«Mio caro, potrà avere da questo imbecille delle preziose informazioni sul numero dei soldati che occupano i forti e dei cannoni che li armano».
«Dunque è risoluto ad assalire la piazza?»
«Ora più che mai!»
«Avremo un osso duro da rodere, mio caro Carmaux. Hai veduto che opere imponenti hanno innalzato gli spagnoli? Maracaybo non è più quella che era quando lespugnammo col Corsaro Nero e con quel diavolo di Olonese».
«Siamo in buon numero e non ci mancano le artiglierie. I milioni di piastre che ricaveremo compenseranno largamente i rischi duna simile impresa».
«Purché la flotta non venga scoperta».
«La baia di Amnay è ben coperta e nessuno scorgerà le nostre navi. Daltronde i nostri stanno in guardia e non si lasceranno sfuggire i curiosi e gli spioni».
Essendo il vento sempre favorevole e tendendo anzi a rinfrescare sempre più, avvicinandosi lalba, la baleniera guadagnava via con crescente rapidità.
Graziosamente piegata sul tribordo, collestremità del pennone inferiore quasi a fior dacqua, scivolava senza far rumore sulle tranquille acque dellampia laguna, lasciandosi a poppa una striscia di spuma fosforescente.
I due filibustieri tacevano, però si grattavano di quando in quando con furore.
Erano le zanzare, le jejeus e le zancudos tempraneros, che di tratto in tratto calavano in nuvole fitte sulla scialuppa, punzecchiando ferocemente e dolorosamente i due avventurieri.
Esse sono un vero flagello per quelle regioni e non lasciano tregua. In certe ore del giorno volteggiano le prime; di notte sono le seconde che si mettono in campagna e che montano la guardia, come dicono glindiani caraibi.
E come sono dolorose le loro punture! Tanto che i poveri indiani, che non sono vestiti, preferiscono affrontare un feroce giaguaro, piuttosto che imbattersi in una nuvola di zancudos.
Fortunatamente lalba non era lontana. Le stelle cominciavano a scolorirsi e verso oriente una pallida striscia bianca con delicate sfumature rosa, cominciava a delinearsi al di sopra dei cupi ed immensi boschi della costa dAltagracia e di La Rita.
Tablazo, una delle due isole che chiudono o meglio riparano la laguna dalle ondate del golfo, si disegnava già colle sue belle e ricche piantagioni di cacao e di canne da zucchero e coi suoi pittoreschi villaggi, fondati sui bassifondi e abitati daglindiani.
Quei villaggi, che allora sincontravano dappertutto lungo le coste del golfo e della laguna di Maracaybo e che oggi sono piuttosto rari, davano un aspetto oltremodo grazioso a quella regione chiamata dai primi scopritori spagnoli Venezuela, ossia piccola Venezia.
Ogni villaggio era formato da una sola abitazione, lunga parecchie centinaia di metri, capace però di contenere qualche centinaio di famiglie o anche più.
Quelle lunghe case, situate a tre o quattrocento passi dalla riva e talvolta anche più lontano, viste in lontananza sembravano case galleggianti, invece erano costruite su solide palafitte, formate da pali di gajac tanto robusti da sfidare la scure e anche la sega e che rimanendo immersi si diceva acquistassero la durezza del ferro.
Sopra i pali quegli abili costruttori avevano formato unimmensa piattaforma di legno leggiero, di bombax ceiba o di cedro nero, poi con bambù intrecciati innalzavano le abitazioni, coprendole con foglie di cenea o di vihai che sostituivano abbastanza bene le tegole o le ardesie.
Non esistevano pareti, regnando tutto lanno un calore intenso, quindi i naviganti potevano vedere, senza fatica, ciò che accadeva in quelle strane abitazioni, senza prendersi lincomodo di entrarvi.
La laguna cominciava a popolarsi.
Dei canotti scavati nel tronco dun cedro odoroso, montati da indiani quasi interamente nudi, scivolavano rapidamente sulle acque, lasciandosi dietro delle lunghe file di grosse zucche che le piccole ondate presto disperdevano; al largo alcune piccole caravelle veleggiavano lentamente, aspettando lalta marea per approdare nei minuscoli porti dellisoletta.
«Sotto o sopravvento?» chiese lamburghese.
«Stringi sempre la costa» rispose Carmaux. «Passeremo fra Zapara e la costa».
Capitolo terzo. La flotta dei filibustieri
Alle otto del mattino, la scialuppa superava di volata lo stretto formato dalla punta orientale dellisola di Zapara e la costa di Capatarida, entrando nel golfo di Maracaybo.
Quantunque i due filibustieri avessero incontrate due grosse caravelle da guerra ed anche un galeone, nessuno li aveva disturbati, né avevano chiesto loro chi erano e dove si recavano.
Le reti che tenevano lungo i bordi, dovevano aver fatto supporre agli spagnoli che fossero dei tranquilli pescatori e perciò nessuno si era preso la briga di fermarli.
Appena giunti fuori dallo stretto, Carmaux e Wan Stiller misero la prora verso lest, tenendosi un po lontani dalla costa, essendo quella cosparsa di bassifondi, dai quali sorgevano ancora in buon numero dei villaggi di caraibi.
Anche in quel luogo si vedevano galleggiare moltissime grosse zucche, fra le quali nuotavano e giuocherellavano un bel numero di anitre e di gallinelle acquatiche, senza manifestare alcuna paura per quei galleggianti.
«Dimmi un po, Carmaux» disse Wan Stiller. «Servono a nutrire i pesci tutte quelle zucche? Ne sai qualche cosa tu?»
«No, servono a prendere gli uccelli acquatici, mio caro amburghese».
«Scherzi?»
«Parlo da senno. Come tu sai tutti gli uccelli marini sono assai diffidenti e non si lasciano quasi mai accostare dalle scialuppe. I caraibi gettano dunque un gran numero di zucche che sono legate le une alle altre, con liane lunghissime, per abituare i volatili alla loro presenza. Quando credono giunto il buon momento, degli abili nuotatori si gettano in acqua, colla testa cacciata entro una zucca nella quale prima praticano alcune aperture per poter vedere liberamente».
«Comprendo» disse Wan Stiller, ridendo. «Protetti dalla zucca savvicinano ai volatili e li tirano sottacqua».
«Precisamente» rispose Carmaux, «e ti posso dire anche che fanno delle caccie abbondanti e che non tornano mai ai loro villaggi senza portare, appesi alla cintura, otto o dieci volatili. Quando poi»
Uno sternuto sonoro glinterruppe la frase. Don Raffaele aveva aperti gli occhi, e faceva sforzi disperati per alzarsi e per rompere i legami che gli imprigionavano le mani ed i piedi.
«Buon giorno, señor» disse Carmaux. «Pare che fosse veramente di prima qualità, quellAlicante».
Il disgraziato piantatore lo guardò con due occhi strambuzzati, poi digrignando i denti, disse con voce rauca:
«Siete due malandrini».
«Malandrini! Oibò! Vingannate, señor» rispose Carmaux. «Siamo più galantuomini di quello che credete e potrete persuadervene frugando le vostre tasche, appena vi avremo sciolte le mani.
«Che cosa volete dunque da me? Perché mavete rapito? Suppongo che non mi ripeterete la storiella del signor presidente dellUdienza reale di Panama».
«Veramente quel signore non centra più» disse Carmaux. «Vi condurremo però dinanzi ad una persona che è non meno potente e che del pari non scherza».
«Chi è costui?»
«Un altissimo personaggio, che pare sinteressi assai della sorte della figlia del Corsaro Nero e che farà di tutto per salvarla».
«Toglierla al governatore! Eh, via, quelluomo non se la lascerà sfuggire».
«La vedremo, quando i cannoni smantelleranno le fortezze di Maracaybo» rispose Carmaux. «Venti anni or sono quegli stessi pezzi hanno spazzato via la guarnigione».
Don Raffaele era diventato spaventosamente pallido.
«Sareste dei filibustieri, voi?» chiese con voce strozzata.
«Per servirvi, señor».
«Misericordia! Sono un uomo morto!»
«Non mi sembra, almeno per ora» disse Carmaux, ironicamente.
«Chi è il vostro capo?»
«Morgan».
«Lantico luogotenente del Corsaro Nero! Il vincitore di Portobello?»
«Lo stesso».
«Povero me! Povero me!» sospirò il disgraziato.
«Oh! Non spaventatevi tanto, señor» disse Carmaux. «Il capitano Morgan non ha mai mangiato alcuno e passa per un buon gentiluomo».
«Sì, un gentiluomo che ha fatto massacrare tutti i frati e tutte le monache di Portobello».
«Già, è linferno che ci ha vomitati» disse lamburghese ridendo. «Così almeno dicono i vostri frati.
«Señor, lasciate andare le vostre collere, e accettate un crostino. Abbiamo qui un po di biscotto, una bella anitra arrostita ieri mattina e anche un paio di bottiglie di vino spagnolo, che non varranno meno di quelle del taverniere.
«È poca cosa per un signore pari vostro, ma per il momento non abbiamo di meglio da offrirvi».
Carmaux trasse dalla cassa le provviste, ne fece tre parti uguali e slegò le braccia al prigioniero, dicendo:
Don Raffaele, a cui la brezza marina aveva messo indosso un certo appetito, pur brontolando e roteando gli occhi, si mise a mangiare e non rifiutò un paio di bicchieri di Porto offertigli con gentilezza un po ironica da Carmaux, né un eccellente sigaro di tabacco di S. Cristoforo regalatogli dallamburghese.
A mezzodì la baleniera si trovava già nelle acque del golfo Caro, formato da una parte dalla costa venezuelana e dallaltra dalla penisola di Paraguana.
Lamburghese, che teneva sempre il timone e che si regolava su di una bussola tascabile, mise la prora verso il capo Cardon, che già si delineava vagamente sullorizzonte.
Il golfo era deserto, poiché di rado le navi spagnole ardivano spingersi lontane dai porti ben difesi, se non erano in buon numero e per lo meno scortate da qualche nave dalto bordo, per paura di venire catturate dai terribili corsari della Tortue.
La baleniera continuò tutto il giorno ad inoltrarsi verso settentrione, favorita da una brezza sempre fresca e dalle acque che erano appena mosse. Nel momento in cui il sole tramontava, giungeva dinanzi alla baia dAmnay, rifugio in quellepoca affatto disabitato e molto di rado frequentato dalle navi, che non vi cercavano un approdo se non in causa di qualche violentissima tempesta.
«Ci siamo» disse Carmaux, volgendosi verso don Raffaele.
Il disgraziato piantatore, che dopo la colazione si era chiuso in un ostinato silenzio, sospirò a lungo, senza rispondere.
La scialuppa manovrò per alcuni minuti in mezzo ad alcune catene di scoglietti a fior dacqua, poi si cacciò arditamente nella baia, alla cui estremità si vedevano delle masse oscure sormontate da alte alberature ed antenne.
«Che cosa sono? Delle navi?» chiese don Raffaele che erasi fatto smorto.
«È la flotta del capitano Morgan» rispose Carmaux.
«Una flotta?»
«Che farà buona prova contro i forti di Maracaybo».
Dietro una punta rocciosa era comparsa improvvisamente una grossa fregata, che si trovava ancorata dinanzi alle altre navi, in modo da sbarrare lentrata della baia,.
«Ohè!» gridò Carmaux, facendo portavoce colle mani.
«Chi vive?» gridò una voce alzatasi sul ponte della nave.
«Fratelli della Costa: Carmaux e Wan Stiller. Calate la scala!»
La baleniera accostò la nave sotto il tribordo e si ormeggiò allestremità della scala di corda, che era stata subito gettata dagli uomini di guardia.
«Señor, coraggio» disse Carmaux, sciogliendo le corde che stringevano le gambe del piantatore.
«Sì, ne avrò per morire» disse don Raffaele con voce cupa.
Quantunque si sentisse tremare le gambe, si aggrappò alla scala e dopo una mezza dozzina di sospiri, gli uni più profondi degli altri, si trovò sulla nave ammiraglia della flotta corsara.
Alcuni uomini, armati fino ai denti e muniti di lanterne, accorsero subito circondandolo e guardando con viva curiosità.
«Il capitano?» chiese Carmaux.
«È nella sua cabina».
«Fate chiaro. Venite, señor e non tremate tanto».
Prese il piantatore per un braccio e, parte spingendolo e parte tirandolo, lo condusse nel quadro, introducendolo in un salotto che era illuminato da una lampada dargento e che aveva le pareti coperte darmi da fuoco e da taglio.
Un uomo di mezza età, di statura piuttosto bassa, ma robustissimo, dallaspetto fiero, cogli occhi nerissimi e vivaci, stava seduto dinanzi ad un tavolo tenendo dinanzi a sé delle carte marine, che stava esaminando con profonda attenzione.
Vedendo entrare i due uomini salzò quasi di scatto, chiedendo:
«Che cosa mi porti, mio bravo Carmaux?»
«Un uomo, signore, che potrà dirvi quanto desiderate sapere sulla figlia del cavaliere di Ventimiglia».
Una rapida emozione alterò per un istante i fieri lineamenti del terribile corsaro.
«È là, è vero?» chiese a Carmaux.
«Sì, capitano».
«Nelle mani degli spagnoli?»
«Prigioniera del governatore».
«Grazie, Carmaux: esci e lasciami solo con questuomo».
Capitolo quarto. Morgan
Morgan, dopo la scomparsa del suo comandante, il Corsaro Nero, non aveva abbandonato il golfo del Messico, né i filibustieri della Tortue.
Dotato duna forza danimo straordinaria, dun coraggio a tutta prova e di larghe vedute, non aveva tardato a farsi largo fra i Fratelli della Costa, i quali si erano ben presto accorti che quelluomo avrebbe potuto condurli a grandi imprese.
Possessore ancora duna discreta fortuna, raccolti gli avanzi dellequipaggio della Folgore, si era subito messo in mare, accontentandosi dapprima di assalire le navi isolate, che commettevano limprudenza di solcare senza scorta, le acque di San Domingo e di Cuba.
Quella crociera, più pericolosa che fruttifera, durava daparecchi anni con varia fortuna, quando gli venne offerto il comando di una squadra composta di dodici navi fra grosse e piccole, con un equipaggio di settecento uomini, per tentare qualche grossa impresa a danno degli spagnoli.
Morgan non aspettava che loccasione di aver forze sufficienti, per realizzare i suoi grandiosi progetti.
Salpò quindi dalla Tortue annunciando che va ad assalire Puerto del Principe, una delle più ricche e anche delle meglio difese città dellisola di Cuba.
Un prigioniero spagnolo che era a bordo della sua flotta, con un coraggio temerario si gettò in acqua e, riuscito a prendere terra, corse ad avvertire il governatore di quella città del pericolo che la minacciava.
Il governatore aveva sottomano ottocento soldati valorosissimi e sapeva di poter contare sulla popolazione.
Marciò sui corsari ed impegnò un disperato combattimento, ma dopo quattro ore i suoi soldati volgono in fuga, lasciando sul campo di battaglia fra morti e feriti più di tre quarti di loro.
Lo stesso governatore era caduto.
Morgan, imbaldanzito della vittoria, assaltò la città e, nonostante la difesa opposta dagli abitanti, se ne impadronì e la saccheggiò con poco profitto però, perché gli abitanti avevano avuto tempo di nascondere nei boschi le loro migliori cose.
Saputo da una lettera che era stata intercettata, che un grosso corpo di spagnoli accorreva da Santiago per cacciarli dalla città, i filibustieri si guastarono col loro capo, che accusavano di averli condotti ad una impresa più pericolosa che fruttifera.
Una rissa nata fra i marinai francesi ed inglesi, che formavano gli equipaggi fece nascere una viva discordia. I primi si separarono da Morgan; i secondi invece, che disponevano di otto navi, giurarono di seguirlo ovunque egli volesse condurli.