Il piccolo santo: Dramma in cinque atti
NOTA
Con questo dramma, io tento ancora un'arte che sembra troppo vaga a chi non ha voglia di concedermi una percezione acutamente alacre e a chi, pur essendo disposto a concedermela, non ha la facoltà di acuire il suo pensiero nell'esercizio della trasmigrazione verso il pensiero altrui. Gli elementi essenziali, che compongono, in quadri brevi, la mia nuova opera scenica, non hanno quasi mai una diretta e consona espressione, perchè risiedono nel fondo della esistenza di creature le cui parole e i cui atti non corrispondono alla loro psiche se non molto oscuramente e ambiguamente o addirittura ne divergono come i rami dal fusto. Il dissidio continuo, che si determina, or più or meno profondo, or più or meno inconsciamente, fra la psiche delle creature da me immaginate e le loro manifestazioni, costituisce l'invisibile filo conduttore dello sviluppo drammatico ed implica l'impossibilità assoluta di esporre il doloroso contenuto del dramma nella esteriorità dell'azione. E appunto questa impossibilità, che sùbito mi si parò innanzi quando la novella visione cominciava a sorgere, mi ha attratto cimentandomi e mi ha indotto a non destinare l'abbozzo della mia fantasia al limbo delle opere che pensai e cautamente non scrissi. Ahimè!.. Il mio povero Piccolo Santo non poteva aspirare a un simile destino
Però che gente di molto valore
Conobbi che in quel Limbo eran sospesi.
Io ho, dunque, celato in parte l'anima di alcuni personaggi ed ho quasi tutta celata quella del protagonista (ugualmente si celerebbero esse nella vita reale) sperando di lasciarle indovinare a traverso parole e atti che ne tramutano le essenze psicologiche come la luce tramuta certe combinazioni chimiche preparatesi nel buio.
Mi è stato detto e ridetto che il teatro non consente il proposito di far comprendere ciò che non sia espresso dalle parole e dagli atti dei personaggi. Questo proposito mi hanno ripetuto con assiduità parecchi dei miei autorevoli giudici, che hanno voluto avere la cortesia di essere anche i miei insegnanti non è presumibile che nel novellatore e nel romanziere. Costoro, difatti, con opportuna sagacia, intervengono fra personaggi e lettori spiegando e commentando, ovvero coloriscono, ricalcano, analizzano. Il commediografo, invece, dispone di mezzi molto limitati. Se i suoi personaggi non spiegano essi medesimi ciò che pensano, ciò che sentono, ciò che vogliono, ciò che li agita, non c'è modo di conoscerli, nè d'intendere che cosa fanno. Questo è, in sostanza, il monito dei miei cortesi insegnanti e io non saprei negarne la prudente saggezza. Tuttavia, mi ostino a credere imprudentemente che un complesso sintetico di segni significativi possa bene conferire alla scena la trasparenza necessaria a rendere comprensibile anche quello che non è veramente espresso.
Non di rado sento definire artificio la raffigurazione artistica che io chiamo complesso sintetico di segni significativi. Nulla è più comodo di questa spiccia definizione che dispensa da troppo sottili discernimenti i cervelli un po' pigri o un po' frettolosi. Ma, intanto, un tale «artificio» è il riscontro, perfettamente analogico, della sintesi d'impressioni che s'incide nell'intelletto di un ipersensibile osservatore di fatti umani. Come i raggi solari si riflettono e si riuniscono nel fuoco di uno specchio concavo, le linee apparenti del vero si riassumono nel centro cerebrale di questo osservatore commosso con quel tanto di più che la sua intensa sensibilità scorge oltre la parvenza delle cose, delle persone, degli ambienti. E tutto quanto la sua sensibilità produce, riproducendo, per così dire, sè stessa, è precisamente un complesso sintetico di segni significativi che racchiude la realtà sostanziale nascosta dietro la realtà della superficie.
Ecco quel che vorrebb'essere l'arte che talvolta io tento.
Roberto Bracco.ATTO PRIMO
Una stanzetta tutta bianca. Nessuna tappezzeria. La mobilia è semplice, quasi rozza, ma pulita. Un tavolino e una poltrona verso il lato destro. Qua e là, delle sedie impagliate. Uno stipetto basso su cui sono piccoli oggetti d'uso. Nella parete destra, è il vano d'un balcone, dal quale, a traverso le invetriate, sorridono, vivacemente, alcune piante di garofani rossi. Alla parete opposta, una porta. Nel centro della parete in fondo, la porta comune: più ampia, a doppio battente. Il pianerottolo, da cui si accede, ha a sinistra l'uscio di un'altra casa, di fronte una scalinata ascendente, a destra una scalinata discendente. Poco distante dalla porta comune, a sinistra sopra una mensola, che è come un alto sgabellone coperto fino al suolo da una stoffa fiorata, si erge, addossato alla parete, un grosso scarabattolo, nel quale è un grande Crocifisso di legno scolpito con l'Addolorata ginocchioni e piangente. Innanzi allo scarabattolo, una lampada di metallo bianco, accesa. Dall'altro lato della porta comune, un attaccapanni, da cui pende un mantello da prete che s'allunga e spicca sul bianco del muro.
SCENA I
(Nella stanzetta silenziosa, non c'è che Barbarello, il quale, disteso a terra proprio davanti alla porta comune che è chiusa , puntellandosi il cranio con un braccio, dormicchia. Qualche rumore lo scuote. Egli si leva. Mette l'orecchio all'uscio, e, alzando le spalle, se ne allontana. Giunge fino al tavolino, le mani allacciate a tergo e la testa bassa stupidamente dondolantesi sul collo un po' torto. Poi, si aggira per la stanza sempre con le mani unite a tergo e con lo stesso dondolìo del capo.)
(In quell'atteggiamento appaiono, visibilissimi, i caratteri della deficienza cerebrale, che sono in compassionevole dissonanza coi suoi precipui connotati fisici. Il suo sembiante di adolescente, benchè sparuto cachettico e pronto alla deformazione della smorfia, serba, tuttora, i segni di una originaria schietta bellezza maschile. Egli ha le labbra fortemente accentuate, i denti massicci e bianchi, gli occhi grandi a mandorla, il naso aquilino, i capelli bruni folti e crespi formanti come un breve berretto sul capo di regolari proporzioni. Anche il suo corpo, se l'andatura incerta e melensa e le frequenti contorsioni nervose non lo deturpassero, parrebbe di un giovinetto normale, abbastanza agile e robusto, in quei panni che appunto ricordano un poco la robustezza e l'agilità del montanaro. Egli porta i calzoni stretti intorno alle caviglie e ficcati nei gambali delle grosse scarpe unte di sego, una camicia che gli si apre alla gola fin quasi allo sterno e una giacchetta succinta che gli sfugge di su i lombi e lascia scoperta, sul ventre, la cintola di vecchio cuoio. Il suo aspetto, in complesso, è un misto di malinconico, di grottesco e di vagamente pauroso.)
(Si picchia alla porta.)Barbarello(finge di non udire.)
(Si picchia più forte.)
(Si sentono, quindi, di fuori, le voci del Dottor Finizio e di Sebastiano.)
Il Dottor FinizioDon Fiorenzo!.. Don Fiorenzo!..
Barbarello(si ferma, ascolta, sorride mostrando di divertirsi, e non si muove.)
Il Dottor FinizioDon Fiorenzo!.. Vi prego!.. Sono io, il dottore!..
(Si picchia di nuovo.)Barbarello(sorride ancora.)
Signor Sebastiano!.. Don Fiorenzo non apre e non risponde!.. Che non sia in casa?..
SebastianoCi dev'essere, ci dev'essere. A quest'ora c'è sempre. E se per caso si fosse dovuto assentare, mi avrebbe avvertito. (Si ode la sua voce più presso.) Sbrìgati ad aprire, Fiorenzo! Che stai ponzando? Io e il dottor Finizio abbiamo bisogno di parlarti. E c'è molt'altra gente ad aspettare. Sbrìgati! (Pausa) Ma questo è strano, perdiancine!
Il Dottor FinizioPerchè strano? Sarà uscito senza avvertirvi.
Sebastiano(irritandosi) No, no e no! Questo non è mai accaduto! Ed è anche strano che non si veda nemmeno quel bestione di Barbarello.
Barbarello(ascolta impassibile.)
Sebastiano(risoluto) Sapete che voglio fare, io? Io voglio forzare la porta. Qui la cosa non è liscia. Un martello! Un martello!
Il Dottor FinizioMa no! Lasciate stare, Sebastiano!
SebastianoLascio stare un corno!
Barbarello(diventando serio, tende le orecchie e aggrotta le sopracciglia.)
(Dopo un istante, si sente un primo colpo sulla serratura.)
Barbarello(a guisa di un cane ringhioso che non possa abbaiare, si getta a piè della porta e mugola sordamente.)
Il Dottor FinizioMa questo è il mugolìo di Barbarello!..
SebastianoPerdiancine! E com'è che non apre lui?!..
(Giunge un bisbiglio d'allarme contenuto.)(Altri colpi alla serratura.)Barbarello(eccitato, si contorce e mugola più rabbiosamente.)
(La porta cede.)Barbarello(si drizza e stringe i pugni, opponendosi alla invasione.)
Sebastiano(entra, respingendolo vigorosamente.)(È seguíto dal Dottor Finizio e da una piccola folla di contadini poveri, uomini e donne. Sono quasi tutti attempati. Il più vecchio è Remigio, che cammina appoggiandosi a un lungo ramo d'albero sfrondato. Egli porta gli scarsi capelli un po' a zazzera e una barbetta floscia che gli si allunga sulla gola breve. Qualcuno è più evidentemente cencioso. Qualcun altro ha il volto più evidentemente malaticcio. C'è tra essi un cieco che va a tentoni, munito di un bastoncello. Una donna piuttosto giovane reca sulle braccia un bambino.)
(Entra anche Annita, che tra la piccola folla si distingue per i suoi abiti e per il suo portamento signorili.)
Sebastiano(a Barbarello, che non cessa di mugolare e di stringere minacciosamente i pugni) Hai sentito tutto il putiferio che abbiamo fatto e non hai voluto aprire?!.. Dov'è il reverendo? Dov'è? (Infila la porta a sinistra, chiamando:) Fiorenzo!.. Fiorenzo!.. Fiorenzo!..
Il Cieco(avanzandosi, urta col bastone nelle gambe di Remigio.)
RemigioQueste sono gambe mie, santa Lucia benedetta!
Il CiecoEh, caro amico, se io avessi riavuti i miei occhi come tu hai riavute le tue gambe!..
Sebastiano(ritornando più allarmato) C'è da perdere la testa! Quando mai è in giro a quest'ora?!.. E poi, senza avvertirmi? È inverosimile! È inverosimile! (A Barbarello:) Insomma, che è accaduto? È uscito? È crepato? Si è squagliato? Si è volatilizzato?
Barbarello(resta nel suo atteggiamento ostile, ma con l'aria di non occuparsi più di quel che accade.)
SebastianoRispondi, perdiancine!
Il Dottor FinizioIn fede mia, siete più scemo voi che lui! Pretendete che egli vi risponda, come se non sapeste che solamente Don Fiorenzo riesce a fargli pronunziare qualche parola.
Sebastiano(abbassando la voce) Per me, ho sempre sospettato che, se volesse, potrebbe parlare benissimo anche senza il miracolo del santo. La dà a bere allo stesso Fiorenzo per campargli addosso e scansare il lavoro.
Il Dottor FinizioEcco una corbelleria!
SebastianoHo bell'e capito! Da un certo tempo in qua avete cominciato a crederci anche voi ai miracoli del nostro amico!
Il Dottor FinizioMa che miracoli e miracoli! Si tratta di un semplice fenomeno che non ha nulla di comune col soprannaturale e che, oramai, entra perfettamente nell'orbita della scienza.
SebastianoSia quello che sia, io, oggi, provvisoriamente, (levando un po' il martello) gli romperei il muso a questo ragazzaccio. Il suo mutismo non mi ha mai irritato come oggi. (Rivolgendosi ai poverelli) Da stamane, nessuno di voi lo ha visto, il reverendo? Nessuno di voi lo ha incontrato per il villaggio?
Il CiecoIo non l'ho visto affatto.
SebastianoE volevi vederlo proprio tu che sei orbo?! Che imbecille!
La donna col bimboNemmeno io l'ho visto.
RemigioNemmeno io.
AnnitaIo non lo conosco il reverendo; ma, verso le nove, da lontano, ho scorto un prete sulla strada maestra Non so poi se
SebastianoCom'era? Grasso? Magro? Lungo? Corto?
AnnitaEra un prete piuttosto grasso
Sebastiano(brusco) E allora la ringrazio tanto! Quello era Don Candido, il parroco. Don Fiorenzo è magro come un'acciuga. (Rivolgendosi al Dottore) Io vi confesso che sono preoccupatissimo! Vi confesso che sono sui carboni ardenti!
Il Dottor FinizioMa sul serio?!.. Decisamente, la malattia di vostra moglie vi ha scombinate le cellule cerebrali. Ho paura che, tra breve, dovrò curare più voi che lei. Vedete una tragedia in ogni nonnulla, mio caro!
SebastianoIn ogni nonnulla?! Lo chiamate un nonnulla, voi?! Don Fiorenzo, all'improvviso, mi scomparisce, e io dovrei infischiarmene? È sempre così buono con me quel tanghero di prete che io gli ho perdonato perfino di essere prete.
Il Dottor Finizio(canzonandolo un po') Avete fatto bene. L'indulgenza non è mai troppa!
SebastianoE se lo perdo, me lo impastate voi un altro come lui?
Il Dottor FinizioAdesso poco ci manca che non lo piangiate addirittura per morto!
SebastianoLe disgrazie ci sono per tutti.
Il Dottor FinizioMa, santodio, su questa montagnella Don Fiorenzo è adorato come un nume: vi pare che, se davvero qualche disgrazia gli fosse incolta, il villaggio non sarebbe già sottosopra? E poi, non vi rassicura il contegno del ragazzo? Egli è ancora un po' scosso per la violenza che avete fatta forzando l'uscio, ma si capisce che, in fondo, è tranquillo. Miracoli mai; ma che questo poveretto sia una specie di barometro o una specie di apparecchio sismico di maravigliosa sensibilità in rapporto a tutto ciò che riguarda la persona del suo benefattore, è certissimo. Gli basterebbe che Don Fiorenzo corresse un pericolo per convellersi e guaire come un cagnotto ferito.
Sebastiano«Miracoli mai»; ma, intanto, voi non fate che costatare miracoli!