La perla sanguinosa - Emilio Salgari 2 стр.


«Fate pure, rispose asciuttamente lex quartiermastro della Britannia, porgendo i polsi. Ammanettatemi.»

Il sorvegliante fece un segno ai suoi uomini, i quali saffrettarono ad incatenare le braccia alleuropeo, al malabaro ed al cingalese

«Al deposito, disse, e fate fuoco su chi tenta di fuggire.»

Poi rivolgendosi agli altri forzati, aggiunse con un tono che non ammetteva replica:

«Al lavoro, voi: lora del riposo è trascorsa.»

E mentre nella foresta rimbombavano i colpi di scure dei galeotti ed i tronchi resinosi dei darmar precipitavano al suolo con gran fragore, i tre prigionieri, scortati da due guardiani, venivano condotti a Port-Cornwallis.

2. Un dramma cingalese

Il penitenziario di Port-Cornwallis, che fu chiamato più tardi il cimitero degli europei, a causa del clima micidialissimo dovuto alle grandi e continue piogge e alle immense foreste che coprono quelle isole, non fu veramente mai una grande colonia penale come quelle australiane e quella di Norfolk.

Fondato sulla costa orientale dellisola più settentrionale del gruppo delle Andamane, sulle rive duna profonda e sicura baia, difesa da numerosi isolotti, vivacchiò senza poter mai ingrandirsi, sia per la vicinanza della costa birmana con delle isole di fronte alle bocche dellIrawaddy, ciò che permetteva facili fughe ai galeotti, sia per la violenza dei monsoni del sud-ovest che rendevano difficile lapprodo ai trasporti dello Stato, sia pei grandi calori alternati da acquazzoni furiosi che in breve tempo riducevano i sorveglianti in tale stato, da costringerli a rimpatriare più che presto.

Nel 1850 lo stabilimento, quantunque fondato da parecchi anni, si componeva ancora di poche baracche pei forzati, di una caserma, di una prigione e dun ospedale che era sempre il più popolato; e la sua guarnigione non superava i cinquanta uomini incaricati della vigilanza di tre o quattrocento galeotti, quasi tutti indiani e cingalesi.

Unico lavoro di quei miserabili era il dissodamento delle immense foreste che coprivano lisola, per preparare dei campi ai futuri coloni; unica ricchezza che ne traeva il governo anglo-indiano era il commercio dei legnami più pregiati, che di quando in quando venivano imbarcati per la madre patria; legnami che abbondavano, specialmente quelli adatti per la costruzione delle navi. Con glindigeni nessun contatto, nonostante gli sforzi dei governatori della colonia penale per indurli a costruire le loro dimore intorno alla baia. Quegli isolani, per natura diffidenti, si erano ostinatamente mantenuti inaccessibili a tutti i tentativi dincivilimento e damicizia, rimanendo selvaggi e colle armi sempre pronte.

Non davano fastidi alla colonia, quantunque non vedessero di buon occhio quegli stranieri insediati sulla loro isola, ma si tenevano celati nelle loro umide foreste, pronti a respingerli se si fossero inoltrati verso linterno e a dare addosso ai forzati i quali, sapendo che presso quei bruti non avrebbero trovato grazia, si guardavano bene dal fuggire entro terra.

Così la colonia vivacchiava, senza una speranza di diventare un giorno florida, al pari delle colonie penali australiane, con nessun altro successo che quello di aumentare le croci del piccolo cimitero dove forzati e sorveglianti andavano a riposare per sempre, con una frequenza tale da dare molto pensiero al governo inglese e da indurlo, più tardi, a lasciar di nuovo lisola ai suoi primitivi padroni.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il quartiermastro della Britannia ed il malabaro, mezzora dopo la scena svoltasi nella foresta, si trovavano chiusi insieme in una cella del penitenziario, una specie di cabina di due metri quadrati, che lardente sole aveva già tramutato in vero forno, incatenati luno presso allaltro sul nudo tavolaccio, in modo da non potersi nemmeno mettere a sedere.

I guardiani, dopo aver posto a portata delle loro mani una brocca di terra piena dacqua e due mezze pagnotte di pane bigio, se nerano andati salutandoli con un ironico «buon riposo, giovanotti» e chiudendo accuratamente la porta di grosse tavole di tek, che solo un petardo avrebbe potuto sfondare.

«Peccato non averlo potuto accoppare, disse il malabaro, quando il rumore dei passi si spense in fondo al corridoio. Quelluomo, signor Will, intralcerà tutti i nostri piani e la fuga diverrà ormai quasi impossibile.»

«Eppure bisogna che io me ne vada da questo inferno: è necessario.»

«E se io non avessi la speranza di poter un giorno o laltro andarmene, mi ucciderei spaccandomi la testa contro qualche roccia.»

«Si direbbe che tu hai più premura di me, rispose il quartiermastro. Eppure ho osservato che glindiani sono quelli che tentano meno la fuga e si rassegnano più facilmente di tutti alla loro sorte.»

«È vero, signor Will, rispose il malabaro ma a quelli forse manca un motivo imperioso.»

Leuropeo voltò la testa guardando fisso il pescatore di perle e rimase sorpreso dallintenso dolore che traspariva in quellistante dal viso dellercole.

«È lardente desiderio di ritornare fra i pescatori di perle a respirare la libera brezza del mare, o qualche motivo più grave ciò che ti spinge a tentare levasione? chiese. Tu non mi hai detto perché ti tormenta così insistentemente il sogno della libertà.»

«Ve lavrei narrato, signor Will, se quel dannato cingalese non avesse interrotto la nostra conversazione colla sua improvvisa comparsa. Mi ero deciso a raccontarvi la mia storia, che voi avete sempre ignorato.»

«Mi hanno detto che ti hanno cacciato in questo bagno perché hai ucciso un sacerdote buddista nella baia dAripo. È vero?»

«È vero, rispose il malabaro con voce triste. Lho ucciso sui gradini della pagoda con tre colpi di coltello e, se ho un rincrescimento, è quello di non aver potuto vibrargliene cinquanta, perché quelluomo meritava cinquanta volte la morte.»

«Indovino una storia dolorosa nella tua vita, disse il quartiermastro. Qualche terribile dramma deve aver avvelenato la tua esistenza.»

«È vero, signore, ripeté il pescatore di perle. Sognarla, vederla sempre, udire sempre il suo grido, ed essere qui, in questo inferno! È impossibile che io possa resistere! È troppo! Bisogna che me ne vada!»

Un rauco singhiozzo soffocò lultima parola del pescatore di perle, mentre i suoi occhi si inumidivano. Pareva che un dolore immenso straziasse in quellistante il cuore del disgraziato galeotto.

«Oh mia Juga! Mia Juga! esclamò poi con uno scoppio di pianto. E non poter avere la libertà e la perla sanguinosa

«Calmati, Palicur, disse il quartiermastro, che pareva profondamente commosso dal dolore del malabaro. Chi è quella Juga? Che cosè quella perla sanguinosa? Quale terribile dramma vi è nella tua vita? Quantunque tu sia indiano ed io europeo, puoi considerarmi come tuo fratello. Te ne ho dato la prova quando otto giorni or sono ti strappai dalle fauci del coccodrillo che stava per mozzarti le gambe.»

«Sì, è vero, voi siete troppo buono, signor Will, rispose il pescatore di perle; vi devo la vita, siete per me come un secondo padre e perciò devo narrarvi tutto, purché mi promettiate di unire i vostri sforzi ai miei per fuggire da questo luogo infame.»

«Non ho meno desiderio di te dandarmene, mio povero Palicur, rispose leuropeo. Gli uomini di mare male si adattano a vivere nei penitenziari e ne ho abbastanza di questa esistenza che trascino da tredici mesi. Anchio ho sete di libertà, daria pura e non vedo lora di ritornare sul mare.»

«Allora ascoltatemi, signor Will. Quantunque non ci conosciamo che da otto giorni, ho piena fiducia in voi e sono certo che non tradirete il mio segreto. Qui i cingalesi non mancano e sarebbero capaci dinformare i sacerdoti di Candy della mia fuga e di metterli in guardia.»

«Che storia stai per narrarmi tu?» chiese il quartiermastro, che sinteressava straordinariamente ed a cui quel preambolo aveva aguzzato la curiosità.

«Non crediate, innanzi tutto, che io sia un semplice pescatore di perle. I miei padri furono un tempo i sovrani di Calicut, che la Compagnia delle Indie disperse dopo averli vinti e spodestati, per non aver essi voluto accettare il suo protettorato che privava il Malabar dogni libertà.

«Derubati delle loro fortune e dei loro possessi, emigrarono nellIndia meridionale, rotolando giù dagli ultimi gradini della loro grandezza, finché lultimo principe, che fu mio padre, dovette diventare un povero pescatore di perle per campare la vita.»

«Mi accorsi che tu dovevi appartenere a qualche alta casta, dalla purezza dei tuoi lineamenti, disse il quartiermastro della Britannia. Continua.»

«Morto mio padre, tagliato in due da uno squalo mentre raccoglieva perle nello stretto di Manaar, presi il comando della sua barca, trasferendomi sulle coste di Ceylon, ove si diceva che si trovassero le più belle perle e che si celasse la famosa perla sanguinosa, rubata anni or sono nella gran pagoda di Candy, dove serviva di terzo occhio alla gigantesca statua di Godama.»

«Una perla sanguinosa!» esclamò Will.

«Sì, ma di ciò vi parlerò in seguito, disse il malabaro. Fu al Nigamuwa che conobbi per la prima volta Juga, mentre stavo esplorando quei banchi perliferi.»

«Chi era costei?»

«La più bella fanciulla cingalese che io avessi veduto fino allora, così bella che tutti la invidiavano. Suo padre era pure un pescatore di perle e quando saccorse che i nostri cuori si erano compresi e che battevano insieme degual affetto, non oppose ostacoli e lasciò che ella diventasse la mia fidanzata, purché mimpegnassi a versargli duecento rupie come prezzo del matrimonio.»

«Avevo già raggranellato la somma e credevo di essere ormai vicino alla realizzazione del mio sogno, quando un avvenimento inaspettato distrusse dun colpo tutte le mie speranze.»

«Si celebrava a Candy la festa di Godama e tutti gli abitanti delle coste partivano in pellegrinaggio pel monte Hamales, sulla cui cima, come voi sapete, esiste un albero consacrato al dio dei cingalesi e dove si vede limpronta dun piede gigantesco che si suppone lasciato da lui, slanciatosi di lassù in cielo, dopo le novecento e novantanove sue metamorfosi.»

«E che noi europei riteniamo sia unorma lasciata da Adamo prima di abbandonare quellisola meravigliosa, ritenuta il famoso paradiso terrestre, e di passare in India,» disse il quartiermastro sorridendo.

«Il padre di Juga, continuò il malabaro, fervente buddista, mi aveva chiesto il permesso di condurre a Candy la mia fidanzata perché assistesse alla grande processione e ricevesse la benedizione del dio ed io glielo avevo concesso, non prevedendo che quella gita sarebbe stata fatale a me ed alla fanciulla. Ahimè! Non doveva più tornare la diletta del mio cuore.»

«Te la rapirono?»

«Sì, ma ascoltatemi, signor Will. Dopo le feste di Candy, suo padre volle seguire i pellegrini che si recavano a visitare il famoso albero di Annarodgburro, che secondo le tradizioni antiche un uragano trasportò da lontani paesi, e che sprofondò colà le sue radici per servire di ricovero a Godama. In quel luogo vi è una pagoda celebre, dove riposano gli antichi rajah di Candy che hanno meritato di essere ammessi in quella terra santa per aver innalzato templi e statue in onore del dio protettore dellisola, e che è abitata da sacerdoti e da sacerdotesse che vengono scelte fra le più belle fanciulle cingalesi.»

«Per procurarsi quelle sacerdotesse, i monaci attendono il giorno in cui viene condotta in processione la statua colossale di Godama, quindi si cacciano fra gli spettatori, scegliendo le fanciulle che meglio a loro talenta, e che sono destinate a diventare le spose del dio.»

«Nessuno può resistere loro, né le rapite, né i parenti e nessuna protesta varrebbe a salvarle. Una volta afferrate da quei monaci sono perdute. Daltronde i parenti si tengono anzi onorati che le loro figlie vadano a servire il dio, credendo di assicurarsi la protezione del cielo, la remissione dei peccati ed un posto nel nirwana dopo la morte.»

«Sfortuna volle che uno di quei tiruvamska così si chiamano i sacerdoti cingalesi adocchiasse Juga, che stava a fianco di suo padre. La sua bellezza e la sua giovinezza avevano già attirato lattenzione dei vicini, sicché, ad un gesto del tiruvamska, quattro o cinque pellegrini si gettarono sulla mia fidanzata, trascinandola verso un carro dove già si trovavano altre future spose di Godama.»

«Alla sera era già prigioniera nella pagoda. Suo padre, spaventato dagli orribili castighi che i sacerdoti gli minacciavano in questa e nellaltra vita, aveva dovuto dare il suo consenso. Quando tornò alla costa per informarmi di quanto era avvenuto, non era più che unombra di se stesso, tanto era stato il suo dolore nel vedersi privare della sua unica figlia che amava alla follia, e tanto soffriva di doversi presentare a me con quella terribile notizia. Morì tre giorni dopo di crepacuore ed io fui lì lì per smarrire la ragione. Caddi ammalato e rimasi parecchi giorni fra la vita e la morte.»

«Appena guarito partii per Annarodgburro, risoluto a strappare a quei monaci la mia Juga. Riuscii infatti una notte, mentre sulla montagna imperversava una furiosa bufera, ad introdurmi nella pagoda e a trovare la fanciulla amata.»

«Credendo che nessuno mi avesse veduto, la trassi fuori dal tempio dove ci aspettavano due veloci cavalli, quando fu dato lallarme. In meno che non si dica mi vidi piombare addosso una dozzina di monaci, che mi strapparono a viva forza la fanciulla.»

«Cieco di rabbia, trassi dalla fascia il mio coltello di pescatore di perle. Colpii due o tre volte, allimpazzata, ma fui ben presto atterrato, disarmato e legato.»

«Quindici giorni dopo venivo consegnato alle autorità inglesi di Colombo, sotto limputazione daver ucciso un sacerdote e di averne feriti altri due. Ogni difesa fu vana. Fui condannato a dodici anni di relegazione e condotto in questo inferno.»

Il quartiermastro laveva ascoltato senza interromperlo. Posò una mano sulla spalla del povero malabaro, che si era accasciato e piangeva in silenzio, dicendogli con voce dolce:

«Noi fuggiremo, Palicur, e andremo a liberare la fanciulla.»

«Sarà unimpresa difficile, signore, rispose il malabaro con voce spezzata. Bisognerebbe che io ricuperassi la perla sanguinosa

«Ma che cosè quella perla? E che cosa centra in questa storia?» Palicur stava per rispondere, quando in fondo al corridoio si udirono dei passi pesanti che savvicinavano.

«I guardiani, disse il quartiermastro. Brutto segno.»

In quel momento la porta si aprì e tre sorveglianti guidati da un sergente, armati tutti di fucili colle baionette inastate, entrarono nella cella. Dallaspetto severo e dal volto accigliato del sergente, i due forzati capirono subito che non spirava buona aria per loro e che quella partita di pugni non doveva essersi arrestata al capitombolo del Guercio.»

«Pigliate quelluomo,» disse il capo, indicando il malabaro.

«Dove volete condurmi?» chiese Palicur, con voce tranquilla e guardando ironicamente i quattro guardiani.

Назад Дальше