La rivicità di Yanez - Emilio Salgari


Emilio Salgari

LA RIVINCITA DI YANEZ

CAPITOLO I. LA COLONNA INFERNALE

 Saccaroa! Ma dove quel demonio di Sindhia ha raccolto tanti sciacalli? Sono due giorni che sbucano dalle foreste e dalle jungle per arrestarci, eppure ne abbiamo gettati a terra! Cinque elefanti, cinque mitragliatrici e cento carabine, se saranno ancora cento, poiché delle perdite ne abbiamo subite anche noi.

 Vogliono impedirci di giungere a Gauhati, signor Sandokan, per non lasciarci congiungere col signor Yanez, il Maharajah bianco, il vostro fratello doltre oceano.

 E tu credi, Kammamuri, che quei pezzenti saranno capaci di fermarci? Sai come ho chiamato la banda che io conduco in aiuto di Yanez? La colonna infernale. Oh, passerà anche attraverso a ventimila uomini! Hanno molto da imparare questi indiani dai malesi e dai dayaki. Non ne ho condotti con me che cento, ma scelti con estrema cura, cento vere tigri della Malesia, che quantunque siano in fondo maomettani, ad un mio ordine non esiterebbero a strappare la barba al gran Profeta se si presentasse dinanzi a loro.

 So quanto valgono disse Kammamuri. Due volte sono stato nella Malesia e li ho sempre ammirati; eppure io appartengo ad una delle razze piú guerresche dellIndia.

 Sí, i maharatti sono sempre stati bravi soldati, ed agli inglesi hanno dato dei grossi fastidi. Lo sa la Compagnia delle Indie.

 Signor Sandokan, unaltra imboscata

 Questa sarebbe la terza, ma la colonna infernale passerà ed io andrò, malgrado tutti gli ostacoli, a rivedere mio fratello bianco, la rhani e il piccolo Soarez. Bellidea che ho avuto a portare con me delle mitragliatrici! Sgombrano rapidamente le jungle. Sei sicuro che ci assalgano ancora?

 Ho udito i segnali di quei banditi, signor Sandokan. Si radunano per darci un ultimo attacco, forse.

 Oh, noi passeremo.

Stava per cadere il giorno. Una luce quasi sanguigna si proiettava attraverso le alte pianure del Bengala, coperte di jungle e di fitte boscaglie di fichi baniani, di mangifere e di vecchi tamarindi, i cui rami piegavansi sotto il peso della frutta.

Una colonna si avanzava rapidamente, aprendosi il passo lungo il fossato sinistro della linea ferroviaria di Rangpur.

Era composta di cinque magnifici elefanti coomareah, i piú forti delle due razze che esistevano nellIndia, quantunque meno bassi dei merghee, muniti di robuste casse od houdah, dinanzi alle quali salzava, su un affusto, una mitragliatrice a venticinque canne, disposta a ventaglio.

Seguivano cento cavalieri, montati su robusti cavalli di razza inglese.

Strani quei cavalieri, poiché non appartenevano a nessuna razza indiana. Mentre alcuni erano bassi e piuttosto tarchiati, colla pelle fosca che aveva dei riflessi olivastri e sfumature rossastre cupe, gli occhi piccoli e nerissimi; altri invece erano piuttosto alti, di colore giallastro, di forme quasi perfette, coi lineamenti bellissimi, quasi regolati, e gli occhi bene aperti, ampi ed intelligentissimi.

Un uomo che avesse avuto una profonda conoscenza colla regione malese, non avrebbe esitato a classificare i primi per malesi autentici, e gli altri per dayaki bornesi, due razze che si equivalgono per ferocia, per audacia e per coraggio indomito.

Cavalcavano forse un po male, poiché tutta quella gente doveva essere piú abituata a cavalcare i pennoni dei rapidissimi prahos malesi; pure si tenevano abbastanza bene in sella, ed i cavalli inglesi non avevano molto buon giuoco.

Tutti erano formidabilmente armati di grosse carabine di mare, usate piú per la mitraglia che pei proiettili, di pistoloni a lunga canna e di certi pesanti sciaboloni le cui punte finiscono in forma di doccia, armi terribili, fabbricate con un acciaio naturale che solo si trova nelle miniere dei Monti del Cristallo del Sultanato di Varauni, e che con un colpo solo portano via una testa.

Erano i famosi kampilangs dei dayaki.

Sul primo elefante si trovavano due uomini ben diversi luno dallaltro. Noi sappiamo chi era Kammamuri, lindemoniato maharatto, il fedelissimo servo di Tremal-Naik, il famoso cacciatore della Jungla nera.

Laltro, che stava proprio seduto dietro alla mitragliatrice, pronto sempre a scatenarla, pareva invece un orientale dellestremo oriente, a giudicarlo dalla tinta della sua pelle che aveva dei lontani riflessi olivastri, occhi nerissimi, ardenti, barba ancora nera malgrado i suoi cinquantacinque anni, e capelli lunghi e ricciuti che gli cadevano sulle spalle.

Indossava una ricchissima casacca di seta verde con alamari rossi e bottoni doro, portava calzoni larghi degual colore, alti stivali di pelle gialla colla punta rialzata, come quelli degli Usbeki del Turchestan, e da una larga fascia di seta bianca gli pendeva una magnifica scimitarra la cui impugnatura, incrostata di diamanti e di rubini, doveva avere un valore grandissimo.

Sul secondo si trovavano un vecchio malese dal volto rugoso e lespressione feroce, ed un uomo sulla quarantina, di forme massicce, cogli occhi azzurri, difesi da un paio docchiali montati in oro, i capelli biondissimi e la carnagione quasi rosea degli uomini dei paesi nordici dellEuropa.

Vestiva tutto di bianco, di flanella leggerissima, e portava in testa una specie di elmo di tela bianca, con un lungo velo azzurro che gli cadeva sulle spalle.

Non aveva affatto laspetto dun uomo di guerra, ma piuttosto quello di uno scienziato o dun esploratore.

Gli altri tre erano montati da malesi e dai cornac.

La colonna si era cacciata in mezzo ad un largo passaggio aperto fra delle immense mangifere che si stendevano lungo alcuni stagni assai vasti, entro i quali si vedevano guizzare giganteschi coccodrilli in cerca di preda. Doveva già aver subíto delle perdite, se non di uomini almeno di cavalli, poiché parecchi animali portavano due cavalieri invece duno.

Il primo elefante, ad un fischio del cornac, si era arrestato, arrotolando subito prudentemente la sua proboscide fra le zanne, come se avesse temuto lassalto improvviso di qualche tigre, e si era piantato solidamente sulle grosse zampe mandando un lungo barrito.

Luomo vestito da orientale sera tolto il largo turbante di seta bianca, su cui sfavillava un diamante dinestimabile valore, poi si era collocato dietro alla mitragliatrice, dicendo al cornac che si era coricato tutto sul collo dellelefante:

 Tieni ferma la bestia tu.

 Sí, sahib.

 Avremo un altro assalto da parte di quei brutti sciacalli. È già il quarto Quanti sono dunque?

 Ve lho detto, signor Sandokan, disse lindiano che gli sedeva a fianco e che stava armando la carabina. Molti Ventimila, si dice.

Il fiero bornese, poiché non era affatto un malese, alzò le spalle e disse:

 Ma noi passeremo egualmente.

 Badate che quei banditi hanno espugnata e saccheggiata Goalpara, battendo i duemila montanari di Sadhja che erano guidati dal figlio di Khampur.

 Se fossero stati comandati dal padre, Goalpara apparterrebbe ancora alla rhani e quindi anche a Yanez. E poi, noi siamo le tigri di Mompracem che tante e tante volte hanno vinto gli inglesi per terra e per mare, e quegli uomini, non offenderti, Kammamuri, si battono meglio degli indiani.

 Non dei maharatti, però, signor Sandokan. Abbiamo perduto, è vero, la nostra indipendenza, ma quante madri inglesi hanno pianto i loro figli caduti nella lontana India? E molti ne sono morti, in mezzo alle jungle, in mezzo alle selve, intorno alla città ed ai villaggi.

 Taci, Kammamuri.

Fra le folte mangifere si erano uditi degli urli acuti, urli lugubri, simili a quelli che manda il lupo quando è affamato e scorrazza le montagne.

 Credi tu, che sei indiano, che questi siano urli di sciacalli? chiese Sandokan.

 No, signore, quantunque abilmente imitati rispose Kammamuri.

 Siamo lontani dalla capitale?

 Solamente sei o sette miglia, ma mi stupisce grandemente una cosa.

 Parla.

 Che non vedo le cime né di pagode, né di moschee. Eppure lorizzonte è ancora bene illuminato.

 Che Yanez, vedendosi perduto, abbia dato fuoco a Gauhati?

 Lo credo, signor Sandokan.

 Ma sappiamo dove trovarlo?

 Nella città sotterranea.

 Sarà ben sicuro laggiú?

 Poche carabine bastano a difenderne lentrata.

 Allora sono tranquillo. Ancora dei segnali?

Si alzò, e volgendosi verso gli uomini che montavano gli altri quattro elefanti, gridò con voce tonante:

 Pronte le mitragliatrici! Cè un nuovo attacco.

«I cavalieri si stringano presso gli animali.»

In quel momento alcuni colpi di fucile rimbombarono in mezzo alle mangifere. Facevano gran fracasso e nessun danno, essendo forse le carabine maneggiate da gente piú abituata ad usare il tarwar ed il bastone anziché le armi da fuoco.

 Cornac! gridò Sandokan. Lanciate gli elefanti! Ormai sono abituati a questa musica!

I cinque giganteschi animali, scortati dai cavalieri, si misero in moto a mezza corsa, barrendo spaventosamente. Non tenevano però la proboscide alzata per paura di ricevere qualche palla.

Le mitragliatrici erano pronte. Bastava solo che gli assalitori si mostrassero per scatenarle, ma gli sciacalli di Sindhia, che avevano già provato il fuoco di quei terribili ordigni di guerra, si guardavano bene dal mostrarsi.

I cavalieri però, quando vedevano qualcuno attraversare i cespugli a gran corsa, o per unirsi ai compagni, o per scegliersi una migliore posizione, di quando in quando facevano tuonare le loro grosse carabine di mare cariche fino a mezza canna di piccoli chiodi di rame. Quei colpi non sempre uccidevano, ma sbarazzavano il terreno dagli assalitori, i quali non sapevano resistere ai morsi crudeli di quel nuovo genere di mitraglia, usato solamente dai pirati malesi.

Per un buon chilometro i cinque elefanti procedettero sempre a mezza corsa e sbucarono finalmente nella pianura che si stendeva al sud della capitale, priva di boschi e di jungle, perché quei terreni erano stati coltivati a risaie.

Kammamuri mandò un altissimo grido:

 La capitale è scomparsa! Non vedo altro che la vecchia moschea che sorge presso lentrata della città sotterranea.

 Infatti non si vedono che dei bastioni semi-sventrati rispose Sandokan. Devessere stato un bellincendio, poiché dei templi, dei palazzi e delle case ve nerano in gran numero in Gauhati. Che si sia arrostito, per caso, anche Yanez? Ah! Sindhia me la pagherebbe ben cara la morte del mio fratellino bianco.

La sua fronte si era corrugata tempestosamente, ed i suoi occhi nerissimi avevano mandato dei baleni terribili. La Tigre della Malesia non era ancora invecchiata.

 Mi hai udito, Kammamuri? chiese dopo un breve silenzio, rotto solo dallo sbuffare degli elefanti, i quali pareva che avessero nei polmoni dei mantici giganteschi.

 Se il Maharajah ha avuto il tempo di rifugiarsi nelle grandi cloache, e lavrà certamente avuto, noi lo troveremo ancora vivo.

Sandokan respirò a lungo come gli avessero tolto dal petto un masso enorme che lo comprimesse, poi riprese:

 Tu credi dunque che sia salvo?

 Sí, signor Sandokan.

 E la rhani? Ed il piccolo Soarez che tanto desidero di vedere?

 O saranno con lui, o li avrà avviati prima verso le montagne. Sapete quanto Yanez sia prudente.

 Sí, molto piú di me, e se non ci fosse stato lui a frenarmi, chi sa se sarei ancora vivo. Orsú, tutto pare che vada bene. Sole quattro miglia ci separano da quella moschea, distanza che i nostri elefanti ed i nostri cavalli supereranno in un batter docchio.

 Se ci lasceranno tranquilli, signor Sandokan.

 Ci diano pure battaglia quegli sciacalli; anche se sono molti, moltissimi, noi siamo pronti ad accettarla.

 Vi è però un pericolo.

 E quale?

 Che poi ci assedino.

 Dentro la città sotterranea?

 Sí, signor Sandokan.

 Manca lacqua là dentro?

 Ve nè perfino troppa.

 Ed allora tutto andrà bene: cinque elefanti da mangiare e quasi cento cavalli da scuoiare. Ne avremo per resistere a lungo.

 E la legna?

 I miei uomini sono abituati a mangiare la carne anche cruda; e poi, se ne avremo bisogno, tenteremo delle uscite furiose e ci provvederemo. Orsú, basta, ora è il momento di riprendere unaltra conversazione. Li vedi correre e nascondersi nei fossati delle risaie?

 Sí, signor Sandokan, e quei birbanti son dieci volte piú numerosi di noi, e quello che è piú grave ancora, vedo non pochi rajaputi.

 Ah, quei bravi rajaputi che si vendono cosí facilmente disse Sandokan, stringendo i denti. Sarà su di loro che faremo tuonare le nostre mitragliatrici. Gli altri ben poco contano.

Per la seconda volta si alzò gridando ai cornac:

 A gran corsa! Diritti verso quella moschea che vedete laggiú!

Cinque o seicento uomini, fra i quali si trovavano non pochi rajaputi, erano balzati sugli argini delle risaie, sparando allimpazzata. Le cinque mitragliatrici, tre volte a destra e due a sinistra subito crepitarono scagliando proiettili in tutte le direzioni.

Nel medesimo tempo i cavalieri avevano aperto il fuoco colle loro grosse carabine.

Quelluragano di piombo e di rame non parve però che spaventasse troppo gli assalitori, quantunque molti cadessero ad ogni istante dentro i canali delle risaie morti o feriti.

Gli sciacalli di Sindhia correvano allassalto con un coraggio disperato, decisi, a quanto pareva, ad impedire a quella colonna, che veniva dal sud, lentrata nella capitale distrutta o nella città sotterranea.

Si scagliavano con impeto selvaggio, in grossi gruppi, correndo allimpazzata ed urlando spaventosamente. Assalivano a destra ed a sinistra procedendo animosamente e non cessando di sparare, ma quasi sempre a casaccio.

La colonna infernale peraltro non si arrestava. Procedeva rapida, sempre mitragliando, mentre i cavalieri eseguivano, di quando in quando, delle cariche furiose coi pesanti kampilangs in pugno, producendo sugli sciacalli di Sindhia delle ferite spaventose e forse inguaribili.

Dinanzi a quegli attacchi furibondi gli assalitori continuavano a scompigliarsi ed a fuggire attraverso alle risaie, ma non tardavano a raggrupparsi intorno ai rajaputi, i soli che osassero resistere, ed a far uso delle loro carabine.

Dalla parte dei malesi, di quando in quando cadeva qualche uomo che non veniva abbandonato dai compagni sul campo di battaglia, colla speranza di poterlo ancora salvare.

Ma le cinque mitragliatrici, maneggiate da uomini abili, compivano delle vere stragi, ed erano soprattutto i rajaputi che pagavano, perché Sandokan non faceva fuoco che su di loro, ben sapendo che erano le uniche truppe solide che aveva lex rajah.

Quegli arditi mercenari dallaspetto brigantesco, cadevano a gruppi sugli argini, dentro i canali delle risaie; eppure tentavano di raccogliere, con altissime grida, intorno a loro, i paria, i fakiri, i bramini, tutta gente non abituata certamente alla guerra.

 Tengono duro, ma noi la spunteremo disse Sandokan a Kammamuri, maneggiando la mitragliatrice. Se non vi fossero i rajaputi, la giornata sarebbe già vinta; però Sindhia singanna se crede di arrestarci prima che noi giungiamo nella città sotterranea.

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