Le figlie dei faraoni - Emilio Salgari 5 стр.


«E tu credi che riviverà?»

«Sì, se tu sei un vero Faraone. Se la statua di Memnone ha suonato in tua presenza, non ho ora alcun dubbio che questi due bottoncini schiuderanno le loro corolle.»

«Da quanti anni è così disseccata?»

«Chi potrebbe dirlo? Da migliaia e migliaia di certo, ma molte volte è risuscitata e certo per volere del grande Osiride. A te, prendila e versa su questi bottoncini due goccie.»

Gliela porse, unitamente ad una piccola fiala di vetro che conteneva un po dacqua.

Mirinri la fissò per parecchi istanti. Il suo cuore tremava, come quando aspettava ansiosamente il suono della colossale statua. Se quellultima prova fosse fallita?

«Bagnala,» disse Ounis, vedendo che il giovane esitava. «Sono certo che fra poco io renderò a te lomaggio che il popolo egiziano deve ai Figli del Sole.»

Mirinri versò due goccie dacqua sui due bottoncini e subito vide, con immensa meraviglia, quella pianta, da secoli e secoli morta, dapprima fremere, poi agitarsi, raddrizzare i suoi tessuti, i bottoncini gonfiarsi ed arrotondarsi, quindi svolgere i loro leggeri petali allingiro, intorno ad un punto centrale di color giallo.()

La pianta meravigliosa di Osiride era risuscitata!

«Lasciala morire,» disse Ounis, vedendo Mirinri agitarla, come se fosse improvvisamente impazzito. «Taci e guarda!»

I due fiori che somigliavano a due splendide margherite, mantennero per qualche minuto i loro petali aperti e tesi, scoprendo il loro seno ringiovanito come per opera magica, cosparso di piccoli granelli, poi le loro tinte iridiscenti cominciarono a scolorirsi, gli steli si curvarono, le foglioline si ripiegarono su se stesse e tutto si appassì.

Il grido, che Mirinri aveva fino allora trattenuto, gli uscì formidabile dal petto:

«Sono un Faraone! Lode al grande Osiride! La potenza, la grandezza, la gloria! Ah! È troppo!»

Ounis prese il fiore e lo depose nuovamente nellincavatura del masso, poi singinocchiò dinanzi a Mirinri e gli baciò lorlo inferiore della candida veste, dicendo:

«A te lomaggio del tuo più fedele suddito. Io ti saluto, Figlio del Sole!»

«Quando avrò conquistato il trono tu sarai il mio primo ministro ed il capo supremo dei sacerdoti, mio devoto amico. La mia potenza non oscurerà la riconoscenza che ti devo.»

«Non desidero né onori, né grandezze,» rispose Ounis. «Daltronde, quando tu sarai re, io non ne avrò bisogno.»

«Perché Ounis?» chiese Mirinri sorpreso da quella frase oscura.

«Tutto non ti ho ancora narrato. Mi resta da fare al Figlio del Sole una rivelazione ancora, ma non la farò se non quando tu siederai sul trono dei Faraoni. Ora ci resta qualche cosa daltro da compiere, prima di lasciare questa piramide che non rivedrai mai più da vivo.»

«Quale?»

«Distruggere il cadavere che lusurpatore ha messo al posto di tuo padre. Quellignoto, chè forse un miserabile schiavo, non deve occupare un posto che spetta a Teti, né oltraggiare col suo corpo impuro la tomba dei Figli del Sole. Vieni, Mirinri.»

«Quellinfamia la sconterà,» disse il giovane, che ebbe un fremito di collera. «Non bastava a Pepi carpire a mio padre il regno: gli occorreva anche questa crudele derisione. Io farò a pezzi luomo che rappresenta in questo sepolcreto il corpo del Faraone, così non passerà lAmenti e non prenderà un posto che non gli spetta fra gli antenati luminosi.»

Il sacerdote diede allingiro un lungo sguardo, poi si diresse verso una delle pareti dove entro un incavo si scorgeva a brillare vagamente qualche cosa.

«Qui lo hanno collocato» disse.

Un feretro stava deposto in quellescavazione, un po al di sopra duna lastra di marmo nero, su cui sammonticchiavano corone di trifoglio, di loto bianco ed azzurro, accanto a piccoli mucchi di grano e di farina, a pezzi di carne disseccata ed a fiale contenenti latte, liquori e profumi.

Quella bara era duna ricchezza straordinaria, costruita con legname di quercia arabica, adorna di sculture finissime, che volevano rappresentare la grande vittoria riportata da Teti contro le orde Caldee, tutta dipinta, dorata ed incrostata di perle preziose.

Verso lestremità superiore, quel feretro terminava in una testa che doveva riprodurre esattamente i lineamenti delluomo che vi stava rinchiuso dentro.

Mirinri gettò via con dispetto i fiori e le offerte, salì sulla tavola di pietra e prese fra le sue robuste braccia la salma, deponendola al suolo.

«Questa testa rassomiglia a quella di mio padre?» chiese con viva emozione.

«Sì,» rispose Ounis.

«E questi occhi sono proprio i suoi?»

«Li hanno riprodotti esattamente.»

Mirinri guardò il vecchio, poi la testa, quindi tornò a guardare il sacerdote, facendo un gesto di stupore.

«Che coshai ora?» chiese Ounis aggrottando la fronte.

«Trovo una strana somiglianza fra i tratti di questo viso ed i tuoi. Anche gli occhi hanno il medesimo lampo cupo.»

«Vi sono tanti che si assomigliano,» rispose asciuttamente il sacerdote. «Apri il feretro: voglio vedere chi vi hanno messo dentro.»

Mirinri introdusse la punta della spada fra le commessure e con uno sforzo violento sollevò il coperchio.

Tosto apparve una mummia, rappresentante un uomo di alta statura, col viso solcato da due lunghe ferite malamente cucite e che lo rendevano irriconoscibile.

Tutto il corpo era strettamente avviluppato in un tessuto doro, con ricami formati da pietre preziose, per lo più smeraldi, e dorate aveva le unghie delle mani e dei piedi.

«È mio padre, questi?» chiese Mirinri.

«No.»

«Ne sei ben certo, Ounis?»

«Lho conosciuto troppo bene, per potermi ingannare.»

«Va bene,» rispose Mirinri.

Levò la mummia, che gettò con disprezzo al suolo, rinchiuse la bara e la ricollocò nel vano scavato nella parete della piramide, dicendo con voce ironica:

«Servirà a qualche altro: lusurpatore appartiene alla famiglia ed ha il diritto di dormire qui dentro. Prenderà il posto di questo miserabile schiavo od ignoto guerriero che sia.»

Poi afferrò la mummia, facendola crepitare fra le proprie dita, tanta era la sua collera e, volgendosi verso il sacerdote, disse con tono che non ammetteva replica:

«Usciamo!»

«Che cosa ne vuoi fare di quel morto?» chiese Ounis.

«Usciamo,» ripetè il giovane.

Attraversò la piramide, finché raggiunse la porta di bronzo che era rimasta aperta. Ounis la chiuse con quella chiave in forma di serpente e si trovarono entrambi in mezzo ai raggi ardenti del sole.

«Nessuno può entrare ora?» chiese Mirinri, che teneva sempre la mummia.

«Nessuno, fuorché Mirinri Pepi, il solo che possegga una chiave eguale a questa.»

«Questa tomba non si aprirà che per ricevere la salma dellusurpatore,» disse Mirinri, con voce cupa. «Lo giuro su Sib, il dio che rappresenta la terra; su Nout che rappresenta il cielo; su Nou il dio delle acque; su Râ che è il sole; sul grande Osiride e su Iside, lanimale sacro che il mio futuro popolo adora. Che Nacus, limpuro demonio della morte mi tragga nel regno delle tenebre; che mi sia negato il passaggio dellAmenti e la pace eterna nella regione nascosta, se io mancherò alle mie promesse. Ounis, tu che sei sacerdote, mi hai udito. Ed ora, vile carcame, che hai osato prendere il posto di mio padre, il grande guerriero che salvò lEgitto, va! Troverai una bara nelle viscere immonde delle jene e degli sciacalli.»

Ciò detto sollevò in alto e con quanta forza aveva, scagliò là mummia in mezzo alle dune, dove rimase colle gambe in aria.

«Quando potremo partire?» chiese poscia il giovane. «Ora che so di essere veramente il figlio di Teti, sono impaziente di conquistare lorgogliosa Menfi.»

«Adagio, Mirinri,» rispose il sacerdote. «Noi dobbiamo recarci colà con infinite precauzioni, e affiatarci segretamente coi vecchi amici di tuo padre. Se tu venissi scoperto prima di essere tanto potente da fronteggiarlo, Mirinri Pepi non ti risparmierebbe.»

«Dovrò dunque rimanere ancor a lungo in questo deserto e lasciar spegnere lentusiasmo che mi divora?»

«Non ti chiedo che tre o quattro giorni. Torniamo alla nostra dimora.»

La sera dello stesso giorno, Ounis, approfittando del sonno profondo del giovane Faraone, lanciava nel Nilo, con grande spavento dei coccodrilli e degli ippopotami che erano numerosissimi in quei tempi, delle piccole palle fiammeggianti che bruciavano anche in acqua, come i famosi fuochi greci dei quali fu perduto il segreto.

«Gli amici che vegliano sapranno così che Mirinri è pronto,» disse. «Aspettiamoli e che Osiride protegga il nuovo Figlio del Sole.»

CAPITOLO QUINTO. Alla conquista dun trono

Tre giorni dopo, verso il tramonto, un piccolo veliero, che rassomigliava molto alle dahabiad che si usano ancora oggidì sul Nilo, e che, al pari di quelle antiche, hanno gli alberi formati di vari pezzi e uniti con pelli di bue applicati ancora fresche e lasciate poi a disseccare, approdava nel luogo istesso dove Mirinri aveva scoperto il simbolo di vita e di morte.

Aveva la carena piuttosto larga e robusta, la prora arrotondata, con qualche ornamento doro sulla polena rappresentante un ibis colle ali spiegate, e due immense vele di lino bianco, simili nel taglio a quelle latine, ma colle punte più slanciate.

La montavano due dozzine e più di etiopi, uomini dalla pelle assai nera, e di forme erculee, che mostravano nude, non avendo che una larga fascia attortigliata intorno ai fianchi coi due capi pendenti fra le gambe che giungevano quasi fino a terra. Era daltronde quello il costume usato dal popolo ed era più che sufficiente, sotto quel clima sempre caldo anche durante i mesi invernali.

Un uomo che portava due grembiuli di cotone azzurro, di forma rettangolare, ripiegati in avanti e trattenuti intorno alle reni da una cintura di cuoio e sul capo una parrucca con grossi rotoli di capelli a gran riccioli tubiformi e trecce pendenti lungo le spalle, stava al timone.

Era un belluomo sulla quarantina, colla pelle solamente un po abbronzata e che incarnava il vero tipo dellegiziano antico: alto, piuttosto magro, con spalle larghe e piene, le braccia nervose terminanti con mani lunghe e fini, le gambe secche coi muscoli dei garretti assai pronunciati, come la maggior parte dei popoli camminatori.

Sul suo viso vi era una espressione di tristezza profonda, che si rifletteva viva nei suoi grandi occhi nerissimi, quella tristezza istintiva che si osserva anche oggidì negli egiziani moderni.

Appena la barca ebbe toccata la riva, che in quel luogo era alta e coperta da palmizi splendidi, legiziano diede ordine agli etiopi di gettare un pontile di legno, poi saccostò ad una specie di tamburo di grosse dimensioni, in forma dimbuto e si mise a percuoterlo poderosamente, intanto che uno dei suoi uomini dava fiato ad un flauto, traendo delle note acutissime che si potevano udire a qualche miglio di distanza.

Quella musica, ingrossata dai colpi sonori del tamburone, durò parecchi minuti, coprendo il gorgoglìo delle acque rompentisi contro le rive e sugli isolotti sabbiosi che ingombravano il maestoso fiume, e propagandosi intensamente sotto le vôlte di verzura.

Legiziano stava per far segno al suonatore di flauto di cessare, quando sbucarono da una macchia Ounis e Mirinri.

«Che Râ ti porti buona fortuna, Ata,» gridò il sacerdote. «Io ti conduco il futuro Figlio del Sole. Il fiore dOsiride e Memnone lhanno riconosciuto.»

«Era ora,» rispose legiziano, attraversando il pontile e scendendo sulla riva. «Tutto lEgitto freme, impaziente di vedere il suo legittimo re.»

Savvicinò a Mirinri, che si era fermato, guardando con una viva curiosità il comandante di quella bella barca e gli si inginocchiò dinanzi, baciandogli lorlo della veste.

«Salute eterna al Figlio del Sole,» gli disse. «Salute al discendente del grande Teti.»

«Chi sei?» chiese Mirinri, alzandolo.

«Un amico devoto di tuo padre e di Ounis,» rispose legiziano, «e vengo a prenderti per condurti a Menfi. Il tuo posto è là e non fra le sabbie del deserto.»

«Fidati di lui, come di me stesso» disse Ounis, volgendosi verso Mirinri. «È stato un fedele amico di Teti, fu anzi lui a rapirti dal palazzo reale ed a metterti in salvo, prima che nella truce mente di Mirinri Pepi nascesse lidea di trovare qualche mezzo per sopprimerti.»

«Se un giorno io salirò davvero sul trono dei miei avi, io ti mostrerò la mia riconoscenza,» disse il giovane Faraone.

«Hai veduto a passare i fuochi che io ho affidati alle acque del Nilo?» chiese Ounis

«Sì,» rispose Ata, «li ho fatti fermare al di sopra di Pamagit, onde le spie dellusurpatore non potessero sospettare qualche cosa. Bada che dovunque si veglia, perché a corte si sospetta che il figlio di Teti non sia morto.»

«Chi può avere tradito il segreto che ho custodito così gelosamente per tanti anni?» chiese Ounis, impallidendo.

«Lo ignoro, ma io so che un giorno una barca montata da una principessa ha rimontato il Nilo, fino a questo luogo, per ordine del re. Vi era su quella un uomo che aveva veduto più volte il giovane Mirinri, prima che io lo rapissi.»

«Io ho veduto quella principessa, anzi lho salvata mentre stava per essere divorata da un coccodrillo,» disse Mirinri.

«E gli uomini che montavano quella barca ti hanno veduto, Figlio del Sole?» chiese Ata, con apprensione.

«Sì.»

«Non ti hanno detto nulla?»

«Assolutamente nulla.»

«Vi era qualcuno che ti osservava attentamente?»

«Mi parve.»

«Ti rammenti, Figlio del Sole, che cosa portasse sul capo?»

«Un berretto molto alto, che sallargava verso la cima, adorno di simboli doro in forma di dischi e di corna.»

«Ed indosso che cosa aveva?»

«Una lunga ciarpa ed una pelle di leopardo annodata fra le due spalle.»

«È lui!» esclamò Ata, facendo un gesto di rabbia.

«Chi lui?» chiesero ad una voce Mirinri e Ounis.

«Il gran sacerdote di Iside. Me lo immaginavo.»

«Spiegati meglio, Ata,» disse Ounis.

«Più tardi: imbarchiamoci e partiamo subito. Sono certo che qualche cosa è trapelato e che in qualche luogo verremo assaliti. Da qualche mese delle persone sospette si aggirano intorno a me e sorvegliano la mia barca. Si cercava certo di sapere dove io mi recavo, quando mi assentavo da Pamagit, per venire a ricevere i tuoi ordini. Noi non viaggeremo che di notte, colle dovute precauzioni e cercheremo di sfuggire gli agguati che ci verranno indubbiamente tesi lungo il Nilo. Il segreto ormai è stato tradito e tu, Figlio del Sole, corri il pericolo di venire arrestato prima di entrare in Menfi.»

«Apriremo bene gli occhi,» disse Ounis.

«E, se verremo assaliti, ci difenderemo,» aggiunse Mirinri. «Sono fidati questi uomini?»

«Sono tutti etiopi valorosi, robusti e devoti a me,» rispose Ata.

«Imbarchiamoci.»

Attraversarono il pontile e salirono sulla barca. Essendo il vento contrario e la corrente invece favorevole, le due grandi vele vennero ammainate sul ponte, poi il piccolo legno fu lasciato libero, mentre gli etiopi, con lunghi remi, lo guidavano in mezzo ai banchi sabbiosi e alle masse di erbe acquatiche che ingombrano così di frequente quel fiume gigante.

Ata, dopo essersi assicurato che il legno non correva, almeno pel momento, alcun pericolo, condusse Mirinri e Ounis a poppa, dove trovavasi una cameretta tappezzata di stuoie variopinte e colle pareti coperte di grandi scudi di pelle, per lo più angolari di sotto e rotondi verso la cima, con un foro nel mezzo, per poter osservare il nemico e dun gran numero di armi di rame, di bronzo, di ferro e anche di legno, come spade, lance in forma di falci, mazze, ascie, pugnali di varie forme e parecchi archi colle relative faretre, piene di freccie colla punta di metallo

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