Mastro Jacopo, una volta aveva detto di lui:
Tuccio di Credi non sarà mai un valente disegnatore. Un uomo che non guarda mai davanti a sè, può egli vedere quel che si faccia?
Alle beffe dal Chiacchiera. Tuccio di Credi aveva aggrottate le ciglia e si era morso le labbra. Indi, facendo spallucce, aveva risposto:
Che grullerie! Basta che il primo venuto dica una cosa per chiasso, perchè tu ci fabbrichi subito un ragionamento. Già, non l'hanno battezzato il Chiacchiera per nulla. Oggi tu hai visto l'innamorato in una figurina di donna, e questo è anche peggio della trovata di Parri della Quercia. O che? Non si può egli vedere una bella ragazza per via, e sentire il desiderio di segnarne il profilo sulla carta, come si segna il profilo d'un frate che va alla cerca, o d'un cane che s'accosta al muro? L'uomo che vuole avanzare nell'eccellenza dell'arte, studia tutto quello che vede. E se gli capita di vedere qualche bella figura di donna, vuoi tu che chiuda gli occhi e dica: Domine salvum fac, come un santo eremita, esposto alle tentazioni del diavolo?
Se almeno ce ne fossero due, qua dentro, di donne!ribattè il Chiacchiera, che non voleva darsi per vinto.Ma, a farlo a posta, non c'è che questa, non c'è.
Non prova nulla.
Prova moltissimo. Che non ci sian più belle donne, in Arezzo? O che abbiano presa l'abitudine di tapparsi in casa, quando passa il Giotto redivivo?
Ah sì, Giotto ridivivo! Ben detto!esclamò Lippo del Calzaiuolo.Se ti sente mastro Jacopo, ti abbraccia e ti bacia sulle gote.
Chi parla di mastro Jacopo?gridò una voce, che mise lo scompiglio nella brigata.E chi ho da baciar sulle gote, se è lecito?
Maestro!dissero i garzoni, tirandosi indietro mogi e confusi.
Il maestro si avanzò in mezzo al crocchio e vide il quaderno dei disegni di Spinello Spinelli.
Ah!riprese egli, con accento mutato.Studiavate? Ammiravate anche voi quel che sa fare questo bravo giovinetto? Avanti, su, si faccia avanti quello che ho da baciar sulle gote, e mi dica cosa pensa di Spinello Spinelli.
Maestro,scappò fuori il Chiacchiera,io non so se mi bacerete sulle gote, o se piuttosto non mi allungherete una pedata; ma dico, con vostra licenza, che questo Spinello ha voluto fare un ritratto, in questo piccolo schizzo.
Orbene,disse mastro Jacopo, rabbruscandosi;e se avesse proprio voluto fare un ritratto, che ci vedreste di male voi altri?
Niente, Dio guardi; niente nell'intenzione. Ma quanto all'esito del tentativo. Vedete qua Tuccio di Credi, il quale sostiene che la somiglianza è tutta dovuta alla parsimonia dei tratti. Il vostro protetto ha trovata l'aria della figura, e nient'altro. Se dovesse fare un ritratto, si troverebbe molto impicciato.
Mastro Jacopo crollò sdegnosamente le spalle.
Eh via, lasagnoni! Quello è un giovane che, se vorrà fare un ritratto, anche da pittore novellino qual è, lo farà, in barba a tutti voi, quando avrete messo su barba.
Parri della Quercia non è di questa opinione.
Ah, Parri? sentiamo qual è l'opinione di messer Parri della Quercia.
Parri, così tirato in ballo dalla imprudenza del Chiacchiera, si fece modestamente a rispondere:
Io, veramente, maestro, non intendevo di togliere i meriti al vostro nuovo scolaro. Non lo conosco ancora di persona, ma lo stimo già assai per questi tocchi di penna, che voi ci avete proposti ad esempio. Dicevo solamente che madonna Fiordalisa.
Jacopo di Casentino diede un balzo e guardò il migliore de' suoi discepoli con aria tra maravigliata e scontrosa.
Che c'entra madonna Fiordalisa?diss'egli interrompendolo.
Eh, c'entra in questo modo,rispose Parri della Quercia,che nei quattro tocchi di cui parlavamo dianzi, quando voi siete capitato. Eccoli qua, del resto; non ci vedete il ritratto di madonna Fiordalisa? Almeno almeno, si può dire che arieggiano la sua figura.
-Sia pure;disse mastro Jacopo, col piglio di chi non vuol negare nè ammettere una cosa.E che cosa dicevi tu dunque?
Dicevo che madonna può riconoscersi in questi contorni, ma che questo non può dirsi un vero ritratto. Un ritratto della vostra figliuola io l'ho per la cosa più difficile del mondo, se non per avventura impossibile. Madonna Fiordalisa ha un'aria così mutevole!
Aria mutevole! aria mutevole!borbottò mastro Jacopo.Non so che cosa intendiate di dire, con quest'aria mutevole. I vecchi pittori non le conoscevano, queste novità del vostro gergo.
Maestro,entrò a dire il Chiacchiera, vedendo che Parri della Quercia era rimasto mutolo,sono le parti mobili del viso, che fanno di questi scherzi. Il viso ha le sue parti mobili; è l'opinione di Tuccio di Credi.
Mastro Jacopo andava di meraviglia in meraviglia.
Ah sì! Anche Tuccio di Credi ha un'opinione?chiese egli, con accento sarcastico.
Tuccio di Credi fu toccato sul vivo da quelle parole, ma più dal tono canzonatorio con cui erano profferite.
Che male ci sarebbe, maestro?disse egli.E che ci vedreste di strano?
Niente, in verità; niente strano in voi altri. E non ci sarebbe neanche ombra di male, se almeno voleste prendervi il fastidio di lavorare. Siete lasagnoni, buoni a nulla. Cioè, mi correggo; siete buoni a far chiacchiere; tanto che uno di voi ci ha buscato il soprannome. Ragionare di principii, far trattati, inventar dottrine, ecco il fatto vostro. Lavoro, vuol essere, lavoro, e poi sempre lavoro. Le ragioni dell'arte son qui, nel braccio e nella schiena; il resto non vale più che tanto. Fatemi la grazia di lasciare le ragioni dell'arte, i principii, i trattati, a coloro che sono invecchiati nell'operare. Anche voi, un giorno, quando sarete giunti a compieta, potrete dire ai giovani: così va fatto e così non va fatto. In nome di che? In nome della vostra esperienza. Senza di questa non ci son dottrine che tengano.
Maestro,osò dire il Chiacchiera,voi restringete il campo dell'arte.
Che campo m'andate voi sfringuellando? Il campo dell'arte! Ecco un'altra invenzione dei pittori parolai. Dovevate vederlo che cos'era il campo dell'arte, quando vivevano i grandi maestri. Non le si conoscevano mica, queste cianciafruscole ai bei tempi di Taddeo Gaddi e di Giotto!
Giotto fu un rinnovatore dell'arte;ribattè il Chiacchiera.E noi dobbiam mirar tutti a fare del nuovo.
Ah sì? E credete che sia possibile, far sempre del nuovo? Badate, lasagnoni, che le vostre novità non siano ritorni alle mosse. L'unica novità, che io possa raccomandarvi è questa: fate, fate, non vi stancate di fare. E per intanto smettete le ciance, che il fistolo vi colga!
Ciò detto, maestro Jacopo si allontanò dal crocchio dando una poderosa alzata di spalle. Al quale atto il Chiacchiera rispose per tutti, facendo le boccacce. Poco stante si affacciava un giovinotto sull'uscio della bottega.
È qui mastro Jacopo di Casentino?chiese egli con aria peritosa.
È qui;rispose il Chiacchiera.Che cosa volete da lui?
Mastro Jacopo aveva udito la voce del nuovo visitatore, ed era subito escito sul limitare della sua camera.
Oh, bravo, ragazzo mio, fatti avanti!gridò egli.Ti aspettavo. Eccoti in casa tua. Questi sono i tuoi compagni di lavoro; Tuccio di Credi, Parri della Quercia, Cristofano Granacci, Lippo del Calzaiolo, il Chiacchiera cioè, diciamo prima il nome che ha avuto a battesimo, Angiolino Lorenzetti, e poi diremo quello che gli hanno appioppato le persone intendenti.
Il giovane a cui erano presentati in quella forma gli scolari di mastro Jacopo, li salutò con un cenno grazioso del capo, indi soggiunse:
Saremo amici, io spero.
Saremo amici, io spero.
A voi, lasagnoni,ripigliò maestro Jacopo,salutate Spinello Spinelli, l'autore dei tocchi in penna che avete veduti poco fa. È un ragazzo che, se non si svia per cammino, farà parlare di sè.
Gli scolari di mastro Jacopo s'inchinarono davanti a Spinello. Parri della Quercia gli stese la mano, dicendogli:
Amico e fratello, se vi piace.
Ma gli altri non si fecero così avanti, non si buttarono via come Parri della Quercia.
Saremo amici, io spero!ripeteva sommesso il Chiacchiera, rifacendo il verso del nuovo venuto.Vedete che degnazione! O che si crederebbe, per caso, d'essere il duca Namo di Baviera?
O il Saladino;soggiunse Lippo del Calzaiolo.
Sarà poi Calandrino, e nulla più;conchiuse Cristofano Granacci.
Tuccio di Credi non disse nulla; ma dentro di sè pensava:
Amico tuo! Sei sciocco, affè mia, se lo speri!
III
Abbiano la mala pasqua i pessimisti, gli scettici, ed altri filosofi di tal fatta, i quali sostengono che l'uomo sia un animale invidioso per natura, e che le nostre buone qualità sieno solamente effetto di paziente educazione, come a dire di strofinamento e di verniciatura.
Grazie al cielo, e con licenza dei filosofi sullodatì, ci sono ancora delle anime intimamente buone, la cui virtù è frutto di generazione spontanea, non già conseguenza d'innesto sapiente, o d'arte giudiziosamente educatrice. E ci sono altresì degli uomini che non soffrono il male dell'invidia, neanche (e questo è meritorio da parte loro) quando vedono che Tizio o Caio ha ingegno o attitudine da superarli di gran lunga, in questa o in quella disciplina.
Vedete, ad esempio, il nostro bravo messer Jacopo di Casentino. Il vecchio scolaro di Taddeo Gaddi, il degno continuatore della tradizione di Giotto, indovinava facilmente che quel giovinottino da lui preso a bottega, quando avesse fatto un tantino di pratica nel maneggio dei pennelli, sarebbe diventato di schianto un artista insigne, un maestro, da lasciarsi addietro i migliori del suo tempo. E per lui, per quell'aquilotto che metteva appena i bordoni, mastro Jacopo aveva smosso il suo piglio burbero; per lui trovava le parole amorevoli, la placida assiduità degli insegnamenti, la ineffabile tenerezza dei conforti paterni.
Due sentimenti diversi lo persuadevano a ciò. Il primo era quello dell'ambizione. Esser maestro ad un discepolo che non aveva punto mestieri di rimproveri e così poco di incitamenti a far meglio, poter raccomandare il suo nome ad un nuovo argomento di gloria, eccovi l'ambizione di mastro Jacopo; ambizione legittima, e, quel che più monta, di effetto sicuro, si sarebbe detto un giorno: Spinello Spinelli, il famoso pittore d'Arezzo, era scolaro di Jacopo da Casentino. Degno del maestro il discepolo! E se pure si fosse dovuto dire: migliore del maestro la gran pezza, sarebbe stato poi un gran male? Avere indovinato un ingegno potente, averlo tratto dall'oscurità, avergli per così dire adattate le ali agli omeri, non è forse una gloria, un titolo di merito al cospetto dei posteri, specie quando un simil titolo si può metter di costa ad altri parecchi?
Ora, che mastro Jacopo di Casentino non s'ingannasse in questi suoi sogni ambiziosi, la storia dell'arte italiana lo ha dimostrato. La fama di Spinello Aretino ha confermata, se non per avventura accresciuta, la fama del suo vecchio maestro.
L'altro sentimento era d'indole affatto domestica. Gli dò mia figlia;diceva tra sè mastro Jacopo.Bello lui, come essa è bella: ha ingegno, salirà presto in eccellenza d'arte; avrò in lui un aiuto maraviglioso; prospererà la mia scuola; Arezzo contenderà la palma a Firenze.
E qui mastro Spinello.Ma via, non precipitiamo nulla, raccontiamo le cose per filo e per segno, non mettiamo il carro avanti ai buoi.
Madonna Fiordalisa, ve l'ho già detto, si dimostrava umana col nuovo discepolo dì suo padre. Più volte nel corso della settimana, o con un pretesto o con l'altro, Spinello Spinelli era invitato a desinare dal maestro; onore che toccava di rado agli altri compagni suoi di bottega. Qualche volta anche lei discendeva al pian terreno; e certamente più spesso che non le accadesse da prima; ora per avvertire il babbo che si dava in tavola, ora per chiedergli il suo parere su questo o su quel particolare d'economia domestica, ed anche, perchè bisogna dir tutto, anche senza una ragione sufficiente per scendere. Ma già deve trovarla sempre, e per ogni cosa, la ragione sufficiente? I filosofi, che hanno voluto metterla come fondamento dei loro sistemi, si sono trovati anch'essi il più delle volte impacciati.
E Spinello ardeva; e l'interno ardore gli traluceva dagli occhi. Voi lo sapete, lettori, perchè di lì ci sarete passati un giorno anche voi; l'amore e la tosse si nascondono male. Anche madonna Fiordalisa nascondeva male il senso che faceva su lei l'amore di Spinello Spinelli; anzi, non lo nascondeva affatto. Perchè avrebbe dovuto nasconderlo? Non era nato, quell'affetto, e non cresceva forse liberamente sotto lo sguardo benevolo di suo padre? Era da principio un po' timida; poi, nel ravvisare la stato del proprio cuore, si era fatta contegnosa. Ma queste deboli difese, pari alle fortificazioni improvvisate lì per lì da un esercito in aperta campagna, durano appena quel tanto che basti ad una semplice ricognizione. E madonna Fiordalisa non aveva durato fatica a riconoscere che quel gentile e modesto innamorato non era altrimenti un ingannatore. Si sentì raffidata e gli diede senza contrasto il suo cuore. Dolce abbandono, che non è turbato da nessun sospetto, da nessuna paura!
Mentre faceva quei progressi nel cuore di lei, e forse per la stessa ragione che li faceva, il nostro Spinello avanzava rapidamente nella disciplina che aveva con tanto ardore abbracciata. Imparava facilmente quel che oggi si chiama il meccanismo dell'arte. Sapeva come si dovessero unire i colori, a fresco e a tempera, o come si avessero a dipingere le carni e i panni, per modo che ne venisse rilievo e forza alle figure, mostrando l'opera chiara ed aperta; conosceva quali colori si dovessero usare nel dipingere a fresco, cioè tutti di terra e non di miniere; con che risolutezza di mano si avesse a condurre il lavoro, prima che l'intonaco del muro potesse disseccarsi, e qual forza dovesse dare al colore, perchè le tinte, mentre che il muro è molle, mostrano una cosa in un modo, che poi, secco il muro, non è più quella di prima. Ed altre cose aveva prontamente imparate, con potenza di desiderio, anzichè per pratica; del dipingere a tempera, cioè col rosso dell'uovo e col latte del fico mescolati nei colori; del dipingere a chiaroscuro, contraffacendo le cose di bronzo: e finalmente del fare gli sgraffiti sulle mura, per modo che reggessero all'acqua piovana.
E tutto ciò senza rifarsi pure una volta ai principii. Tirato dalla sua inclinazione a schizzare dal vivo, od altrimenti dal naturale, Spinello Spinelli era già andato molto innanzi nel disegno, esprimendo col lapis rosso di Lamagna, o col nero di Francia, figure, atteggiamenti, partiti di pieghe, od altro che gli toccasse l'animo. Così lavorando, aveva acquistato una maravigliosa destrezza a fare con la penna i dintorni delle cose vedute, dando le velature e le ombre con una tinta dolce, che otteneva dall'inchiostro stemperato nell'acqua. E da ultimo, come abbiamo veduto dai disegni suoi, che erano andati sotto gli occhi di mastro Jacopo, faceva ogni cosa a tratti di penna, lasciando che i lumi delle figure fossero resi dal bianco della carta.
Del resto, in quei cominciamenti della pittura mancavano i grandi esemplari da proporre ai discepoli, e ognuno ritraeva dal vero, portando nell'opera quei medesimi difetti e qualità, che erano nell'occhio di ciascheduno, e nel suo modo particolare di veder la natura. Che se a voi, lettori discreti, paresse strano il caso di tanti pittori i quali vedevano la figura umana più smilza del naturale, di guisa che nei dipinti di quel secolo non si scorge ombra di quella pienezza di forme che è tanto comune in natura, io vi pregherò di ricordare che quei bravi rinnovatori dell'arte escivano allora dagli stecchi della pittura bisantina, e, per vedere tutto il vero nel vero, dovette mancar loro il coraggio. Natura non facit saltum, si è detto; anche l'arte ha dovuto andare per gradi.