I rossi e i neri, vol. 1 - Anton Barrili 4 стр.


E il giovinotto dai capelli rossigni stette ansioso ad aspettar la risposta.

 Perbacco!  esclamò Lorenzo Salvani.  Non trovo altro modo di uscirne, se non mandando i padrini a questo marchese di Montalto. La ragione del duello mi sembra assai lieve; ma probabilmente c'è sotto qualche ruggine colla signora

 Colla signora? Oh no;  rispose il Collini.  Ella mi disse di non conoscere il Montalto altrimenti che di vista, e di non avergli detto se non cose gentili, e molto innocenti.

 Allora ci sarà una ruggine del Montalto con voi.

 Eh, qui penso che abbiate ragione, Salvani. Egli deve volermi un mal di morte, perchè gli ho lasciato sempre intendere di non stimarlo gran che.

 Male!  esclamò Lorenzo.  Consentite a me, più giovine di voi, ma vostro antico compagno alle medesime scuole, di sgridarvene un poco. Gli uomini bisogna stimarli tutti, senza accarezzarne nessuno. Ora a noi; in che cosa posso esservi utile?

 Già lo immaginate, poichè vi ho detto d'esser venuto chiedervi un servizio. Fatemi da padrino.

 Sta bene;  disse Lorenzo, accennando del capo.  Siete pratico d'armi?

 E di sciabola e di spada ho tre anni di scuola, da Licurgo Cavalli.

 Ce n'è d'avanzo. E di pistola?

 Mi son sempre esercitato.

 Ottimamente! Due grammi di coraggio, di cui non patirete certamente difetto; due di sangue freddo, che è proprio dell'arte vostra, e siete armato di tutto punto. Dove abita questo Montalto?

 In via Balbi.

 Palazzo?..

 Oh, non abita in un palazzo, il marchese di Montalto. La nobiltà ce l'ha tutta in boria. Non ricordo più il numero dello stabile; ma non vi sarà difficile trovarlo, prendendo lingua dai bottegai di là dal palazzo Reale. Aspettate; ricordo che c'è un portinaio, e ch'egli abita al secondo piano.

 Bene, bene, lo troveremo;  conchiuse Lorenzo.  Ma, a proposito del mio plurale, non avete un compagno da darmi, per questa bellica impresa?

 Non ne ho; non saprei  disse impacciato il Collini.

 Come? E non siete voi sempre in fiorita compagnia, nella quale potrete sempre trovar l'uomo che occorre?  chiese Lorenzo, che non poteva più stare alle mosse.  I vostri antichi compagni li avete sempre trascurati un tantino, per andare con altra gente, e di maggior levatura. Non dico ciò per farvene un rimprovero. Dio guardi. Accenno il fatto, e ripeto lagnanze di vecchi amici, che forse, confessatelo, da un pezzo in qua non v'accorgevate nemmeno che fossero al mondo.

 È un'accusa che non merito;  gridò il Collini, arrossendo.  La mia professione di medico, l'onesto desiderio di tirarmi innanzi, mi hanno condotto a vivere più in un ceto che in un altro; ma io vi giuro

 Oh, non giurate nulla;  interruppe Lorenzo.  Capisco tutto, e vi ripeto che non parlavo per farvi rimprovero. Io, finalmente, debbo riconoscere che nel momento del bisogno avete pur fatto capo alla mia modesta persona. Sapete da quanto tempo non ci troviamo insieme? Da due anni.

 Credete?  balbettò il Collini, arrossendo ancora.

 Se lo credo! ne son certo. Ma andiamo, via! Non avete tra i vostri magnati l'uomo che vi possa servire? Lo cercherò io tra i miei fedeli del buon tempo e del gramo. Pregherò l'Assereto di darmi man forte.

 L'Assereto? Mi par di conoscerlo.

 Certamente, lo conoscerete. Studiava filosofia con me, all'Università, quando voi eravate ai primi anni di medicina. Ma noi altri non ci siamo perduti di vista, sebbene egli abbia mutato strada. Ordunque, ai fatti. Aspettatemi due minuti, e sono ai vostri comandi.

Come il lettore ha veduto, questo signor dottor Collini, che veniva a chieder servizi di tanto rilievo, non si faceva notare per costanza nelle sue amicizie. Inoltre, viveva in un ceto di persone, e andava a cercare assistenza fraterna in un altro, in quello, per l'appunto, che aveva abbandonato.

Il dottor Collini (lo diciamo ora, poichè ci viene in taglio) era un ambizioso di tre cotte, e della modesta sostanza che aveva ereditata dai suoi, si era giovato accortamente per frequentare i gran signori. Esercitava la medicina, nella quale era versatissimo e già famoso per qualche cura fortunata, sebbene ancor giovine: ma si diceva che quel giovine medico s'aiutasse più con la sottigliezza dei raggiri che con la bontà delle ricette. E taluno, anzi, più addentro in certi misteri della vita cittadina, lo accusava d'imprestar denaro ai figli di famiglia, ai troppo vivaci rampolli delle nobili casate con le quali era entrato in relazione, per farselo poi restituire raddoppiato dai frutti, o triplicato, o quadruplicato, col savio metodo delle rinnovazioni. Ahi, la calunnia! Ma egli in questi negozi non entrò mai per suo conto: parlava, faceva parlare da altri, e non domandava nemmeno di essere ringraziato della sua cortese intromissione. Al più, volendo malignare ad ogni costo, si sarebbe potuto dire che egli sapesse collocar bene il suo denaro, essendo uno dei socii occulti del banco Cardi Salati e C., del quale a suo tempo racconteremo vita e miracoli. Brutta cosa, non è vero? Ma questa non si sapeva, e quanto a certe chiacchiere di gente malevola, il Collini le poteva disprezzare. Dotto e virtuoso per molti, non aveva agli occhi loro altro difetto che l'ambizione, anzi la forma più tenue dell'ambizione, la vanità. E se ne rideva un pochino, senza perdergli stima. Si sa bene, chi non ha il suo difettuccio? La vanità è il piede di creta di tanti colossi! Ma bisognava anche dire che la vanità del Collini, non che un piede, fosse una gamba a dirittura.

Per avere un titolo di conte, il giovinotto avrebbe sacrificato Dio sa che cosa, e, stiamo per dire, battuto moneta falsa. Però invidiava al marchese di Montalto le sue pergamene, come gl'invidiava la bellezza (un po' sciocca, la chiamava egli tuttavia) e i sospiri delle belle signore. In teatro gli davan noia gli applausi prodigati ad un tenore, come di cosa che gli levassero a lui: sulla pubblica piazza avrebbe augurato il capitombolo ad un saltatore di corda, ad un mattaccino, per tutte le prodezze che sapevano fare, e che tiravano troppo l'attenzione della folla.

Lorenzo Salvani non sapeva niente di ciò. Nel Collini non vedeva altro che un semplice vanerello, e, da buon filosofo com'era, gli perdonava facilmente quel suo peccatuccio. Era d'altra parte contento che nell'ora della necessità, in una di quelle occasioni che provano gli amici, il Collini si fosse ricordato d'un vecchio compagno di scuola, da gran tempo a mala pena salutato per via.

Così risoluto di rendergli servizio, si vestì in fretta, mise nel taccuino alcuni biglietti di visita, e uscì di casa in compagnia del Collini, suo Pilade improvvisato.

L'Assereto fu presto scovato tra piazza dei Banchi e il vicolo de'

Cartai, ragguagliato d'ogni cosa e persuaso a dare una mano. Due ore più tardi, egli e il Salvani erano al caffè della Concordia, dove il

Collini stava aspettando l'esito della loro visita al marchese di Montalto.

 Ebbene?  chiese egli ansioso.

 Tutto fatto;  rispose Lorenzo.

 Come, fatto?

 Eccovi tutto per filo e per segno. Abbiamo trovato il signor marchese, assai garbato nei modi, quantunque ne trapelasse un poco della sua alterigia. Saputo del nostro incarico, ci domandò se sapevamo anche le condizioni dell'alterco tra lui e voi. Io, come potete immaginare, risposi di no; che infatti siamo ancora adesso a non saperne nulla. Parve meravigliato, e mormorò tra i denti: «Tanto meglio; vorrei essermi ingannato». Gli chiesi allora che cosa significassero quelle sue parole di colore oscuro. «Niente, niente che vi possa dispiacere, nel vostro delicatissimo ufficio» si affrettò egli ad aggiungere colla maggior compitezza. «Voi bene intenderete, signori, che per andarmi a incontrare sul terreno col signor Collini io non sono certamente costretto a pensare di lui come ne pensano i suoi amici. La sua riserbatezza, del resto, gli fa molto onore, e voi vedete che amo rendergli giustizia. I miei padrini sono il marchese Pietrasanta e il conte Nelli di Rovereto, capitano nel settimo reggimento di fanteria». Infatti, quei due signori erano in casa sua, e ce li presentò. Sono due compitissimi cavalieri, e c'intendemmo subito. Noi abbiamo lasciato loro, com'era giusto, secondo gli usi nostri, la scelta dell'arma, ed essi hanno scelta la spada.

Un sottile osservatore avrebbe potuto notare un lieve mutamento sul volto del Collini, una cosa da niente, ma di quelle che bastano a far sentenziare sommariamente di un uomo. Lorenzo tuttavia non si addiede di nulla, e la faccia del Collini si ricompose prontamente. Che paura, del resto? Una piccola scossa, a tutta prima, sentendo nominar l'arma che si dovrà maneggiare. Ma le armi son tutte pari, davanti alla fortuna che le guida.

 Domattina,  proseguiva Lorenzo,  alle ore cinque dobbiamo trovarci in Albaro, presso la chiesuola diroccata di San Nazaro. È un ottimo luogo. Le armi le porterò io, che sono di Toledo, col __Christi__ inciso sul forte della lama. Siete contento?

 Contentissimo:  rispose il Collini;  e vi ringrazio di cuore.

 Anch'io sono contento,  disse il Salvani.  Non già del duello. Ma poichè bisognava farlo, preferisco la spada. È un'arma meno chiassosa, e di antica nobiltà italiana.

 Così penso ancor io;  riprese il Collini.  Io dunque faccio assegnamento su voi altri.

 State sicuro. Ma, a proposito, e il ritrovo? Verremo da voi alle quattro, se vi conviene

 No, no;  interruppe il Collini.  Non venite da me; ci ho le mie buone ragioni; temo che s'indovini dove vado. Per una visita medica, che fingerò di aver da fare, non è proprio necessario che si vedano due gentiluomini al mio uscio di casa. Farò dunque in modo da non dar sospetti in famiglia, e alle quattro e mezzo sarò io stesso a' piedi della collina, sotto la villa del Paradiso.

 Vi aspetteremo dunque lassù. E adesso dove andrete?

 Dal Cavalli, a rifare la mano.

 Benissimo; a domattina.

I due amici, salutato il Collini, andarono pei fatti loro. Ma come furono giunti sulla piazza delle Fontane Amorose, l'Assereto si fermò sui due piedi, guardando il compagno.

 Ebbene?  disse Lorenzo.  Che c'è?

 Sai una cosa?  disse di rimando quell'altro.  Questo Collini non mi pare un uomo solido.

 Baie! e perchè?

 Perchè più volte ho cercato di guardarlo nel mezzo degli occhi, e non ne sono mai venuto a capo.

 Sai che è una sua abitudine non guardar mai fissamente. E voi altri lo tartassavate sempre per ciò, dandogli del gesuita a tutto pasto.

 Sì, quello che vuoi; ma la sua faccia mi persuade meno che mai.

Credo che sia pentito d'essersi messo in questo impiccio.

 E in questo noi non ci abbiamo da entrare;  rispose il Salvani.  È venuto a chiederci un servizio; glielo abbiam fatto, e penso, mettendo la modestia da banda, che non avrebbe potuto trovare altri due che lo servissero meglio. Sul terreno farà il debito suo. Li conosco bene, questi uomini: non hanno il coraggio impetuoso, ma il sentimento della loro dignità li sostiene. E poi, questo non è il suo primo duello.

 Credi? Ebbene, si vedrà domattina. Addio; sarò da te questa sera.

Così dicendo, l'Assereto se ne andò a casa sua, per la salita di Santa Caterina, crollando il capo come l'Apostolo del dito; benedettissimo uomo, che voleva vedere e toccare.

Lorenzo Salvani discese dai Ferri della Posta verso Luccoli, e rientrando in casa ordinò al fido Michele che spiccasse le spade dal trofeo, per dar loro una ripulita. Poi si mise da capo a tavolino, ripigliando a scrivere nel suo zibaldone, con la voluttà dell'uomo povero, che ha tutti i suoi feudi nel regno della fantasia.

IV

Qui si mostra con la prova in mano come gli angeli non siano poi tutti in paradiso.

Qualche lettore curioso vorrà sapere dell'altro intorno a quella testolina di fanciulla, che insieme abbiam vista apparire dal vano di un uscio, e di cui, con pochi e rapidi tocchi abbiamo anche abbozzato una specie di ritratto. E noi vogliamo contentarlo, questo lettore curioso, anche a costo di non far correre abbastanza spedito il racconto.

Maria era bella, come si è detto, ma non di quella bellezza tutta seste, misure e proporzioni, che piace nelle statue, ed è muta e fredda com'esse; bensì di quella viva e calda e prepotente bellezza, che è tutta espansione, accoppiando la soave euritmia delle forme al raggio divino dell'anima, per modo che tutto parli in lei e commuova, perchè tutto palpita e vive. Il carattere di quella bellezza faceva senso, la grazia angelica de' suoi contorni soggiogava gli occhi e gli spiriti. I capelli neri, che traevano all'azzurro intenso come la classica ala del corvo, i neri occhi, le lunghe ciglia, il naso profilato, la bocca vermiglia, il volto ovale, l'incarnatino delle guance, i delicati contorni del collo, erano tanti ingredienti coi quali uno scrittore esercitato avrebbe potuto comporvi una bellissima testa, e che noi, non sapendo far meglio, vi mettiamo qui alla rinfusa, perchè vogliate formarvela da voi, coll'aiuto della vostra immaginazione.

Maria aveva di poco passati i suoi diciott'anni; ma il suo cuore, castissimo sacrario di nobili affetti, ne aveva quindici appena. Però gli occhi della fanciulla splendevano di una luce modesta, non scintillavano ancora. Per lei tornava a mente il primo verso d'un celebrato poema del Moore, nella amorosa versione del Maffei: «Sul mattin della vita era il creato». La scienza del bene e del male non aveva ancora profferto il suo fatale insegnamento a quella gentil creatura.

Tra Lorenzo e Maria correva una certa somiglianza. Ambedue avevano neri i capelli e spaziosa la fronte: ma il volto di Maria era bianco incarnato, quello di Lorenzo era bianco pallido; se il giovane fosse vissuto un tratto alla vampa del sole, quel volto sarebbe diventato bruno, poichè c'era sangue marinaro nelle vene dei Salvani. Inoltre, gli occhi di Maria erano d'un nero turchiniccio, dai riflessi d'indaco; quei di Lorenzo d'un lionato carico, e li faceva parere neri la profondità delle occhiaie, sotto la guardia delle sopracciglia prominenti.

Più forte tra i due era la somiglianza del carattere, frutto evidente di una parità di educazione, che può farsi in noi come una seconda natura. Senonchè, le esterne sensazioni conducevano l'animo di Maria alla dolce gaiezza, o alla malinconia rassegnata, quello di Lorenzo alla pazza allegria, o alla tristezza profonda. Non c'era gradazione di tinte, nello spirito di Lorenzo Salvani. Ambedue, del resto, sentivano altamente di sè, anime dignitose e preparate ad ogni maniera di sacrifizi. L'impresa dell'armellino: «__malo mori quam foedari__» (anzi che macchiarmi morire) pareva fatto bella posta per quelle due nobilissime creature.

Era nobile di natali Maria? Lorenzo, qualche volta, celiando, le dava un certo nome! Ma i natali di quella che egli chiamava celiando «la bella marchesina» erano rimasti un segreto fra il colonnello Salvani e sua moglie. Lorenzo teneva in un ripostiglio del suo cassettone, gelosamente nascosto e chiuso, uno scrignetto d'ebano, nel quale il gran segreto aveva a trovarsi di certo: ma i parenti l'avevano dato in custodia a Lorenzo, col patto che fosse il dono di nozze dei Salvani alla cara fanciulla.

 Un giorno qualcheduno ti amerà,  aveva detto la signora Luisa,  di un amore diverso da quello di mio marito e dal mio. Quell'uomo, se tu lo ricambierai d'affetto sarà degno veramente di te; ed allora meriterà di sapere da che sangue sei nata. Svelartelo ora sarebbe impossibile; e dirti soltanto il nome di tuo padre, che fu onesto, buono e generoso, potrebb'essere un grave pericolo, per te e per altri. Egli ti confidò come un sacro deposito a Rigo Salvani, e noi dobbiamo rispettare la sua volontà.

 E mia madre?  aveva chiesto Maria.

 Tua madre è felice. Quel giorno ch'essa chiederà di te, meriterà davvero di esser tale. Per ora ti basti. Ne sei forse accorata?

 Oh, no! sarei un'ingrata. Finalmente, non siete voi la mia madre vera, da cui tutto mi viene? Se mio padre, colui che mi amava è morto, l'anima sua si è tutta trasfusa in voi altri, per farmi la più fortunata tra le orfane.

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