Raggio di Dio: Romanzo - Anton Barrili 6 стр.


 Fossero tutte lì!  scappò detto a frate Alessandro.

 Ah, tu non vuoi starmi ai patti, frate scudiero!  esclamò il capitano Fiesco.  Polidamante, negagli il vino.

 Per carità!  riprese il frate scudiero.  Stavo appunto per accennargli di mescere; e vi chiedo assoluzione a mia volta. Sapete pure che in certi brutti momenti avevamo promesso di confessarci lun laltro. Ma proseguite, capitano, ve ne prego.

Il capitano Fiesco bevette un sorso, e ripigliò la lettura.

Ritornando ora al signor Almirante, dirò comegli, confidando oramai dessere prima o poi sovvenuto di navigli, e cedendo allimpulso del suo cuore sempre inchinevole a pietà, mandasse due uomini a terra, dei suoi più fedeli, per tornare allobbedienza i ribelli, avvisandoli dellarrivo della piccola caravella, e mandando loro a testimonianza del fatto, come della bontà sua, una parte dei presenti che gli aveva portati lEscobar. Già si disponevano alcuni ad accettare il perdono; ma li trattennero i Porras, più infelloniti che mai. E così, dopo essere stati un pezzo a consiglio, rispondevano tutti ad una, non volersi fidare del perdono, nè del salvacondotto che mandava loro il signor Almirante. Volentieri se nandrebbero quieti dallisola, segli promettesse di dar loro uno dei due navigli che aspettava, o mezzo naviglio, se uno solo ne fosse arrivato; e frattanto, poichè avevano perdute tutte le cose loro, volesse egli spartire con essi tutte quelle che aveva. E rispondendo i due ambasciatori non esser patti ragionevoli i loro, replicarono arroganti che quanto non si concedesse loro per amore, saprebbero bene pigliarsi per forza.

Altro aggiungevano i Porras, riscaldandosi via via. Bene conoscevano lAlmirante per uomo vendicativo e crudele. Per sè stessi non temevano, sapendosi forti di amicizie e protezioni alla Corte; bensì per tanti loro compagni dei quali egli avrebbe preso vendetta, sotto colore e nome di castigo. Per tali ragioni non si era fidato di lui Francesco Roldano; e bene gli era riuscito, essendo stato tanto favorito da far mandar lAlmirante carico di ferri in Castiglia. Nè essi avevano minor cagione o speranza di fare altrettanto. Della piccola caravella, poi, non era da creder niente; ad altri la dèsse ad intendere. Quella non era stata una caravella vera, ma un fantasma di nave, opera di negromanzia, essendo noto come valesse lAlmirante in quellarte diabolica. Perchè, se era opera duomini, non era rimasta, scambio di apparire a vespro e di sparir nella notte? Perchè con nessuno della sua marinaresca si era potuto parlare? Se fosse stata vera, bene si sarebbe affrettato lAlmirante a imbarcarvisi, col fratello e col figlio. Con le quali e con altre parole indirizzate allo stesso proposito, ottennero i Porras che la gente si confermasse nella ribellione, deliberando ancora di muovere verso i navigli, per far bottino, e prender lAlmirante prigioniero; se pure già non pensavano di far peggio.

E mandavano i fatti compagni alle parole, accostandosi alla spiaggia di Maima. Non era più tempo dindugi. Scese lAdelantado con cinquanta armati, risoluto di sanare quei cervelli matti con buone ragioni, se potevano bastare; con le cattive, se fosse stato mestieri. Giunto ad una collina, e fermatosi ad un tratto di balestra dai sollevati, Bartolomeo Colombo fece chiedere il capo loro a parlamento. Non risposero quelli alla proposta degli ambasciatori, e pensando di aver da fare con gente stremata di forze, brandendo le spade nude, e le lance che avevano, formati in un drappello, e gridando ammazza, ammazza, assalivano la squadra dellAdelantado; avendo prima giurato i sei più valenti di non dipartirsi luno dallaltro, ma di volgersi tutti contro Bartolomeo Colombo, perchè, morto lui, non facevano stima degli altri. Il che non piacque a Dio che loro venisse fatto, essendo stati così ben ricevuti, che cinque o sei ne caddero per terra, tra i quali erano i più di quelli che avevano giurato di colpire lAdelantado. E questi diè dentro così forte, uccidendo ed atterrando, che listesso Francesco Porras non fu più in tempo a fuggire; laonde, lui fatto prigione, voltarono le spalle quanti non eran caduti.

Volentieri avrebbe Bartolomeo Colombo proseguito linseguimento e lo sterminio di quei malvagi. Ascoltò nondimeno il consiglio di tale che aveva veduti sopra uneminenza i naturali in gran numero, e forse disposti a saltare sui combattenti, sotto colore di aiutare i sollevati, ma col proposito di opprimere i fedeli dellAlmirante. E di questo il consigliere non si loderà troppo, pensando che forse egli vide un po grosso, quel giorno; mentre forse era meglio sperdere in un colpo la mala semenza, poichè nessuno valeva forse meglio del loro capo prigioniero ed incolume, nè del suo fallito imitatore, lo speziale mastro Bernardo da Valenza; il quale, a detta del signor Almirante, avrebbe meritato desser fatto a pezzi non una volta ma cento.

Bene o male che fosse, linseguimento cessò, e ritornammo ai navigli, menando prigione Francesco Porras con altri de suoi. Della nostra gente due soli i feriti; listesso Bartolomeo Colombo in una mano, assai leggermente, e un maestro di sala dellAlmirante, percosso di lancia in un fianco. Pareva una cosa di nulla; pure, in capo a pochi giorni, il disgraziato morì. Dei sollevati, per contro, moriva in battaglia Giovanni Sanchez di Cadice, quello che sulle acque del Betlem si era lasciato sfuggire il cacico Quibian, per avergli allentata in mal punto la fune; e taccio daltri minori. Ferito in molte parti del corpo, e rovinato giù da una balza, guariva invece Pietro di Ledesma, il forte nuotatore che tuffatosi in acqua dalla nave di Colombo, aveva superata la barra del Betlem, giungendo alla piccola colonia dellAdelantado, e riportandone per listessa via le tristi notizie al signor Almirante.

E merita costui un particolare ricordo, per la stravaganza del caso. Per due dì, dal 19 maggio, che fu il giorno della battaglia, rimase in quella fossa, senza che alcuno sapesse di lui, o gli desse aiuto, tranne glIndiani; i quali con maraviglia, non sapendo come tagliassero le spade nostre, gli aprivano con istecchi le ferite; una delle quali nella testa, per cui si vedeva il cervello, unaltra in una spalla, che si era quasi spiccata; unaltra ancora ad una gamba, spaccata dalla coscia alla caviglia; unaltra finalmente (e questa non si sapeva come fosse avvenuta) alla pianta del piede, dal calcagno alle dita. Coi quali danni nello scafo, quando glIndiani gli davan più noia, diceva: lasciatemi stare, che sio mi levo su, vi farò E lo diceva con tal voce di tuono, che quelli spaventati la davano a gambe.

Inteso di quel fatto sui navigli, volle pietà che fosse curato e portato in una capanna, per ripararlo dal freddo della notte, e dalle migliaia dinsetti che lo molestavano di giorno, minacciando di finirlo essi soli. Quivi, invece di usar trementina a ciò necessaria, gli medicavano le piaghe con olio bollente. Le quali furono tante, da far strabiliare il cerusico. Infatti, ogni giorno dei primi otto che lo medicò, gli trovava sempre qualche nuova ferita.

La lezione domenicale del 19 maggio era stata così solenne, che la mattina del lunedì i superstiti fuggiti mandarono a chiedere misericordia. Si pentivano dei lor falli; volevano tornare alla obbedienza. E lAlmirante concesse un perdono generale, a patto che il Porras, capo ed istigatore, rimanesse in prigione, per non esser causa dalcun nuovo tumulto, e che i pentiti non venissero sulle navi a leticare coi rimasti fedeli, o a seminarvi zizzanie. Questi, per miglior consiglio, sotto la scorta di un fidato ufficiale, mandò per lisola al traffico, prendendo vettovaglie e dando cianfrusaglie in ricambio. Ed erano i baratti di questa forma; per uno o due utias, che son come conigli, si dava un ferretto di stringa; per una focaccia di pan di cassava, due o tre avemmarie verdi o gialle; per maggior quantità di cose, un campanello di ottone; ai capi delle tribù, che stavano ai patti, ora un piccolo specchio, ora una berretta rossa, ora un paio di forbici. Piccole cose, e di piccola utilità; ma sapevano contentarsene quei popoli agresti. Certo, in cuor loro pregavano Giocovagama che ci rimandasse in Azatlan, donde eravamo venuti. Amavano il Giocomina degli uomini bianchi; ed egli ne meritava lamore. Ma quante anime nere, tra quegli uomini bianchi! Per un vero figlio del cielo, quanti Goeiz scaturiti dinferno!

Inteso di quel fatto sui navigli, volle pietà che fosse curato e portato in una capanna, per ripararlo dal freddo della notte, e dalle migliaia dinsetti che lo molestavano di giorno, minacciando di finirlo essi soli. Quivi, invece di usar trementina a ciò necessaria, gli medicavano le piaghe con olio bollente. Le quali furono tante, da far strabiliare il cerusico. Infatti, ogni giorno dei primi otto che lo medicò, gli trovava sempre qualche nuova ferita.

La lezione domenicale del 19 maggio era stata così solenne, che la mattina del lunedì i superstiti fuggiti mandarono a chiedere misericordia. Si pentivano dei lor falli; volevano tornare alla obbedienza. E lAlmirante concesse un perdono generale, a patto che il Porras, capo ed istigatore, rimanesse in prigione, per non esser causa dalcun nuovo tumulto, e che i pentiti non venissero sulle navi a leticare coi rimasti fedeli, o a seminarvi zizzanie. Questi, per miglior consiglio, sotto la scorta di un fidato ufficiale, mandò per lisola al traffico, prendendo vettovaglie e dando cianfrusaglie in ricambio. Ed erano i baratti di questa forma; per uno o due utias, che son come conigli, si dava un ferretto di stringa; per una focaccia di pan di cassava, due o tre avemmarie verdi o gialle; per maggior quantità di cose, un campanello di ottone; ai capi delle tribù, che stavano ai patti, ora un piccolo specchio, ora una berretta rossa, ora un paio di forbici. Piccole cose, e di piccola utilità; ma sapevano contentarsene quei popoli agresti. Certo, in cuor loro pregavano Giocovagama che ci rimandasse in Azatlan, donde eravamo venuti. Amavano il Giocomina degli uomini bianchi; ed egli ne meritava lamore. Ma quante anime nere, tra quegli uomini bianchi! Per un vero figlio del cielo, quanti Goeiz scaturiti dinferno!

Capitolo IV.

Lepistolario di Cicerone

 Chi dorme si svegli;  gridò il capitano Fiesco, deponendo i suoi fogli, poichè aveva finito il capitolo.

 Siamo qui con gli occhi aperti e le orecchie tese;  disse frate Alessandro.

 Continuate, signor conte, se le dame permettono che si abbia una volontà in loro presenza;  aggiunse il cerimonioso don Garcìa.

 Le dame veglieranno fino a mezzanotte, se occorre;  disse a lui di rimando madonna Bianchinetta, avendo un cenno di assenso dalla contessa Juana.

 Avete tutti i voti, capitano;  conchiuse Giovanni Passano.

 Non tutti;  riprese il Fiesco.  Vedo che Ovando e Bovadilla sbadigliano. Del resto, per continuare a leggere, bisognerebbe che navessi materia. E sono rimasto qui, non avendo per laltro che un guazzabuglio di appunti. Debbo ancor raccontare mezzo mondo di cose: come e quando ci giunse la nave comperata dal Mendez, e unaltra mandata per vergogna dal gran commendatore di Alcántara; come si partì finalmente il 28 giugno dalla spiaggia di Maima, un anno e quattro giorni dopo averci dato in secco per nostra salute; come si giunse il 13 agosto nel porto di San Domingo, dove il nostro grande e santuomo ricevette senza perdere la pazienza le mendicate giustificazioni e le false proteste damicizia dellOvando; mentre a costui doveva scusarsi Bartolomeo Fiesco, per quanta poca voglia ne avesse, dellessersi allontanato da San Domingo, senza prender commiato da quel suo svisceratissimo amico; intanto che un bel mozzo tinto di carbone la faccia e le mani, un frate francescano più soldato che frate, e un certo don Garcìa travestito da marinaio e più nero del mozzo, si tenevano prudentemente sotto coperta. Come Dio volle, uscimmo da quella trappola il 12 settembre, dopo essere stati un mese collanima in soprassalto, per passare cinquantasei giorni sempre sospesi tra morte e vita, da San Domingo nel nuovo mondo a San Lucar di Barrameda nel vecchio. Che mare, vi ricordate? Cristoforo Colombo non lebbe mai peggio in sua vita. Ed anche si può dire che lAtlantico serbasse i suoi furori solamente per lui, non lasciandogli, salvo nellapprodo a Guanahani, un giorno intiero di pace. Agli altri navigatori sempre mare tranquillo, e vento in fil di ruota! È giusto, dopo tutto. Quello è il granduomo, epico e tragico ad un tempo; debbono dunque esser sublimi di angosce mortali tutti gli accidenti della sua vita. Gli altri sono i curiosi che vanno sullorma, i mediocri che seguono il solco tracciato da lui. Cabral, dOjeda, Vespucci, Cabotto, ed altri, quanti siete o sarete, che la fortuna manderà innanzi a pedate, affrettatevi a dimenticare quello che il gran Genovese ha operato per benefizio di tutti, non avendone altro che amarezze dagli uomini e tradimenti dalla vostra cieca signora. Ma basti di ciò, se pure non ho detto già troppo;  conchiuse il capitano Fiesco, prudentemente ammainando la vela.  Volevo dirvi che da San Domingo a San Lucar ce ne avrò ancora per quattro o cinque capitoli; dopo di che prenderò a raccontare la nostra particolare odissea, dalla Giamaica ad Haiti, e da questa a quella ritornando, con tutto quello che cè stato di mezzo. Sarà lepisodio nel poema eroico del nostro immortale cittadino; ma che episodio, siatemene voi testimoni! e ditemi ancora se per me non debba esser piuttosto il poema. Lo scriverò, mettendoci tutto il tempo che sarà necessario, e lo lascerò per ricordo ai Fieschi delle generazioni future.

 Lo darete alle stampe, speriamo;  disse il Passano.

 Questo poi no. Ai Fieschi, ho detto, e non ai fischi;  ribattè prontamente lautore.  Dimmi tu ora, Giovanni dellanima mia, se con questa allegrezza della Gioiosa Guardia, dove ho portato con me il premio maggiore che uomo potesse sperare dei patiti travagli, e con lonesto desiderio di lasciarne memoria ai dolci nepoti, io possa risolvermi di lasciare questo mio nido di pace per le chiamate del colle di Carignano.

 Che cè?  disse Juana, turbata a quel cenno improvviso.

 Leggi;  rispose il Fiesco, levando dal giustacuore la lettera che poche ore prima gli aveva consegnata Giovanni Passano.

Poi, rivolgendosi al suo luogotenente, soggiunse:

 Caro mio, non ti maravigliare. Per mia moglie e per mia madre non posso avere segreti.

Fior doro, intanto, aperto il foglio sotto gli occhi di madonna Bianchinetta, a mezza voce leggeva. E noi leggiamo con lei la lettera delleccelso ed illustre Gian Aloise Fiesco:

A messer Bartholomeo Feisco nostro amato parente nec non viro excellentissimo

Havemo ricevute a suo tempo le doe lettere che Voi ne mandasti per lo cavallante Nicholin di Baceza et per lo ballestero Anthonio de Rì. Le quali ne hanno immensamente allegrato per quello che diti de la vostra bellissima sposa et de la nostra nobile cugina Bianchineta che Dio vardi. Ma similmente non intenderne che Voi vi adormentati in ocio de Gioyosa Guardia, come novo Hercule in Lydia, salva sempre la gratia de la celeste Fior dauro; non parendone digno di cavallier come Voi et experimentato in tanti famosi incontri de terra e mar, di restar lontano et alieno da quelle imprese dove se guadagna gloria et roba per lustro del nome et potencia de la casata. Ergo è nostra mente che Voi vegniate quam primum poteritis a trovarci in Violato; che se noi facessimo come ne avressimo bon desiderio una seconda volta il viaggio, li maligni inimici del Gatto direbbono forsi che noi tememo per lo nostro capitanato de Levante; il che non sarìa savio da parte nostra. Etiam molte cose haverei da dirvi et tute di grande importancia per Voi et per noi che dite di amare, nel che volemo ben credervi. Onde Vi preghiamo non fate dimora. Il nostro Giovan di Passano el ve dirà a bocca quanto sia nostra voglia di vedervi accanto a noi per quel molto o poco che vorrete restare. E Iddio vi tegna sempre in la soa santa custodia.

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