Il tesoro della montagna azzurra - Emilio Salgari 9 стр.


 Io voglio sapere che cosa avete deciso, disse il bosmano.

 Ti ho detto che lo diremo domani al capitano, rispose John. Non cè alcuna fretta per il momento.

Reton, comprendendo che non sarebbe riuscito a saper nulla e non volendo irritare quegli animi troppo inaspriti dalle lunghe privazioni, si allontanò brontolando. Dopo tutto poteva ancora illudersi di essersi ingannato sul vero significato di quelle parole, non avendo assistito alla riunione di poco prima.

 Bah! disse tra sé. Forse proporranno al capitano di cambiare rotta. Non inquietiamo don Josè.

Fingendo che nulla fosse accaduto, aveva ripreso il suo posto presso il timone, sebbene non fosse necessaria alcuna manovra, poiché la calma non si era rotta nemmeno con il cadere della notte e la zattera rimaneva immobile, con la sua vela pendente tristemente lungo lalbero. La notte trascorse senza alcun altro avvenimento degno di nota. Se però il bosmano avesse meglio sorvegliato, avrebbe potuto scorgere dei corpi umani scivolare con cautela fra gli oggetti ingombranti il galleggiante e svegliare gli uomini che dormivano e scambiarsi delle rapide parole. Il capitano si era addormentato e lui, non volendo lasciare quel posto, sempre con la speranza che un po di brezza si alzasse di momento in momento, non aveva fatta più alcuna escursione verso prora, sicché quelle misteriose manovre gli erano sfuggite. Daltronde una parte dei marinai aveva ripreso il suo posto, fingendo sempre di dare la caccia ai pesci che mancavano invece assolutamente. Verso le sette, il capitano si svegliò e lintero equipaggio avanzò in gruppo compatto verso poppa, capitanato dal pilota dellAndalusia, un pezzo di gigante, forte come un toro, che aveva nelle vene più sangue indiano che europeo. Apparentemente nessuno era armato; era però possibile che sotto le casacche avessero, se non delle scuri, almeno i loro coltelli di manovra.

 Che cosa volete? chiese il capitano, sorpreso di vedere i suoi fedeli marinai avanzare verso di lui in atteggiamento minaccioso, mentre il bosmano scivolava sotto la tenda per avvertire don Pedro e Mina di tenere pronti i fucili.

 Veniamo a reclamare la colazione, comandante, rispose Hermos con voce decisa. Sono due giorni che non mangiamo.

 Avete preso dei pesci la notte scorsa? Portateli qui e li divideremo in parti eguali.

 Quali? Senza carne sugli ami non si possono catturare. Voi lo sapete meglio di me.

 E così?

 Io dico che abbiamo bisogno di carne per sfamarci. Non possiamo contare né sulla pesca, né sulla caccia.

Don Josè era diventato pallidissimo e ira e indignazione gli erano balenate nello sguardo. Aveva ormai compreso che cosa stavano per chiedere i suoi marinai. Non volle però dare la soddisfazione di avere indovinato lo scopo di quella riunione. Con uno sforzo supremo si contenne, incrociò le braccia sul petto e fissando ben in viso il pilota:

 Non so che cosa tu voglia, Hermios, disse con voce abbastanza tranquilla.

 Un altro al vostro posto mi avrebbe perfettamente compreso, senza chiedere ulteriori spiegazioni. Noi abbiamo fame.

 E io non meno di te, ribatté il capitano con una certa violenza.

 E allora, comandante, si ricorre ai mezzi estremi. Si tratta di perderne uno, mettiamo anche due, per salvarne tredici o quattordici, disse il pilota. Hanno fatto così a bordo della zattera della Medusa e mio nonno ha potuto così ritornarsene in patria.

 Miserabile! esclamò con voce soffocata il capitano. Questa non è la zattera della Medusa e cè qui ancora un comandante per tenere a freno un equipaggio. Piuttosto la morte, che assistere alle spaventose scene svoltesi su quel rottame.

 La fame non ragiona, signore, disse John, facendosi a sua volta avanti. Poiché voi non potete darci da mangiare, lasciate che ci procuriamo noi dei viveri come possiamo.

 Anche tu, John, vorresti diventare un antropofago?

 Siamo nel paese dei cannibali, capitano! gridò Emanuel.

 Decidetevi, comandante, disse Hermos. Siamo impazienti di decidere.

 Con una estrazione a sorte?

 Si potrebbe farne anche a meno, rispose il pilota, con un cinico sorriso. Prenderemo intanto uno di quelli che sono stati la causa di questo disastro. Senza la loro presenza a bordo dellAndalusia, noi non ci troveremmo in queste condizioni. Comincino essi a fornirci i mezzi necessari per vivere. Se le loro carni non basteranno, verrà la nostra volta e non ci lamenteremo.

 Mi spiegherai meglio queste oscure parole, disse il capitano alzando minacciosamente la destra.

 Badate, capitano, che qui noi siamo tutti daccordo, rispose il pilota facendo un passo indietro e cacciando una mano dentro la larga fascia di lana rossa che gli cingeva i fianchi e che probabilmente nascondeva il coltello.

 Spiegati meglio, miserabile! tuonò don Josè.

 Si diceva dunque che qui ci sono delle persone che non hanno mai fatto parte dellequipaggio dellAndalusia e che per avidità doro ci hanno condotti alla rovina.

Don Pedro e Mina che stavano dietro il capitano, avevano mandato un grido dangoscia; poi il primo si era scagliato verso il miserabile, chiedendogli:

 Sono io, dunque, che tu vorresti immolare alla tua fame, è vero?

 No, lequipaggio preferirebbe vostra

Il pilota non poté finire la frase. La destra del capitano era caduta sul viso del furfante con tale violenza che parve lo schianto di un albero. Luomo girò due volte su stesso come una trottola, poi stramazzò a terra, sputando, insieme ad una boccata di sangue anche alcuni denti. Un urlo di furore si alzò fra lequipaggio. I coltelli da manovra fino allora nascosti nelle fasce o sotto le casacche, scintillarono sinistramente ai raggi del sole. Nello stesso momento Reton balzava fuori dalla tenda portando quattro carabine e gridando:

 A voi capitano! A voi, don Pedro! Prendete, señorita! Sparate senza misericordia su queste canaglie!

Don Josè aveva afferrato la carabina che il bravo mastro gli porgeva e laveva puntata risolutamente contro i ribelli gridando con accento terribile:

 Indietro e giù le mani, o faccio fuoco!

Lalta statura del comandante, la collera intensa che traspariva dal suo viso, lautorità non ancora del tutto perduta e forse più di tutto laccento imperioso, avevano trattenuto i ribelli. E poi non avevano davanti soltanto un uomo. Anche Pedro, Mina e il bosmano avevano caricate precipitosamente le carabine, dirigendo le canne verso il gruppo.

 Mi avete inteso? gridò don Josè, vedendo che i marinai non si decidevano a lasciare le armi.

Il pilota, dopo aver proferito alcune bestemmie, si era alzato facendo scattare, con un colpo secco, la navaja che teneva nascosta nella fascia, una splendida arma spagnola lunga quasi due piedi.

 Non cedete, camerati! aveva gridato a sua volta.

Don Josè gli appoggiò la canna della carabina sul petto:

 Se pronunci una sola parola, sei morto! esclamò.

I marinai, credendo che gli assaliti si preparassero a sparare, erano indietreggiati, urtandosi confusamente. Reton si era lanciato verso di loro, impugnando il fucile per la canna e facendolo roteare come una mazza urlando:

 Via di qui, canaglie!

I marinai che erano in coda si erano già sbandati, scappando a destra e a sinistra. A un tratto echeggiò un urlo acuto, straziante:

 Aiuto!

A babordo della zattera si era udito un tonfo. Qualcuno nella fretta di fuggire era inciampato contro qualche gomena o contro un altro ostacolo e doveva essere caduto in mare. Quel grido giungeva a buon punto, poiché don Josè stava per premere il grilletto e fulminare il pilota. Tutti si erano precipitati verso il margine della zattera scordando subito la fame e lasciando sfumare le loro idee bellicose. Perfino Hermos, troppo contento di essere sfuggito a una morte certa, era accorso seguito da don Josè, da don Pedro e da Mina. Un uomo era caduto in acqua e si teneva disperatamente aggrappato allorlo della zattera, gemendo e urlando spaventosamente. Attorno a lui la spuma che rimbalzava contro le travi e i barili si tingeva di rosso. Il disgraziato aveva gli occhi dilatati da un terrore impossibile a descriversi e il viso orribilmente sconvolto. Reton, che era giunto per primo, afferrò il marinaio per le braccia e lo trasse sulla zattera. Un urlo di orrore era sfuggito da tutti i petti. Reton stesso lo aveva lasciato cadere, indietreggiando terrorizzato.

 Aiuto!

A babordo della zattera si era udito un tonfo. Qualcuno nella fretta di fuggire era inciampato contro qualche gomena o contro un altro ostacolo e doveva essere caduto in mare. Quel grido giungeva a buon punto, poiché don Josè stava per premere il grilletto e fulminare il pilota. Tutti si erano precipitati verso il margine della zattera scordando subito la fame e lasciando sfumare le loro idee bellicose. Perfino Hermos, troppo contento di essere sfuggito a una morte certa, era accorso seguito da don Josè, da don Pedro e da Mina. Un uomo era caduto in acqua e si teneva disperatamente aggrappato allorlo della zattera, gemendo e urlando spaventosamente. Attorno a lui la spuma che rimbalzava contro le travi e i barili si tingeva di rosso. Il disgraziato aveva gli occhi dilatati da un terrore impossibile a descriversi e il viso orribilmente sconvolto. Reton, che era giunto per primo, afferrò il marinaio per le braccia e lo trasse sulla zattera. Un urlo di orrore era sfuggito da tutti i petti. Reton stesso lo aveva lasciato cadere, indietreggiando terrorizzato.

 Questuomo è spacciato! aveva gridato il pilota. Gli accordo mezzora di vita.

Forse quella generosità era anche troppa, poiché il povero naufrago aveva perso le gambe, tagliate quasi rasente il ventre da un colpo di denti, dallo squalo che da tanti giorni si teneva nascosto sotto la zattera, aspettando pazientemente la sua preda.

VII. PESCI VELENOSI

Il marinaio, appena lasciato cadere, aveva allargate le braccia come per cercare di aggrapparsi a qualche cosa, mandando dei gemiti. Dai due tronconi delle cosce, qua e là sbrindellati dai terribili denti dello squalo, sfuggivano, con rapide pulsazioni, due getti di sangue spumoso che si spandevano sulle tavole della zattera. Don Josè, fattosi largo fra i marinai, che stavano immobili, come istupiditi, si era curvato sul disgraziato, dicendo con voce commossa:

 Mio povero Escobedo coraggio!

Il marinaio lo fissò in viso con due occhi già velati dalla morte: poi, alzando una mano, disse con voce fioca:

 Prima o dopo ma non così soffro soffro troppo uccidetemi per pietà

 Vediamo prima, si può forse ancora salvarti. Ho visto altri uomini sopravvivere a queste ferite.

 Uccidetemi capitano sono un uomo finito, continuava a gemere il disgraziato. Non tentate nulla finitemi

 Un pezzo di vela, disse il capitano. cerchiamo prima di tutto di arrestare il sangue.

 Non fate altro che prolungare lagonia di Escobedo, osservò il pilota, che lanciava sguardi bramosi sul moribondo.

 Non importa, rispose don Josè. Io debbo tentare tutto.

 Sì, per strapparci anche quella carne, mormorò ferocemente Hermos. Invoca la morte: uccidetelo e avremo il nostro pasto.

Il capitano, aiutato da Reton e da Pedro, avvolse le spaventose ferite, non con la speranza di strappare alla morte il disgraziato, ma per fermare il sangue e farlo soffrire meno. Sapeva già che era ormai irrimediabilmente condannato. Aveva però appena finita la fasciatura quando Escobedo mandò un urlo così spaventoso da far indietreggiare i marinai che lo avevano circondato.

 Dategli una coltellata, capitano! gridò il pilota. Non vedete che soffre troppo? Fategli questa grazia.

 Mai, rispose don Josè. Non ho il diritto di sopprimere una vita umana.

 Ormai è condannato.

 Attenda la sua sorte.

 Se voleste

 Taci, miserabile. Lascialo morire in pace.

La morte non era lontana. Escobedo pareva fosse stato colto da una sincope, poiché aveva chiusi gli occhi e le sue labbra rimanevano mute. Solo un lungo brivido, che di quando in quando scuoteva quel misero corpo e che causava una nuova uscita di sangue, indicava che lo sventurato era ancora vivo. Il capitano aveva fatto allontanare Mina, poi si era inginocchiato presso il moribondo, senza abbandonare la carabina. I marinai, muti, profondamente impressionati, erano rimasti in piedi, seguendo attentamente quei brividi che diventavano di momento in momento meno intensi. Quellagonia straziante durò un paio di minuti, poi il corpo del mutilato sirrigidì.

 Morto! esclamò don Josè, dopo aver posato una mano sul cuore del defunto. Ed è il secondo.

 Questo servirà almeno a qualche cosa, disse il pilota a mezza voce.

Fortunatamente né il capitano né Reton avevano udito quelle parole.

 Copritelo con un pezzo di tela, comandò don Josè. Lo getteremo in mare questa sera.

Hermos si era fatto avanti insieme a sette od otto compagni, i più affamati e anche i più esasperati.

 Vorreste offrire a quel pescecane del malanno anche la cena? chiese a denti stretti. Non ne ha avuto abbastanza delle due gambe?

 Cercagli unaltra tomba tu, rispose il capitano, volgendogli le spalle.

 Ah, la vedremo! brontolò il pilota. Poi, volgendosi verso i suoi amici, soggiunse: Mettere una guardia donore intorno a questo cadavere. Che nessuno lo tocchi. Appartiene a noi e lo avremo.

Il capitano, ancora profondamente scosso per il tragico avvenimento, si era ritirato sotto la tenda dove già si trovavano Mina e don Pedro tenendo avanti a loro le carabine e le munizioni. Reton si era fermato di fuori, di sentinella, temendo qualche brutto tiro da parte dei ribelli, i quali non riconoscevano più alcuna autorità. Il capitano, seduto davanti ai due giovani, tenendo il fucile fra le ginocchia.

 Miei poveri amici, disse. Questa è la guerra. Dora in poi, se vi preme la vita, sarete anche voi costretti a vigilare attentamente. Ringraziamo Dio di essere noi soli in possesso delle armi da fuoco.

 Che la follia abbia colpito quegli uomini? chiese don Pedro. Ancora pochi giorni fa vi obbedivano ciecamente e avevano in voi una immensa fiducia.

 I lunghi patimenti rendono spesso gli uomini feroci come belve. Se una notte o laltra ci sorprendono, per noi è finita. La fame, implacabile, li avventerà contro di noi.

 Avranno il coraggio di cibarsi di carne umana? chiese Mina, facendo un gesto di ribrezzo. A me sembrerebbe impossibile.

 Ebbene, vi dico che non rispondo del cadavere di quel povero Escobedo.

 Non lo farete gettare in acqua?

 Mi proverò, señorita, ma temo purtroppo di trovare una feroce resistenza da parte di tutti.

 E lo lascerete divorare?

Il capitano crollò il capo senza rispondere, poi si alzò e uscì dietro la tenda. I marinai si erano sdraiati fra i barili e le travi, coprendosi con dei lembi di tela per ripararsi dagli implacabili raggi solari che cadevano a piombo, inondando loceano di una luce così accecante da far dolorare gli occhi. Una calma pesante gravava sulla disgraziata zattera, fluttuante sulla sconfinata distesa dacqua. Era sempre limmensità deserta, senza navi, senza terre, senza pesci: limmensità della disperazione. Il capitano contemplava tristemente da parecchi minuti quel deserto dacqua, non meno terribile del grande Sahara, quando scorse una fregata sorgere dai confini dellorizzonte e avviarsi in direzione della zattera. Il rapidissimo volatile fendeva lo spazio con la velocità del fulmine tenendo le ali spiegate e quasi immobili. Il capitano, che non aveva lasciato la sua carabina a due colpi, si era prontamente alzato.

 È Dio che la manda, disse. Sarà poca cosa, appena un boccone per ciascuno, ma forse basterà a calmare la ferocia di questi affamati.

Aveva caricata rapidamente la carabina. La fregata non si trovava che a cento passi e stava per passare, rapida come una saetta, al di sopra della zattera. Due spari rimbombarono e luccello, arrestato di colpo nel suo volo, venne a cadere presso lalbero, fulminato da una scarica di piombo. I marinai, che sonnecchiavano sotto le tende, credendo che si trattasse di un attacco improvviso, erano balzati fuori, tenendo in pugno i coltelli di manovra, le navaje e le scuri. La voce del pilota si fece subito udire beffarda, insolente:

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