Le tigri di Monpracem - Emilio Salgari 4 стр.


 Sono le sei: fra due ore il sole sarà scomparso e le tenebre piomberanno sul mare. Che ognuno si metta alacremente al lavoro onde il praho, per la mezzanotte, sia pronto a riprendere il mare.

 Attaccheremo lincrociatore? chiesero i pirati, agitando freneticamente le armi.

 Non ve lo prometto, ma vi giuro che verrà ben presto il giorno in cui noi vendicheremo la sconfitta. Noi mostreremo, al balenare dei cannoni, la nostra bandiera sventolar sui bastioni di Vittoria.

 Viva la Tigre! urlarono i pirati.

 Silenzio tuonò Sandokan. Si mandino due uomini alla foce del fiumicello a spiare lincrociatore e altri due nei boschi, onde evitare di farci sorprendere, si curino i feriti, poi tutti al lavoro.

Mentre i pirati si affrettavano a fasciare le ferite riportate dai loro compagni, Sandokan si recò a poppa e stette alcuni minuti in osservazione, spingendo lo sguardo verso la baia, il cui specchio dacqua si scorgeva fra uno squarcio della foresta. Cercava senza dubbio di scoprire lincrociatore, ma questo pareva che non avesse osato spingersi troppo vicino alla costa, forse per la tema dincagliarsi sui numerosi banchi di sabbia che colà si estendevano.

 Egli sa di tenerci mormorò il formidabile pirata. Aspetta che noi usciamo nuovamente in mare per sterminarci, ma se crede che io lanci i miei uomini allabbordaggio singanna. La Tigre sa anche essere prudente.

Si sedette sul cannone, poi chiamò Sabau.

Il pirata, uno dei più valorosi, che si era già guadagnato il grado di sottocapo, dopo daver giuocata venti volte la propria pelle, accorse.

 Patan e Giro-Batol sono morti gli disse Sandokan con un sospiro. Si sono fatti uccidere sul loro praho, alla testa dei valorosi che cercavano di trascinare addosso alla nave maledetta. Il comando spetta ora a te e te lo conferisco.

 Grazie, Tigre della Malesia.

 Tu sarai valoroso al pari di loro.

 Quando il mio capo mi comanderà di farmi uccidere, sarò pronto ad obbedirlo.

 Ora aiutami.

Radunarono le loro forze, spinsero a poppa il cannone e le spingarde, e le puntarono verso la piccola baia onde spazzarla a colpi di mitraglia, nel caso che le scialuppe dellincrociatore avessero tentato di forzare la foce del fiumicello.

 Ora possiamo essere sicuri disse Sandokan. Hai mandato due uomini alla foce?

 Sì, Tigre della Malesia. Devono essersi imboscati fra i canneti.

 Benissimo.

 Aspetteremo la notte per uscire in mare?

 Sì, Sabau.

 Ci riuscirà dingannare lincrociatore?

 La luna si alzerà tardi assai e forse farà a meno di mostrarsi. Vedo alzarsi delle nubi dal sud.

 Faremo rotta su Mompracem, capo?

 Direttamente.

 Ed invendicati?

 Siamo troppo pochi, Sabau, per affrontare lequipaggio dellincrociatore e, poi, come rispondere alle sue artiglierie? Il nostro legno non è più in grado di sostenere un secondo combattimento.

 È vero, capo.

 Pazienza per ora; il giorno della rivincita verrà e ben presto.

Mentre i due capi chiacchieravano, i loro uomini lavoravano con febbrile accanimento. Erano tutti valenti marinai e fra di loro non mancavano né i carpentieri né i mastri dascia.

In sole quattro ore rizzarono due nuovi alberetti, raccomodarono le murate, turarono tutti i fori e rinnovarono le manovre, avendo a bordo abbondanza di cavi, di fibre, di catene e di gomene.

Alle dieci il legno poteva non solo riprendere il mare, ma affrontare anche un nuovo combattimento, essendo state rizzate perfino delle barricate formate con tronchi dalbero, onde proteggere il cannone e le spingarde. Durante quelle quattro ore, nessuna scialuppa dellincrociatore aveva osato mostrarsi nelle acque della baia.

Il comandante inglese, sapendo con quali individui aveva da fare, non aveva creduto opportuno impegnare i suoi uomini in una lotta terrestre. Daltronde si credeva certamente sicuro di costringere i pirati alla resa o di ributtarli verso la costa, se avessero tentato di assalirlo o di prendere il largo. Verso le undici, Sandokan, che era risoluto a tentare luscita in mare, fece richiamare gli uomini che aveva mandati a sorvegliare la foce del fiume.

 È libera la baia? chiese loro.

 Sì rispose uno dei due.

 E lincrociatore?

 Si trova dinanzi alla baia.

 Lontano molto?

 Un mezzo miglio.

 Avremo spazio sufficiente per passare mormorò Sandokan. Le tenebre proteggeranno la nostra ritirata.

Poi, volgendosi verso Sabau, disse:

 Partiamo.

Tosto quindici uomini scesero sul banco e con una scossa poderosa spinsero il praho nel fiume.

 Che nessuno mandi un grido per qualsiasi motivo disse Sandokan, con voce imperiosa. Tenete invece bene aperti gli occhi e le armi pronte. Noi stiamo per giuocare una tremenda partita.

Si assise presso la barra del timone, con Sabau a fianco e guidò risolutamente il legno verso la foce del fiumicello.

Loscurità favoriva la loro fuga. Non luna in cielo, anzi nemmeno una stella e nemmeno quel vago chiarore che proiettano le nubi quando lastro notturno le illumina superiormente.

Dei grossi nuvoloni avevano invasa la volta celeste, intercettando completamente qualsiasi chiarore. Lombra poi proiettata dai giganteschi durion, dai palmizi e dalle smisurate foglie dei banani, era tale che Sandokan penava molto a distinguere le due rive del fiumicello.

Un silenzio profondo, appena rotto dal lieve gorgogliare delle acque regnava sul quel piccolo corso di acqua. Non si udiva alcun sussurrio di foglie, non essendovi alcun alito di vento sotto le cupe volte di quei grandi vegetali e anche sul ponte del legno non si udiva alcun mormorio.

Pareva che tutti quegli uomini stesi fra la prora e la poppa, non respirassero più, per tema di turbare quella calma.

Il praho era già giunto presso la foce del fiumicello, quando dopo un lieve strofinìo sarrestò.

 Arenati? chiese brevemente Sandokan.

Sabau si curvò sulla murata e scrutò attentamente le acque.

 Sì disse poi. Vi è un banco sotto di noi.

 Potremo passare?

 La marea monta rapida e credo che fra pochi minuti potremo continuare la discesa del fiume.

 Attendiamo adunque.

Lequipaggio, quantunque ignorasse in seguito a quale causa il praho si era fermato, non si era mosso. Però Sandokan aveva udito lo scricchiolìo ben noto delle carabine che venivano armate ed aveva scorto gli artiglieri curvarsi silenziosamente sul pezzo di cannone e sulle due spingarde. Passarono alcuni minuti dangosciosa aspettazione per tutti, poi si udirono verso prora e sotto la chiglia degli scricchiolii. Il praho, sollevato dalla marea che montava rapida, scivolava sul banco di sabbia. Ad un tratto si liberò da quel fondo tenace, ondulando lievemente.

 Spiegate una vela comandò brevemente Sandokan agli uomini di manovra.

 Basterà, capo? chiese Sabau.

 Per ora sì.

Un momento dopo una vela latina venne spiegata sul trinchetto. Era stata dipinta in nero, sicché doveva confondersi completamente colle ombre della notte.

Il praho affrettò la discesa, seguendo i serpeggiamenti del fiumicello. Superò felicemente la barra passando fra i banchi di sabbia e le scogliere, attraversò la piccola baia e uscì silenziosamente in mare.

 Il vascello? chiese Sandokan, scattando in piedi.

 Eccolo laggiù, a mezzo miglio da noi rispose Sabau.

Nella direzione indicata si scorgeva confusamente una massa oscura, sopra la quale volteggiavano di quando in quando dei piccoli punti luminosi, certamente delle scorie sfuggite dalla ciminiera.

Ascoltando attentamente, si udivano anche i sordi brontolii delle caldaie.

 Ha i fuochi ancora accesi mormorò Sandokan. Egli adunque ci aspetta.

 Passeremo inosservati, capo? chiese Sabau.

 Lo spero. Vedi nessuna scialuppa?

 Nessuna, capo.

 Rasenteremo prima la spiaggia, per meglio confonderci colla massa delle piante, poi prenderemo il largo.

Il vento era piuttosto debole, ma il mare era calmo come se fosse dolio. Sandokan comandò di spiegare anche sullalbero maestro una vela, poi spinse il legno verso il sud, seguendo le sinuosità della costa.

Essendo le spiagge coperte di grandi alberi, i quali proiettavano sulle acque una cupa ombra, vi erano poche probabilità che il piccolo legno corsaro potesse venire scorto.

Sandokan, sempre alla barra, non perdeva di vista il formidabile avversario, il quale da un istante allaltro poteva di colpo risvegliarsi e coprire il mare e la costa con uragani di ferro e di piombo.

Si studiava dingannarlo, però in fondo allanimo il fiero uomo si doleva di lasciare quei paraggi senza la rivincita. Avrebbe desiderato di trovarsi già a Mompracem, ma avrebbe anche desiderato unaltra tremenda battaglia. Egli, la formidabile Tigre della Malesia, linvincibile capo dei pirati di Mompracem, aveva quasi vergogna dandarsene così, alla chetichella, come un ladro notturno. Solamente questidea gli faceva bollire il sangue e gli faceva avvampare gli sguardi duna collera tremenda. Oh! Come avrebbe salutato un colpo di cannone, anche quale segno di una nuova e più disastrosa disfatta! Il praho si era già allontanato di cinque o seicento passi dalla baia e si preparava a prendere il largo, quando a poppa, nella scia, apparve uno strano scintillìo. Pareva che miriadi di fiammelle sorgessero dalle profondità tenebrose del mare.

 Stiamo per tradirci disse Sabau.

 Tanto meglio rispose Sandokan con un sorriso feroce. No, questa ritirata non era degna di noi.

 È vero, capitano rispose il malese. Meglio morire colle armi in pugno che fuggire come sciacalli.

Il mare continuava a diventare fosforescente. Dinanzi la prora e dietro la poppa di legno, i punti luminosi si moltiplicavano e la scia diventava ancor più luminosa. Pareva che il praho si lasciasse dietro un solco di bitume ardente o di zolfo liquefatto.

Quella striscia, che scintillava vivamente fra loscurità circostante, non doveva passare inosservata agli uomini di guardia dellincrociatore. Da un istante allaltro poteva tuonare improvvisamente il cannone.

Anche i pirati, stesi sulla tolda, si erano accorti di quella fosforescenza, però nessuno aveva fatto un gesto solo o aveva pronunciato una sola parola che potesse tradire qualche apprensione. Anche loro non sapevano rassegnarsi ad andarsene senza sparare un colpo di fucile.

Una grandine di mitraglia sarebbe stata salutata con un urlo di gioia. Erano appena trascorsi due o tre minuti, quando Sandokan, che teneva sempre gli sguardi fissi sullincrociatore, vide accendersi i fanali di posizione.

 Se ne sono accorti forse? si chiese.

 Lo credo, capo rispose Sabau.

 Guarda!

 Sì, vedo che le scorie sfuggono più numerose dalla ciminiera. Si alimentano i fuochi.

Ad un tratto Sandokan scattò in piedi colla scimitarra in pugno.

 Alle armi! avevano gridato a bordo del legno da guerra.

I pirati si erano prontamente risollevati, mentre gli artiglieri si erano precipitati sul cannone e sulle due spingarde. Tutti erano pronti ad impegnare la lotta suprema.

Dopo quel primo grido era successo un breve silenzio a bordo dellincrociatore, ma poi la stessa voce, che il vento portava nettamente fino al praho, ripetè:

 Alle armi! Alle armi! I pirati fuggono!

Poco dopo si udì un tamburo rullare sul ponte dellincrociatore. Si chiamavano gli uomini ai loro posti di combattimento.

I pirati, addossati alle murate o affollati dietro alle barricate formate con tronchi dalbero, non fiatavano, ma i loro lineamenti, diventati feroci, tradivano il loro stato danimo. Le loro dita si raggrinzavano sulle armi, impazienti di premere i grilletti delle loro formidabili carabine.

Il tamburo continuava a rullare sul ponte del legno nemico. Si udivano le catene delle ancore stridere attraverso le cubie ed i colpi secchi dallargano.

Il vascello si preparava a lasciar lancoraggio per assalire la piccola nave corsara.

 Al tuo pezzo, Sabau! comandò la Tigre della Malesia. Otto uomini alle spingarde!

Aveva appena dato quel comando, quando una fiamma brillò a prora dellincrociatore, sopra il castello, illuminando bruscamente il trinchetto ed il bompresso. Una detonazione acuta rintronò, seguita subito dal ronfo metallico del proiettile sibilante attraverso gli strati daria.

Il proiettile smussò lestremità del pennone maestro e si perdette in mare, sollevando un grande sprazzo spumeggiarne.

Un urlo di furore echeggiò a bordo del legno corsaro. Ormai bisognava accettare la battaglia ed era ciò che desideravano quegli arditi schiumatori del mar Malese.

Un fumo rossastro sfuggiva dalla ciminiera del vascello da guerra. Si udivano le ruote mordere affrettatamente le acque, i brontolii rauchi delle caldaie, i comandi degli ufficiali, i passi precipitati degli uomini. Tutti si affrettarono a correre ai loro posti di combattimento.

I due fanali furono veduti cambiare posizione. Il vascello correva addosso al piccolo legno corsaro per tagliargli la ritirata.

 Prepariamoci a morire da prodi! gridò Sandokan, il quale ormai non silludeva sullesito di quella tremenda pugna.

Un urlo solo vi rispose:

 Viva la Tigre della Malesia!

Sandokan, con un vigoroso colpo di barra, virò di bordo, e mentre i suoi uomini orientavano rapidamente le vele, spinse il legno incontro al vascello per tentare di abbordarlo e scagliare i suoi uomini sul ponte del nemico.

Il cannoneggiamento cominciò ben presto da una parte e dallaltra. Si sparava a palla ed a mitraglia.

 Orsù, tigrotti, allarrembaggio! tuonò Sandokan. La partita non è eguale, ma noi siamo le tigri di Mompracem!

Lincrociatore si avanzava rapidamente, mostrando il suo acuto sperone e rompendo le tenebre ed il silenzio con un furioso cannoneggiamento. Il praho, vero giuocattolo di fronte a quel gigante, a cui bastava un solo urto per mandarlo a picco spaccato in due, con unaudacia incredibile assaliva pure, cannoneggiando meglio che poteva.

La partita però, come aveva detto Sandokan, non era eguale, anzi era troppo disuguale. Nulla poteva tentare quel piccolo legno contro quella poderosa nave costruita in ferro, e armata potentemente.

Lesito finale, malgrado il valore disperato delle tigri di Mompracem, non doveva essere difficile ad indovinare.

Tuttavia i pirati non si perdevano danimo e bruciavano le loro cariche con mirabile rapidità, tentando di sterminare gli artiglieri della coperta e di abbattere i marinai delle manovre, sparando furiosamente sul cassero, sul castello di prora e sulle coffe.

Due minuti dopo però il loro legno, oppresso dai tiri delle artiglierie nemiche, non era altro che un rottame.

Gli alberi erano caduti, le murate erano state sfondate e perfino le barricate di tronchi dalbero non offrivano più riparo a quella tempesta di proiettili. Lacqua di già entrava dai numerosi squarci, inondando la stiva. Pure nessuno parlava di resa. Volevano morire tutti, ma lassù, sul ponte nemico. Le scariche intanto diventavano sempre più tremende. Il pezzo di Sabau era ormai stato smontato e mezzo equipaggio giaceva sulla tolda massacrato dalla mitraglia.

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