La tigre della Malesia - Emilio Salgari 10 стр.


Così parlando, il pirata si rotolava fra i cespugli mordendo la terra, strappando le radici colle unghie e coi denti. Urlava come una belva feroce, si rizzava sulle ginocchia, si batteva il capo, si torceva le braccia, stritolava i cespugli in una potente stretta. Egli credeva di aver dinanzi a sé degli Inglesi, e mordeva credendo mordere i loro crani.

 Io battuto? La Tigre risorgerà! vi abbrucerà col solo ruggito vi disperderà, fossero pur cento leoni contro essa! sangue di Maometto; io soffro per loro sulla terra di loro ma la pagheranno aspettate, aspettate vedrò i vostri volti al balenar dei cannoni! Del sangue, del sangue io ho sete datemi del sangue di loro traetelo dalle loro vene datemi delle carni carni di loro che palpitino sotto le mie dita datemele, io le divorerò! Sono ferito la palla avvelenata di loro suscita un vulcano nel mio petto la sento ardere ma guarirò, voglio vivere, capisci leone dInghilterra voglio vivere! voglio vedere la Perla di Labuan! Ah! maledetta Perla, fosti la mia ruina!

Uno scroscio di risa diaboliche irruppe dalle sue labbra perdendosi nel fondo delle foreste. Si arrestò colle mani contratte fra i capelli, fremente per la febbre, divorato dalla sete. Pareva che un fuoco immane gli ardesse nel petto, che la terra su cui posava fosse il fondo di una caldaia in ebollizione. Stette alcuni minuti in silenzio, poi ripigliò i suoi pazzi discorsi, destando gli echi delle foreste, agitando le mani come per allontanare delle ombre invisibili, degli scheletri, dei fiumi di sangue.

 Via di qua, via! Che volete, orribili ombre? Via quei fantasmi, volgete altrove quegli occhi di fuoco Essi mi divorano! Che volete voi, nudi scheletri dalle bianche ossa e dalle vuote occhiaie? Che avete da gemere che avete da fare crocchiar quelle dita e quei piedi? Perché quelle costole spezzate, quelle ossa frantumate quei teschi aperti via, via! Non sono Sandokan io forse? Sangue fiumi di sangue e monti di cadaveri sempre sangue e fantasmi. Ah! Sei tu Patau la palla di cannone ti ha infranto il petto Ah! siete voi tutti voi che ho ammazzato andate, andate laggiù nella fossa nella gran fossa delle giacche rosse. Non verrò! non verrò!

La notte fu orribile. Il pirata in preda alla febbre e al delirio, non sognò che fiumi di sangue dove cercava invano di spegnere la sete, schiere di fantasmi avvolti nei loro sudari bianchi, e i cui occhi si fissavano nei suoi, scheletri che danzavano attorno a lui facendo crocchiar le ossa e facendo udir diabolici scoppi di risa, e una processione di uomini di tutte le razze, gementi, urlanti, coi fianchi aperti, colle teste spezzate a gran colpi di scimitarra o di scure, colle membra troncate donde uscivano fiotti di sangue e coi corpi traforati, scarnati in mille guise da palle di cannone e da mitraglia.

Ma a poco a poco tutte quelle visioni, le une più spaventevoli delle altre, rappresentanti le vittime di lui, disparvero ed egli cadde in un profondo torpore, in una specie di sonno di cui ne avea tanto bisogno, ma che durò qualche ora. Quando si svegliò era ancora notte, ma era più calmo.

 Credeva bene di esser morto! mormorò egli guardandosi attorno con un misto di spavento e di sorpresa.

Ricompose le fascie della ferita, state rimosse durante il delirio, poi udendo il lieve mormorar di un ruscelletto vi si trascinò e spense la sete. La febbre cessava a poco a poco e vi era da credere che allindomani stesse assai meglio della sera.

Trovò un posto fra i cespugli dove si accomodò alla meglio a pochi passi dal ruscelletto, e aspettò pazientemente il mattino, cogli occhi fissi al levante spiando ansiosamente lapparir di qualche chiarore che segnalasse laurora.

Le ore passavano lente lente quasi avessero raddoppiato la lunghezza abituale, là sotto quelle fitte foreste, dove loscurità era più fitta che mai. Il tempo passava con una lentezza spaventevole pel ferito, abbandonato senza risorse fra quegli alberi, fra atroci sofferenze. Contava minuto per minuto, più ancora, battito per battito.

Qual supplizio! Egli ruggiva in cuor suo, e ideavasi orologi ai quali faceva rotear le sfere; faceva volare nella sua mente il tempo, maledicendo la lentezza di quei minuti altre volte sì rapidi e bestemmiava contro il sole che non appariva mai. Al di sotto dei grandi alberi poi udivasi le urla delle fiere che vagavano in cerca di preda, altro supplizio non meno spaventoso, dove il ferito provava tutte le emozioni della paura malgrado il suo coraggio, quando quelle urla andavano avvicinandosi. Se fosse stato sano, se ne sarebbe bene infischiato di loro, ma sfinito di forze, quasi impotente di lottare, in quella pericolosa situazione, armato di un solo kriss, era ben altra cosa.

Le tigri, forse le ultime che scorrazzavano le foreste, ruggivano balzando nei cespugli o arrampicandosi sui rami per attendere la selvaggina allagguato, a cui si univano le strida delle scimie accoccolate sulle più alte cime degli alberi, affannate a respingere quei potenti carnivori o a mettersi in salvo, e labbaiar dei cani vaganti e il grugnir dei babirussa o dei cignali scovati.

Sandokan prestava orecchio a tutti questi concerti, a quei differenti rumori, rattenendo i gemiti, immobile fra i cespugli, col kriss in mano. Non si inquietava che delle tigri, quei carnivori potenti che avrebbero potuto piombare su di lui e farlo a brani ancor prima che avesse a pensare a difendersi. Vi era da stare allerta tutta la notte.

Le ore, lente lente, passarono alfine, dopo una notte passata fra il delirio e langoscia. La luna che scintillava al di sopra degli alberi, senza tramandar uno di quei bei raggi dargento al di sotto, tanto era fitto il fogliame, cominciò a impallidir a poco a poco man mano che una luce biancastra dapprima e rossa un po più tardi compariva al levante e le stelle impallidirono con essa. Il pirata respirò; le tenebre se ne volavan via dinanzi alla luce. Il sole apparve come improvvisamente illuminando la foresta, facendo tacere tutti quei concerti notturni, penetrando anche nei più reconditi luoghi. Sandokan si scosse trascinandosi fino al rivoletto dacqua, dove lavò la ferita sempre infiammata e sempre dolorosa, applicandovi nuove filaccie e radici masticate.

Era estremamente debole, ma la febbre era cessata, un segno infallibile per credere che la guarigione benché lenta incominciava. Egli risolse di compierla ad onta di tutti gli ostacoli.

Abbisognava del cibo per richiamare le forze e rinnovare il sangue, quindi la necessità di trovarne. Non aveva che un kriss, unarma quasi inutile per atterrare la selvaggina che il ferito non avrebbe potuto raggiungere, ma se non poteva contare su di essa, poteva almeno contare sugli alberi fruttiferi, che in quelle foreste non mancano.

Labuan, quantunque sia un lembo di terra, gode la medesima feracità di Borneo, dalla quale pare sia stato staccato in seguito a qualche formidabile cataclisma. Tutti gli alberi della Malesia hanno i loro rappresentanti, senza dimenticare anche il velenoso upas che si mostra in qualche luogo non troppo recondito dellisola.

Non manca né di sagù, né di magnifici artocarpi, né di cavoli palmisti, né di canne da zucchero, piante che possono dare un alimento, se non troppo sostanzioso, almeno salubre ed eccellente. Sandokan non ignorava ciò, e quantunque la ferita lo facesse sempre soffrire, si mise in cerca di uno di quegli alberi, camminando come un ubbriaco o trascinandosi come un serpente quando le forze lo abbandonavano, arrestandosi per riprendere lena e ricominciando la penosa marcia fra fitti cespugli.

 Oh! troverò bene io qualche cavolo palmista o qualche sagù, che abbia a sfamarmi mormorava egli continuando a strisciare fra erbe taglienti e acute spine. Animo, non lasciamoci abbattere finché lenergia non viene meno, e le forze mi sorreggono, sono ancora Sandokan, la Tigre della Malesia.

 Oh! troverò bene io qualche cavolo palmista o qualche sagù, che abbia a sfamarmi mormorava egli continuando a strisciare fra erbe taglienti e acute spine. Animo, non lasciamoci abbattere finché lenergia non viene meno, e le forze mi sorreggono, sono ancora Sandokan, la Tigre della Malesia.

Attraversò i cespugli in mezzo a centinaia e centinaia di tronchi, che si innalzavano in mille guise, gli uni più alti degli altri, inclinati o diritti o torti e lisci, frondosi o semi-spogli, e si arrestò dinanzi un piccolo albero, di tre o quattro metri di altezza, le cui foglie erano ricoperte di una fina polvere biancastra. Lo conobbe subito.

 Un sagù! esclamò egli.

Infatti il prezioso albero, così comunemente sparso in tutta la Malesia, faceva capolino fra tutti gli altri, circondato da erbe gigantesche e da cespugli spinosi. È una delle piante più utili che oltre crescere spontaneamente nelle foreste viene con premura coltivata dagli indigeni, somministrando essa una fecola nutritiva al sommo grado che fa le veci della farina.

Non viene molto alta, tre o quattro metri al più, fa parte della gran famiglia delle palme, alle quali occorrono ben sette anni per giungere al loro pieno sviluppo e che amano i luoghi paludosi o almeno umidicci. Il sagù, la sostanza farinosa e piacevole che essa dà e che viene smerciata in gran quantità su tutte le isole della Malesia, non è che la midolla della pianta, bianca di colore, umida, nicchiata fra glinterstizi di una fitta rete fibrosa, che si taglia a pezzetti rammollendola nellacqua ottenendone ben un cento o centocinquanta chilogrammi.

Era una vera fortuna pel ferito lincontro di un albero sì prezioso. La polvere biancastra sparsa sulle foglie indicava che la fecola era giunta a perfetta maturanza; nulla di più facile che cibarsene.

Sandokan, adoperando il kriss, si mise allopera febbrilmente. Tagliò a pezzetti la parte fibrosa tanto da poter bastare per alcuni giorni, la tuffò per pochi minuti nel ruscello, poi si mise a morderla per calmare la fame che cominciava tenagliarlo trovando un po di sollievo in quel magro pasto.

Non bastava. Aveva un organismo di una robustezza eccezionale; bisognava trovare qualche cosa da aggiungere a quel pasto, della carne se fosse stato possibile. Impotente di abbattere qualche capo di selvaggina, si rivolse al mare cercando qualcuna di quelle enormi ostriche che quattro individui di non comune appetito sono imbarazzati a divorare. Il mare non era troppo lontano; lo udiva muggire e frangersi sulle rupi e sulle scogliere. Raccolse la sua provvista, bagnò ancora una volta la piaga e facendo sforzi da gigante camminò o meglio si trascinò fino alla spiaggia.

 Posso trovare qualcuna di quelle ostriche giganti mormorò egli. Il mio sangue è povero, bisogna rinnovarlo. La guarigione verrà dopo. Tagliò un bambù di quindici piedi daltezza e ne aguzzò una delle estremità col kriss, fatto ciò si spinse nellacqua vicino alle scogliere, scandagliando i crepacci, sostenendosi a mala pena contro limpeto della risacca che si faceva sentire con qualche violenza.

Perlustrò ad una ad una le fessure facendone uscire frotte di pesciolini, troppo agili per venire afferrati, mosse le alghe in mezzo alle quali si appiattavano lunghe anguille, frugò sui banchi di sabbia rimescolando ostriche piccole e granchi, e continuò ad avanzarsi collacqua fino alle ginocchia, avvicinandosi a un banco sabbioso di pochi piedi sottacqua.

 Lostrica non deve mancare là, su quel banco, che si presenta a sì buon punto pensava egli.

E infatti il marinaio non singannava. Vide una di quelle ostriche colossali chiamate di Singapura, a metà seppellita nelle sabbie, capace di nutrire per lo meno due uomini. La raggiunse tuffandosi fino alle anche, si curvò, e con uno sforzo che gli costò più di un gemito, la strappò dalle sabbie.

 Ecco ciò che io cercava; che importa ora se sono ferito quando accanto a me ho un ruscello e dei viveri? Non andrò no, a battere la porta delle giacche rosse finché le forze mi resteranno; vivrò nei boschi come una tigre, e una volta guarito saprò ben io trovare la via per ritornare a Mompracem. Del resto, i miei uomini non mi hanno dimenticato.

Raggiunse la riva affranto, dove sostò, sedendosi sulla grande ostrica, che aveva rinchiuso prudentemente i suoi bivalvi. Occorreva del fuoco per farli riaprire; il kriss per quanto fosse di una tempra eccezionale non sarebbe riuscito a nulla contro il guscio di uno spessore notevole.

Gettò uno sguardo attorno, andò a raccogliere una bracciata di legne secche, sparse in gran quantità nei dintorni, colle dovute precauzioni per non trovare qualche velenoso rettile nel cavo di esse, o dei ragni se non del tutto pericolosi almeno cagionanti la febbre, e tagliando due pezzi di legno dalla tinta biancastra e lucente, si mise a strofinarli vigorosamente lun contro laltro finché ne trasse una fiammella. Non ci voleva altro. Le legne presero fuoco come esca, mettendo in fuga insetti, ragni e qualche serpentello innocuo, e quando furono semi-consumate, gettò la colossale ostrica sui carboni ardenti.

Leffetto fu istantaneo: i due gusci si apersero lasciando uscire un solleticante profumo. Ritiratala dal braciere, il pirata sedendosi in mezzo alle erbe e dimenticando per un istante e la ferita e la situazione disperata in cui si trovava, assalì la colossale ostrica aiutandosi colla lama del kriss.

Non aveva ancor inghiottito venti bocconi che labbaiar di un cane venne a ferire le sue orecchie.

Abbandonò per un momento lostrica e tese le orecchie, per nulla contrariato dellabbaiar di quellanimale, che forse poteva guidare qualche cacciatore, e chi sa, forse qualche indigeno.

 Ah! se fosse un indigeno della costa o un barcaiuolo che possedesse un canotto! esclamò egli. Saprei ben io trascinarlo fino a Mompracem per caricarlo poi doro, a meno che non diventasse un pirata. Possa non essere una giacca rossa, alla quale io nulla chiederò. Ferito, pur morente, finché lenergia e lodio per la loro razza maledetta mi sosterrà, rifiuterò i loro aiuti, i loro veleni. Tutti ignorano su questo lembo di terra chi io mi sia; il selvaggio potrà ospitarmi senza paure.

Dopo di aver ascoltato alcuni istanti, Sandokan credette bene di aspettar la comparsa del cane o del cacciatore, terminando il pranzo, la cui carne molle ed eccellente gli solleticava lappetito. Ad onta della ferita, sbarazzò mezzo guscio.

 Aspettiamo disse egli distendendosi mollemente sulle erbe. Forse luomo o il cane si mostreranno.

Gli abbaiamenti continuavano, talvolta avvicinandosi e talvolta allontanandosi. Pareva che lanimale seguisse qualche pista. Sandokan già simpazientiva, quando udì una detonazione in lontananza.

 È una giacca rossa! esclamò egli rizzandosi sulle ginocchia. Che la tigre la divori!

Non si occupò più né del cane né del cacciatore, che daltronde parevano allontanarsi e si coricò sotto un arecche. Rimase tutto il dì là sotto, conservando una immobilità completa, lunica medicina occorrente per la ferita già pericolosamente infiammata per gli sforzi incontrati nella pesca e nella passeggiata sotto le foreste. Con tutto ciò la febbre tornò ad assalirlo con nuovo vigore, e prima che il sole tramontasse, batteva i denti, provava ancora atroci dolori e cominciava a delirare.

Quelluomo che non avea mai saputo che fosse paura, lebbe a provare quando il sole calò al ponente e le tenebre cominciarono a invadere la foresta. Ebbe paura della notte, e, deciso a tutto affrontare anziché addormentarsi, raccogliendo le ultime forze si ripose in cammino, aggravando il male. Dove andava? Egli nol sapeva. Vagava sotto i grandi alberi provando brividi interminabili come fosse nelle regioni polari, con un vulcano nel cervello, cogli occhi di bragia e il kriss convulsivamente stretto. Avrebbe fatto paura al più coraggioso isolano se avesse avuto la sfortuna dincontrarlo.

Назад Дальше