La vita Italiana nel Rinascimento. Conferenze tenute a Firenze nel 1892 - Various 8 стр.


Coteste donne, o brutte o belle che fossero, entravano nelle famiglie de' Fiorentini ricchi per attendere ai più umili uffici, e badare ai bambini: e davano un gran pensiero, per ogni conto, alle povere massaie. Il sonetto del Pucci le schiave ànno vantaggio in ciascun atto. E sopra tutte l'altre buon partito, ce ne spiega maliziosamente alcuna ragione, e ci dice che spesso sapean dare alle padrone scacco matto. Le quali, come confessava parecchi anni appresso l'Alessandra Macinghi, si vendicavano col metter loro le mani addosso. Pure anche allora non potean farne a meno: erano le bambinaie e le bonnes di quei tempi; e la Strozzi scriveva al suo Filippo in Napoli: E pertanto ti ricordo el bisogno; che avendo attitudine averne una, se ti pare, tu dia ordine d'averla: qualche tartera di nazione, che sono, per durar fatica, vantaggiate e rustiche. Le rôsse, cioè quelle di Rossia, sono più gentili di compressione e più belle; ma a mio parere sarebbon meglio tartere. Nè per questa scelta potea Madonna Lessandra trovar chi più di Filippo avesse la mano felice: il quale presso di sè tenea da vario tempo una schiava che sapeva così ben fare27, di cui essa il 7 aprile 1469 aveagli scritto: Avete costì Andrea e massime Tommaso Ginori, che venne el dì della Pasqua e me n'ha detto molte cose e così della Marina, dei vezzi che ella ti fa. E un anno appresso, con accento piuttosto ironico: Mandávi gli sciugatoi fatene masserizia che non si perdino; che madama Marina no' gli mandi a male. Dove vediamo che con i vezzi e le astuzie sapevan coteste donne cattivarsi i padroni e diventar madame, e meritarsi, come appunto cotesta Marina, la libertà e per le buone fatiche et buoni portamenti28, alcun'assai liberale disposizione testamentaria.

Meno male: peggio quando, come accadde a Francesco Datini, le cui beneficenze verso i Pratesi non fan dimenticare le gravi colpe ch'egli ebbe verso la moglie,  peggio, quando cotesto trafficato sangue di tartare e di russe si mescolava con quelli, sin allora schietti, delle antiche e libere stirpi!

V

Ma ritorniamo nelle aure pure della famiglia, dove con le ricchezze accumulate eran, pur troppo, entrati i mal germi, onde si corruppe e disfece più tardi la vita e la coscienza italiana. Fra il Tre e il Quattrocento era seguito un gran crollo: il rinnovarsi dei tempi e de' costumi, già anelanti e vagheggianti la scioltezza del vivere che si sbrigliò nel Rinascimento, aveano intepidito la fede, smagato la religione, e la gente parea soltanto intendere ai godimenti mondani. Le lettere del Mazzei ce ne porgono testimonianza: il buon notaio di Prato è il savio d'un'anima rozza e d'un cuore agghiacciato29: quel suo amico Datini, diciamolo aperto, è il più esoso tipo di mercante che ci abbia dato quel secolo. Ser Lapo è uno spirito ascetico, timorato, un uomo di buona e antica fede, un moralista convinto. In quelle Lettere ci par di vedere alle prese il peccatore ribelle col sant'uomo, che vuol condurlo ad una buona morte, alla redenzione delle colpe terrene. È la lotta del sentimento religioso con lo spirito di materialità de' nuovi tempi, che sfolgorò nella gloria della Rinascenza, ma che dopo così mirabili splendori lasciò nelle anime degl'Italiani un buio ed un vuoto paurosi. Da coteste tenebre, purificatosi nei secoli di servitù, maceratosi nelle vigilie del pensiero, l'uomo moderno doveva risorger più tardi.

Ritorniamo in famiglia nella casa fiorentina, dalle cui finestre le schiavette amorose scotevano le robe la mattina, fresche e gioiose più che fior di spina30: nella casa dove la buona massaia godè appena pochi mesi felici, dopo le nozze, mentre poi dovè noverare gli anni del matrimonio da' nomi dei figliuoli che le crescevano intorno e le ricordavano, ciascuno, qualche lunga assenza del marito, andatosene a trafficare oltremonte od oltremare.

La giovenile freschezza appassiva, e, come scrive il Sacchetti, la più bella che sia, in piccol tempo, come un fiore, vien meno, e diventa secca nell'ultima vecchiezza e in fine doventa uno teschio31. È naturale cercassero con l'arte correggere la natura e porre riparo ai danni del matrimonio, e non soltanto per vanità. Perfino i maestri dipintori come Taddeo Gaddi, s'accordavano nel giudicare con Alberto Arnoldi32 che le donne fiorentine sono i migliori dipintori del mondo. E fu mai dipingere, che su 'l nero, o del nero facesse bianco, se non costoro? E qual artista, o di panni, o di lana, o dipintore, è che del nero possa far bianco? certo niuno; perocchè è contro natura. Serà una figura pallida e gialla, e con artificiali colori la fanno in forma di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca fanno divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto, nè altro dipintore che mai colorasse meglio di costoro; ma quello che è vie maggior cosa, che un viso che sarà mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto parranno di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno diritto; avrà mascelle d'asino, tosto l'assetteranno; avrà le spalle grosse, tosto le pialleranno; avrà l'una in fuori più che l'altra, tanto la rizzafferanno con bambagia, che proporzionate si mostreranno con giusta forma. E così il petto e così l'anche, facendo quello, senza scarpello, che Policreto con esso non avrebbe saputo fare Insomma le donne fiorentine sono maggiori maestre di dipignere e d'intagliare, che mai altri maestri fossono, perocchè assai chiaro si vede ch'elle restituiscono dove la natura ha mancato. Nè di ciò possiamo o vogliamo riprenderle: unica libertà, onde godevano, mascherarsi da giovani e felici, rifarsi lieto e fresco il volto, quando spesso il cuore piangeva, in vedersi d'intorno e da presso altri visi di donna. Anche amavano variar le fogge, le mode, le portature, e in ciò sfogavano la loro ambizione. I lodatori dell'antico, cominciando da Dante, le biasimavano di tanta volubilità, ingrata fino ai novellieri moralisti, ingratissima ai rettori, a quel governo di mariti che volentieri avrebbe lesinato su codesto lusso delle mogli.

Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia, tutto il mondo la piglia. Che fu a vedere già le donne col capezzale (lo scollo) tanto aperto che mostravano più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi dierono un salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi. Le giovanette che soleano andare con tanta onestà, hanno tanto levata la foggia al cappuccio da ridurlo una berretta e imberrettate portano al collo il guinzaglio, con diverse maniere di bestie appiccate al petto. Le maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare, qual più trista e più dannosa e disutile foggia fu mai? potè nessuna tôrre o bicchiere o boccone di su la mensa che non imbratti e la manica e la tovaglia co' bicchieri ch'ella fa cadere?.. Lo 'mbusto è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del panno, il collo asserragliato da' cappuccini Non si finirebbe mai di dire delle donne, guardando allo smisurato traino de' piedi alle code delle vesti e andando infino al capo; dove tutto di su per li tetti, chi l'increspa, e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di catarro si muoiono33.

Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli uomini. Il povero messer Valore de' Buondelmonti, un vecchione tagliato all'antica, fu costretto da' suoi consorti a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto, tutti se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: O che è questo, messer Valore? io non vi conoscea, avete voi i gattoni?34.

Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia, tutto il mondo la piglia. Che fu a vedere già le donne col capezzale (lo scollo) tanto aperto che mostravano più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi dierono un salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi. Le giovanette che soleano andare con tanta onestà, hanno tanto levata la foggia al cappuccio da ridurlo una berretta e imberrettate portano al collo il guinzaglio, con diverse maniere di bestie appiccate al petto. Le maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare, qual più trista e più dannosa e disutile foggia fu mai? potè nessuna tôrre o bicchiere o boccone di su la mensa che non imbratti e la manica e la tovaglia co' bicchieri ch'ella fa cadere?.. Lo 'mbusto è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del panno, il collo asserragliato da' cappuccini Non si finirebbe mai di dire delle donne, guardando allo smisurato traino de' piedi alle code delle vesti e andando infino al capo; dove tutto di su per li tetti, chi l'increspa, e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di catarro si muoiono33.

Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli uomini. Il povero messer Valore de' Buondelmonti, un vecchione tagliato all'antica, fu costretto da' suoi consorti a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto, tutti se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: O che è questo, messer Valore? io non vi conoscea, avete voi i gattoni?34.

Venne un tempo la moda delle gorgiere intorno la gola e delle bracciaiuole, sicchè poteva dirsi dei fiorentini portassero la gola nel doccione e il braccio nel tegolo, onde accadde a Salvestro Brunelleschi, avendo una scodella di ceci innanzi e pigliandoli col cucchiaio, per metterseli in bocca, di cacciarseli nella gorgiera, e di scottarsi35. Più tardi venne quella delle calze (i calzoni) di differenti colori non solo, ma anche dimezzati e attraversati di tre o quattro colori: de' piedi con una punta lunghissima36; e delle gambe così incannate co' lacci che appena si possono porre a sedere. I più dei giovani senza mantello vanno in zazzera e al polso danno un braccio di panno e mettono in un guanto più panno che in un cappuccio37.

Le vecchie foggie contrastavano con le nuove, con le modernissime: ognuno si sbizzarriva a sua posta. La gente, curiosa anche allora, prendea diletto a vedere le nuove cappelline, le nuove cuffie e le nuove cianfarde, e' nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche arme; sì che appena si conoscono insieme, sguarguatando (sbirciando) l'uno insino in sul viso dell'altro, prima che si conoscono38. Una vera mascherata!

VI

Ora gli uomini, che han sempre fatto le leggi, pensarono con tal freno vietare i disordinati ornamenti delle donne di Firenze. Il Comune promulgò statuti suntuari fino dal 1306 e dal 133039, e provvisioni severissime nel 1352, nel 1355, nel 1384, nell'88, nel 1396 e poi di nuovo nel 143940 e nel 1456 e perfino ne troviamo nel 156241. I religiosi tuonavano dal pergamo, i savi ammonivano e davano, come il Dominici, regoluzze alle madri timorate circa i vestimenti; i novellieri mordevano con le loro facezie il lusso troppo smodato. Anche nelle altre città di Toscana e d'Italia, si mandava a Firenze per esempio de' detti ordini e per confermargli42.

Incomincia una contesa, una lotta assai singolare tra la burbanza de' legislatori severi e la malizia donnesca. Le femmine astute non contrastano apertamente, ma fingon di piegare il capo crucciose, finchè passi quella bufera. Sono addottrinate, esperte del mondo: le leggi troppo severe rimangono senza sanzione. Quando e come possano, cercano, se non annullarle, deluderle. Alla venuta del duca di Calabria, nel 1326, si fanno attorno alla duchessa sua moglie che è una francese, Maria di Valois, e ottengono sia loro reso un loro ornamento di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce di capelli dinanzi al viso ornamento disonesto e trasnaturato, brontola il Villani che vide il disordinato appetito delle donne vincere la ragione e il senno degli uomini. Quattr'anni appresso i Fiorentini per calen d'aprile del 1330 tolgono tutti gli ornamenti alle lor donne e come dice il Del Lungo in un magistrale lavoro, a cui per voi darà qui il desiderato compimento, le disabbigliano da capo a piè43.

Anche questa, bufera che passa! A simiglianza delle donne di Fiandra, tormentate per la stessa cagione da Tommaso Connette fanatico carmelitano, esse, come scrive il Paradis negli Annales de Bourgogne releverent leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels quand ils entendent quelque bruit retirent et reserrent tout bellement leurs cornes; mais, le bruit passé, soudain ils les relevent plus grandes que devant44. E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene in Firenze nel 1342, e la sformata mutazione d'abito portata da quei francesi.

E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il figurino d'allora, quando i giovani vestivano una gonnella corta e stretta che per metterla occorreva l'aiuto d'altrui, cinta alla vita da una striscia di cuoio con ricca fibbia e puntale, con isfoggiata scarsella alla tedesca, con il cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in una punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo al capo per lo freddo: e i cavalieri una guarnacca attillata, con le punte de' manicottoli strascicanti per terra, foderati di vaio, ed ermellini, de' quali le donne copiaron subito la singolare stranianza45. Ma gli affreschi del Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge, sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in un'occasione solenne tentaste di rinnovarle. A studio, dico tentaste, perchè l'eleganza moderna non può agguagliare la magnificenza signorile di que' drappi, di quelle vesti sontuose.

La Prammatica del vestito del 1343, che conservavasi nell'Archivio della Grascia, di cui ottenni alcun estratto dalla cortesia d'un amico il quale ebbela fra mano, serba memoria di quegli splendidi abbigliamenti ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con un marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia un mezzo giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli di quei poveri uficiali forestieri, deputati dal Comune all'applicazione della legge. Eccovi descritto un capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del popolo di San Pier Maggiore: Un mantello nero di drappo rilevato col fondo di color giallo, con sopra uccellini, pappagalli, farfalle e rose bianche e vermiglie e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi e dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e molte altre figure di diversi colori, foderato di drappo bianco con righe nere e vermiglie. Nè basta: spesso erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui drappi.

VII

Ma di quell'Archivio stesso della Grascia e di quei disgraziati ufficiali, costretti a un cómpito così disumano, di quei poveri potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai e famigli che dalle città guelfe di Lombardia e delle Marche venivano in Firenze a sostenere le parti di rettore, a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e de' loro mariti, ancor si conserva un documento curioso. Chi non ricorda la novella46 di Franco Sacchetti, in cui narra le tribulazioni di uno judice di ragione, Messer Amerigo Amerighi da Pesaro, bellissimo uomo del corpo, e ancora valentissimo della sua scienza, il quale ebbe mandato, mentre Franco era de' Priori nella nostra città, di proceder sollecitamente ad eseguire certi nuovi ordini, al solito sopra gli ornamenti delle donne? Il valente giudice si pone all'opera, e manda attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i cittadini vanno a' Signori e dicono che l'officiale nuovo fa sì bene il suo officio, che le donne non trascorsono mai nelle portature come al presente fanno.

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