A poco a poco la marcia fra quei cespugli, quelle spine che gli strappavano gli ultimi lembi di veste, fra quei tronchi dove vi cozzava il capo senza vederli, fra quelle erbe taglienti come tante lame flessibili, divenne rapida.
Ebbe paura, lui, il pirata, Sandokan, la Tigre della Malesia, il cui solo grido avrebbe bastato per far fuggir mezza popolazione. Il delirio tornò ad impossessarsi di lui colla febbre, si credette inseguito e si mise a fuggire.
Qua qua giacche rosse! Sono io Sandokan, la Tigre sono io! urlava egli.
Precipitò la corsa senza sapere ove andasse, varcando ruscelli e cespugli, scalando alberi e attraversando paludi in miniatura, cadendo e risollevandosi come la sera precedente. Correva come un forsennato, invocando le giacche rosse colla spuma alle labbra, cogli occhi fuori dallorbite. Volava incespicando ogni cento passi, non udendo più nulla attorno fuorché il celere martellar del cuore, senza provare i dolori della ferita, soffocati dal delirio.
Quanta via percorse, non poté mai saperlo. Il fatto si è che si trovò dimprovviso dinanzi a una prateria solcata da un fiumicello scaricantesi in un ampio stagno, nel fondo della quale, in riva alle acque, sorgeva qualche cosa di nero che pareva una abitazione.
Sostò un momento, anelante, senza forza di gridare, poi si precipitò nella prateria continuando la sua sfrenata corsa. Fece cento, forse duecento passi colla schiuma alle labbra, le mani nellaria, poi rotolò come fosse fulminato al suolo e vi rimase immobile, irrigidito, lasciando sfuggir un ultimo gemito che si perdé fra le tenebre della notte.
CAPITOLO VII. La Perla di Labuan
Allindomani, dopo la corsa insensata della notte, quando tornò in sé, era chiaro. Il sole, appena appena sorto, illuminava la prateria, i lontani alberi della foresta, il ruscello, lo stagno, labitazione intravveduta la sera precedente e di più una mezza dozzina di uomini che curvi su di lui spiavano ansiosamente ogni suo movimento. Egli si stropicciò gli occhi e fece un gesto per fuggire.
Povero uomo! esclamò una voce commossa, che, quantunque parlasse la lingua delle giacche rosse, non aveva quellaccento secco e imperioso che il pirata solea credere.
Egli si scosse tutto. Credette di essere in preda a un sogno, tornò a stropicciarsi gli occhi, poi esaminò a uno a uno quegli uomini sempre curvi su di lui, che parevano interessarsi del suo stato.
Cinque erano indigeni dai volti stupidi e insignificanti, il sesto un bianco. Se locchio non singannava, pareva avesse una cinquantina danni. Alto, ben fatto, ma con quella rigidezza che è il distintivo particolare della razza anglo-sassone, poteva essere ancora un belluomo ad onta delletà. Un volto simpatico, aperto, benché incorniciato da capelli rossi, occhi intelligenti, due mani aristocratiche anzi che no e delle braccia che dovevano esser dotate di una forza non comune. Vestiva semplicemente: un gran cappello bianco sul capo una cupola circondata da un velo una giacca di stoffa azzurra, pantaloni di pelle e lunghi stivali a risvolta completavano labbigliamento. Non vi era da ingannarsi sulla sua origine. Sandokan lo riconobbe per una giacca rossa, pure non tentò di fuggire. Comprendeva che una nuova fuga, un giorno ancora passato nelle foreste, avrebbe causato infallibilmente la morte. Era un Inglese che lo raccoglieva, meglio; il gioco non sarebbe riuscito più ridicolo. Un Inglese curare Sandokan, la Tigre della Malesia! Vi era ben da ridere; la storiella raccontata a Mompracem avrebbe senza dubbio furoreggiato.
Daltronde, quellindividuo pareva un galantuomo. Lo avrebbe curato e nulla di più, come si cura un ferito trovato sulla via. Non lo conosceva, nessuno sapeva che egli avea approdato a quelle coste in seguito a una moschettata e ad una tremenda rotta. Le risorse non mancavano per farsi credere un onesto marinaio, caduto sotto il piombo dei pirati di Mompracem. Tuttavia, per ingannar meglio il valentuomo, cercò di rizzarsi come per fuggire.
Povero uomo! ripeté la medesima voce. Non movetevi, siamo amici. Verrete meco!
Lasciatemi! Lasciatemi! esclamò Sandokan. Non ho nulla più nulla da darvi.
Al diavolo! Non siamo già pirati noi da derubarvi. Vi sembra che ne abbia il volto adunque? disse lInglese sorridendo. Orsù, calmatevi, nessuno vi torcerà un capello.
Sandokan lo guardò mezzo diffidente e con locchio torvo, quasi volesse leggere nellanimo di quelluomo.
Non siete dunque pirati, voi? chiese egli con accento sì ingenuo da convincere un dayak stesso.
Non ve lo dissi? Andiamo, povero uomo, rimanendo allaperto morrete. Io vi curerò.
Sandokan, malgrado cercasse esser calmo, trasalì e strinse le pugna. Si avrebbe detto che fosse li li per ripigliar la fuga attraverso le foreste malgrado la ferita, ma si arrestò e chiuse gli occhi per nulla vedere, soffocando lira che gli saliva alla gola.
Dovete soffrire molto, ma cercherò di guarirvi disse lInglese curvandosi su di lui e toccando la ferita.
Sì, che soffro! esclamò Sandokan con voce sorda.
A un cenno dellInglese, i cinque indigeni lo sollevarono con tutte le possibili precauzioni, e malgrado egli ruggisse in cuor suo, si lasciò trasportare a forza di braccia allabitazione.
Era dessa senza dubbio la miglior casa che sorgesse in Labuan dopo quella del governatore. Un vero palazzo di legno col tetto di zinco, dove le fenestre numerose, ma ben disposte avevano un po di architettura gotica, e dove i fregi non mancavano. Una veranda indiana girava attorno, rinchiusa da persiane dipinte a vivaci colori, e dove le piante arrampicanti, dividendosi in mille rameggi gli uni più bizzarri degli altri, avevano preso sede, avanzandosi ancora più sopra fino alle fenestre e ancora più in alto fino ai camini del tetto.
Si elevava sulle rive dello stagno sopra il quale si passava con un ponte levatoio, e ai cui fianchi staccava sì solide stecconate, alte tre o quattro metri, indispensabili per quei luoghi frequentemente visitati dai pirati di Mompracem e delle Romades. Un gran giardino riboccante dei più bei e più preziosi alberi e dei più rari fiori stendevasi a perdita docchio al di là delle palizzate cosparso di piccoli chioschi chinesi, di gran graticci di filo di ferro entro ai quali garrivano i più graziosi uccelli della Malesia e munito del relativo padiglione dalle pareti verdeggianti ombreggiato da un colossale albero della canfora il cui tronco non sarebbe stato abbracciato da dieci uomini.
Gli indigeni portando Sandokan che concentrato tutto nella sua ira nulla vedeva e nulla udiva, traversarono il ponte levatoio preceduti dallInglese e dopo esser passati per una fila di stanze arredate con eleganza, lo deposero in una di esse, ampia quanto mai, tappezzata in rosso, le cui grandi fenestre gotiche davano sul giardino.
Il ferito fu disteso su di un letto e messa a nudo la ferita; lInglese la esaminò attentamente come un uomo che se ne intende. Vi fece passare sopra leggermente una spugna bagnata di acqua fresca, alleviando latroce dolore che pativa il pirata, vi applicò un cataplasma desca e un miscuglio di sostanze vegetali di cui il ferito stesso ignorava leffetto e la provenienza, vi sovrappose delle filacce e fasciò il tutto con abile mano.
Non movetevi se lo potete, solo coricatevi sul fianco corrispondente al cataplasma e il capo alquanto rialzato disse lInglese. Non dite parole che potrebbero causarvi una debolezza estrema, dormite e non pensate che a guarire. Daltronde non avrete ad annoiarvi; vi presenterò io una graziosa infermiera che saprà rallegrarvi nei momenti di malinconia.
Non movetevi se lo potete, solo coricatevi sul fianco corrispondente al cataplasma e il capo alquanto rialzato disse lInglese. Non dite parole che potrebbero causarvi una debolezza estrema, dormite e non pensate che a guarire. Daltronde non avrete ad annoiarvi; vi presenterò io una graziosa infermiera che saprà rallegrarvi nei momenti di malinconia.
Il ferito, facendo uno sforzo su sé stesso sorrise. Allungò la mano, poi ritirandola:
A chi dovrò dimostrare la mia gratitudine per le cure avute?
A James Guillonk, capitano di vascello di S. M. Britannica, la regina Vittoria.
Il ferito fece un balzo sul letto mentre le mani si raggrinzavano sulle coperte.
Capitano di vascello! Capitano di vascello avete detto? esclamò egli con truce accento.
Che diavolo vi trovate di strano? chiese flemmaticamente lInglese che non capiva.
Ascoltate, James Guillonk. Io era ferito, laggiù sotto le foreste che mordeva la polvere sotto il piombo di un pirata, quando vidi una nave sì una nave che fumava. Ho veduto una lotta mostruosa fra la nave e dei prahos una carneficina oh sì, terribile carneficina dove i pirati pugnavano come tanti eroi Eravate voi che guidavate quella quella nave?
Non ero io, tacete, non una parola di più disse lInglese accostando un dito alle labbra. Ve lo proibisco severamente; ecco, guardate che la febbre vi assale, poi verrà il delirio.
Il delirio! esclamò Sandokan senza comprendere. Non ho paura io del delirio né di loro!
Egli soffocò a metà la parola lì lì per uscirgli e ricadde spossato fra le coperte. LInglese accostò ancora un dito sulle labbra raccomandandogli silenzio e si ritirò sulle punte dei piedi seguito da quattro indigeni. Il quinto restò a guardia del ferito piantandosi dinanzi ai vetri.
Sandokan ad onta delle raccomandazioni alzò il capo e guardò intorno. La stanza era vasta e riccamente arredata, tappezzata in rosso, il color favorito del pirata che gli rammentava i suoi fiumi di sangue e era illuminata da due grandi fenestre gotiche attraverso i vetri delle quali si scorgeva un lembo del padiglione col suo colossale albero della canfora e coi suoi artocarpi dalle grosse frutta e i filari di cedri di un gran viale che attraversava il giardino.
Il pirata vide in un canto della stanza un pianoforte sul quale erano sparpagliati in un grazioso disordine libri di musica, ninnoli chinesi leggiadramente lavorati, una tavolozza, delle tele dipinte e dei pennelli. Nel mezzo della stanza un tavolo riccamente intarsiato con una scacchiera debano e davorio, in cui gli scacchi, alcuni rovesciati ed altri in piedi, parevano indicare che la partita era terminata poco tempo prima, forse la sera precedente. Addossato a una parete vide un canapé, sul quale eravi ancora un lavoro di donna non ancor finito e presso il suo letto un ricco sgabello con un libro semi-aperto con un fiore appassito e schiacciato fra le pagine che esalava ancora un soave profumo.
Tese una mano verso quel libro, lo chiuse e guardò la legatura, in mezzo alla quale campeggiava un nome impresso a lettere dorate.
Marianna! lesse egli. Chi può essere mai questa donna?
Il pirata senza potersene render conto nel leggere quel nome che non aveva e non poteva aver nulla di strano, si sentì agitato da una bizzarra sensazione. Qualche cosa di dolce colpì il cuore di lui, quel cuore dacciaio che aveva la ferocia della tigre, e sussultò.
Marianna! ripeté egli con strana intonazione. Qual nome! Laprì senza far rumore, gettando uno sguardo sullindigeno sempre immobile dinanzi ai vetri. Non conteneva che delle annotazioni in una lingua che non poté comprendere, benché qualche parola avesse molta somiglianza colla lingua di Yanez. Andò senza volerlo a cercar quel fiore, un gelsomino, lo prese delicatamente con quelle dita che non conoscevano che limpugnatura delle armi, lalzò fino agli occhi e lo mirò a lungo. Lo fiutò più volte con ardente alito, lo fissò quasi volesse indovinare qual mano laveva racchiuso in quel libro, provando un non so che nel cuore, un tremito, una sensazione vaga, ignota, voluttuosa, e lui, il sanguinario, luomo di guerra, si sentì stranamente spinto a portare quel fiore alle labbra!
Ripose quasi con dispiacere quel fiore fra le pagine, collocò il libro sullo sgabello e tornò a coricarsi dimenticando il luogo dove si trovava, la ferita, la febbre.
Marianna! ripeté per la terza volta e socchiuse gli occhi fantasticando su quel nome.
Si addormentò tranquillamente ad onta della febbre che lo divorava, sognando non già fiumi di sangue, fantasmi dagli occhi di fuoco, scheletri dalle ossa crocchianti e vuote occhiaie, ma foreste immense di una bellezza incomparabile, fiumi tranquilli mormoranti fra le praterie, montagne vaghe e in mezzo a tutto ciò un nome gigantesco, immane, tracciato a grandi lettere doro che lo abbagliavano, dapprima confuso, poi più chiaro e infine leggibile. Era ancora il nome di Marianna!
Ma il sonno e il sogno non durarono molto. La febbre si sviluppò terribilmente e pericolosamente accompagnata dal delirio. Si svegliò che il sole calava al ponente ed ebbe paura come le notti precedenti, malgrado che la situazione fosse cangiata. Egli si mise ad agitarsi urlando come un insensato.
Via queste tenebre via questi fantasmi che aspettano il calar del sole! Via, non vedete che mi guardano ancora, che mi abbruciano coi loro sguardi di fuoco? Ah! ecco gli scheletri danzate, danzate figli delle giacche rosse ecco del sangue, dei teschi riboccanti di vino, delle membra lacerate ovunque sangue, armi, armati, morti, moribondi! Annegatemi tutti questi mostri dalle gole spalancate dite loro che non ho paura sono la Tigre, capite, la Tigre!
Egli si arrestò non udendo più la voce di James Guillonk che cercava calmarlo, e che passava da uno stupore allaltro nelludire questi strani discorsi. Poi ripigliò linsensato quanto pericoloso vociare, che poteva tradirlo precipitandolo fra le braccia dei Britanni assetati del suo sangue.
Oh! non ho paura io tutte le giacche rosse non mi fanno tremare sono la Tigre la Tigre dei mari. Mhanno assassinato ho la loro palla che mi abbrucia come fosse di fuoco là, lho avuta là, a bordo di quellodiata nave da essi, quando faceva strage di giacche rosse! Oh! mi vendicherò atrocemente sì, mi vendicherò. Tutto a ferro e a fuoco! Là, là, Mompracem, non tremare la Tigre è là sul mare, spiando sempre. Ferro e fuoco!
Poi la visione parve cangiare improvvisamente. Si levò a metà, cogli occhi stranamente fissi sul tavolo della stanza, e stese le mani nervosamente raggrinzate verso di esso.
Di chi è quel nome di chi è quel nome che risuona qua entro nel cuore della Tigre? che mi fa fremere? Chi giuocò là su quella scacchiera? Vedo una mano, fina vedo una fanciulla che mi sorride mi tende le braccia è bionda perché è razza delle giacche rosse! Mi sorride il mio cuor freme sanguina Il suo nome, il suo nome io lo sapeva! Ah! non mi rammento più!
Il pirata cadde spossato sul letto gettando un gemito; si agitò ancora come cercasse abbracciare qualche cosa che pareva sfuggirgli, poi cadde in un profondo torpore che somigliava al sonno.
Lord James lo contemplò colle braccia incrociate e la fronte leggermente corrugata. Aveva udito i bizzarri discorsi usciti dalle labbra del ferito, dei discorsi che potevano gettarlo su di una traccia e pensava. Come potevano mai entrarci le giacche rosse? Non poteva aver compreso il vero significato della parola, ma sospettava che ciò riguardasse quelli della sua razza. E poi, quei cadaveri, quel sangue, quel nome di Tigre che si dava, quelle stragi, e di più quella Mompracem, il fantasma di Labuan, il formidabile nido di pirati, aveva tutto ciò qualche cosa di sì strano, che preoccupava vivamente lInglese.