Quella donna è inglese? chiese con voce alterata.
È nata in India da genitori inglesi.
Perché è diventata pazza?
È una storia lunga.
La narrerai dinanzi alla Tigre della Malesia. Imbarchiamoci, maharatto, e voi, tigrotti, spogliate per bene questa carcassa e poi incendiatela. La Young-India ha cessato di esistere.
Kammamuri savvicinò alla pazza, la prese per mano e la fece scendere nel praho del portoghese. Ella non aveva opposto resistenza, né pronunziato sillaba alcuna.
Partiamo disse Yanez, prendendo la ribolla del timone.
Il mare a poco a poco si era calmato. Solamente attorno ai frangenti spumeggiava e muggiva, sollevandosi in larghe ondate.
Il praho, guidato da quegli abili ed intrepidi marinai, superò le scogliere, balzando e rimbalzando sui cavalloni come una palla elastica e sallontanò con fantastica rapidità lasciandosi dietro una scia candidissima, in mezzo alla quale giocherellavano mostruosi pesci-cani.
In capo a dieci minuti raggiunse la punta estrema dellisola, la girò senza rallentare la sua velocità, e navigò verso unampia baia che aprivasi dinanzi a un grazioso villaggio. Composto di venti e più solidissime capanne, difeso da una triplice linea di trincee armate di grossi cannoni e da numerosissime spingarde, da alte palizzate e da profondi fossati irti di aguzze punte di ferro.
Un centinaio di malesi semi-nudi, ma tutti armati fino ai denti, uscirono dalle trincee e si slanciarono verso la spiaggia, mandando urla selvagge, agitando pazzamente kriss avvelenati, scimitarre, scuri, picche, carabine e pistole.
Dove siamo? chiese Kammamuri con inquietudine.
Nel nostro villaggio rispose il portoghese.
È qui che abita la Tigre della Malesia?
Abita lassù, dove ondeggia quella bandiera rossa.
Il maharatto alzò il capo, e sulla cima di una gigantesca rupe che cadeva a picco sul mare, scorse una gran capanna difesa da parecchie palizzate, su cui si agitava maestosamente una grande bandiera rossa adorna duna testa di tigre.
Andremo lassù? domandò con commozione.
Sì, amico rispose Yanez.
Come mi riceverà?
Come si deve accogliere un coraggioso.
La vergine della pagoda dOriente verrà con noi?
Per ora no.
Perché? Perché quella donna somiglia a
Sinterruppe. Una rapida commozione aveva alterato improvvisamente i suoi lineamenti e i suoi occhi si inumidirono. Kammamuri se ne accorse.
Voi mi sembrate commosso, signor Yanez disse.
Tinganni rispose il portoghese, tirando a sé la ribolla per evitare la punta estrema di una scogliera che riparava la baia. Sbarchiamo, Kammamuri.
Il praho si era arenato con la prua verso la costa.
Il portoghese, Kammamuri, la pazza e i pirati sbarcarono.
Conducete questa donna nella migliore abitazione del villaggio disse Yanez, additando ai pirati la pazza.
Le faranno del male? domandò Kammamuri.
Nessuno ardirà toccarla disse Yanez. Le donne qui si rispettano forse più che in India ed in Europa. Vieni, maharatto.
Si diressero verso la gigantesca rupe e salirono una stretta scala scavata nel vivo masso, lungo la quale erano scaglionate sentinelle armate di carabine e di scimitarre.
Perché tante precauzioni? chiese Kammamuri.
Perché la Tigre della Malesia ha centomila nemici.
Non è amato dunque il capitano?
Noi lo idolatriamo, ma gli altri Se tu sapessi, Kammamuri, come glinglesi lo odiano. Eccoci giunti: non temere nulla.
Infatti giungevano allora dinanzi alla gran capanna, difesa pur questa da trincee, da gabbionate, da fossati, da cannoni, da mortai e da spingarde del secolo precedente.
Il portoghese spinse prudentemente una grossa porta di legno di teck, capace di resistere al cannone, e introdusse Kammamuri in una stanza tappezzata di seta rossa, ingombra di carabine dEuropa, di scuri, di kriss malesi, di yatagan turchi, di pugnali, di bottiglie, di pizzi, di stoffe, di maioliche della Cina e del Giappone, di mucchi doro, di verghe dargento, di vasi riboccanti di perle e di diamanti.
Nel mezzo, semisdraiato su di un ricco tappeto di Persia, Kammamuri scorse un uomo dal volto abbronzato, vestito sfarzosamente allorientale, con vesti di seta trapunta in oro e lunghi stivali di pelle pure rossa a punta rialzata.
Quellindividuo non dimostrava più di trentaquattro o trentacinque anni. Era alto di statura, stupendamente sviluppato, con una testa superba, una capigliatura folta, ricciuta, nera come lala di un corvo, che gli cadeva in pittoresco disordine sulle robuste spalle.
Alta era la sua fronte, scintillante lo sguardo, sottili le labbra, atteggiate ad un sorriso indefinibile, magnifica la barba che dava ai suoi lineamenti un aspetto fiero che incuteva ad un tempo rispetto e paura.
Nellinsieme, sindovinava che quelluomo possedeva la ferocia di una tigre, lagilità di una scimmia e la forza di un gigante.
Appena vide entrare i due personaggi, con uno scatto si alzò a sedere, fissando su di loro uno di quegli sguardi che penetrano nel più profondo dei cuori.
Che cosa mi rechi? chiese con voce metallica, vibrante.
La vittoria, innanzi tutto rispose il portoghese. Ti conduco però un prigioniero. -
La fronte di quelluomo soscurò. È forse quellindiano lindividuo che tu hai risparmiato? domandò egli, dopo qualche istante di silenzio.
Sì, Sandokan. Ti dispiace, forse?
Tu sai che rispetto i tuoi capricci, amico mio.
Lo so, Tigre della Malesia.
E che cosa vuole quelluomo?
Diventare un tigrotto. Lho veduto battersi, è un eroe.
Lo sguardo della Tigre divenne lampeggiante. Le rughe che solcavano la sua fronte scomparvero come le nubi sotto un vigoroso colpo di vento.
Avvicinati disse allindiano.
Kammamuri, ancora sorpreso di trovarsi dinanzi al leggendario pirata che per tanti anni aveva fatto tremare i popoli della Malesia, si fece innanzi.
Il tuo nome? chiese la Tigre.
Kammamuri.
Sei?
Maharatto.
Un figlio di eroi dunque?
Dite il vero, Tigre della Malesia disse lindiano con orgoglio.
Perché hai lasciato il tuo paese?
Per recarmi a Sarawak.
Da quel cane di James Brooke? chiese la Tigre con accento dodio.
Non so chi sia questo James Brooke.
Meglio così. Chi hai a Sarawak per recarti laggiù?
Il mio padrone.
Cosa fa? È soldato del rajah, forse?
No, è prigioniero del rajah.
Prigioniero? E perché?
Lindiano non rispose.
Parla disse brevemente il pirata. Voglio sapere tutto.
Avrete la pazienza di ascoltarmi? La storia è lunga quanto terribile.
Le storie terribili e sanguinose piacciono alla Tigre; siedi e narra.
4. Un terribile dramma
Kammamuri non se lo fece ripetere due volte. Si sedette in mezzo ad un mucchio di velluti sgualciti, bruttati qua e là di macchie, e, dopo essere rimasto alcuni istanti silenzioso, come per raccogliere le idee, disse: Tigre della Malesia, avete udito parlare delle Sunderbunds del sacro Gange?
Non conosco quelle terre rispose il pirata, ma so cosè il delta di un fiume. Tu vuoi parlare dei banchi che ostruiscono la foce della grande fiumana.
Sì, dei grandi ed innumerevoli banchi coperti di canne giganti e popolati di feroci animali che si estendono per molte miglia dalla foce dellHugly a quella del Gange. Il mio padrone era nato là in mezzo, in unisola che si chiama la jungla nera. Era bello, era forte, era prode, il più prode che io abbia incontrato nella mia vita avventurosa. Nulla lo faceva tremare: né il veleno del cobra-capello, né la forza prodigiosa del pitone, né gli artigli della grande tigre del Bengala, né il laccio dei suoi nemici.
Il suo nome? chiese il pirata. voglio conoscere questo eroe.
Si chiamava Tremal-Naik, il cacciatore di tigri e serpenti della jungla nera.
La Tigre della Malesia a quel nome si alzò, guardando fisso il maharatto.
Cacciatore di tigri, hai detto? domandò.
Sì.
Perché tale soprannome?
Perché cacciava le tigri della jungla.
Un uomo che affronta le tigri non può essere che un coraggioso. Senza conoscerlo, sento già di amare quel fiero indiano. Tira avanti: divento impaziente.
Una sera Tremal-Naik ritornava dalla jungla. Era una sera magnifica, una vera sera del Bengala; dolce e profumata era laria, ancor fiammeggiante lorizzonte e debolmente stellato il firmamento.
Aveva già percorso un lungo tratto senza incontrare anima viva, quando gli si rizzò dinanzi, a meno di venti passi, fra un cespuglio di mussenda, una giovinetta di meravigliosa bellezza.
Chi era?
Era una creatura dalla carnagione rosea, coi capelli neri e gli occhi immensi.
Lo fissò per un istante con sguardo malinconico, poi sparve. Tremal-Naik fu così vivamente toccato da quellapparizione che arse damore per la fanciulla sconosciuta.
Pochi giorni dopo un delitto veniva commesso sulle rive di unisola che si chiama Raimangal. Uno dei nostri, che si era recato colà a cacciare la tigre, veniva trovato cadavere con un laccio al collo.
Oh! esclamò il pirata, al colmo della sorpresa. Chi poteva aver strangolato un cacciatore di tigri?
Siate paziente e lo saprete. Tremal-Naik, come vi dissi, era un uomo coraggioso. Mi prese con sé e sbarcammo a mezzanotte a Raimangal, risoluti a vendicare lo sventurato nostro compagno.
Dapprima udimmo rumori misteriosi che uscivano di sotto terra, poi dal tronco di un gigantesco banian sbucarono parecchi uomini nudi, bizzarramente tatuati. Quegli uomini erano gli assassini del povero cacciatore di tigri.
Ebbene? chiese il pirata, i cui occhi brillavano di gioia.
Tremal-Naik non esitava mai. Un colpo di carabina bastò per gettare a terra il capo di quegli indiani, poi fuggimmo.
Bravo Tremal-Naik! esclamò la Tigre con entusiasmo. Continua. Mi diverto più a udire questa storia che ad abbordare un vascello carico di minerale giallo.
Il mio padrone, per far perdere le tracce a quegli uomini che ci inseguivano, si separò da me e si rifugiò in una grande pagoda dove ritrovò indovinate chi?
La giovanetta forse?
Sì, la giovanetta che era prigioniera di quegli uomini.
Ma chi erano?
Gli adoratori di una divinità feroce che altro non brama che vittime umane. Si chiama Kalì.
La terribile dea dei thugs indiani?
La dea degli strangolatori.
Quegli uomini sono più feroci delle tigri. Oh! io li conosco disse il pirata. Ne ebbi qualcuno nella mia banda.
Un thug nella tua banda? esclamò il maharatto, rabbrividendo. Sono perduto.
Non aver paura, Kammamuri; un tempo ne ebbi qualcuno, ma ora non ne ho più. Continua il tuo racconto.
La fanciulla, che amava ormai il mio padrone, conoscendo quali pericoli lo circondavano, lo scongiurò di partire allistante; ma egli non era uomo da aver paura. Rimase là in attesa dei feroci thugs, risoluto a misurarsi con loro e, potendo, a rapire la prigioniera. Ma ohimè! Aveva troppo confidato nelle sue forze. Poco dopo dodici uomini armati di laccio entravano e si scagliavano contro di lui e, malgrado la sua ostinata difesa, veniva atterrato, legato e poi pugnalato dal capo degli strangolatori, il feroce Suyodhana.
E non morì? chiese Sandokan, che si interessava al racconto.
No continuò Kammamuri, non morì poiché più tardi io lo ritrovai in mezzo alla jungla, insanguinato, col pugnale ancora infisso nei petto, ma vivo.
E perché lo avevano gettato nella jungla? chiese Yanez.
Perché le tigri lo divorassero. Lo portai nella nostra capanna e dopo molte cure guarì, ma il suo cuore era rimasto ferito dagli occhi neri della giovinetta Un giorno, dopo essere scampato a parecchi agguati tesigli dai thugs, risolvette di partire per Raimangal, deciso a tutto pur di rivedere lamata creatura. Cimbarcammo di notte, durante un uragano, scendemmo il Mangal e approdammo allisola.
Nessun uomo vegliava allentrata dei banian e ci sprofondammo sotto terra addentrandoci in oscurissimi corridoi. Avevamo saputo che i thugs, non essendo riusciti ad estirpare dal cuore della giovinetta dagli occhi neri lamore per Tremal-Naik, avevano deciso di bruciarla viva, per calmare lira della mostruosa dea, e noi correvamo a salvarla.
Ma perché era proibito a quella donna di amare? chiese Yanez.
Perché era la guardiana della pagoda consacrata alla dea Kalì e, come tale, doveva mantenersi pura.
Che razza di bricconi!
Continuo: dopo aver percorso lunghi corridoi, uccidendo le sentinelle, ci trovammo in una immensa sala sostenuta da cento colonne e illuminata da una infinità di lampade che spandevano allintorno una luce spettrale. Duecento indiani, coi lacci in mano, erano seduti allintorno. In mezzo si ergeva la statua di Kalì: dinanzi a lei, il bacino dove nuota un pesciolino rosso, che si dice contenga lanima della dea; e più oltre si levava un gran rogo.
Alla mezzanotte ecco apparire il capo Suyodhana coi suoi sacerdoti che trascinavano linfelice ragazza, ubriacata di oppio e di misteriosi profumi. Ella non opponeva più alcuna resistenza.
Già non distava che pochi passi dal rogo; già un uomo aveva acceso una fiaccola e i thugs avevano intonato la preghiera dei defunti, quando io e Tremal-Naik ci slanciammo come leoni in mezzo allorda, scaricando le nostre armi a destra e a sinistra. Sfondare quella muraglia umana, strappare la giovinetta dalle mani dei sacerdoti e fuggire attraverso le oscure gallerie, fu laffare di un sol momento. Dove fuggivamo? Nessuno di noi lo sapeva, non ci si pensava in quel supremo istante. Non cercavamo che di guadagnare strada sui thugs, i quali, rimessisi dallo spavento, si erano subito lanciati sulle nostre tracce! Corremmo per una buona ora addentrandoci sempre più nelle viscere della terra finché, trovato un pozzo, ci calammo entro una caverna che non aveva uscite. Quando cercammo di risalire era troppo tardi: i thugs ci avevano rinchiusi dentro!
Maledizione! esclamò Sandokan. Di su, maharatto mio; la tua storia è interessantissima. Dimmi, siete fuggiti?
No.
Mille tuoni!
Ci assediarono strettamente, ci assetarono accendendo attorno alla caverna immensi fuochi che ci arrostivano vivi, poi lasciarono irrompere su di noi un getto dacqua alla quale era stato mescolato non so quale narcotico. Appena ci fummo dissetati, stramazzammo al suolo come colpiti da sincope e cademmo senza resistenza nelle mani dei nostri nemici.
Eravamo ormai rassegnati a morire, poiché nessuno di noi ignorava che la pietà è sconosciuta ai thugs, nondimeno fummo risparmiati. La morte sarebbe stata troppo dolce per noi e nella mente infernale di Suyodhana, il capo degli strangolatori, si era già formato un terribile disegno, che aveva per scopo di svellere dal cuore della giovinetta lamore per Tremal-Naik e di sbarazzarsi del mio padrone, che avrebbe potuto diventare per loro un formidabile nemico. Dovete sapere che a quel tempo un uomo prode, risoluto, cui era stata rapita la figlia dai thugs, faceva loro una guerra accanita. Quelluomo era un inglese e si faceva chiamare capitano Macpherson.
Centinaia e centinaia di thugs erano caduti per sua mano, e giorno e notte egli inseguiva gli altri senza tregua, potentemente aiutato dal governo inglese. Né i lacci degli strangolatori, né i pugnali dei più fanatici settari erano giunti a colpirlo, né le più infernali trame avevano avuto successo contro di lui.