceo per non perdere la famosa scommessa impegnata col norvegese, erasi già quasi tutto installato sulle coffe e sulle crocette, tenendo gli occhi fissi verso nord nord est. Il capitano aveva promesso una bottiglia di «wisky» al primo che lo scopriva, e quel premio era da tutti agognato.
Ben presto però dovette rinunciare a quella guardia che stancava assai, tanto più che non scorgeva alcuna traccia del fuggitivo nè una macchia rossastra che indicasse del sangue, nè quelle materie grasse che si lasciano ordinariamente dietro i cetacei in genere.
Per quattro lunghe ore il bravo veliero, spinto da un fresco vento di sud-ovest, filò con una velocità superiore al sette nodi senza deviare dalla sua rotta, poi piegò un po verso nord-est colla speranza di ritrovare su quella nuova via le tracce.
Nulla! esclamò il capitano che scrutava loceano con un cannocchiale. Bisogna che sia ben forte per camminare tanto.
Io temo che non sia gravemente ferito, signore disse il tenente che fumava pacificamente la sua pipa, seduto sulla murata di babordo.
Ha lanciato forse male il rampone Harwey?
Bene no di certo, capitano; nè del resto, lo poteva. Il capodolio aveva sconvolto il mare in siffatta guisa, che nelle baleniere non era possibile tenersi in piedi.
Diavolo! Che lo si perda?
Non lo credo. Camminerà molto, è cosa certa, forse fino allo stretto di Behring, ma poi si fermerà e morrà.
Ma lo ritroveremo noi?
E perchè no? Cè la «droga» attaccata alla lenza.
Lo so ma io so pure che vi sono dei balenieri che non si fanno scrupolo di impadronirsi dei cetacei ramponati dagli altri. E questi pirati di nuova specie non sono pochi.
Aggiungo qualche cosa daltro, ora che ci penso disse il tenente.
Che cosa, signor Hostrup?
Che se il nostro capodolio va a morire su qualche isola o su qualche costa per noi è perduto. Gli abitanti se lo prenderanno senza curarsi della «droga».
Non ci mancherebbe che questa disgrazia! Sapete, tenente, che noi siamo molto sfortunati? E proprio questanno che abbiamo impegnato la scommessa con quel briccone di norvegese. Fortunatamente ho un equipaggio forte e coraggioso e una nave che non teme i ghiacci del polo.
Siete risoluto a salire molto al nord?
Siete risoluto a salire molto al nord?
Sì, signor Hostrup rispose il capitano con voce grave.
Salirò fin oltre lo stretto di Behring, e andrò a visitare le coste della Giorgia. Se non troverò colà tante balene da completare il carico, salirò ancora più al nord verso la terra di Wrangel.
Siate prudente, capitano.
Avete paura dei ghiacci, voi?
Io! Quando ho una borsa di tabacco e una bottiglia di «gin» o di «brandy», vado dritto fino al polo.
Lo so, tenente, che voi non avete paura di nulla. Sta bene, saliremo fino a incontrare i grandi banchi di ghiaccio. Bisogna che i danesi vincano i norvegesi.
Due ore dopo il «Danebrog» avvistava le isole Aleutine.
III. IL MARE DI BEHRING
Le isole Aleutine formano una lunga catena che separa il GrandOceano dal mare di Behring. Si dipartono dalla penisola di Alaska, il punto più avanzato della costa americana verso occidente, e descrivendo un immenso semicerchio vanno a congiungersi colla costa asiatica, lasciando fra di esse degli stretti numerosissimi, ora piccoli ed ora grandi, spesso ingombri di scogIietti e di banchi che rendono la navigazione assai difficile.
Dirne il numero esatto è impossibile anche oggi, poichè molte sono appena conosciute e molte altre non lo sono affatto. Ad ogni modo sono moltissime e talune di rispettabile grandezza, quali la Behring, Atton, Unalaska, Unimak, ecc. La popolazione di tutto larcipelago si crede non superi le 6000 anime.
Per lo più dette isole sono montagnose con alcuni vulcani che vomitano quasi sempre fumo e le spiaggie alte assai rendono lapprodo difficile, anche perchè cinte da numerosi frangenti contro i quali, da una parte e dallaltra, si rompono con orribile frastuono le onde del GrandOceano e quelle del mare di Behring.
Su quelle rupi non crescono che degli intristiti abeti, delle piccole quercie, dei salici nani, e nelle valli riparate dai gelidi soffi del vento settentrionale, delle fitte e alte erbe. Ma se la flora è così misera la fauna invece è ricca, infatti innumerevoli sono le volpi, le renne e anche le foche. Non poche lontre, quantunque accanitamente cacciate dagli agenti della compagnia russo-americana, vivono presso le sponde, e anche le balene di quando in quando vi fanno la loro comparsa.
Prima del 1741 queste isole erano a tutti sconosciute. Il celebre navigatore danese Vito Behring fu il primo a scoprirne alcune, il suo compagno Tchirikof ne scopriva altre nel 1742, e Billings e Saritchef negli anni 1793 e 1795 visitavano le restanti. È però probabile che talune non siano ancora state percorse da alcun europeo od americano
Lisola avvistata dal «Danebrog» era Unimak, la più occidentale dellarcipelago, situata a 54° 30 di latitudine nord e 167° di longitudine ovest. Si distinguevano chiaramente le sue tre montagne, la prima colla cima irregolarissima, la seconda in forma di cono e alta assai, vomitante un fumo nerissimo e la terza, chiamata dagli indigeni Kaighinak, mozzata. Quantunque si fosse in piena estate, sulle cime scintillavano con magico effetto i ghiacci non ancor disciolti dal sole.
Entriamo nello stretto o giriamo di fuori? chiese mastro Widdeak al capitano, che osservava lisola.
Il passo di Isanotzkoi ci è troppo famigliare perchè non si tenti il passaggio. Così potremo vedere se il capodolio si è arenato sulle coste della penisola dAlaska.
Mastro Widdeak tornò al timone e diresse la nave verso Io stretto accennato che divide lisola di Unimak dallAlaska. Ben presto si trovò a poche gomene dalle sponde della prima, dove virò di bordo veleggiando parallelamente ad esse.
Lisola sembrava completamente deserta, quantunque labitino un cento o centocinquanta aleutini. Non si vedeva alcuna capanna e nemmeno un battello fra i piccoli «fiords». Anche i terreni apparivano aridissimi: solamente dei piccoli abeti rizzavano verso il cielo il loro verde fogliame e poche erbe si scorgevano in fondo alle vallette.
Le sponde dappertutto erano alte, dirupate e sparse qua e là di massi di basalto, forse colà lanciati dal vulcano fumante durante la terribile eruzione del 1820.
Alle 2 del pomeriggio il «Danebrog» entrava lentamente nello stretto di lsanotzkoi percorso da forti ondate, le quali andavano a rompersi con estrema furia contro le sponde dellisola.
Colà volteggiavano numerosissime bande di gabbiani dalle piume bianchissime ma tinte leggermente di rosa sotto laddome, i piedi neri e il becco giallo, uccelli voracissimi che si tengono quasi sempre presso le isole artiche, ma di una codardia fenomenale, poichè basta un uccello qualsiasi per metterli in fuga. Quantunque la loro carne sia poco pregiata, il tenente Hostrup, appassionatissimo e bravissimo cacciatore, sparò alcune fucilate abbattendone parecchi nel momento che passavano sopra il legno.
Alle 3 fu segnalata una barca indigena che pareva provenisse dalla vicina penisola di Alaska. Era una «baidaire», scialuppa grandissima, scavata nel tronco di un grossissimo albero colà portato senza dubbio dalle correnti marine e montata da una ventina di aleutini, uomini di mediocre statura ma robustissimi di tinta bruna, con viso rotondo, naso schiacciato, occhi piccoli ma espressivi e capelli nerissimi.
Passando presso il «Danebrog» salutarono con alte grida i marinai. Il capitano approfittò per interrogarli circa il capodolio, ma nulla potè sapere, avendo quegli uomini lasciata la penisola di Alaska da due sole ore.
Più tardi fu vista anche una «bodarkie», leggerissimo canotto costruito con pelli di vitello marino e somigliantissimo a quello usato dai groenlandesi. Lo montava un solo uomo munito di un remo a due pale, e pareva venisse da nord. Camminava però così rapidamente che in breve sparve verso est.
Forse quelluomo poteva direi qualche cosa disse Koninson al tenente che guardava distrattamente le coste dellisola.
Se avesse scoperto il capodolio io ti dico che non ce lavrebbe detto, fiociniere rispose Hostrup.
E perchè?
Per spogliarlo lui coi suoi compagni. Un capodolio rappresenta una vera fortuna per questi poveri abitanti che ben sovente soffrono la fame, ma lo troveremo, fiociniere, non temere. Ho guardato poco fa lacqua e ho scorto delle macchie oleose galleggiare e ciò indica che il nostro cetaceo è passato di qui.
Mille tuoni! Bisogna seguire queste tracce.
Le seguiremo Koninson.
Io pianterò domicilio nella rete della delfiniera per non perderle.
Niente di meglio.
Alle 9 di sera il «Danebrog», che filava con una discreta velocità, usciva dal canale di Isanotzkoi ed entrava nel mare di Behring, ampia distesa dacqua compresa fra il 52° e 66° di latitudine nord e il 160° e 200° di longitudine est, cinta al sud dalla lunga catena delle isole Aleutine allest e al nord-est dalle coste americane e al nord-ovest e ovest dal Kamtsciatka.
La maggiore lunghezza di questo mare che per lo più è coperto di nebbioni e di ghiacci, è da est ad ovest di circa 560 leghe. Tanto sulla costa americana quanto su quella asiatica, forma baie ampie ove non di rado vanno a partorire le balene durante la «stagione dei seni». Sono rimarchevoli a nord-ovest la grande baia, che può chiamarsi anche golfo dAnadyr, ove si scarica il fiume omonimo, ad ovest quelle di Aliutorskoi e di Kamtsciatka e ad est quelle di Bristol e di Norton. Racchiude pure nel suo seno isole considerevoli, quali Sidov, San Matteo, San Paolo e San Giorgio.
Nel momento che il «Danebrog» entrava in questo vasto e molto pericoloso mare, nessuna vela si scorgeva sullorizzonte, nè alcun cetaceo. Solamente alcune procellarie, funesti uccelli che non si dilettano che di tempeste, sfioravano le onde, entro le quali di quando in quando si tuffavano per pescare i pesciolini. Tre o quattro vennero a volteggiare attorno alla nave, mostrando le loro penne nerissime.