Il castigliano era rimasto immobile col piú profondo stupore scolpito in viso. Gli sembrava forse impossibile di trovarsi ancora vivo. Ad un tratto fece rapidamente due passi innanzi e tese la destra al Corsaro, dicendo:
I miei compatrioti dicono che i filibustieri sono uomini senza fede, senza legge, dediti solamente al ladronaggio di mare; io posso ora dire come fra costoro si trovano anche dei valorosi, che in fatto di cavalleria e di generosità possono dare dei punti ai piú compiti gentiluomini dEuropa. Signor cavaliere, ecco la mia mano: grazie!
Il Corsaro gliela strinse cordialmente, poi raccogliendo la spada caduta e porgendola al conte rispose:
Conservate la vostra arma, signore; a me basta che voi mi promettiate di non adoperarla, fino a domani, contro di noi.
Ve lo prometto, cavaliere, sul mio onore.
Ora lasciatevi legare senza opporre resistenza. Mi rincresce dovere ricorrere a questa necessità; ma non posso farne a meno.
Fate quello che credete.
Ad un cenno del Corsaro, Carmaux si avvicinò al castigliano e gli legò le mani, poi lo affidò al negro, il quale saffrettò a condurlo nella stanza superiore a tenere compagnia al nipote, al servo ed al notaio.
Speriamo che la processione sia finita, disse Carmaux, rivolgendosi verso il Corsaro.
Io credo invece che fra poco altre persone verranno ad importunarci, rispose il capitano. Tutte queste misteriose sparizioni non tarderanno a creare dei gravi sospetti fra i familiari del conte e del giovanotto, e le autorità di Maracaybo vorranno immischiarsene. Noi faremo bene a barricare le porte e prepararci alla difesa. Hai osservato se vi sono armi da fuoco in questa casa?
Ho trovato nel granaio un archibugio e delle munizioni, oltre ad una vecchia alabarda arrugginita ed una corazza.
Il fucile potrà servirci.
E come potremo resistere, comandante, se i soldati verranno ad assalire la casa?
Lo si vedrà poi; ti assicuro che, vivo, Wan Guld non mi avrà mai! Orsú, prepariamoci alla difesa. Piú tardi, se avremo tempo, penseremo alla colazione.
Il negro era tornato, lasciando Wan Stiller a guardia dei prigionieri. Messo al corrente di ciò che si doveva fare, si mise alacremente allopera.
Aiutato da Carmaux, portò nel corridoio tutti i mobili piú pesanti e piú voluminosi della casa, non senza provocare, da parte del povero notaio, una sequela di proteste affatto inutili. Casse, armadi, tavoli massicci, canterani furono accumulati contro la porta, in modo da barricarla completamente.
Non contenti, i filibustieri rizzarono con altre casse ed altri mobili una seconda barricata alla base della scala, per potere contrastare il passo agli assalitori, nel caso che la porta non avesse potuto piú resistere.
Avevano appena terminati quei preparativi di difesa, quando videro Wan Stiller scendere la scala a precipizio.
Comandante, disse, nella viuzza si sono aggruppati parecchi cittadini e tutti guardano verso questa casa. Io credo che ormai si siano accorti che qui succedono delle misteriose sparizioni duomini.
Ah! si limitò ad esclamare il Corsaro, senza che un muscolo del suo viso si fosse alterato.
Salí tranquillamente la scala e si affacciò alla finestra che dominava la viuzza tenendosi nascosto dietro le persiane.
Wan Stiller aveva detto il vero. Una cinquantina di persone, divise in vari gruppetti, ingombravano lopposta estremità della viuzza. Quei borghesi parlavano con animazione e sindicavano vicendevolmente la casa del notaio, mentre alle finestre delle case vicine si vedevano apparire e scomparire gli inquilini.
Ciò che temevo sta per succedere, mormorò il Corsaro, aggrottando la fronte. Orsú, se devo morire anchio in Maracaybo, cosí doveva essere scritto sul libro del mio destino. Poveri fratelli miei, caduti forse invendicati! Oh! Ma la morte non è ancora giunta e la fortuna protegge i filibustieri della Tortue Carmaux, a me!
Il marinaio sentendosi chiamare non aveva indugiato ad accorrere, dicendo:
Eccomi, mio comandante.
Tu mi hai detto daver trovato delle munizioni.
Un barilotto di polvere della capacità di otto o dieci libbre, signore.
Lo collocherai nel corridoio, dietro la porta e vi metterai una miccia.
Lampi! Faremo saltare la casa?
Sí, se sarà necessario.
Ed i prigionieri?
Peggio per loro se i soldati vorranno prenderci. Noi abbiamo il diritto di difenderci e lo faremo senza esitare.
Ah! Eccoli esclamò Carmaux che teneva gli occhi fissi sulla viuzza.
Chi?
I soldati, comandante.
Va a prendere il barile, poi verrai a raggiungermi assieme a Wan Stiller. Non dimenticare larchibugio.
Alla estremità della viuzza era comparso un drappello di archibugieri comandati da un tenente e seguito da un codazzo di curiosi. Erano due dozzine di soldati, perfettamente equipaggiati come se si recassero alla guerra, con fucili, spade e misericordie alla cintura.
Accanto al tenente, il Corsaro scorse un vecchio signore, dalla barba bianca, armato di spada, e sospettò che fosse qualche parente del conte o del giovanotto. Il drappello si fece largo fra i borghesi che ingombravano la viuzza e fece alt a dieci passi dalla casa del notaio, disponendosi su una triplice linea e preparando i fucili come se dovessero aprire senzaltro il fuoco.
Il tenente osservò per alcuni istanti le finestre, scambiò alcune parole col vecchio che gli stava vicino, poi si avvicinò risolutamente alla porta e lasciò cadere il pesante martello, gridando:
In nome del Governatore, aprite!
Siete pronti, miei prodi? chiese il Corsaro.
Siamo pronti, signore, risposero Carmaux, Wan Stiller ed il negro.
Voi rimarrete con me e tu, mio bravo africano, sali al piano superiore e guarda se puoi scoprire qualche abbaino che ci permetta di fuggire sui tetti.
Ciò detto aprí le imposte e curvandosi sul davanzale, chiese:
Che cosa desiderate, signore?
Il tenente vedendo comparire, in luogo del notaio, quelluomo dai lineamenti arditi, con quellampio cappello nero adorno della lunga piuma nera, era rimasto immobile guardandolo con stupore.
Chi siete voi? gli chiese, dopo qualche istante. Io domando del notaio.
Per lui rispondo io, non potendo egli muoversi, per il momento.
Allora apritemi: ordine del Governatore.
E se io non volessi?
In tal caso non risponderei delle conseguenze. Sono accadute delle cose assai strane in questa casa, mio gentiluomo, ed ho avuto lordine di sapere che cosa è avvenuto del Signor Pedro Conxevio, del suo servo, e di suo zio, il conte di Lerma.
Se vi preme di saperlo, vi dirò che sono in questa casa vivi tutti, anzi di buon umore.
Fateli scendere.
È impossibile, signore, rispose il Corsaro.
Vi intimo di obbedire o farò sfasciare la porta.
Fatelo, vi avverto però che dietro la porta ho fatto collocare un barilotto di polvere e che al primo vostro tentativo di forzarla, io darò fuoco alla miccia e farò saltare la casa assieme al notaio, al signor Conxevio al servo ed al conte di Lerma. Ora provatevi, se losate!
Udendo quelle parole pronunciate con voce calma, fredda, recisa e con tono da non ammettere alcun dubbio sulla terribile minaccia, un fremito di terrore aveva scossi i soldati ed i curiosi che li avevano seguiti, anzi parecchi di questi si erano affrettati a prendere il largo, temendo che la casa fosse lí lí per saltare in aria. Perfino il tenente aveva fatto involontariamente alcuni passi indietro.
Il Corsaro era rimasto tranquillamente alla finestra come se fosse un semplice spettatore, non perdendo però di vista gli archibugi dei soldati mentre Carmaux e Wan Stiller, che si trovavano dietro di lui, spiavano le mosse dei vicini, i quali erano accorsi in massa sulle terrazze e sui poggiuoli.
Ma chi siete voi? chiese finalmente il tenente.
Un uomo che non vuol essere disturbato da chicchessia, nemmeno dagli ufficiali del governatore, rispose il Corsaro.
Vi intimo di dirmi il vostro nome.
A me non garba affatto.
Vi costringerò.
Ed io farò saltare la casa.
Ma voi siete pazzo.
Quanto lo siete voi.
Ah! Insultate?
Niente affatto, signor mio, rispondo.
Finitela! Lo scherzo è durato troppo.
Lo volete? Ehi, Carmaux Và a mettere fuoco al barile di polvere!
CAPITOLO VIII. UNA FUGA PRODIGIOSA
Udendo quel comando un immenso urlo di terrore si era alzato non solo fra la folla dei curiosi, ma anche fra i soldati. Soprattutto i vicini e non a torto, poiché saltando la casa del notaio sarebbero di certo crollate anche quelle occupate da loro, urlavano a squarciagola, come già si sentissero mandare in aria dallo scoppio.
Borghesi e soldati si erano affrettati a sgombrare mettendosi in salvo allestremità della viuzza, mentre i vicini si precipitavano allimpazzata giú dalle scale, cercando di portare con loro almeno gli oggetti piú preziosi. Tutti ormai erano certi che quelluomo, qualche pazzo secondo alcuni, dovesse davvero mettere in esecuzione la terribile minaccia.
Solo il tenente era rimasto coraggiosamente al suo posto, ma dagli sguardi ansiosi che lanciava verso la casa, si poteva comprendere che se fosse stato solo, o non avesse avuti quei galloni di comandante, non si sarebbe di certo fermato colà.
No! Fermatevi, signore! aveva gridato. Siete pazzo?
Desiderate qualche cosa? gli chiese il Corsaro, colla sua solita voce tranquilla.
Vi dico di non mettere in esecuzione il vostro triste progetto.
Volentieri, purché mi lasciate tranquillo.
Lasciate in libertà il conte di Lerma e gli altri e vi prometto di non seccarvi.
Lo farei volentieri se voleste accettare prima le mie condizioni.
Quali sarebbero?
Di fare ritirare le truppe, innanzi tutto.
Poi?
Procurare, a me ed ai miei compagni, un salvacondotto firmato dal Governatore, per poter lasciare la città senza venire disturbati dai soldati che battono la campagna.
Ma chi siete voi, per avere bisogno di un salvacondotto? chiese il tenente, il cui stupore aumentava insieme ai sospetti.
Un gentiluomo doltremare, rispose il Corsaro, con nobile fierezza.
Allora non vi necessita alcun salvacondotto per lasciare la città.
Al contrario.
Ma allora voi avete qualche delitto sulla coscienza. Ditemi il vostro nome, signore.
In quellistante un uomo che portava attorno al capo una pezzuola macchiata in piú luoghi di sangue e che si avanzava penosamente, come se avesse una gamba storpiata, giunse presso il tenente.
Carmaux, che si teneva sempre dietro il Corsaro, spiando i soldati, lo vide ed un grido gli sfuggí.
Lampi! esclamò.
Che coshai, mio bravo? chiese il Corsaro volgendosi vivamente.
Noi stiamo per venire traditi, comandante. Quelluomo è uno dei biscaglini che ci hanno assaliti colle navaje.
Ah! fece il Corsaro, alzando le spalle.
Il biscaglino, poiché era proprio uno di quelli che avevano assistito al duello della taverna e che poi avevano aggredito i filibustieri coi loro smisurati coltelli, si volse verso il tenente, dicendogli:
Voi volete sapere chi è quel gentiluomo dal feltro nero, è vero?
Sí, rispose il tenente. Lo conosci tu?
Carrai! È stato uno dei suoi uomini che mi ha conciato in questo modo. Signor tenente, badate che non vi sfugga! Egli è uno dei filibustieri!
Un urlo, ma questa volta non piú di spavento, bensí di furore, scoppiò da tutte le parti, seguito da uno sparo e da un grido di dolore. Carmaux, ad un cenno del Corsaro, aveva alzato rapidamente il moschettone, e con una palla ben aggiustata aveva abbattuto il biscaglino.
Era troppo! Venti archibugi si alzarono verso la finestra occupata dal Corsaro, mentre la folla urlava a squarciagola:
Accoppate quelle canaglie!
No, prendeteli ed appiccateli sulla plaza.
Arrostiteli vivi!
A morte! A morte!
Il tenente con un rapido gesto aveva fatto abbassare i fucili, e spintosi sotto la finestra, disse al Corsaro, che non si era mosso dal suo posto, come se tutte quelle minacce non lo riguardassero:
Mio gentiluomo, la commedia è finita: arrendetevi!
Il Corsaro rispose con unalzata di spalle.
Mi avete capito? gridò il tenente, rosso di collera.
Perfettamente, signore.
Arrendetevi o farò abbattere la porta.
Fatelo, rispose freddamente il Corsaro. Vi avverto solo che il barile di polvere è pronto e che farò saltare la casa assieme ai prigionieri.
Ma salterete anche voi!
Bah! Morire in mezzo al rimbombo delle fumanti rovine è da preferirsi alla morte ignominiosa, che voi mi fareste subire dopo la mia resa.
Vi prometto salva la vita.
Delle vostre promesse non so che cosa farne, poiché so che cosa valgono. Signore, sono le sei pomeridiane ed io non ho ancora fatta colazione. Mentre decidete sul da farsi, andrò a mangiare un boccone assieme al conte di Lerma ed a suo nipote e faremo il possibile per vuotare un bicchiere alla sua salute, se la casa non salterà in aria prima.
Ciò detto il Corsaro si levò il cappello, salutandolo con perfetta cortesia e rientrò lasciando il tenente, i soldati e la folla piú stupiti e piú imbarazzati che mai.
Venite, miei bravi, disse il Corsaro a Carmaux e a Wan Stiller. Credo che avremo il tempo necessario per scambiare due chiacchiere.
E quei soldati? chiese Carmaux, che non era meno stupito degli spagnuoli per il sangue freddo e laudacia, assolutamente fenomenali del comandante.
Lasciamoli gridare se lo vogliono.
Andiamo a fare la cena della morte adunque, mio capitano.
Bah! Lultima nostra ora è piú lontana di quello che tu credi, rispose il Corsaro. Aspetta che calino le tenebre e tu vedrai quel barilotto di polvere fare dei miracoli.
Entrò nella stanza senza spiegarsi di piú, andò a tagliare le corde che imprigionavano il conte di Lerma ed il giovanotto e li invitò a sedersi al desco improvvisato, dicendo loro:
Tenetemi compagnia, conte, ed anche voi, giovanotto; conto però sulla vostra parola di nulla tentare contro di noi.
Sarebbe impossibile intraprendere qualche cosa, cavaliere, rispose il conte sorridendo. Mio nipote è inerme e poi so ormai quanto sia pericolosa la vostra spada. E cosí, che cosa fanno i miei compatrioti? Ho udito un baccano assordante.
Per ora si limitano ad assediarci.
Mi rincresce dirvelo, ma temo, cavaliere, che finiranno collabbattere la porta.
Io credo il contrario, conte.
Allora vi assedieranno e presto o tardi vi costringeranno alla resa. Vivaddio! Vi assicuro che mi dispiacerebbe di vedere un uomo cosí valoroso ed amabile come siete voi, nelle mani del Governatore. Quelluomo non perdona ai filibustieri.
Wan Guld non mi avrà. È necessario che io viva per saldare un vecchio conto che ho da regolare con quel fiammingo.