Le due tigri - Emilio Salgari 7 стр.


 Qua al petto sahib Una palla

 Vediamo: ce ne intendiamo noi di ferite e alloccorrenza sappiamo anche curarle e forse meglio dei vostri medici.

Una palla aveva colpito la giovane al fianco sinistro. Fortunatamente invece di penetrare in cavità, era solamente strisciata sopra una costola, producendo come uno strappo piú doloroso che pericoloso.

 Fra otto giorni potrai essere guarita, fanciulla mia,  disse Sandokan. Non si tratta che di arrestare il sangue che fugge in gran copia.

Trasse di tasca un fazzoletto di finissima tela e lo legò strettamente al petto della danzatrice, poi le riallacciò il busto, dicendo:

 Per ora basterà. Dove vuoi che ti riconduciamo? Non siamo amici dei Thugs e credo che essi non torneranno certo a raccoglierti.

La giovane non rispose. Guardava ora Sandokan e ora Yanez, coi suoi begli occhi nerissimi e pieni di splendore, probabilmente stupita che quei due uomini che aveva cercato di perdere, invece di finirla la curassero.

 Rispondi,  disse Sandokan. Avrai una casa, una famiglia, qualcuno infine che si occuperà di te.

 Portami con te, sahib,  disse finalmente la bajadera con voce tremula. Non ricondurmi dai Thugs. Quegli uomini mi fanno paura.

 Sandokan,  disse Yanez, che non aveva mai staccato nemmeno per un solo istante, gli occhi dalla danzatrice. Questa fanciulla può esserci utile e darci delle informazioni preziose. Portiamola a bordo della Marianna.

 Hai ragione: Sambigliong!.

 Eccomi, capitano,  rispose il malese, accorrendo.

 Prendi questa fanciulla e seguici. Bada che è ferita al petto.

Il malese prese fra le robuste braccia la danzatrice, facendole posare sul proprio petto la testa.

 Andiamo,  disse Sandokan, riprendendo la torcia. In mano le pistole e aprite bene gli occhi.

Attraversarono parecchie vie e viuzze, senza incontrare nessun essere vivente, e verso luna del mattino giungevano sulla riva del fiume.

La baleniera era a pochi passi, guardata dai malesi.

Sandokan fece collocare a poppa la bajadera dalle cui labbra non era piú uscito alcun lamento, piantò la torcia sulla prora e diede il segnale della partenza.

Yanez si era seduto sullultima panca, di fronte alla giovane e la osservava attentamente, ammirando, involontariamente forse, la bellezza di quel viso e la luce profonda di quegli occhi nerissimi, scintillanti come carboncini.

 Per Giove!  mormorava fra sé. Non ho mai veduto una fanciulla cosí bella. Come si trovava fra le mani di quei sanguinari settari?

Sandokan quasi avesse indovinato il pensiero del suo amico, si era rivolto alla fanciulla che gli sedeva presso.

 Sei anche tu una seguace di Kalí?  le chiese.

La bajadera scosse il capo, sorridendo tristemente.

 Come mai ti trovavi allora assieme con quei bricconi?

 Mi hanno comperata dopo la distruzione della mia famiglia,  rispose la danzatrice.

 Per fare di te una bajadera?

 Le danzatrici sono necessarie nelle cerimonie religiose.

 Dove abitavi?

 Nella pagoda, sahib.

 Ci stavi volentieri?

 No, e come hai veduto ho preferito seguirti piuttosto che tornare nella pagoda dove si compiono dei misteri atroci per soddisfare linsaziabile sete di sangue della dea.

 A quale scopo avevano mandato te e le tue compagne contro di noi?

 Per impedirvi di seguire il manti.

 Ah! Tu conosci quello stregone?  chiese Sandokan.

 Sí, sahib.

 È un capo dei Thugs?

La fanciulla lo guardò senza rispondere. Una profonda angoscia si era diffusa sul suo bel viso.

 Parla,  comandò Sandokan.

 I Thugs uccidono chi tradisce i loro segreti, sahib,  rispose la fanciulla con voce tremante.

 Sei fra persone che sapranno difenderti contro tutti i Thugs dellIndia. Parla: voglio sapere chi è quelluomo che noi abbiamo invano inseguito e che pur ci è tanto necessario.

 Siete nemici degli strangolatori, voi?

 Siamo venuti in India per muovere loro guerra,  disse Sandokan, e punirli dei loro misfatti.

 Sono cattivi, è vero,  rispose la fanciulla. Non sono che degli assassini.

 Dimmi dunque chi è quel manti.

 Lanima dannata del capo dei Thugs.

 Di Suyodhana!  esclamarono ad una voce Yanez e Sandokan.

 Voi lo conoscete?

 No, speriamo di conoscerlo e molto presto,  disse Sandokan. Yanez, quelluomo ci è piú che mai necessario e non andremo nelle Sunderbunds senza averlo prima catturato.

Parlerà il vecchio, te lo assicuro, dovessi strappargli le confessioni coi piú atroci tormenti.

La bajadera guardava la Tigre della Malesia con spavento, misto a una profonda ammirazione e certo si chiedeva in cuor suo chi poteva essere quelluomo cosí audace da sfidare la potenza dei formidabili settari di Kalí.

 Sí,  disse Yanez. Quelluomo ci è necessario. Ma tu, fanciulla, non sai dirci dove hanno il loro covo i Thugs? Si dice che siano tornati nei sotterranei di Rajmangal. È vero?

 Lo ignoro sahib bianco,  rispose la bajadera. Ho udito a parlare del ritorno del «padre delle sacre acque del Gange», ma non so dove egli possa trovarsi, se nella jungla delle Sunderbunds o altrove.

 Sei mai stata tu in quei sotterranei?  chiese Sandokan.

 Vi ho compiuta là dentro la mia educazione di bajadera,  rispose la giovane, poi mi hanno destinata alla pagoda di Kalí e di Darma-Ragia.

 Non sai dove potremmo trovare il manti? Abita nella pagoda o in qualche altro luogo?

 Nella pagoda non lho veduto che poche volte Ah! Sí, voi potreste rivederlo e presto.

 Dove?  chiesero Yanez e Sandokan a un tempo.

 Fra tre giorni si compirà, sulle rive del Gange, un oni-gomon a cui devono prendere parte le bajadere e le nartachi della pagoda di Kalí ed il manti certo non vi mancherà.

 Che cosè questo oni-gomon?  chiese Sandokan.

 Si brucerà la vedova di Rangi-Nin sul cadavere del marito, il quale era uno dei capi dei Thugs.

 Viva?

 Viva, sahib.

 E la polizia anglo-indiana lo permetterà?

 Nessuno andrà ad informarla.

 Credevo che quegli orribili sacrifici non si compissero piú.

 Il numero è ancora assai grande, non ostante la proibizione degli inglesi. Se ne bruciano ancora molte delle vedove, sulle rive del Gange.

 Conosci il luogo ove verrà arso il cadavere e la donna?

 Si trova allestremità duna jungla, presso una vecchia pagoda rovinata, e che era anticamente dedicata a Kalí.

 E credi che il manti interverrà alla lugubre cerimonia?

 Sí, sahib.

 Fra tre giorni tu potrai camminare e ci condurrai colà. Tenderemo al manti un agguato e vedremo se riuscirà ancora a sfuggirci. Mio caro Yanez, decisamente noi siamo fortunati.

In quel momento la baleniera giungeva sotto la poppa del praho.

 Giú la scala!  gridò Sandokan agli uomini di guardia.

Salí rapidamente sulla tolda e cadde fra le braccia dun uomo che lo attendeva sulla cima della scala.

 Tremal-Naik!  esclamò il formidabile capo dei pirati.

 Che ti aspettava ansiosamente,  rispose lindiano.

 Buone nuove, amico mio, non abbiamo perduto il nostro tempo.

Seguimi nella cabina.

Capitolo VII. UN DRAMMA INDIANO

La giovane bajadera, che era stata trasportata in una delle cabine del quadro e medicata prontamente da Yanez e da Sandokan, tre giorni dopo era, se non completamente guarita, almeno in grado di condurre i suoi protettori alla vecchia pagoda dove doveva aver luogo loni-gomon.

La giovane bajadera, che era stata trasportata in una delle cabine del quadro e medicata prontamente da Yanez e da Sandokan, tre giorni dopo era, se non completamente guarita, almeno in grado di condurre i suoi protettori alla vecchia pagoda dove doveva aver luogo loni-gomon.

Durante quei tre giorni si era mostrata sempre contentissima di trovarsi in quella comoda ed elegante cabina e fra quei nuovi protettori, dei quali aveva subito abbracciata con entusiasmo la causa, fornendoli di preziosi particolari sulla sanguinosa associazione dei Thugs. Non aveva però potuto dire nulla della nuova «Vergine della pagoda», la piccola Darma, della quale fino allora non aveva mai udito parlare. Dimostrava poi una speciale riconoscenza pel sahib bianco, come chiamava il flemmatico Yanez che si era creato suo infermiere e che amava volentieri parlare con lei, la quale si spiegava in un inglese perfetto, ciò che dimostrava una educazione elevata e piuttosto rara fra le bajadere.

Quella cosa aveva anzi colpito anche Tremal-Naik, che nella sua qualità dindiano e soprattutto di bengalese, conosceva meglio dogni altro le danzatrici del suo paese.

 Questa fanciulla,  aveva detto a Yanez e a Sandokan, deve avere appartenuto a qualche alta casta. La finezza dei suoi lineamenti, la tinta quasi bianca della sua pelle e la piccolezza delle sue mani e dei suoi piedi, lo indicano.

 Cercherò dinterrogarla,  aveva risposto Yanez, deve esservi lí sotto qualche istoria interessante.

Nel pomeriggio, mentre Sandokan e Tremal-Naik sceglievano gli uomini che dovevano prendere parte alla spedizione, Yanez era disceso nel quadro per visitare la ferita.

La fanciulla pareva che non provasse piú alcun dolore. Coricata su una comoda e soffice poltrona, sembrava immersa in un dolce sogno, a giudicarla dal sorriso che le coronava le piccole e rosse labbra e dalla dolcezza dei suoi occhi.

Vedendo comparire il sahib bianco, si era levata appoggiandosi alla spalliera e fissando su di lui uno sguardo penetrante.

 Il sahib bianco mi fa piacere, quando lo vedo,  disse con voce armoniosa. È prima a lui che al sahib abbronzato che devo la libertà e forsanche la vita.

 Il sahib bronzino, come tu lo chiami,  rispose Yanez sorridendo, è buono e forse piú di me. Devi luna e laltra cosa ad entrambi. Come va la tua ferita, fanciulla?

 Non provo piú alcun dolore, dopo che le tue mani, sahib, lhanno medicata.

 Sai che tu non ci hai detto ancora il tuo nome?  disse Yanez.

 Lo vuoi sapere, sahib?  chiese la bajadera. Mi chiamo Surama.

 Sei del Bengala?

 No, sahib. Sono assamese, del Goalpara.

 Mi hai detto che la tua famiglia è stata distrutta.

La fronte della fanciulla a quelle parole si era offuscata, mentre i suoi occhi si coprivano dun velo di profonda tristezza.

Stette un momento silenziosa, poi disse con voce tetra:

 È vero.

 Dai Thugs?

 No.

 Dagli inglesi?

Surama scosse il capo, quindi riprese con voce piú triste:

 Mio padre era zio del rajah di Goalpara e capo duna tribú di kotteri, ossia di guerrieri.

 Ciò non mi spiega chi ha sterminata la tua famiglia.

 Il rajah,  rispose Surama, in uno dei suoi momenti di follia.

Stette alcuni istanti silenziosa, come se aspettasse qualche altra domanda del sahib bianco, poi disse:

 Ero allora una bambina, poiché non avevo che otto anni, eppure lorribile scena me la vedo ancora dinanzi agli occhi, come fosse avvenuta ieri.

Mio padre, al pari di tutti gli altri parenti, era venuto in sospetto al rajah, suo nipote,  il quale si era fisso in capo che tutti congiurassero contro di lui per carpirgli la corona e dividersi le immense ricchezze che possedeva,  perciò amava vivere lontano dalla corte, fra le sue selvagge montagne.

Correva allora voce che il rajah dedito a tutti i vizi e in preda ad una continua ubriachezza, commettesse di frequente delle vere atrocità contro i suoi servi e contro i suoi stessi parenti che vivevano a corte.

Mi ricordo che mio padre maveva un giorno narrato che quel mostro aveva assassinato perfino il suo primo ministro e pel semplice motivo daver tentato dimpedirgli di scannare un povero servo che inavvertentamente gli aveva lasciato cadere una goccia di vino sul vestito.

 Doveva essere una specie di Nerone,  disse Yanez che lascoltava con vivo interesse.

 Essendo la carestia piombata sullAssam, i bramini e i gurus, ossia sacerdoti di Siva, indussero il rajah a dare una grandiosa cerimonia religiosa per cercare di placare la collera delle divinità.

Il principe vi annuí di buon grado e volle che vi assistessero tutti i suoi pareri che vivevano disseminati nel suo stato. Mio padre era compreso nel numero degli invitati, e non sospettando menomamente lorribile disegno che quel mostro maturava nel suo cervello, mi condusse nella capitale assieme a mia madre ed ai miei due fratelli.

Fummo ricevuti cogli onori dovuti al nostro grado e alloggiati nel palazzo reale.

Compiuta la cerimonia religiosa, il rajah diede a tutti i parenti un banchetto grandioso, durante il quale bevve fuor di misura. Quel miserabile cercava di eccitarsi, prima di compiere la strage meditata forse da lungo tempo.

Essendo io troppo piccina, ne ero stata dispensata e mavevano lasciata a trastullarmi su una delle terrazze del palazzo assieme ad altre fanciulle.

Era quasi il tramonto, quando udii improvvisamente un colpo di fucile, seguito poco dopo da un secondo e da un urlo di angoscia e di terrore.

Mi precipitai verso una terrazza che prospettava nel cortile donore del palazzo e vidi una scena orribile che non scorderò giammai, dovessi vivere mille anni

La giovane si era interrotta, come se la voce le fosse improvvisamente mancata, guardando Yanez con gli occhi dilatati e pieni di terrore.

Un tremito convulso agitava il suo corpo, mentre dei singhiozzi soffocati le morivano sulle labbra.

 Continua fanciulla,  le disse Yanez dolcemente.

 Sono passati cinque anni,  riprese Surama, dopo qualche minuto eppure, durante le notti insonni, rivedo sempre quella scena terrificante, come fosse avvenuta il giorno innanzi.

Il rajah era ritto su un terrazzino, cogli occhi schizzanti dalle orbite, i lineamenti sconvolti, con una carabina in mano ancora fumante, circondato dai suoi ministri che gli porgevano continuamente da bere non so quale bevanda infernale, mentre nel cortile fuggivano allimpazzata uomini, donne e fanciulli gettando clamori orribili: erano i parenti del principe.

Il miserabile aveva fatto chiudere tutte le porte del cortile e li fucilava a brucia-pelo, urlando come un pazzo:

«Morite tutti! Voglio che scompaiano questi avidi mostri che insidiano il mio trono e che congiurano per impadronirsi delle mie ricchezze! Da bere, datemi da bere o vi faccio decapitare!».

I ministri, atterriti, continuavano a riempirgli la tazza che egli trangugiava dun fiato, poi ricominciava a sparare su quella massa di disgraziati, che invano supplicavano di risparmiarli.

I colpi si succedevano ai colpi, perché quel maniaco furioso si era fatto portare sulla terrazza parecchie carabine che i suoi ufficiali si affrettavano a ricaricare e a porgergli. Ora cadeva un uomo colla testa fracassata, ora una donna col petto attraversato da una palla, ora invece, un fanciullo o una fanciulla, poiché il rajah non risparmiava nessuno.

Cosí vidi cadere successivamente mio padre, a cui un proiettile aveva fracassato la colonna vertebrale, poi mia madre colpita in mezzo alla fronte, poi i miei due fratelli, poi molti altri ancora. Trentasette erano i parenti del mostro e dieci minuti dopo trentasei giacevano sparsi per il cortile fra un vero lago di sangue.

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