I rossi e i neri, vol. 2 - Anton Barrili 3 стр.


 Cattivo soldato,  aggiungeva il Martini,  cattivo soldato quegli che si lagna del suo fucile, quando ci ha una baionetta da poterci innestare!

In questi ragionamenti e in queste operazioni, erano giunte le dieci. E segnale nessuno! Parecchi incominciavano a mormorare. Che si fa? che si aspetta? Lorenzo aspettò ancora una ventina di minuti; poi, chiamato a sè uno dei più impazienti, lo mandò, con un suo biglietto, a chieder notizie al quartier generale.

 Vado e torno!  aveva detto il messaggero. Ma un quarto d'ora passò; passò mezz'ora; suonarono finalmente le undici; e il messaggero, che s'era veduto andare, non fu visto tornare. Egli aveva fatto come il corvo dell'Arca.

Allora il comandante fece quello che aveva fatto Noè; aspettò un altro poco, e pregò il Martini che volesse andar lui. Questi almeno sarebbe tornato.

Frattanto i capisquadra duravano gran fatica a trattenere i loro uomini. Taluni più chiassosi (gente di malavoglia, diceva il Martini) se la pigliavano coi capi della rivolta, sbraitavano contro i vili che non erano venuti al ritrovo, e bestemmiavano, sacramentavano d'esser stati traditi.

 Le bestemmie non colmano il vuoto;  diceva Lorenzo.  Cinquanta uomini volenterosi e gagliardi ne valgono cento. Quanto a ritardo, sapremo tra poco che cos'è; del resto, se avete voglia di fare, io ne ho quanto voi, e nasca quel che sa nascere, appena tornato il Martini, usciremo noi, la romperemo da soli!

Queste parole calmarono gli spiriti più irrequieti; che anzi, parecchi incominciarono a dire sommessamente che non c'era gusto a muoversi da soli, e, mentre tutti gli altri se ne stavano colle mani alla cintola, andare a morte certa pel loro bel muso. E questa fu in breve l'opinione di tutti. Ma non ardivano parlarne ad alta voce; il comandante, a cui forse non era sfuggito quel nuovo giro dei loro pensamenti, s'era fatto scuro nel volto come un'imposta chiusa; egli andava accarezzando con troppo amore il calcio della sua rivoltina, che portava nelle tasche della giacca, e bisognava star zitti. Ma allora fu un'altra scena; chi si doleva dell'aria soffocata di quel pianterreno, ermeticamente chiuso; chi si rimetteva a bere, per guadagnarsi la fortuna dei quattro o cinque, lasciati sulla paglia a dormire. I meno vergognosi, poi, imitavano gli scolaretti che non sanno durarla con un'ora di lezione, e chiedevano, per una ragione o per l'altra, di uscire.

Finalmente fu picchiato all'uscio; era il Martini che tornava da far l'ambasciata, e, come la colomba dell'Arca, portava un ramoscello d'olivo. Il colpo era fallito; non c'era più nulla a tentare.

La cosa parve strana a Lorenzo, che fu sollecito a chiamare in disparte il suo luogotenente, e a farsi raccontare ogni cosa per filo e per segno. Il Martini era andato senza risico, passando pei vicoli, e cansando le vie principali, fin dove gli aveva accennato il comandante. Colà egli non aveva potuto abboccarsi col capo, che stava a stretto colloquio con altri. Per contro, aveva parlato con taluni dello stato maggiore (e ne citava i nomi) dai quali aveva udito che non c'era più rimedio: che lo Sperone non s'era potuto prenderlo: che il presidio era tutto in armi, ed occupava militarmente le vie della città; che finalmente non c'era più nulla a fare, e ognuno pensasse a cavarsela.

A Lorenzo non bastavano quelle notizie. Non che dubitasse del Martini, o che avesse fede nella possibilità del tentativo; ma, con una sì grave malleveria sulle spalle, voleva sincerarsi del contr'ordine, co' suoi occhi, colle sue orecchie medesime. Però, ceduto il comando all'ottimo popolano, e ordinato che la gente non si movesse dal posto, salvo il caso di suprema necessità (del resto il luogo aveva due uscite, l'una per l'andito che i lettori conoscono, l'altra dalla porticina d'un orto attiguo) uscì da quella casa per andare a sua volta al quartiere generale.

Verissima in ogni parte la relazione del luogotenente; il colpo era fallito. E ciò saputo dalla bocca istessa dei capi, Lorenzo rifece con pronto passo la sua strada, per andare a sciogliere i suoi, che lo aspettavano. Passato speditamente per la via del Campo e la porta dei Vacca, entrò nella via lunga ed angusta di Prè, dove già tutte le botteghe erano chiuse da un'ora, ed egli non si abbattè in anima nata, salvo in qualche ubbriaco, che proseguiva in lunedì il tripudio vinoso della domenica.

Così giunse alle spalle del palazzo reale; andò oltre; ma quando fu presso al vicolo, nel quale aveva a commettersi, gli ferì improvvisamente l'orecchio un rumore di passi, e uno strepito d'armi.

Era di sicuro un drappello di soldati. Tornare indietro e giuocar di calcagna? No certo, sebbene fosse quello il più savio consiglio. E i compagni? non doveva egli andare a cercarli, e, se erano scoperti, partecipare alla loro sorte? La sua deliberazione fu pronta: impugnò, senza cavarla tuttavia di tasca, la sua rivoltina, e affrettò il passo per entrare nel vicolo.

Ma egli aveva a mala pena svoltato l'angolo, che si udì gridare sul volto:

 Alto là!

E innanzi che avesse potuto misurare la gravità del pericolo, si vide attorniato da un manipolo di soldati.

 Dove va Ella?  chiese il sergente che comandava la squadra.

 Pe' fatti miei;  rispose asciutto Lorenzo.

 Ah diamine, Sal! siete voi?  gridò, balzando fuori a quelle parole del giovine, un uffiziale che era rimasto alcuni passi indietro.

 Nelli di Rovereto!  sclamò Lorenzo, ravvisando il capitano.

 Sì, per l'appunto, Nelli di Rovereto, che naviga in questi paraggi per comando del suo generale, e non avrebbe a lodarsene punto, se il caso non lo facesse imbattere in un volto d'amico.

Ciò detto, il capitano si volse al sergente, che si era tirato in disparte co' suoi, per concedere alcuni minuti di riposo, mentr'egli stava ragionando con quel suo conoscente.

 E adesso a noi;  proseguì, tirando Lorenzo sull'angolo della strada.  Dove andate così frettoloso, mio buon Salvani?

 Passeggiavo; lo vedete.

 E avevate paura (scusate, dico paura, così, per modo di dire) e avevate paura dei ladri?

 Perchè?  dimandò stupefatto il Salvani.

 Perchè,  soggiunse, abbassando ancora la voce, il Rovereto,  perchè vi siete armato della vostra rivoltina, che vi fa un gomito traditore nella falda della giacca.

 Credete che fosse proprio paura dei ladri?  chiese Lorenzo, sorridendo.

 Non vi dirò quel che io credo, come voi non mi direste quello che è. Smettiamo dunque un simile discorso; e andate, che io non voglio trattenervi.

 Grazie!  rispose Lorenzo, stringendogli fortemente la mano. E fece per andar oltre; ma il capitano lo trattenne ancora.

 Intendiamoci, Salvani; non per di qua. Tornate indietro, e sarà meglio per tutti.

 Non posso; o lasciatemi passare, o fatemi arrestare senz'altro.

Il buon capitano, che amava molto Lorenzo, avendolo conosciuto prode e gentil cavaliere in quella occasione che i nostri lettori rammentano, stette alquanto sovra pensiero; quindi, mettendo amorevolmente le mani sulle braccia di lui, e guardandolo fisso in volto, gli chiese:

 Che cosa sperate oramai?

 Nulla!  disse il Salvani.

 Dunque?..

 Dunque lasciatemi andare per di là, dove ho alcuni amici da vedere; e sarà, ve lo giuro, senza pericolo per la causa alla quale servite.

 Lo credo; ma se fosse, come io penso, con pericolo vostro?..

 Che importa? Non badate a ciò, e lasciatemi andare.

 Dovunque vi piacerà, salvo al numero __otto__.

 Che?  esclamò il giovine, piantando a sua volta gli occhi in viso all'amico.  Voi sapete

 Ogni cosa. So, verbigrazia, che laggiù non trovereste più alcuno, salvo una mezza compagnia di soldati che custodisce le porte, e una mano d'altri personaggi, meno riguardosi coi loro avversari politici, i quali vanno rovistando dappertutto, per trovare una carta che non c'è.

 Che?  esclamò il giovine, piantando a sua volta gli occhi in viso all'amico.  Voi sapete

 Ogni cosa. So, verbigrazia, che laggiù non trovereste più alcuno, salvo una mezza compagnia di soldati che custodisce le porte, e una mano d'altri personaggi, meno riguardosi coi loro avversari politici, i quali vanno rovistando dappertutto, per trovare una carta che non c'è.

 Ah!  disse Lorenzo.  E gli amici miei

 State di buon animo!  interruppe il Nelli.  L'uffiziale di pubblica sicurezza aveva fatto male il suo piano di battaglia, e ha assalito il nemico senza chiudergli la ritirata. Io m'ero avveduto bensì dell'errore; ma non era affar mio. L'intento del soldato era di sgominare da questo lato i vostri disegni, e questo io l'ho fatto. Sono entrato per l'androne, mentre i vostri sgattaiolavano dalla parte del giardino; ho atterrato l'uscio, e sono anche stato il primo a metter il naso in una certa cameretta, su d'un certo tavolino

 Proseguite!

 Dov'era un certo foglio di carta una specie di ruolino di compagnia.

 L'avevano dimenticato!  disse Lorenzo con accento di dolore.

 Sì, ma gli è caduto in mia mano, e mi servirà per accendere Biancolina, una eccellente spuma di mare, che consola i miei ozi pomeridiani.

 Grazie!  soggiunse Lorenzo, respirando;  grazie, non per me, ma per gli altri!

 Che diamine!  disse di rimando il Nelli.  Siamo amici, o non siamo? Io fo il soldato e non lo sgherro; combatto, non lego. Se vi avessi incontrati in armi, avrei comandato il fuoco; il resto non mi risguarda, e se c'è un amico di mezzo, mi adopero a salvarlo. Ma badate, Salvani; voi siete accennato a palazzo Ducale come uno dei capi della rivolta; si citava appunto il tentativo della Darsena come una impresa che doveva esser guidata da voi. Perciò, come addetto al comando generale, ho scelto di venire da questa parte, e la fortuna, che ama i soldati, quando non fa buscar loro una palla in petto, mi ha usato cortesia da gentildonna. Or dunque, io vi consiglio a non tornare in casa vostra, questa notte. Avete amici a cui chiedere ospitalità? andate da essi; io non vi ho veduto, non vi conosco.

E finita la sua orazione, il cortese capitano profferse la mano, in atto di commiato, al suo avversario.

 Voi avete un cuor d'oro, signor Rovereto!  disse il Salvani, stringendo quella mano tra le sue.

 Che! che! Se foste voi ne' miei panni non fareste lo stesso? Non imitereste l'esempio di que' due amici dell'antichità, che, incontratisi in campo, si strinsero le destre, in cambio di uccidersi, e barattarono le armature? Glauco e Diomede! Bei nomi! E i tempi in cui vivevano di tali valentuomini, ora si chiamano barbari!

 Siete tutti classici, quest'oggi!  notò, sorridendo, il Salvani.  Il Pietrasanta, stamane, pensava all'Eneide; voi questa sera mi citate l'Iliade. Il fatto è che gli uomini generosi e cortesi sono di tutte le età, e niente c'è di nuovo sotto il sole, nemmeno la tolleranza scambievole delle opinioni, che ha in voi un così nobil campione.

 Ah, Salvani, Salvani, se comandassimo noi?

 Che cosa fareste, se comandaste voi, Rovereto?

 Io?.. Vorrei anzitutto che non ci fosse più un palmo di terra italiana, dove rimanessero tirannelli a dividere, e forestieri a comandare.

 Mi accorgo che vorreste aver me per capo della maggioranza.

 E mio collega al ministero! Che bella cosa si annunzierebbe alla nazione! Un ministero Rovereto Salvani Diamine! mi pare che rimangano molti portafogli senza titolare.

 O dove lasciate il Montalto, il Pietrasanta e l'Assereto?

 Avete ragione, perdinci! Saremmo cinque ministri, e i portafogli d'avanzo li terremmo noi stessi per interim. Sarebbe il ministero di San Nazaro, che varrebbe in fin dei conti come tanti e tant'altri. Ottima pensata! ho da sognarne, stanotte! Ma noi,  proseguì ridendo come un pazzo, il capitano,  stiamo qui a ciaramellare, come se avessimo tempo da buttar via. Statemi sano: io torno ai miei uomini.

 Addio, dunque, e ancora una volta, grazie!

 Zitto là; ne parleremo domani. Buona notte!

E il Nelli, data una giratina sui tacchi, si allontanò speditamente, alla volta del suo drappello, che aveva avuto dieci o quindici minuti di riposo, in cambio di cinque.

Anche Lorenzo si mosse dal canto suo per andarsene. Ma dove? A casa non era prudente consiglio tornare; perciò gli parve acconcio di andare a chiedere ospitalità presso l'amico Assereto, dal quale avrebbe avuto novelle di casa sua.

Ma l'Assereto quella notte non aveva tenuto fede a' suoi lari, e Lorenzo fu accolto amorevolmente dalla famiglia di lui, che lo introdusse in una linda cameretta, daccanto a quella dell'assente.

Rimasto solo, il giovine si lasciò andare bocconi sulla sponda del letto, colle ginocchia a terra, ringraziando il Nume ignoto che lo serbava in vita e in libertà.

Egli non pensava a se stesso in quel momento, lo sapete; pensava a Maria.

III

Di una corte d'amore, la quale fu tenuta nel secolo decimonono.

Messer Lodovico Ariosto, chiamato a buon dritto il divino, non se la cavò neppur egli dai tortuosi meandri del suo meraviglioso poema, se non coll'umile spediente di correre innanzi e indietro senza posa, e, servitore sgobbone di tutti i suoi personaggi (che non erano pochi, nè docili), pigliar questo per mano e guidarlo per un lungo tratto di strada; tornar sollecito indietro e cavarne un altro dal pozzo; voltarsi qua e là, scendere e salire per pianure e montagne, navigar per mare oltre le colonne d'Ercole, volare financo alla luna, ed intricare e districare mai sempre le fila che gli avevan posto tra mani «le donne, i cavalier, l'arme e gli amori».

Lettori, avete capito il latino? Vi abbiamo condotti senza intoppo, o quasi, fino alla prima ora del 30 di giugno, e adesso ci conviene, per le necessità della nostra narrazione, rifarci indietro una mezza giornata. Tante fila s'intrecciano, s'imbrogliano e s'aggrovigliano intorno ai nostri personaggi! Abbiamo veduto come finisse la sua impresa Lorenzo Salvani; ora dobbiamo vedere come finisse la sua Enrico Pietrasanta, tirato a buon trotto dalla sua pariglia di rovani alla villa Vivaldi, nelle vicinanze di Quinto.

Nè basta. Siccome da lungo tempo non s'è più visto in scena Aloise, nè la bella Ginevra dagli occhi verdi, precederemo il Pietrasanta colla nostra fantasia, specie d'ippogrifo che va più veloce a gran pezza de' suoi baldi cornipedi.

Siamo dunque a Quinto, alle spalle del paese, in quel palazzo che sapete, murato a foggia di castello, con la sua torre che usciva da un lato dell'edifizio, rompendo ad angolo due acque del tetto; in quella magnifica villa, dove vi abbiamo condotti, nella prima parte di queste fedelissime cronache contemporanee, il giorno della prima scampagnata del convalescente Aloise.

Ogni cosa colà, il giardino, il prato, la selva, la campagna tutta quanta, ha mutato d'aspetto, per opera d'una rigogliosa vegetazione. Giacomino, il giardiniere ortodosso che sapete, ha fatto miracoli coll'aiuto della madre natura. Le aiuole, le ampie gradinate dei vasi d'ogni forma e misura, i canestri foggiati in terra sulle falde del prato, risplendono di mille fiori svariati, vaporano mille diversi aromi per l'aria serena. Le camelie, le violette e i giacinti, hanno ceduto il luogo allo stuolo moltiforme della flora d'estate. Le molli ninfee sono fiorite nel laghetto dove scherzano i cigni; le paulonie dall'alto fusto e dal largo fogliame verde cupo, si rischiarano in color di smeraldo alla luce del sole; nè più chiedendo il riparo della veste di paglia, le magnolie mettono al sommo d'ogni ramo le candide bocce pannocchiute dalle sottili fragranze. Ne' vasi, in bell'ordine disposti, fioriscono cento famiglie di pelargonii, di rose e di garofani, i mugherini indiani e le gardenie del Malabar, che derivano a noi i narcotici effluvii della terra natale. Nelle aiuole crescono gli elitropii dai lunghi e fogliosi steli, gli eliotropii delle cui ciocche odorose le donne gentili amano ornarsi lo sparato del camicino; gli umili mughetti mettono fuori i verdi litui fregiati di brevi campanellini bianchi; gli amorini d'Egitto si tengono modestamente a terra, dissimulando nel verde delle foglioline la poca apparenza dei fiori, ma non la soavità degli odori, gradito compimento, insieme coi dittami, e quasi cornice dei mazzi eleganti; le tuberose scarse di foglie, ma ricche di fiori, torreggiano qua e là; i gelsomini e le gaggìe salgono a spalliera, s'inerpicano lungo le amiche pareti.

Назад Дальше