I rossi e i neri, vol. 1 - Anton Barrili 3 стр.


Egli soleva dire a Lorenzo:

 Impara a leggere ne' tuoi codici; impara a scrivere le tue prose e i tuoi versi; ma impara anche a dare in tempo la botta diritta, e a piantare di primo lancio una palla di pistola in un palo, a quaranta passi discosto. Il coraggio l'hai; abbi ancora la destrezza, perchè gli uomini in maggioranza son tristi, e dai tristi bisogna sapersi far rispettare. Ama la patria, perchè essa, che ti ha dato i natali, è schiava dello straniero, e perciò non devi patire questa vergogna, non già per alcun bene che tu ti possa riprometter da lei. Così devi amare il tuo simile, senza dolerti delle sue doppiezze e de' suoi tradimenti. Se trovi una donna sincera, amala come io ho amato ed amo tua madre. Se trovi un amico che sia schietto e generoso, stendigli la mano. Se la donna o l'uomo non risponderanno alla fede che avevi riposta in essi, non ti accorare oltre il bisogno; sarà tanto peggio per loro; tu ara diritto, e non ti dar pensiero del resto.

Questi insegnamenti, misti alle conversazioni politiche, ai ricordi del campo, alla lettura di Plutarco e alle lezioni di scherma, avevano fatto opera gagliarda nell'animo sensitivo di Lorenzo. A quarant'anni, ammaestrato ad una simile scuola, sarebbe riuscito uno stoico; ma non aveva ancora diciott'anni, e lo aspettavano certe battaglie, alle quali si mostra inerme quel petto che era pur dianzi tetragono ad ogni avversità della vita.

La madre di Lorenzo era una di quelle donne, non troppo rare, la Dio mercè, presso noi, cresciute nel culto del bello, del buono e del vero. Ella aveva molto sofferto per la lontananza del marito, che fortemente amava, e al quale aveva consacrato quel ragionevole ossequio che si merita la virtù presso gli animi virtuosi. Egli, poi, la ricambiava di pari affetto, la sua nobilissima Luisa; per lei si spianavano le rughe della sua fronte; e quando ella parlava. Rigo Salvani trovava pure il modo di comporre ad un sorriso quelle sue labbra chiuse. L'amor loro poteva assomigliarsi a que' fiumi, i quali son tanto più profondi, quanto alla superficie vi appariscon più calmi.

E nondimeno taluni si argomentavano di sapere che negli anni dell'esilio il signor colonnello avesse fatte le sue. Ignoravano costoro che per la donna amata Rigo Salvani era tornato di sovente a casa, sotto mentite spoglie, arrisicando la libertà e la vita. Non erano questi davvero i diportamenti di un uomo, che mettesse i suoi affetti fuggevoli in paese straniero. Tuttavia, ed eccettuato quel tanto che vuolsi ascrivere al bisogno naturale della maldicenza, ecco da dove quelle ciarle avevano potuto prendere una mezza apparenza di vero. Al suo palese ritorno, che fu nel '47, Rigo Salvani aveva condotta con sè una bella fanciullina di forse otto anni, collocandola in casa come una sua propria figliuola.

Ora, siccome i Salvani vivevano piuttosto appartati, non si poteva a tutta prima capire che cosa significasse quella ascosaglia. Le poche domande che in un lungo spazio di tempo si poterono fare da qualche curioso, erano accortamente deluse. Ne seguì naturalmente che quanto non si sapeva di certo, si affermasse audacemente per vero, attinto da buonissima fonte, e che presto non ci fosse più alcuno, tra i conoscenti e i vicini della famiglia, il quale non credesse esser quella una figlia naturale di Rigo Salvani. La cosa era chiara; non poteva essere altrimenti; e qui taluno, di fantasia più ferace, rimpolpava di qualche particolare la chiacchiera, accennando, coll'aria di chi sa più che non voglia dire, a certo amorazzo di Spagna, e compiangendo sinceramente la povera signora Luisa, costretta a tenersi in casa quel frutto degli illeciti amori del vagabondo consorte.

Ma la povera signora Luisa non pareva dolersene, come tutta quella brava gente avrebbe desiderato, per accattar fede ai suoi benevoli sospetti. Essa amava teneramente la fanciulla; ed anche Lorenzo, di sette anni maggiore in età, l'aveva in conto di sorella. Quante volte ritornava a Genova in vacanze, ci aveva sempre il suo presente per la cara Maria, che d'anno in anno cresceva in bellezza, affinandosi in grazia, in gentilezza, in bontà, tutta amore e devozione per quella che aveva preso a chiamare anche lei col dolce nome di madre. Presentiva ella, tenendosi così stretta al fianco della pietosa signora, che troppo breve spazio di tempo le sarebbe avanzato per dimostrarle tutta la sua gratitudine?

Nel '55 la signora Luisa morì: il colonnello, d'allora in poi, fu più taciturno, più chiuso del solito: Lorenzo per quell'anno lasciò le Pandette e il Digesto da banda, e non si mosse da Montobbio, perchè, oltre il suo proprio dolore che lo aveva abbattuto, c'era l'accoramento del babbo, che gli faceva paura.

Tutte le mattine, sull'alba, Rigo Salvani era al camposanto a salutare la tomba di sua moglie, quella tomba che racchiudeva la miglior parte di sè, tutte le ricordanze profumate della sua giovinezza, gli amori, le gioie, i patimenti in ugual misura divisi tra due nobili cuori. Nè l'amore dei figli poteva più bastare a quell'anima sconsolata. I figli nostri son nati per la vita del futuro, nè ci compensano della perdita di chi ha vissuto con noi amorosamente il passato.

Un giorno. Rigo Salvani, andato secondo il costume al camposanto, non ne fu più visto ritornare. Lo trovarono freddo irrigidito sulla tomba della moglie. Le due parti d'una sola esistenza, che tali si potevano dir veramente, divise per breve ora dalla morte, si erano nella morte ricongiunte. L'orfano pianse a lungo i parenti, ed allorquando le lagrime cessarono, il suo cuore era già largamente abbeverato di quella amarezza, che è il viatico degli onesti nel mare procelloso della vita. Dei cari estinti gli rimaneva pur qualche cosa; il culto dei severi insegnamenti, il sacro debito di dar sesto alle non prospere cose domestiche, e di essere a sua volta come un padre per la giovine Maria.

Lasciò allora la campagna, e pose dimora in Genova, dove sperava di cavare in qualche onesta maniera il vivere, pure attendendo a finire i suoi studi. Delle sostanze paterne ben poco si potè sottrarre ai creditori ed ai vampiri giudiziarii. Intanto due anni passarono, e salvo l'esser giunto a conseguir la licenza in leggi, il povero Lorenzo non era venuto a capo di nulla. E di sovente pensava al triste futuro, alla sua vita senza indirizzo, senza speranze, con pensieri a contrasto coi fatti, come con le necessità urgenti del giorno. Vero figlio del suo secolo, si lagnava del padre suo che lo divorava, come Saturno la prole.

Che cosa avrebbe egli fatto? L'avvocato? Era una bisogna troppo lunga, nè egli aveva modo di aspettare un altr'anno per la laurea, poi due per le pratiche, e dio sa quanti altri per sudarsi una clientela. C'erano i pubblici uffizi; ma in questi si comincia sempre dal lavorare per nulla, e a farsi avanti occorre poi sempre una legione di santi intercessori, Darsi al commercio? Peggio che mai. Anche a cominciar da scritturale, da commesso, da galoppino, gli sarebbe bisognato rifar da capo tutta la sua educazione, e aver conoscenti che sapessero e volessero raccomandarlo caldamente qua e là, dove e quando il posticino si potesse trovare. Intanto, il bisogno di lavorare incalzava. Lorenzo era giunto a quell'ultimo stadio dell'agiatezza, allorquando dall'oggi al domani si casca nelle strette della necessità, perchè si è vissuti con gli ultimi avanzi di una modesta sostanza, e non si sa ancora che cosa sostituirvi.

Egli tuttavia non si era perduto d'animo, vagheggiando in buon punto un modesto disegno. Apertosi schiettamente coll'amico Assereto, aveva finalmente, nè senza fatica, trovato qualche cosa. L'Assereto era uomo di partiti, e di facile entratura; amava anche molto Lorenzo Salvani, col quale discorreva volentieri di letteratura. Il che non deve far maraviglia ai lettori non genovesi. Essi hanno da sapere, infatti, che da noi le Camene son tenute in conto più che a prima vista non sembri. La necessità fa l'uomo industrioso, perciò il genovese, quando sia giunto all'età di dover pensare ai casi suoi, si mette a lavorare con tutte le sue forze; ma non dimentica le panche della scuola, e gli studi geniali della adolescenza gli sorridono sempre, come l'immagine dell'òasi al viaggiatore del deserto. S'ingegna tutto il giorno sulla piazza de' Banchi e sulla popolosa calata del porto; ma si riposa alla sera discorrendo d'arte, mettendo a confronto drammi e commedie, teatri di prosa e teatri di musica, ed accettando la discussione su tutti i rami dello scibile.

L'Assereto, voleva ad ogni costo trovar modo di aiutare l'amico Salvani. A grossi guadagni non c'era da pensare, pur troppo; ma occorreva procacciargli tanto da tirar avanti la barca, aspettando una giornata di buon vento. Quel tanto, gli pareva di averlo trovato presso un ricco bottegaio, il quale «sapeva poco di lettera», e aveva bisogno di uno, che ogni sera gli mettesse a segno i suoi conti.

Non arriccino il naso certi lettori schizzinosi, al sapere che Lorenzo Salvani, uno dei più ragguardevoli personaggi della nostra storia, teneva i libri d'un bottegaio. Se hanno essi un'altra occupazione più nobile da offrirgli, ci usino la cortesia di avvisarcene, e noi lo accomoderemmo subito al loro servizio. Di meglio non s'era trovato allora; ma era pur sempre il principio di qualche cosa. Ottanta lire al mese, pagate in sedici scudi d'argento, non erano una spregevole moneta, e Lorenzo Salvani la guadagnava con due orette di lavoro notturno, che neppur l'aria aveva a risaperlo.

Quelle ottanta lire, messe insieme con qualche avanzo delle antiche sostanze e con alcune gioie di famiglia, vendute alla spicciolata, aiutavano tre persone a vivere. Lorenzo, la giovine Maria, ed il vecchio Michele, veterano di Montevideo e di Roma, il quale, a sua volta, si acconciava all'umile ma gradito ufficio di servitore. La pigione di casa, al tempo in cui comincia il nostro racconto, era pagata ancora per tre mesi.

E adesso, che abbiamo fatto intendere un poco lo stato delle cose nella famiglia Salvani, non sarà male proseguire la narrazione interrotta.

III

Nel quale si racconta di un uomo di capelli rossigni, e di una spasimata voglia che aveva di scendere in campo per la sua dama.

Abbiamo lasciato Lorenzo nel punto che egli era per entrare nel salottino, chiedendo a sè stesso chi fosse mai l'importuno che veniva a cercare di lui. L'importuno era un giovinotto sui trenta, lungo e magro, con una testa volgare, capelli rossigni e ruvidi, corti e radi i peli sul viso, la guardatura fosca. Non bello, adunque; ma non per niente è stata inventata la moda, che anco d'un ceffo di cane può farvi una faccia da figurino di Parigi.

I capelli rossigni del nuovo venuto erano dunque tagliati a spazzola sulle tempia, con la divisa tirata ben diritta e bene impomatata sul cranio. La barba rada, che traeva un pochettino al castagno, si stendeva tra gli orecchi e gli zigomi in due ventole smilze. Il labbro superiore e il mento accuratamente rasi, lasciavano risaltare una bocca sottile, ornata di denti bianchissimi, ch'egli faceva spesso vedere, con notevole compiacenza. La magrezza delle membra, coll'aiuto d'un vestimento all'inglese, simulava sveltezza di forme. I guanti perlati, coi tre cordoncini neri sul dorso, che era mezzo coperto dai manichini insaldati, lo stivalino inverniciato, e l'occhialetto cerchiato di tartaruga, davano il compimento a questo esemplare della grazia posticcia d'allora, e di poi. C'era insomma tutta la parte materiale della eleganza aristocratica; e l'aspetto dell'uomo, così ridotto a forme di consuetudine, poteva riuscir tollerabile ai più, e, crepi l'avarizia, parer grazioso a parecchi.

Lorenzo Salvani non seppe trattenere un atto di maraviglia, quando vide costui nel suo salottino. L'inarcamento delle ciglia e la testa tirata indietro significavano il più grosso dei punti ammirativi, e una filza di puntini per giunta.

 Collini!  esclamò egli, senza muoversi ancora dal suo atteggiamento.

 Sì, Collini, per l'appunto;  rispose l'altro con un sorriso ch'egli si studiava di rendere amabile.  Vi maraviglia forse?

 Forse; lo avete detto voi stesso;  ripigliò Lorenzo, con accento malizioso, ma senza cattiveria.  Ma che buon vento vi sbalza quassù?

 Non troppo buono, per verità;  disse il Collini.  Comunque sia, non vi dispiaccia che io sia venuto da voi per chiedervi un servizio da amico.

 Non potevate farmi cosa più grata,  disse di rimando il Salvani.  Son così lieto quando posso renderne uno, che ciò mi consola della mia pochezza, e della mia povertà. Accomodatevi, prego, e veniamo all'essenziale.

 Eccolo;  rispose il Collini, sedendosi sulla scranna che Lorenzo gli offriva.  Questa notte, alla veglia del Ridotto, sono stato insultato.

 Oh diamine! e da chi?

 Dal marchesino di Montalto. Un tale che non ha il becco d'un quattrino! Lo conoscerete; è quel coso biondo, tutto superbia, che va sempre ritto impalato, nell'eterna compagnia del Pietrasanta.

 Voi sapete che io non ho dimestichezza con questi signori del patriziato. Vivo così fuori del mondo!

 Ah, è vero; e forse è il meglio che si possa fare;  concesse con un mezzo sospiro il Collini,  Ma a noi la professione comanda di viverci dentro, e bisogna adattarsi. Io dunque vi dicevo che questa notte, al ridotto del Carlo Felice, sono stato insultato dal signor Montalto, e alla presenza di una signora, di una dama.

 Perdio! la cosa è grave. Ma dite in che modo?

 Oh, si andrebbe per le lunghe;  rispose il Collini, con aria impacciata.

 Scusate;  si affrettò a dire Lorenzo.  Non domandavo del modo, se non per misurare la gravità dell'offesa, e non pensavo affatto alla persona che era presente. Le donne, in questi casi, van nominate il men che si può. Ma bisognerà pure, se debbo darvi consiglio, bisognerà pure ch'io sappia la frase, la parola di cui vi ritenete offeso.

 Avete ragione, Salvani; ed ecco qua tutto il necessario. Accompagnavo la signora, che era mascherata. La signora bisbigliò alcune parole, certamente di grazioso motteggio, come è l'uso, al marchese di Montalto, il quale stava insieme col marchese Pietrasanta, in un angolo della sala dove c'è il camino. Non udii le parole della signora; ma quali si fossero, non dovevano meritare una dura risposta, alla quale essa ribattè prontamente ch'egli non era cortese. Notate, Salvani, che la signora è di buonissima nobiltà, e le smorfie del Montalto, che non potrà poi far risalire la sua al tempo delle Crociate, erano veramente fuori di posto, e un grazioso motteggio della contessa Oh, perdonate, quasi mi lasciavo sfuggire il suo nome.

 Non importa,  disse Lorenzo.  Io non soglio ricordarmi di ciò che debbo dimenticare. Proseguite pure.

 Orbene,  soggiunse il Collini,  a quel piccolo rimprovero della signora, il Montalto fece un inchino impertinente, accompagnato da un sorrisetto sarcastico.

 E voi?

 Io non potei ritenermi dal fargli notare la sconvenienza del suo ghigno. Ma egli allora, rialzando il capo e guardandomi in atto sdegnoso, mi disse: «Voi badate ai fatti vostri». Volli replicare; ed egli da capo: «Mi provocate voi forse?»  «Sì, perchè no?»  «Voi?» ribattè egli, beffardo.  «Signore» dissi allora, «io non so di che cosa possiate ridere, quando io vi parlo in questo modo; ma penso lo direte a coloro che avrò l'onore di mandarvelo a chiedere».  «Saranno i ben venuti» rispose; e ci separammo. Eccovi tutto l'accaduto. Che cosa debbo fare?

E il giovinotto dai capelli rossigni stette ansioso ad aspettar la risposta.

 Perbacco!  esclamò Lorenzo Salvani.  Non trovo altro modo di uscirne, se non mandando i padrini a questo marchese di Montalto. La ragione del duello mi sembra assai lieve; ma probabilmente c'è sotto qualche ruggine colla signora

 Colla signora? Oh no;  rispose il Collini.  Ella mi disse di non conoscere il Montalto altrimenti che di vista, e di non avergli detto se non cose gentili, e molto innocenti.

 Allora ci sarà una ruggine del Montalto con voi.

 Eh, qui penso che abbiate ragione, Salvani. Egli deve volermi un mal di morte, perchè gli ho lasciato sempre intendere di non stimarlo gran che.

Назад Дальше