Ata, dopo essersi assicurato che il legno non correva, almeno pel momento, alcun pericolo, condusse Mirinri e Ounis a poppa, dove trovavasi una cameretta tappezzata di stuoie variopinte e colle pareti coperte di grandi scudi di pelle, per lo più angolari di sotto e rotondi verso la cima, con un foro nel mezzo, per poter osservare il nemico e dun gran numero di armi di rame, di bronzo, di ferro e anche di legno, come spade, lance in forma di falci, mazze, ascie, pugnali di varie forme e parecchi archi colle relative faretre, piene di freccie colla punta di metallo
Allintorno vi erano pochi, però elegantissimi mobili, dalle linee dolci e per lo più oblique, non usando gli Egiziani la linea retta nelle loro costruzioni. Erano dei divanelli guarniti di cuscini ricamati e colle spalliere smaltate e piccole sedie che sallargavano verso il fondo, dipinte in rosso ed abbellite da penne variopinte incollate lungo le gambe.
Ata prese in un angolo una piccola anfora, dal collo assai lungo, coperta di smalti multicolori e delle tazze di vetro colorato, di squisita fattura, e versò della birra, dicendo:
«Alla grandezza e alla gloria del futuro Faraone. Che Osiride ti protegga, Figlio del Sole.
I tre egiziani vuotarono dun fiato le tazze, poi Ata sollevò una tenda che copriva il fondo del salotto, aggiungendo:
«Va a fare la tua toletta, signore. Un principe non può viaggiare con queste vesti e poi, tu devi figurare dessere un grande personaggio etiope, così sventeremo meglio i sospetti che potrebbero nascere su di te. I negri che montano la barca basteranno colla loro presenza a farti credere tale. Ti aspettiamo sul ponte, signore. È necessario vegliare.
Uscì dal salotto, seguito da Ounis e salì sul cassero, guardando per parecchi minuti, con estrema attenzione, le due rive del fiume, che in quel luogo erano lontane più dun miglio luna dallaltra.
Il sole era già tramontato da più dun quarto dora e le tenebre erano calate sul fiume gigante. In lontananza però un debole chiarore annunciava limminente comparsa dellastro notturno.
«Sei inquieto?» disse Ounis vedendo che Ata continuava a guardare.
«È vero,» rispose legiziano.
«Temi dunque dessere stato seguito da qualcuno?»
«Forse no; tuttavia ho osservato dei fatti strani che sarebbero sfuggiti ad altri meno osservatori di me.»
«Quali?» chiese Ounis.
«Tu sai che sul nostro fiume le erbe galleggianti ed i papiri interrompono di frequente la navigazione, che però, una volta aperti i canali, per un certo tempo si mantengono. Ora ho trovato quei passaggi chiusi e sai come? Quando ho fatto tagliare quelle masse vi ho trovato in mezzo dei pali affondati nel fango. Vuol dire dunque che sul fiume si vegliava e che si cercava dimpedirmi che io lo risalissi fino qui.»
«E altro?»
«Vi è qualche cosa ancora,» disse Ata, la cui fronte appariva pensierosa. «Sono tre giorni che navigo e tutte le notti ho scorto, dietro di me, un lume brillare nelloscurità e dei fuochi scintillare al di sotto dei palmizi, ora su una riva ed ora sullaltra.»
«Ciò mi preoccupa.»
«Ed io non meno di te. Qualcuno deve avere informato che tu non sei»
Ounis con un rapido gesto gli mise una mano sulle labbra, dicendogli con voce imperiosa:»
«Taci! Lo voglio!»
«Perdonami,» disse Ata, a bassa voce.
«Io non sono che un sacerdote per te, come per tutti.»
«È vero, dimenticavo il giuramento.»
«Continua.»
«Certo si sospetta alla corte che Mirinri non sia morto.»
«Può darsi. Hai avvertito i nostri amici?»
«Tutti sanno a questora che lui è pronto alla riscossa. Quando noi saremo a Menfi li troveremo tutti riuniti nelle tombe dei coccodrilli e là sarà reso lomaggio dovuto al nuovo Figlio del Sole, e che»
Un urto leggero, che fece oscillare la barca, lo interruppe. La discesa del fiume si era arrestata.
Ata aggrottatò la fronte.
«Ci hanno chiuso il passaggio,» mormorò. «Me laspettavo; eppure stamane le erbe non erano così fitte da impedire al mio veliero di risalire il fiume. Che le spie del Faraone siano già giunte qui?»
«Le piante crescono presto sul Nilo,» disse Ounis. «Bastano ventiquattro ore per ostruire il fiume.»
Ata crollò il capo e si spinse verso la prora, dove gli etiopi si erano raccolti per provare, coi loro lunghi remi, la resistenza che opponeva quella barra erbosa.
Il Nilo va soggetto a delle ostruzioni improvvise, che di quando in quando intercettano completamente la navigazione, obbligando gli equipaggi dei piccoli velieri che lo salgono e lo discendono a delle dure fatiche per aprirsi un passaggio.
Anticamente, quando i papiri e gli ambath erano ben più numerosi doggidì e raggiungevano delle dimensioni straordinarie, la navigazione di quel fiume immenso subiva dei ristagni assai più considerevoli. Quelle piante acquatiche, conosciute oggidì col nome di sett o meglio di sudd, prendevano tali proporzioni da impedire qualsiasi passaggio alle navi che dovevano, per scopi commerciali, spingersi verso lalto Nilo.
Già quasi tutti i fiumi africani vanno soggetti a simili ingombri, perfino lo Zambese; quello che bagna lEgitto è afflitto da una massa maggiore di quelle cattive erbe, che la corrente, anche durante le piene, non riesce a sfondare.
Anche oggidì, di quando in quando, il corso del Nilo ed i suoi affluenti, quantunque il papiro sia quasi scomparso, vengono invasi da quella vegetazione acquatica, la quale cresce con rapidità prodigiosa formando delle masse enormi così compatte, da obbligare il governo egiziano a mandare delle migliaia duomini per aprire dei canali che difficilmente poi rimangono aperti.
Fra il 1870 ed il 1873 Samuele Baker, il famoso esploratore che conduceva una spedizione armata nellAlto Egitto per reprimere la schiavitù, fu fermato per lungo tempo dal sett che aveva ostruito il Bahr-el-Djebet, in modo da non potergli permettere di giungere a Gondokoro.
Anche nel 1898 le cannoniere inglesi, che operavano contro i madhisti, si videro costrette ad aprirsi un canale attraverso la massa erbosa, la quale era così fitta da sostenere senza alcun pericolo gli uomini che lavoravano. Cera però un altro pericolo, poiché di quando in quando fra quelle piante balzavano fuori dei coccodrilli e le loro formidabili mascelle si serravano attorno alle gambe dei marinai e dei soldati.
Molti anni prima fu il Nilo Bianco che si coprì di sett, eppure quello splendido corso dacqua ha una larghezza di mezzo chilometro ed una profondità di cinque metri e da quellepoca le erbe non hanno cessato di aumentare, costringendo il governo egiziano ad un continuo e costoso ripulimento del letto ed allapertura dei canali, onde mantenere le sue relazioni colle provincie equatoriali.
Tagliare quelle erbe non è difficile, perché non presentano una grande resistenza; il più è mantenere quelle aperture libere, perché tutta la regione intorno al fiume non è altro che una immensa palude, che rappresenta il letto di qualche antico lago nel quale lacqua si espande su larghi spazii e si evapora in gran parte senza tregua.
Ata, dopo daver osservato attentamente la massa erbosa che impediva quel passo, che aveva trovato libero il mattino, chiamò due dei suoi battellieri, dicendo loro:
«Guardate se hanno piantato degli ostacoli nel letto del fiume.»
I due etiopi sarmarono con delle pesanti ascie di bronzo, potendo darsi il caso che fra quelle masse vegetali si nascondesse qualche coccodrillo e si calarono sul sett che era formato da un denso strato di ambath e di foglie di loto, strettamente amalgamate.
«Vi sostiene?» chiese Ata, che stava curvo sul bordo.
«Sì, padrone,» risposero i due battellieri.
«Non scorgete nulla?»
«Aspetta.»
Affondarono le mani nella massa, frugando qua e là fra la moltitudine di radici che formavano un vero graticolato, e ben presto un grido di sorpresa sfuggì dalle loro labbra.
«Avevi ragione, padrone,» disse uno dei due. «Il canale è stato chiuso appositamente per impedirci il ritorno.»
«Che cosa hanno messo?» chiese Ata.
«Hanno piantato nel letto del fiume dei pali e hanno fatto deviare una massa considerevole di erbe, dopo daverle tagliate dal grande banco.»
«Giù tutti e aprite il passo,» comandò Ata, volgendosi verso gli altri etiopi che stavano dietro di lui, in attesa dei suoi ordini. «Non facciamoci sorprendere immobilizzati. Devono averci preparato qualche agguato. Fortunatamente il fiume è largo e le rive sono lontane.»
Mentre i battellieri scendevano per sbarazzare quel tratto di fiume che dei nemici misteriosi avevano appositamente ostruito, comparve sulla tolda Mirinri.
Il giovane non indossava più la lunga veste bianca che non si addiceva ad una persona dalto grado, né aveva i piedi nudi.
Portava invece il costume nazionale, così semplice, eppure così pittoresco, degli antichi egizi e che era rappresentato dalla kalasiris, una veste leggera, così trasparente da lasciar intravvedere le forme, a righe bianche ed azzurre, che avvolgeva il corpo a partire dal collo o dalla cavità del petto per cadere fino ai piedi e con un buco per lasciar passare la testa.
Vi aveva aggiunto, come esigeva il costume di quellepoca, nei personaggi cospicui, anche per le donne dorigine nobile, un collare variopinto di tela inamidata, quasi circolare, tutto chiuso, adorno di cordoni e di catene a cui erano infilate delle perline di vetro e simboli religiosi di pietre multicolori.
Ai piedi portava delle calzature a maglia e dei sandali, lusso permesso solamente ai ricchi, formati da pellicole di papiro sovrapposte a più strati, colla punta in forma di becco, come i nostri pattini da ghiaccio, fissati con un largo laccio guernito di piastrine doro e trattenuti da una correggia che passava fra il pollice e lindice.
«Che cosa cè dunque?» chiese, vedendo tutti gli etiopi sul sett.
«Brutte nuove,» rispose Ounis. «Si sospetta di noi.»
«Così presto?»
«Questa ne è la prova. Il canale non deve essere stato chiuso per capriccio. Per compiere un simile lavoro in poche ore devono essere giunte qui molte barche, montate da parecchie centinaia duomini.»
«Eppure tu hai preso per tanti anni le più accurate precauzioni. Ata è fidato?»
«Non dubito di lui.»
«Chi può aver tradito il segreto?»
«Quella gita compiuta dalla principessa non era che un pretesto. Ti si cercava. Mirinri, guardati da lei!»
«È figlia dellusurpatore?»
«Sì.»
Unemozione profonda si era dipinta sul viso del giovane Faraone. Stette parecchi istanti silenzioso, come raccolto in se stesso, poi disse con una certa esitazione:
«Eppure mi pare impossibile che quella donna che io ho strappato dalle fauci del coccodrillo, mettendo a repentaglio la mia vita, esiga la mia morte.»
«Odiala come la peggiore nemica.»
«Lei! Ma dunque le donne dei Faraoni posseggono delle malìe che nessuno può spiegare?»
«Lami dunque?»
«Sì, immensamente lamo,» rispose Mirinri con uno scatto dimprovviso entusiasmo. «Io non la posso dimenticare, perché sento ogni momento che io chiudo gli occhi, il fremito che io ho provato in quel giorno, quando la trassi dal Nilo, stillante acqua sacra.»
Ounis ebbe un sussulto ed i suoi lineamenti si contrassero quasi ferocemente.
«Strano destino del sangue,» disse.
Poi, volgendosi bruscamente verso Ata, che osservava sempre gli etiopi occupati a fendere, a gran colpi dazza, lammasso derbe che impediva alla barca di proseguire la sua rotta, gli chiese:
«Dunque?
«Ne avremo fino a domani e forse di più,» rispose legiziano. «Hanno deviato delle masse enormi che hanno trattenute con un numero infinito di pali. Qui è stato compiuto un tradimento infame e anche»
Un urlìo furioso, che salzava sulla riva sinistra del fiume gigante, accompagnato da scoppi di risa, gli aveva interrotta la frase.
«Qui, naviganti!» urlavano centinaia di voci rauche. «Non venite dunque a bere il dolce vino di palma? A terra o affonderemo la vostra nave e vi faremo bere invece lacqua del fiume!»
Una turba di uomini e di donne era comparsa improvvisamente sulla riva del fiume e si sbracciava, come se fosse diventata improvvisamente pazza, saltellando al di sotto dei palmizi, che ergevano i loro snelli tronchi e stendevano le loro foglie piumate.
«Qui! Qui!» gridava senza posa. «È la festa di Bast e vuotiamo gli avanzi del vino dellannata. Nessun forestiero può rifiutarsi! Scendete e rallegrate la nostra festa.»
In mezzo a quellurlìo, si udivano a squillare delle cornette che avevano delle note assordanti, quegli strani istrumenti musicali chiamati dagli antichi egizi tan e che i greci affermavano sembrare il loro suono allurlo di cani rabbiosi; le banit ossia le arpe facevano udire dei suoni dolcissimi, ai quali si confondevano le note un po stridule delle nebel, le chitarre usate in quellepoca e che sembra fossero importate dai popoli asiatici.
Ata si era fatto oscuro in viso.
«Un agguato o la festa annuale dei bevitori?» si chiese con apprensione.
«Che cosa vuoi dire?» domandò Mirinri, che era stato profondamente colpito da quei suoni, che mai aveva udito a echeggiare fra le sabbie del deserto.
«Tu non conosci le nostre feste,» rispose legiziano. «Il Figlio del Sole non è vissuto nelle nostre terre.»
«Chi sono quegli uomini?»
«Persone che si divertono,» rispose Ounis, che gli stava presso. «Tutti gli anni si radunano sulle rive del sacro fiume parecchie centinaia o migliaia di individui per terminare il vino di palma raccolto nellannata e nessuno deve ritornare alla propria casa se non è ubbriaco. È un costume del tuo futuro popolo.»
«E che cosa vogliono da noi?»
«Tinvitano a prendere parte alla loro festa.»
«Io con loro?»
«Sono ebbri, Figlio del Sole, e tu non puoi sapere a quale pericolo ci esporremmo colla barca immobilizzata, a non obbedire al loro invito,» disse Ata.
«Non ci tenderanno un agguato?» chiese Ounis.
«Sono troppo allegri.»
«I tuoi uomini avranno molto da fare ancora?»
«Sì, Ounis. Il passaggio è stato chiuso su una larghezza ragguardevole e non potremo proseguire il viaggio prima di domani mattina.»
«Sicché dovremo accettare il loro invito?»
«Credo che sia cosa prudente non rifiutare. Sono ubriachi, quindi capaci di tutto. Daltronde vedi le loro scialuppe muovere verso le masse erbose. Evitiamo qualsiasi sospetto e scendiamo a terra come onesti naviganti del Nilo. I miei etiopi si terranno pronti, in caso di pericolo, a difendere il Figlio del Sole.»
CAPITOLO SESTO. La festa degli ubriachi
Fra le tante feste che gli antichi egiziani avevano, certamente una delle più originali era quella dei bevitori di vino di palma. Tutti gli anni, delle centinaia e centinaia di uomini si radunavano sotto le foreste di palmizi per celebrare la festa chiamata di Bast ed era obbligo assoluto che nessuno tornasse alle proprie case se prima non era consumata interamente la provvista di vino di palma raccolto durante lannata. È probabile che gli antichi romani abbiano tratto da ciò i loro famosi Saturnali, poiché in quelle feste del vino, permesse dai Faraoni, non mancavano né suonatrici, né danzatrici, per esaltare maggiormente i bevitori e renderli addirittura folli.
Ed infatti sulla riva, che la luna illuminava in pieno, si scorgevano, confuse fra gli uomini, molte donne che indossavano dei costumi splendidi e che tenevano in mano degli istrumenti musicali. Anchesse, che sembravano pure molto allegre, invitavano con alte grida i naviganti a prendere parte allorgia e vuotare delle coppe in onore di Bast.